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Autore: CrisBo    18/01/2015    2 recensioni
Il tavolo era imbandito di pietanze di ogni tipo. Una varietà di legumi e ortaggi erano stati disposti sopra i piatti, s'affollavano i formaggi e le piante verdi del vecchio contadino del decumano ovest, colui che coltivava le migliori carote di Hobbivile (il più quotato tra le hobbittesse, perbacco!)
Volavano i piatti e s'infrangevano nel fumo dell'erba pipa di Gandalf, spargendo i vapori di quell'odore per tutta la sala da pranzo. Bofur e Dwalin suonavano allegri, seguiti da Dori, i loro busti ondeggiavano a ritmo e con le braccia facevano saltare le stoviglie. C'erano tutti i nani chiamati per la spedizione di Scudodiquercia, persino quelli che non discendevano dai Durin. [ Dal prologo ]
***
- 2941, T.E. Partono in sedici dalla casa di Bilbo per la spedizione verso Erebor e ciò che l'avventura comporta cambierà le sorti dei discendenti di Durin. Il sedicesimo compagno è una nana, Berit, del quale si sa poco e niente. Mangia tanto, beve tanto, è chiassosa ed ha un rapporto particolare con Bofur. - Prima ff, c'è dell'autocritica in me.
[ IN REVISIONE! ]
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bilbo, Bofur, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14.
La ballata del Giorno Antico




Era notte fonda e la luce della luna illuminava a malapena i cunicoli attraverso un'entrata più aperta.
Da quella posizione potevano sentire i canti degli elfi e le loro risa, sembrava si stessero divertendo. Era passato un intero giorno senza che avessero avuto notizie di Bilbo o di Thorin - neanche gli elfi che passarono a portargli il cibo parlavano granchè, se non in elfico e sicuramente in modo malevolo dei Nani presenti - e loro non erano disposti a fare domande. Non di certo perchè non volessero ma Balin aveva detto loro di evitare di parlare troppo o gli elfi stessi avrebbero preteso di poter fare domande sulla loro presenza nelle loro terre. Non erano di certo i migliori a cui donare notizie del viaggio. Non senza sapere dove fosse finito Thorin, per lo meno.
Fili stava sbirciando dalla sua cella in cerca di qualcosa. Fissava con estrema insistenza in quella di Berit e Bofur ma non riusciva a inquadrare nulla, da quella posizione riusciva a vedere bene solo Gloin, Oin e Kili.
La stessa gelosia che lo prese nelle grotte degli Orchi si instaurò in lui anche in quel momento. Da un lato fu contento che la Foresta non gli avesse giocato quello scherzo - cosa mai avrebbe potuto combinare, in quello stato? - ma dall'altro lo faceva impazzire provare una rabbia simile verso un suo amico. Era annebbiato da troppe preoccupazioni e lui si stava infossando nell'unica e viscida sensazione che fluiva al petto senza che potesse fermarla. Aveva paura per Thorin e Bilbo e, quel che era peggio, si sentiva un verme per ciò che era successo con Kili. Non aveva tempo per pensare anche a Berit.
Non lo voleva, il tempo, per pensare a quello.
«Fratellino?»
Kili non rispose ma s'affacciò alla sua cella, posando la fronte sulle sbarre. Riusciva a vederlo nonostante la penombra e gli sorrise con affetto.
«Non ti sei fatto male, vero?» Domandò il biondo, stringendo con fare convulso il ferro.
«No. Sono di ferro Fi, se quei ragni ci avessero provato ora starebbero ancora urlando di dolore.» Kili sorrise sghembo. Non era tipo da commiserarsi, aveva proprio l'animo di un guerriero orgoglioso.
«Non parlo dei ragni.»
Si guardarono fissi per molti secondi e non ci fu bisogno di parlare. Quello che aveva fatto loro la Foresta era rimasto nella mente del fratello maggiore con insistenza,
nonostante il veleno dell'oscurità era scivolato via del tutto una volta raggiunta la dimora degli Elfi. Non ricordava le esatte parole di ciò che gli disse ma si ricordava del pugno. Non era stato un sogno, su quello ne era certo, perchè sentiva ancora le nocche dolere per la rabbia provata e l'epressione di Kili che si ripiegava su sè stesso, per il colpo. Non si erano mai picchiati, se non per scherzo, neanche quando litigavano fra loro. Si era promesso che mai la sua forza, la sua frustrazione, l'avrebbe riversata su di lui. Aveva detto a sua madre che si sarebbe preso cura di Kili durante quel viaggio ed era sicuro che Dìs aveva chiesto lo stesso a Kili.
Farsi sopraffarre da una foresta malata non era proprio quello che ci voleva; sapeva che non era sua la colpa ma era troppo facile lavarsene le mani.
Non era stato cresciuto così, era orgoglioso ma si sarebbe ucciso piuttosto che ferire il sangue del suo sangue.
«Prima che tu possa farmi male, Fili, devono passare almeno cento anni. E non sono neanche sicuro che basterebbero.» 
Quello aveva messo fine ai suoi pensieri e si ritrovò a sorridere alla volta del fratello con più trasporto. Non stava andando per niente bene la loro avventura ma, per quanto fosse veramente poco opportuno, era contento. Kili era il solito Kili, quel viaggio non lo stava cambiando e la cosa era quanto di più piacevole potesse pensare in una sera così silenziosa.



 

Berit e Bofur erano seduti l'uno accanto all'altro dentro la loro cella.
Non avevano per niente parlato di ciò che la Foresta aveva mostrato loro e nessuno dei due sembrò voler introdurre il discorso. Non c'era bisogno di dare voce a ciò che li turbava, quando si trattava di loro, ma per quanto fossero bravi a capirsi non potevano leggersi nella mente. Sapevano che qualcosa non era stato piacevole, per niente, ma nessuno dei due si intromise nei pensieri dell'altro; se mai ci fosse stato il momento opportuno avrebbero parlato. 
Berit se ne stava con la guancia appoggiata al braccio dell'amico e lui era appoggiato al suo capo con la propria. Respiravano all'unisono e rimasero in silenzio a lungo. I canti degli elfi furono la sola cosa che si intromise al silenzio - percependo come un suono lontano anche la voce degli altri Nani che parlavano tra loro - ma le celle sembravano rimanere solitarie nonostante la vicinanza l'una con l'altra. Forse uno dei trucchi degli elfi, per evitare il trambusto tra i prigionieri.
«Ti ricordi la ballata del Giorno Antico?» Berit alzò la testa per guardarlo e quello evitò di farlo.
Era rigido come un tronco di legno e non certo per il fastidio. «Perchè non dovrei ricordarmela?»
«Perchè tu non ti ricordi mai di niente.»
Quello sbuffò ma non si lasciò sfuggire un sorriso e si voltò a guardarla. Aveva gli occhi lucidi per la stanchezza e la pelle sporca di terra. «Questa me la segno.»
«Ti scorderai anche di fare questo.» Era partita con la sua solita manfrina di battute per sminuirlo. Di solito succedeva quando era stanca, quando era arrabbiata, quando era triste. Nulla che avesse alcuna radice di pensiero piacevole. Erano rimasti ancora in silenzio e lei si era accomodata meglio addosso a lui.
Berit non era avvezza ad una vicinanza troppo affettuosa, lui stesso l'aveva scoperto quando tentò di abbracciarla, una volta. Lei non se lo aspettò e gli diede una gomitata nello stomaco. Ma qualche volta lo stupiva, faceva crollare un po' le difese e si lasciava andare a gesti semplici e di puro affetto.
Non glieli vedeva compiere spesso ma durante quel viaggio, evidentemente, sentiva il bisogno di farlo lei stessa. Lui era sicuramente il favorito di quelle attenzioni e la cosa gli fece spuntare un sorriso istintivo. «Quando dividerò la mia birra con te, allora comincia a preoccuparti.» Aveva detto lei un giorno.
Quello era il massimo a cui poteva aspirare il suo incommensurabile amore. Ma intanto quella vicinanza stava mettendo a dura prova l'autocontrollo di Bofur.
Ad ogni sospiro che lei emetteva la sua mente tornava al bacio che aveva visto, dentro la foresta. Se lo ricordava come un sogno sfocato eppure la sensazione di vuoto era stata così reale da fargli mancare il respiro. Non voleva pensare a quel piccolo particolare, in realtà, ma non v'era molta scelta. Fece mente locale e provò a sgombrare quei suoi pensieri con qualcosa di più piacevole. 
Passò dal pollo arrosto, alla Montagna, alla sua arma di ferro nanico, ai banchetti delle nozze di Famiglia, al suono del suo flauto, alla birra scura, al fumo della sua pipa, a Berit che si divertiva a rubargli il cappello e a imitarlo, a Berit che quando era seduta su una sedia e rideva non c'era volta che non cadesse per una spinta di troppo, a Berit che quando cantava la sentivano fino ai Colli Ferrosi, a Berit che ballava davanti alle sue vittorie, a Berit che baciava Fili...
No dannazione!
«La smetti di infangarti?» Berit gli diede una pacca sulla fronte. Non era la sua solita pacca, fu piuttosto scialba. La cosa non lo disturbò alquanto.
«Cosa?» 
«Non infangarti.» Ripetè lei.
«Infangarmi?»
«Sai quando ti fissi su dei pensieri e non ne esci più? Come quando Bombur ha perso la sua grazia non appena ha varcato la soglia delle cucine di Dìs. Ci vollero ben tre quarti d'ora per renderlo partecipe a qualsiasi conversazione.»
Bofur si riprese da un momento di panico - era impensabile che lei potesse alludere ai suoi pensieri, non era mica Gandalf - e si mise a ridere sotto i baffi.
«Bombur basta che vede una salsiccia ed è finita.»
«Te la ricordi, allora, la ballata?» Lei riprese quel discorso e lui si mise a fissarla. Se la ricordava, l'aveva sentita durante il funerale, poco dopo l'incidente delle fucine. L'aveva cantata Thorin durante un falò nei pressi dell'accampamento delle Montagne Azzurre. Di certo non era un ricordo molto felice, per quei momenti, eppure a ripensarci gli salì una sorta di nostalgia. Non aveva voglia di ballare, questa volta. Gli Elfi Silvani non si meritavano una sua esibizione come quelli dell'Ultima Casa , troppo tronfi spocchiosi per i suoi gusti. 
«Fluttuano nell'ombra di un crepuscolo scuro,
i vecchi arazzi di un Giorno Antico,
lievi parole in un cuore sicuro,
nebbiosi Monti d'un suono profetico.
Nella notte stellare la voce di pietra,
ricorda gli anziani della scure grigia..
Mentre lui parlava a bassavoce, canticchiando quella ballata in rima, sentì la mano di lei cercare la propria. Non lo percepì subito, finchè non la vide infilare le falangi in un incastro stretto con quelle di Bofur. Gli strinse le dita con forza e Bofur fermò la voce per qualche attimo prima di continuare.
«..n-nascono incanti nella luce tetra,
che dal fuoco s'innalza forte la forgia. »
Non gli era mai battuto il cuore così forte, aveva paura che potesse distruggergli il petto.
Un piacevole dolore che poteva sopportare.
Poi ci mancò poco che la voce gli morisse in gola. Sentì le sue labbra sulla guancia - un bacio dato con naturalezza e una leggera pressione - e la pelle gli divenne così rovente per l'imbarazzo da fare invidia al focolare più caldo di tutta la terra di mezzo. Quando si voltò per guardarla lei aveva già ripreso la postazione di poco prima e aveva chiuso gli occhi gonfi. Rimase con insistenza sul suo profilo, catturando quanti più dettagli possibili.
Aveva i capelli tutti arruffati, la treccia non esisteva più, annodata scomposta sul fondo. L'avrebbe paragonata ad un cespuglio che aveva visto troppi venti dell'Ovest. O ad un rovo bruno che era stato sconquassato dalle fauci di due Mannari con la rabbia. Eppure non gli era mai sembrata così bella come in quel momento.
«Buonanotte Bofur.» Sussurrò lei, stringendogli le dita.
«Buonanotte..Berit.» Rispose con un sospiro, socchiudendo le palpebre. 
Come poteva prendere sonno con tutte quelle farfalle a ballare danze scoordinate dentro al suo stomaco?  

Berit era distesa nella zona esterna della Montagna.
Alcuni piloni scendevano imponenti fino a terra, gli intagli delle statue in pietra rappresentati i vecchi Nani di Erebor erano illuminati con una luce fredda, d'inizio inverno. Fissavano davanti allo spiazzo desolato. La Nana aveva disteso una coperta pesante e s'era ritagliata un suo angolo solitario. Stava guardando la notte scura, il cielo era coperto di stelle lontane che illuminavano quel manto nero. La luna era offuscata da nuvole grigie ma poco consistenti; dei batuffoli piccoli e lontani, incapaci di ostacolare la sua luce pallida. Chiuse gli occhi e rimase a pensare.
Sentiva Bilbo non molto distante, stava dormendo e tratteneva la sua giacchetta ben chiusa per il freddo gelido. Gli aveva proposto di rientrare dentro a riposare ma lui non ne volle sapere. Quel piccolo testardo stava cominciando a prendere le caratteristiche dei suoi Compagni - ma l'avrebbe mai scommesso?
Oh sì. Lo avrebbe fatto. E avrebbe vinto perchè lei vinceva sempre le scommesse.
Ma quella notte aveva paura a formulare i pensieri. Gli mancavano i suoi amici, non aveva idea di dove fossero e, ancor più terribile, era il pensiero che non ce l'avessero fatta. A stento loro erano sopravvissuti all'ira di Smaug, perchè i suoi amici avrebbero dovuto essere più fortunati?
Odiava quel pensiero. Non voleva arrovellarcisi, non era mai scivolata nel classico declino della mestizia. Persino nei posti più angusti era sempre riuscita a trovare la luce, quel piccolo raggio di una speranza che bruciava come una fiaccola sicura. Non riuscire a trovarla, questa volta, era una sconfitta per sè stessa.
Odiava Thorin per aver proibito loro di andarli a cercare e al tempo stesso lo comprendeva, in un ciclo di sensazioni incoerenti che lei stessa non riusciva a ordinare. 
Avrebbe potuto lasciar perdere tutto e fuggire da lì ma forse la bloccava qualcos'altro. La paura stessa di una scoperta che non avrebbe voluto fare.
Voltò lo sguardo per cercare la figura di Bilbo. Lo vide di spalle e respirava piano, avvolto come un piccolo bozzolo colorato in tutto quel grigio.
Si sentì in colpa e un peso angoscioso gli serrò la gola. Il problema era solo uno, senza troppo girarci intorno come una trottola.
Guardare Bilbo dormire non aiutava: non aiutava vederlo coricato tra la roccia distrutta, senza cascate, senza l'erba soffice, senza il suono dei canti.
Fece una lieve smorfia e chiuse di nuovo gli occhi; vide quelle maledette fossette.
Gli mancava. Terribilmente.
lo odiava. Terribilmente.




 

 

  NA.
Capitolo un po’ più romantico (????) del solito perché mi accorgo che io ho ficcato il tratto -sentimentale- nella storia ma non sono per niente brava con tutti sti sentimenti’d’Amur. Alla fine non faccio mai succedere niente di rilevante, me ne rendo conto, ma chi va piano va sano va lontano anche se la pazienza è un brutto fardello da portare. Persino per ME, mi odio quando ho queste trovate. Comunque sia io continuo a ringraziarvi per essere giunti fin qui, molto presto darò più spazio alla fantasia e pian piano arriveremo al punto CLU della storia. Ah, alla fine, so come finirà tutto ciò, ieri mi sono impuntata per trovare un finale “a effetto” e credo di averlo trovato. Forse. Non lo so. Comunque sia: pancia fatti capanna e al prossimo capitolo :) buona domenica a tutti.
p.s. La ballata m'è venuta di getto, a caso, ho provato anche a canticchiarla. Fa schifo, me ne rendo conto, ma volevo provarci a creare cose in rima. Tolkien rimane il mio ispiratore indiscusso.
  
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