Premessa. La storia
è ambientata durante il periodo di prigionia di Annie, Peeta e Johanna a Capitol City. Questa storia è stata scritta per la challenge “Prompting, Partenza, Via!” indetta dal gruppo Facebook “The Capitol” con il prompt: Annie/Peeta – “Cosa credi che sia quel
rumore d’acqua”?
Il Rumore
dell’Acqua.
Lo sgocciolio sporadico che proveniva dalla cella dei due
Senza Voce era l’unico suono che spezzava il silenzio dei prigionieri. Peeta
diede le spalle ai corpi dei due ragazzi riversi per terra. Scacciò le lacrime
con un gesto tremante della mano, mentre la rabbia premeva contro la sua cassa
toracica.
“Peeta?”
Un sussurro flebile lo raggiunse dalla cella alla sua
sinistra; fragile e rotto dal pianto, come la persona che l’aveva emesso.
“Cosa credi che sia quel rumore d’acqua?”
Il ragazzo appoggiò la schiena alla parete, tornando a
guardare i due corpi martoriati.
“Non è acqua, Annie” rispose infine, con il tono soffice
di un adulto costretto a spiegare qualcosa di doloroso a un bambino. “È
sangue.”
La ragazza gemette, come ferita dalle sue parole. La
sentì muoversi nel suo angolo, forse in un vano tentativo di allontanarsi dalla
scena che avevano di fronte.
“Ti sbagli” mormorò poi la giovane, in tono di voce
tremulo. “Ascolta meglio; deve essere acqua.”
Peeta non la smentì, questa volta. L’unico modo che aveva
per aiutarla era quello di reggere un lembo della coperta di immagini illusorie
dentro cui si rifugiava.
La maggior parte dei pensieri che le facevano da scudo
avevano a che fare con l’acqua; nel rumore che facevano le vasche per
l’elettroshock, quando venivano riempite, Annie distingueva lo sciabordare delle
onde del suo Distretto. Chiudeva fuori le urla dei torturati e ascoltava dentro
di sé il fruscio del vento, inspirando l’odore della salsedine che cospargeva
la pelle dell’uomo che amava.
Quando il sangue gocciolava a terra, scalciava via
l’immagine dei corpi feriti e mutilati per ricordare piogge leggere e onde agitate
e piedi bagnati a riva. E si salvava,
aggrappandosi all’acqua che era la linfa vitale del Distretto 4. Fino a
quando sarebbe stata in grado di sentirla, quella coperta d’illusioni
sbrindellata che si era costruita attorno avrebbe resistito.
Peeta, invece, non aveva bozzoli in cui rifugiarsi. Aveva
cercato di pennellare a mente qualcosa di limpido, ma le urla e le sofferenza
avevano strappato le sue tele,
imbrattando di sangue il poco che ne rimaneva.
Fissò lo sguardo in quello vitreo del cadavere del Senza
Voce maschio; le sue grida ripresero a fustigarlo, spingendolo a chinare la
testa per guardare il rosso che macchiava i moncherini di entrambe le braccia.
La visione del sangue lo riportò con la mente a quello
rappreso fra i capelli dell’uomo, il giorno che aveva segnato la prigionia di Darius.
Lo riportò a Katniss e alla sua guancia tumefatta per via
del colpo di frusta.
Lo riportò a Katniss e basta.
Katniss.
Il ricordo della ragazza fu al tempo stesso sale e acqua
sulle ferite che gli incidevano la pelle.
Una fitta di dolore improvviso gli attraversò le tempie;
voci distorte oscurarono il silenzio della cella.
In fondo è
colpa di Katniss se tutto quel sangue è
stato versato, no?
Il cerchio alla testa si strinse; lo sgocciolio nella
cella dei Senza Voce sembrò farsi più frequente.
“No” dichiarò secco, premendosi i palmi delle mani sulla
fronte. “Non è andata così.”
I ricordi malmessi nella sua testa lo smentirono. Le voci
di poco prima aumentarono d’intensità, mescolandosi alle sue riflessioni. Il
dolore alle tempie peggiorò, fino a diventare insostenibile.
Chi ha dato
inizio a tutto questo? Chi ha reso necessaria la vostra tortura?
“Peeta?”
Di nuovo quel sussurro flebile, spaventato. Annie si
mosse verso la parete che divideva le loro celle.
“Non ascoltarli, Peeta” cercò di aiutarlo, cercando di
zittire quelle voci per lui. Allungò la mano oltre le sbarre, ma il ragazzo
riuscì a stento a intravedere la punta delle sue dita. “Chiudili fuori.”
Peeta tornò a prendersi il volto fra le mani, sforzandosi
di recuperare il controllo sui propri tremiti. Per Annie era più facile
scacciare il dolore. Un giorno gli aveva detto che l’aiutava appoggiarsi le
mani sulle orecchie. Quando le copriva a quel modo arrivava il mare a lavare
via le voci. Le onde se ne impossessavano prima di rientrare e, quando
tornavano da lei, le portavano in cambio i bisbigli rassicuranti di Finnick.
Peeta però non aveva il mare nelle orecchie, né sussurri
o parole di conforto. I pochi ricordi a cui era riuscito ad aggrapparsi i primi
tempi erano stati avvelenati; si erano fatto più opachi e luccicanti, ma anche
sporchi, sbagliati. Meschini.
Facevano male, quei ricordi. Se prima lo traevano in
salvo, adesso lo trascinavano a fondo, in un baratro pieno d’odio.
“Parla con me, Peeta” mormorò ancora la ragazza,
sporgendosi per allungare il braccio verso di lui. “Non ascoltarli.”
Peeta inspirò con forza. Infilò la mano oltre le sbarre e
cercò di toccare quella della giovane, ma non ci riuscì.
“Annie…” la chiamò a quel punto, stringendosi le
ginocchia al petto. “…Cosa credi che sia quel rumore d’acqua?”
Annie sospirò, sporgendosi attraverso le sbarre. Peeta non
sarebbe mai riuscito a sfiorarle le dita, ma qualcosa in quel gesto riuscì a
infondergli una punta di conforto. Per un istante il mare della ragazza riuscì
a raggiungerlo, sciogliendo via il veleno dai ricordi.
Le voci dentro di lui si zittirono.
“Speranza.”
Note Finali.
Aiuto. Dunque, non
sono affatto un grado a scrivere di Peeta. In passato ho provato a scrivere altre storie
incentrate su di lui, ma erano quasi tutte slice-of-life
in cui o era bimbo o era assieme ai
suoi bimbi, quindi c’era quasi sempre tanto fluff e meno introspezione. Stessa
cosa vale per Annie di cui, per ora, ho scritto quasi solo storie
in chiave Fannie o con la presenza
di suo figlio Sebastian. Però il prompt di M4rt1
mi aveva ispirato tantissimo, perché l’idea di un’ipotetica interazione fra
Annie e Peeta mi aveva sempre ispirato, così ho provato a fillarlo.
Nei libri non ci viene detto se Annie fosse tenuta prigioniera assieme a Peeta
(e a Johanna), ma ho pensato che
potesse essere così. Peeta in Mockingjay racconta
anche che Darius
e Lavinia sono stati torturati, mutilati
e uccisi di fronte ai suoi occhi, per questo nella one-shot
la loro cella è proprio di fronte a quelle di Peeta, Johanna e Annie. Non so
più bene che dire ** L’ultima parola
di Annie è un po’ una ripresa di quello che dice Prim
a Katniss nel trailer di Catching Fire. Mi piaceva l’idea di contrapporre il tormento che
sta incominciando a prendere piede nel Peeta depistato alla limpidezza di Annie, che si aggrappa alla sua acqua
per non soccombere all’orrore che stanno
vivendo.
Spero tanto di non aver scritto troppe sciocchezze
-- So di aver pubblicato a raffica in questo periodo, ma mi ero accorta
di essere vicina alla 50esima storia pubblicata nel fandom
di Hunger Games e mi sono un po’ impuntata per
arrivarci xD Adesso la pianterò per un po’ ,
promesso.
Un abbraccio!
Laura