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Autore: Acinorev    16/01/2015    16 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo venti - I don't care

 

Pete si era rintanato nel piccolo bagno del suo appartamento da una manciata di minuti ormai, lasciando Emma sdraiata a pancia in giù sul letto di camera sua: gli unici indizi su ciò che stesse facendo erano lo scrosciare ad intermittenza dell'acqua ed il rumore di alcuni oggetti presi o posati con scarsa delicatezza.
«Non pensavo ci mettessi così tanto a prepararti», esclamò lei, dondolando le gambe nell'aria e sostenendosi il capo con una mano.
«Ed io non pensavo che avrei dovuto sopportarti», rispose Pete, imbronciando la voce come solo lui poteva e sapeva fare e stimolandole un sorriso. Si riferiva alla sua visita improvvisa e non annunciata, che l'aveva sorpreso in flagrante.
«Dovresti essere felice del fatto che ci sia ancora qualcuno disposto a stare in tua compagnia, nonostante le tue scarse capacità di socializzazione», gli fece presente: in realtà, Pete era pieno di amici. Sebbene avesse dei modi bruschi e da orso, sebbene la sua pazienza fosse assente ed i suoi borbottii insoddisfatti perenni, era comunque in grado di farsi accettare e cercare.
«Non se quel qualcuno sei tu», la corresse, comparendo in camera da letto e rivolgendole uno sguardo saccente. Aveva indossato dei semplici blue jeans, abbinati ad un paio di Vans nere e ad un maglione a trama larga color ocra, che gli cadeva morbidamente sul fisico asciutto.
Emma ignorò il suo commento e si soffermò su altro. «Esci con me, ti prego», scherzò, osservandolo con evidente apprezzamento e soffocando una risata. Pete era infatti in procinto di uscire con una ragazza conosciuta ad una delle solite partite di calcio alle quali presiedeva: non aveva voluto svelarle il luogo dell'appuntamento, etichettando la questione come poco importante, mentre Emma era sicura che il suo fosse solo imbarazzo. Eppure, stando al suo aspetto, avrebbe potuto portarla anche in una fogna e quella ragazza sarebbe comunque rimasta affascinata dal suo accompagnatore: il viso pulito e ormai virile era ammaliante, sostenuto da quegli occhi cerulei apparentemente tanto duri ed in fondo altrettanto inoffensivi, da quelle labbra sottili che chiedevano solo di essere spinte a sorridere.
«Assolutamente no», declinò Pete, stringendosi nelle spalle e dandosi un'ultima occhiata allo specchio appeso alla parete.
L'amica sorrise oltraggiata. «Ti faccio così schifo?» gli chiese bonariamente: lo invidiava per la tranquillità nella quale si sarebbe svolto quel nuovo primo appuntamento, per l'assenza di timori e difficoltà.
Sperava che fosse arrivato anche per lui il momento di amare incondizionatamente - e forse comprendendo meno dolore: non l'aveva mai visto struggersi per una persona, amarla nel senso più puro del termine. Si era illusa che Tianna potesse essere quella giusta, ma la loro relazione si era presto rivelata una passeggera infatuazione adolescenziale. 
«È che lei mi fa meno schifo», scherzò lui, nascondendo un sorriso divertito dandole le spalle. «E poi, tu sei già occupata».
Emma alzò un sopracciglio e si inumidì le labbra. «Devo smettere di raccontarti tutto», borbottò con uno sbuffo.
«È quello che ho sempre detto anche io», si trovò d'accordo, sedendosi accanto a lei sul bordo del letto. «Voi ragazze non capite che, a noi pochi eletti dotati di un coso in mezzo alle gambe, della maggior parte delle cose che ritenete importanti non frega un emerito-»
Lei lo bloccò con un pugno sul braccio, scherzoso e poco efficace, ma che gli fece abbozzare una risata. «Sei sempre il solito», lo rimproverò piano, abbandonando il capo sul materasso e guardandolo dal basso.
«Per fortuna», aggiunse Pete, schiarendosi la voce. «Piuttosto, tu ed Harry cosa avete intenzione di fare?»
Le si chiuse lo stomaco, al solo pensiero. Non avevano progettato nulla, non si erano fatti promesse né prefissati degli obiettivi da raggiungere più o meno velocemente: stavano semplicemente rimanendo l'uno accanto dell'altra, in attesa di una svolta spontanea e magari determinante.
Prima che potesse rispondere alla domanda di Pete, udì il proprio cellulare squillare: per un istante sperò che fosse Harry a chiamarla, ma dovette ricredersi quando sullo schermo lampeggiante apparve il nome di Nikole.
«Nik!» la salutò allegra.
Un singhiozzo sommesso dall'altra parte della cornetta la fece preoccupare. «Puoi venire qui?» le chiese la ragazza, senza perdersi in preamboli inutili.
Emma corrugò la fronte. «Hey, tutto bene? Che succede?»
«No, fa tutto schifo», fu la risposta che ottenne e che la fece allarmare ancora di più. Non era da Nikole parlare in quel modo, perdere la solita ilarità anche nelle situazioni più gravi.
«Arrivo subito... Ehm, porto i rinforzi?» propose allora, guardando Pete e facendogli intendere quale sarebbe stato il suo destino, mentre lui sbuffava e gesticolava in evidente disaccordo.
«Sì», esclamò Nikole. «E porta anche da mangiare», aggiunse, prima di interrompere la chiamata.
«Sei idiota? Ti ricordo che sto per uscire», la rimproverò Pete, alzandosi in piedi.
«Non puoi scriverle e rimandare di un'oretta?» insistette Emma, mettendosi seduta. «C'è qualcosa che non va, non ho mai sentito Nik in quelle condizioni».
«Non se ne parla», disse irremovibile.
«È anche una tua amica!»
«Ha chiamato te, non me».
«Ma tu potresti essere d'aiuto! Per favore».
«Kent, ho la possibilità di fare del sano vecchio sesso e tu stai cercando di sabotarmi».
«Hai davvero intenzione di portartela a letto al primo appuntamento?»
«Dipende».
«In ogni caso, non credo che questa ragazza se la prenderà per così poco. Anzi, sarà affascinata dal tuo essere disponibile nel momento del bisogno: le apparirai come un piccolo eroe imbronciato».
«Non prendermi per il culo».
«Avanti, non farti pregare!»
«No».
«Nikole sarebbe felice di vederti».
«Non sai nemmeno cosa le sia successo! Magari è solo morto il protagonista della sua serie tv preferita, magari le si è rotta un'unghia».
«Pete».
«Kent».
«Stava piangendo».
«...»
«Singhiozzava».
«Vaffanculo, sarà meglio per te che sia sul punto di morte».



Salirono velocemente le scale che portavano al terzo piano dell'edificio, con il cibo spazzatura del McDonald's che rimbalzava nelle buste ad ogni gradino. Emma suonò il campanello con una certa impazienza, mentre Pete sospirava per l'ennesima volta.
Nikole aprì la porta lentamente, voltandosi subito di spalle per dirigersi verso il divano trasandato del piccolo e spoglio salotto del suo appartamento. I due entrarono in casa quasi in punta di piedi, guardandosi intorno come se avessero potuto trovare degli indizi.
Quando Emma posò gli occhi sulla figura della sua amica, rannicchiata con le ginocchia al petto e con il volto tondo arrossato dalle lacrime, sentì un peso schiacciarle il petto. Che diavolo era successo?
«Nik, che cos'hai?» le chiese subito, avvicinandosi a lei ed abbassandosi alla sua altezza. Le accarezzò un braccio ed incontrò il suo sguardo turbato, indifeso e capriccioso: le sue iridi chiare avevano perso in parte la loro vitalità, lasciando il posto a qualcosa di più cupo.
Lei non rispose, ma si affrettò a strapparle dalle mani la busta con il cibo, afferrando subito un panino e mordendolo con foga, per poi addentare anche delle patatine ancora calde. Subito dopo, con la bocca ancora piena e con nuove lacrime sulle guance, parlò velocemente. «Sono un'obesa! Una ridicola palla di grasso che cammina, faccio schifo!» si sfogò gesticolando, per poi riprendere a piagnucolare con la testa nascosta tra le ginocchia.
Pete indietreggiò di qualche passo, alzando gli occhi al cielo. «Oh, Cristo», borbottò, evidentemente insoddisfatto dello scenario al quale doveva assistere: non era un grande sostenitore delle debolezze femminili e la sua tolleranza diminuiva notevolmente, quando doveva rimandare un appuntamento per sopportarle.
Emma si stupì delle parole di Nikole, perché troppo abituata a sentirla scherzare sul proprio peso e sul proprio aspetto: non era certo stupida, poteva immaginare che non si sentisse propriamente bene con il proprio corpo, ma non credeva che arrivasse a disprezzarsi a tal punto. Evidentemente, i suoi tentativi di mascherare un tormento più profondo non erano stati efficaci, portando alla rottura dei suoi limiti e al crollo definitivo.
Dopo aver lanciato un'occhiata a Pete, che dietro di lei aveva incrociato le braccia con un'espressione impaziente, si sedette accanto a Nikole e le passò un braccio intorno alle spalle. «Iniziamo con il togliere di mezzo questi, hm?» le propose a bassa voce e dolcemente, recuperando il panino e le patatine dalla sua stretta.
Poteva sentire Pete che si lamentava del fatto che lui avesse speso dei soldi per quella roba, ed inutilmente, ma perseverò e gli fece cenno di raggiungerle: lui sbuffò, si passò una mano tra i capelli ed imprecò di nuovo, poi si avvicinò lentamente e prese posto alla sinistra di Nikole. I gomiti appoggiati sulle ginocchia e la schiena china in avanti.
«Tu non fai schifo, Nik», le sussurrò Emma: era consapevole della banalità di quelle parole, ma non poteva trovarne altre, né sarebbero state molto più utili. 
Quella non reagì, così lei osservò Pete e si schiarì la voce, invitandolo silenziosamente a dare il suo contributo. Lui trattenne malamente un sospiro. «Ci sono ragazzi a cui piace tutta questa... Rotondità».
Emma spalancò gli occhi e fu tentata di massaggiarsi la fronte per la frustrazione.
«E a te? A te piace?» domandò Nikole, con il viso ancora nascosto ed i singhiozzi ancora evidenti.
Pete alzò gli occhi al cielo e si maledisse. «Be', certo...» borbottò, mentendo innocentemente.
«Sei solo un bugiardo!» lo accusò l'altra, dimostrando la scarsa efficacia del suo intervento.
«Il punto è», esordì Emma, guardandolo con rimprovero e dedicando un'altra carezza alla sua amica, «che non devi preoccuparti degli altri: devi prima piacere a te stessa», continuò, sapendo che avrebbe presto ricevuto dei veri rinforzi, non appena Pete avesse abbandonato la sua stizza e si fosse concentrato davvero sulla situazione.



Si era ritrovata ad ammirarlo senza nemmeno rendersene conto: quasi sfacciatamente, i suoi occhi non si spostavano dai tratti del suo viso, né i suoi passi osavano muoversi in altro modo se non in quello adatto a rimanergli sempre accanto, alla giusta vicinanza. 
Harry continuava a parlare senza sosta: con una mano in tasca e l'altra a trattenere distrattamente una sigaretta consumata con lentezza, sapeva di essere vittima del suo sguardo, ma si ostinava a godere di quella mite soddisfazione senza renderla esplicita. Parlava del cane che aveva dovuto riportare al canile di Bristol, dopo esser entrato in casa e aver trovato il divano a pezzi - e più di una volta. Parlava dei lavori che aveva abbandonato per insoddisfazione, anche se gli sarebbero serviti. Parlava del paio di jeans avvistati in un negozio, ma terminati il giorno dopo.
Parlava e la incantava.
Patetica, pensò tra sé e sé, scuotendo debolmente la testa come a rimproverarsi silenziosamente: distolse lo sguardo e si schiarì la voce. Forse distrarsi con i dettagli che la circondavano le sarebbe stato utile: era da molto tempo che non sentiva la necessità di farlo e non sapeva se fosse perché non c'era stato spazio per altro, se non per le proprie preoccupazioni, o se la sua valvola di sfogo fosse semplicemente cambiata.
«Continua a guardarmi», si interruppe Harry, espirando del fumo ed inclinando le labbra in un sorriso pigro, beffardo. Fu una richiesta leggera, ma comunque irremovibile.
Emma alzò un sopracciglio e lo osservò piccata. «Non pensavo avessi bisogno di così tante attenzioni», lo canzonò, solo per smorzare il proprio imbarazzo.
Lui le cinse le spalle con un braccio e se la strinse contro, baciandole il capo ed una tempia. «Sembrava fossi disposta a darmene», precisò sorridendo. «Ed anche parecchie», aggiunse, senza render chiaro se si stesse riferendo solo a quel momento.
«Vorrà dire che smetterò solo per dare una lezione al tuo ego», gli assicurò, rivolgendogli una smorfia capricciosa.
Harry rise sommessamente e smise di camminare, obbligandola a fare lo stesso: inspirò dalla sigaretta, guardandola in viso con gli occhi sottili, e gettò il fumo alla sua sinistra, per non indirizzarlo verso la sua figura. Emma aspettava con le braccia incrociate al petto ed un sopracciglio alzato: la sua maschera imperscrutabile, però, non si oppose a ciò che in fondo desiderava. Lasciò che la mano libera di Harry le si posasse sul collo e poi sul mento, per alzarle il volto con le dita, e lasciò che lui si avvicinasse lentamente.
Fu lei a baciarlo.
Senza toccarlo se non con le labbra, si era sbilanciata per mettere a tacere la necessità che provava di quel contatto. La sua impulsività l'aveva appena spinta a contraddirsi nel giro di nemmeno un minuto.
Ed Harry non perse l'occasione di ricordarglielo. «Sai proprio come mantenere la parola data», la prese in giro, ancora sulla sua bocca. Conoscendo il suo orgoglio ed ipotizzando la sua reazione, le cinse la vita con entrambe le braccia e nascose il viso nell'incavo del suo collo, ridendo sulla sua pelle mentre lei cercava di divincolarsi dalla stretta.
«Lasciami», gli ordinò Emma, sbuffando nonostante un leggero sorriso ad ammorbidirle il volto. «Idiota», rincarò, arrendendosi qualche istante dopo.

Il centro commerciale si era affollato ancora di più, mentre loro continuassero a girovagare per negozi senza una reale meta: non avevano nemmeno capito chi esattamente avesse avuto l'idea di uscire, quel pomeriggio, ma non potevano che godere dei risultati.
Si erano momentaneamente seduti su una delle panchine semivuote situate al centro del largo corridoio, quando Emma controllò il cellulare in un gesto automatico: si stupì nello scorgere l'avviso di un nuovo messaggio.
Ma fu il mittente a renderla inquieta.

Un nuovo messaggio: ore 18.16
Da: Miles

"So che forse non dovrei scriverti, che forse dovremmo solo scomparire l'uno dalla vita dell'altra. E giuro che ci sto provando, perché altrimenti non avrei cancellato e riscritto le stesse cose per almeno dieci volte. Ogni giorno. Ma voglio vederti, Emma: non ho intenzione di chiederti di tornare insieme, niente di tutto questo. Solo... Vediamoci"

Strinse con forza le dita intorno al cellulare, serrando gli occhi per brevissimi istanti.
La sua mente combatteva per scorgere significati più chiari nelle parole appena lette, mentre il suo cuore tentava di fuggire a qualsiasi cosa fosse in procinto di provare. Grazie all'improvvisa confusione, Emma brancolava in un'assenza di emozioni che sapeva sarebbe stata temporanea, ma che avrebbe voluto durasse molto più a lungo, in modo da trovarvici un covo di protezione.
Subito dopo, invece, fu colpita dall'impatto della richiesta di Miles: così semplice, così normale. E si sentì tremare.
Non sapeva cosa rispondere, cosa fare: voleva vederlo? Poteva vederlo?
Alla mostra avevano avuto una scusa, un alibi per la loro vicinanza: si erano sentiti legati da un dovere e quindi giustificati. Ma se Emma avesse accettato di incontrarlo, che scusa avrebbe potuto apporre al proprio masochismo?
«Cosa c'è?»
La voce di Harry la riportò alla realtà troppo bruscamente: si accorse di aver trattenuto il fiato, quindi sospirò passandosi una mano tra i capelli. Percepiva le sue iridi seguirla in ogni movimento, aspettarla: si sentì a disagio, braccata.
Scosse il capo velocemente. «Niente», borbottò, con un tono spontaneamente infastidito, di quelli che si usano quando qualcuno fa un passo di troppo nell'intimità degli altri. Non avrebbe voluto rispondere in quel modo: eppure, se da una parte avrebbe preferito essere sincera e parlarne, dall'altra sapeva di non poterselo permettere. Non con Harry. Non quando si trattava di Miles.
«Sì, certo», sbuffò lui, mordendosi il labbro inferiore per la stizza.
Emma serrò la mascella.
«Guarda che non te lo chiedo di nuovo», aggiunse Harry, dopo aver aspettato per qualche istante delle parole che poi non erano arrivate. Non gli piaceva essere trattato da stupido e non esitava a dimostrarlo.
«Credi che se ti comporti così, per me sia più facile dirti la verità?» lo rimproverò, sottolineando la sua scarsa delicatezza. Era proprio quello il punto: aveva quasi timore della reazione che avrebbe scatenato in lui. 
E non tanto per il messaggio di Miles, quanto più per la risposta che lei sentiva di volergli concedere. Ragionandoci con maggiore lucidità e superato lo stupore, così come l'abitudine di allarmarsi per un tale contatto, aveva raggiunto una conclusione che forse aveva solo dovuto ripescare dal suo inconscio.
«Ah, allora c'è davvero qualcosa da dire», commentò Harry, innervosendosi appena.
Il suo essere tanto permaloso la irritò a tal punto da spingerla a ricambiare con un dispetto. «Miles mi ha chiesto di vederci, se proprio ci tieni a saperlo», esclamò acida.
Lui la osservò attentamente, con i lineamenti del volto rigidi e gelidamente cauti. «E quindi?» domandò, sforzandosi per non lasciar trasparire un fastidio ben più radicato.
Emma si inumidì le labbra, inspirando a fondo. «Quindi credo che accetterò», rispose più piano, come dopo aver perso gran parte delle sue energie, spese a controllare minuziosamente qualsiasi segnale in quegli occhi tanto accesi.
«Che cazzo significa?» sbottò Harry, ritraendosi leggermente e corrugando la fronte.
Lei fu tentata di alzare gli occhi al cielo, ma si impose di resistere. «E ti chiedi perché io non voglia dirti niente», soffiò, manifestando la propria delusione.
«Forse è solo perché sai che non dovresti vederlo!» la contraddisse, gesticolando.
«O forse è perché tu non sei in grado di... Dio!» sospirò Emma, passandosi una mano sul volto. «Non hai di che preoccuparti, non succederà niente», tentò.
Sapeva che la sua fosse anche gelosia, poteva immaginarlo, e sapeva che ci fosse una certa inquietudine, dietro i suoi comportamenti così impulsivi, ma non voleva che tingesse solo di quelle due sfumature tutta la realtà.
«Fammi capire», iniziò Harry, assumendo un'espressione dura e confusa, «tu reagisci in quel modo per un messaggio del tuo ex ragazzo, decidi di incontrarlo nonostante tutto, cerchi anche di tenermelo nascosto, ed io dovrei stare tranquillo
«No», lo corresse, avvicinandosi impercettibilmente. «No, non sto dicendo che non deve darti fastidio, perché so che io reagirei allo stesso modo. Sto dicendo che non devi attaccarmi così, che non c'è bisogno di farne un dramma e che non voglio litigare ancora. Se prima ho cercato di nascondertelo non è stato perché non ho la coscienza pulita o perché conto di fare chissà cosa con Miles, ma solo perché sapevo che avresti reagito in questo modo. Ed io non voglio sentirmi giudicata per qualcosa del genere».
«Cosa dovrei fare, allora? Accompagnarti da lui? Prenotarvi una cena in un romantico ristorante in centro? Che cazzo devo dirti?»
Harry si alzò di scatto e si allontanò senza guardarla: camminava velocemente, troppo nervoso per fermarsi a riflettere, ma Emma si sentì in dovere di raggiungerlo, di toccarlo per fornirgli una rassicurazione ma anche un imperativo.
Quando gli si parò davanti, non ebbe bisogno di dire niente.
«Non voglio che tu lo veda», esclamò infatti Harry, osservandola con una tale irrequietezza da stordirla.
«Non succederà niente», insistette lei, facendo un passo avanti. Comunque si sentisse nei riguardi di Miles, sapeva che nulla avrebbe mai potuto spingerla di nuovo tra le sue braccia, e credeva nelle sue parole e nella sua promessa di non volerla convincere a tornare insieme. Non poteva combattere i propri bisogni, per quanto miti: aveva il dovere morale di porre una conclusione più dolce alla loro storia, di levigare il loro rapporto in modo da renderlo sopportabile.
Harry non aveva nulla da temere.
«Questo lo dici tu», la provocò. I pugni serrati.
«Sì, lo dico io», confermò, come a dare man forte alla propria determinazione, come a ricordargliela.
«Non guardarmi così», le intimò. «Non ti ricordi cosa mi hai detto a casa di Zayn? Che significato ha, se alla prima occasione scappi da lui? Non puoi davvero credere che io me ne stia qui a farmi prendere per il culo».
«Se pensi che è questo che sto facendo, se pensi che ti stia prendendo per il culo, allora non hai capito proprio niente!» lo accusò, spintonandolo appena: odiava essere messa in dubbio, odiava veder sminuite sensazioni che avevano provato entrambi e con la stessa intensità. «So cosa ti ho detto quella sera e tu sai che intendevo qualcosa di diverso: non puoi pretendere che io finga che Miles non esista!»
Gli aveva chiesto di non farla distrarre, è vero, ma non voleva dire ignorare ombre comunque presenti.
La rabbia di Harry si accentuò. «Oh, per te esiste eccome!»
«Smettila» gli ordinò, puntando un piedi a terra. «Ho detto che non volevo litigare e guarda cosa stiamo facendo! Perché non riesci a prendere le cose con più maturità?! Ti ho semplicemente detto che vorrei vederlo, ma tu non mi hai chiesto nemmeno perché, hai preferito barricarti dietro le tue stupide convinzioni! E sono davvero stupide, se comprendono la possibilità che io possa tornare con Miles!»
«E tu non ti chiedi perché io abbia queste convinzioni, vero? Così come non ti sei mai chiesta perché Miles non ti abbia mai creduto riguardo me! Rassicuravi anche lui, mentre capivi di provare ancora qualcosa per me? Gli dicevi le stesse cose, sforzandoti di fare la vittima?»
Harry aveva sempre avuto la capacità di individuare le sue debolezze più intime e di utilizzarle come armi: la crudeltà con la quale era in grado di accusarla la destabilizzava oltre l'accettabile. Emma, quindi, si sentì obbligata a barricarsi dietro un muro di protezione ancora più alto, ancora più solido: l'avrebbe chiuso fuori e gli avrebbe impedito di colpirla ancora.
«Pensa quello che vuoi», sibilò, svuotata della propria enfasi. «Non mi importa».
E le importava, certo che le importava, ma non poteva darlo a vedere o Harry, preso dalla sua rabbia e dal suo desiderio di riscatto, avrebbe fatto di quella consapevolezza un nuovo appiglio da sfruttare a proprio vantaggio.
«E tu vacci a letto insieme», rispose quello, inasprendo il tono. «Non mi importa», ripeté, prima di voltarsi e camminare via.
Ancora.
Emma serrò la mascella con una tale forza da provare una vaga fitta di dolore, mentre lo osservava allontanarsi senza avere le forze - o la volontà - di richiamarlo. Sapeva che le sue parole erano state una provocazione, un modo per apparire disinteressato là dove l'interesse era troppo evidente, ma non poteva impedirsi di sentirsene ferita ed in qualche modo umiliata. 
Non potevano continuare a discutere in quel modo.



Emma era leggermente in ritardo, senza un motivo particolare, ma esclusivamente per una lentezza di movimenti e pensieri che la intorpidiva da quel pomeriggio. Aveva preferito camminare fino al luogo dell'appuntamento, un vecchio parco che lei e Miles erano soliti frequentare quando ancora erano legati indissolubilmente: avevano deciso di incontrarsi quella sera stessa, senza ulteriori indugi.
Lui la stava aspettando seduto su una delle prime panchine in legno, che delimitavano il percorso in ghiaia e terra battuta tra il verde spento dell'erba umida e degli abeti. Indossava abiti scuri ed era talmente immobile, da confondersi con l'ambiente silenzioso.
Gli si avvicinò piano, annunciata dallo scricchiolare dei suoi passi sui sassolini ai propri piedi. «Ciao», lo salutò a bassa voce, prendendo posto alla sua destra e guardandolo solo per un istante: manteneva una postura rigida, come se cercasse di controllarsi.
«Grazie per essere venuta», rispose lui, con un tono caldo, che in altre occasioni l'avrebbe rassicurata e resa più malleabile. 
Emma si sentiva a disagio: era arrivata fino a lì di spontanea volontà, aveva fatto una scelta, ma allo stesso tempo il viso di Harry continuava a tormentarla e ad infastidirla. Non stuzzicava la sua colpevolezza, perché era convinta di dover compiere quel passo e di essere nel giusto, ma minava la sua concentrazione: la loro ultima discussione era ancora tanto fresca, da impedirle di dare la priorità ad altro.
Era con Miles, ma pensava ad un altro profumo.
«Perché mi hai chiesto di vederci?» domandò, voltandosi lentamente verso di lui: trovò i suoi occhi ad osservarla con meticolosa attenzione, con nostalgia, ma si costrinse a non distogliere lo sguardo. Il suo volto era illuminato fiocamente dalla luce gialla dei lampioni circostanti, che gli conferiva ombre solitamente non presenti.
Miles schiuse le labbra, pronto a rispondere, ma si sciolse prima nell'abbozzo di un sorriso incredulo, quasi affranto: appoggiò i gomiti sulle proprie cosce e lasciò penzolare le mani rilassate, mentre disperdeva l'attenzione in lontani particolari del parco. 
«Perché mi manchi».
I loro respiri erano lenti, più eloquenti delle rade parole che si lasciavano scappare.
Emma non si stupì di quell'affermazione, perché l'aveva prevista: sin da quando aveva letto il suo messaggio aveva ipotizzato cosa stesse succedendo nel suo cuore, ma questo non l'aveva fermata nei suoi propositi, anzi, li aveva incendiati.
«Non posso dire lo stesso», esclamò, cercando di moderare il proprio tono in modo da renderlo morbido, carezzevole come la mano che era stata tentata di posarsi sulla sua spalla, ma che era rimasta sul proprio grembo.
Provava compassione per lui, per quei sentimenti che evidentemente lo animavano ancora, ma non voleva alimentare le sue speranze o rendere più difficile una separazione annunciata ed inevitabile. Se aveva deciso di incontrarlo, era per permettergli un migliore distacco: entrambi avevano bisogno di starsi lontano, di non influenzarsi e di fare i conti con i propri fantasmi senza interferenze. Emma non ci sarebbe più stata per lui, non nella misura in cui serviva solo per acquietare una mancanza, non mentre anche lei stava tentando di divincolarsi da un passato tanto temuto. Forse avrebbero potuto riprendere i contatti quando fossero nuovamente tornati autonomi, indipendenti dai ricordi, ma non in quel momento.
Miles sospirò, forse accettando il colpo appena infertogli, e si massaggiò il viso con le mani. «Perché no?» le chiese, in una sottile accusa. «Perché non ti manca niente
Lei non rispose, limitandosi ad irrigidirsi appena: sapeva che il suo era un modo per sfogarsi e non di giudicarla, forse spinto dall'ingiustizia che provava nei confronti di emozioni che era l'unico a provare. Non poteva scusarsi in alcun modo, né credeva che lui si aspettasse davvero un gesto simile.
«Non voglio che tu mi cerchi ancora», disse invece, quasi in un sussurro, osservando il suo volto ancora coperto dalle mani sottili: eclissò la verità, ovvero la patina di nostalgia che ricopriva una routine sicura e confortante.
Lui alzò di scatto il capo, tornando a guardarla: negli occhi una sorpresa inquieta, che la invitò a proseguire il suo discorso.
«Ora come ora, vederci non ci fa bene», continuò Emma, con la gola secca. «Non puoi cercarmi ogni volta che senti la mia mancanza, né io posso risponderti di conseguenza. Devi andare avanti, Miles. Io lo sto facendo e... Voglio concentrarmi su quello che ho».
Una parte di sé si dava dell'ipocrita, dato che anche per lei non era stato facile separarsi da lui, ma si rendeva conto che essere così distaccata e dura poteva avere dei vantaggi.
E se solo Harry avesse capito il motivo per cui aveva accettato di incontrare Miles, forse avrebbero evitato di litigare, di fare un passo indietro.
«Stai andando avanti con qualcuno?» indagò lui, corrugando la fronte con mite sospetto. La sua calma era ancora intatta. «Con Harry?»
Emma annuì lentamente, stupendosi del calore che l'idea le provocava: la prospettiva di qualcosa di nuovo le sollecitava i muscoli, la invogliava a sorridere di speranza. A prescindere dalle difficoltà che incontrava e che ancora avrebbe incontrato.
Miles sembrò voler dire qualcosa, ma le sue labbra si serrarono con decisione, insieme ai pugni chiusi. Si stava trattenendo dal commentare, forse dal lasciarsi scappare un "Te l'avevo detto", e dall'arrendersi alla tentazione di rinfacciarle tutti i suoi passati dubbi a riguardo: sapeva che non poteva più appellarsi ad alcun diritto di intervenire.
«Non ti cercherò più», le assicurò piano, appoggiando la schiena alla panchina e guardando dritto di fronte a sé. Il corpo abbandonato, di una mollezza arresa.
«Grazie», mormorò Emma, con le emozioni strette in una morsa per la visione di ciò a cui si erano ridotti. Loro, che avevano vissuto momenti colmi di serenità e pace, che avevano amato così tanto la loro vita insieme da rovinarla, che erano nati con un incidente goffo e che si erano lasciati per un destino ancora più beffardo.
Si sporse verso di lui, lenta per assicurargli cautela, e gli baciò una guancia, accarezzando il sottile strato di barba con le labbra fredde: lo vide abbassare le palpebre e respirare profondamente, senza però muoversi in risposta.
Alzandosi dalla panchina, si chiese se dovesse fare qualcos'altro, si chiese come dovesse comportarsi in una situazione simile e se avrebbe potuto compensare meglio la deprivazione che gli aveva imposto. 
Fu Miles a risponderle, raggiungendola velocemente e stringendola tra le braccia.
Il viso sul suo collo, le mani tra i suoi capelli ed il cuore volto a guardare qualcos'altro, per resistere un'ultima volta.



Messaggio inviato: ore 22.03
A: Harry

"Deficiente"





 


HOLA.
Voglio subito precisare una cosa: ogni settimana sono moltissime le richieste di aggiornamento, le domande su quando sarò in grado di pubblicare un nuovo capitolo, ma dovete capire che io sono umana e che ho anche altre cose da gestire al di fuori di EFP. Per esempio l'università, l'incombenza degli esami, la mancanza di tempo, la mia necessità di una vita sociale soddisfacente: di conseguenza, e ormai dovreste saperlo, non posso trasformarmi in una macchina sforna-capitoli e lasciare da parte tutto il resto. Fino ad ora ho sempre avvertito, in caso di un "notevole" ritardo negli aggiornamenti, e mi sembra di aver comunque mantenuto una certa costanza: per questo vi chiedo di lasciarmi dello spazio e di manifestare la vostra impazienza, certo, ma entro i limiti della decenza. Per cui, se io stessa sono la prima a dire che non ho ancora scritto niente, che ho bisogno di più tempo e che NON SO quando pubblicherò, chiedermelo in continuazione non mi aiuterà di certo, anzi, mi metterà solo pressioni inutili.
Come vedete, infatti, nonostante i miei impegni, sono riuscita a pubblicare piuttosto in tempo e nessuno è morto, nel frattempo. 

Comunque, tralasciando questa precisazione, passo al capitolo:
- Pete: mi mancava da morire, lo ammetto ahhaha La sua scena è quella che avrei dovuto includere nel capitolo precedente e che poi avevo tagliato. Ma forse è stato meglio inserirla in questo, di capitolo, almeno per smorzare i toni! Insomma, si scopre che con Tianna alla fine non erano andati molto oltre e che è in procinto di andare ad un appuntamento. Io ci uscirei, con uno come lui, e anche subito hahaha Spero che il suo solito comportamento vi abbia fatto sorridere almeno un po' :)
- Nikole: la solare e spensierata Nikole, che crolla improvvisamente a causa del malumore per il proprio aspetto. Capita a moltissime persone di nascondere tutto dietro una buona dose di ironia e di cedere subito dopo, e questo è ciò che è avvenuto. Ma avere persone come Emma e Pete intorno le è decisamente d'aiuto, tranquille :)
- Harry/Emma: piccolo momento di serenità e poi il DRAMMA. Penso sia evidente che la reazione di Harry sia stata dettata da gelosia e preoccupazione, dato che Emma talvolta si mostra ancora piuttosto scossa dalla sua storia con Miles. E su alcuni punti ha anche ragione (il comportamento che lei aveva con Miles, quando si difendeva dalle accusa di provare ancora qualcosa per Harry, è analogo a quello che ha in questo capitolo, nonostante in questo caso sia veramente disinteressato. Ma Harry questo non lo sa, o almeno, può solo sperarlo), ma sono i modi quelli che lasciano a desiderare. I due si lasciano di nuovo in malo modo, as usual, ma si sa che dai conflitti si possono ricavare dei miglioramenti :)
- Miles/Emma: spero sia chiaro il gesto di Emma, nonostante il loro dialogo sia povero ed essenziale. E non ho molto altro da dire su di loro, quindi lascio a voi i commenti!
- Credo che Emma non abbia mai insultato così tanto Harry, nemmeno in LG hahhahaha Come interpretate il suo messaggio? Harry risponderà?

Nello scorso capitolo ho notato un calo delle recensioni, che sono l'unico strumento che ho per capire le vostre opinioni: se è stato dovuto ad altri impegni, va benissimo, se invece rispecchia un ipotetico malcontento, vi chiedo di manifestarlo, perché è sempre meglio una critica di un silenzio di tomba :)
Spero di avervi proposto un bel capitolo, o almeno accettabile ahhaha E spero vi farete sentire!

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

 
   


  

 
  
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