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Autore: _paleface_    18/01/2015    1 recensioni
Era come se tutti volessero sbarazzarsi di me. Avevo nove anni.
Avevamo poco, ma io e lui ci bastavamo. Avevo diciassette anni.
Ero arrabbiata, avevamo litigato e lui era morto. Avevo ventitre anni.
Se per tutti la tristezza e la disperazione non possono altro che essere seguite da felicità e gioia, io non facevo parte del "tutti".
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ed Sheeran
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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8.

“So che ora mi prenderai per una pazza e forse lo sono davvero” gli dissi dopo che mi aveva portata in braccio fino sul divano. Continuana a fissarmi le mani senza dire nulla.

“Faccio le valige” mi alzai, ma lui mi prese con cautela dal polso come se avesse paura di un'altra crisi isterica e mi fece sedere nuovamente sul divano. Non disse ancora nulla.

In 5 mesi non l’avevo mai visto così.. non saprei neanche come descriverlo. Forse serio, sconvolto, confuso, arrabbiato, agitato e  distante possono rendervi un po’ l’idea.

“Almeno dimmi qualcosa” lo implorai.

“Cosa vuoi che ti dica?” disse voltandosi di scatto verso di me. I suoi occhi blu erano fissi nei miei neri. “Vuoi che ti dica cosa penso? Ok, lo farò. Io penso che tu quella sera sia scappata da casa tua, non so perché, non so da chi, non so niente. Avei voluto sapere. Avrei voluto poter evitare quello che è appena successo. Vuoi sapere sempre tutto di me, ma parlare di te no! Mai!” la rabbia cominciava a farsi largo nella sua bocca. “Sei tu che devi parlare con me, non io! Sei tu quella che dovrebbe spiegare e cercare di farmi sentire meno una testa di cazzo che fa così schifo da provocare una crisi isterica alla ragazza per la quale quasi impazzisce. Anzi, togli il quasi. Tu mi piaci, ma non mi dai il modo di conoscerti! AH, CAZZO!” urlò disperato mettendosi le mani tra i capelli. Avvicinai le mie labbra alle sue e lo baciai di sfuggita sulle labbra per poi sprofondare il viso nel suo petto. Mi prese dalle spalle e dolcemente mi scansò. Non voleva che lo abbracciassi?

“Ania, io ho bisogno che tu mi parli.” Si alzò e si diresse in camera sua chiudendosi la porta dietro le spalle.

Sono io la testa di cazzo, non tu! Avrei voluto urlare, ma come sempre, non ne ebbi il coraggio.

Ero riuscita ad incasinare anche lui ora e mi sentivo tremendamente in colpa. Avrei voluto piangere, urlare e prendere a pugni qualcuno, ma pensai che, per il momento, avevo già fatto abbastanza.

È tutta colpa tua. Se mi riferissi al mostro o a me stessa, non ve lo so dire.

Non sentivo il suono della chitarra provenire da camera di Ed, il che era strano. Ogni volta che era triste o confuso, predeva in mano la sua amata Nijel e componeva qualche canzone destinata a vendere milioni.
Mi avvicinai a passo felpato alla sua porta, ma non rilevai nessun movimento. Forse sta dormendo.

“Ania, ti sento.” Avevo lo stesso passo felpato di un rinoceronte a quanto pare. Non aveva più alcun senso stare lì fuori, così entrai e lo trovai sdraiato sul suo letto a fissare il soffitto. Era inquietante, fidatevi. Forse però, lo ero stata più io rannicchiata sul tappeto del salotto mentre piangevo e urlavo disperata.

“Cosa vuoi?” chiese così brusco da sorprendermi. Lo avevo veramente fatto arrabbiare. No, non era semplicemente arrabbiato. Era deluso credo.

“Io…” Cosa potevo dire? Mi dispiace, ma sono una psicopatica per colpa di un padre che ha abusato sessualmente di me per 15 anni? “Chris, è complicato da spiegare. Devo trovare le parole giuste.” Si girò per una frazione di secondo verso di me stupito che stessi pian piano lasciando cadere le mura che mi ero costruita intorno negli ultimi anni.

“Sai, non sono così stupido come sembra e sono anche abbastanza bravo ad ascoltare i problemi degli altri” disse evidentemente offeso.

“Non fare così, ti prego.” Stavo per scoppiare nuovamente a piangere, ma ricacciai le lacrime indietro mentre Ed rimase lì a fissare il soffitto in attesa che io parlassi. Anche se faceva finta che non gli importasse nulla di ciò che ero andata a dirgli, sapevamo entrambi che, al momento, era l’unica cosa che gli interessasse sentire.

“Mio padre ha abusato sessualmente di me da quando avevo due anni. Mia madre ha abbandonato me e mio fretello quando ne avevo quattro. Mio fratello seguì le orme di mia madre quando ne avevo sei . La sera che mi hai quasi uccisa con quella fottua porta di quel fottuto bar, avevo appena colpito mio padre in testa con una bottiglia di Vodka quando aveva cercato di toccarmi ancora e sono scappata.” Alzai lo sguardo dal pavimento e trovai i suoi occhi che mi fissavano con quell’espressione piena di tristezza, rabbia e stupore. “Non ti azzardare!” urlai puntandogli il dito contro. Sgranò gli occhi.“Non guardarmi in quel modo! Non voglio che mi guardi come fossi una persona da aiutare. Non voglio sentirmi quello sguardo di pietà adosso.” Sputai l’ultima frase con disgusto. Davvero non lo volevo. Lo odiavo.

“D’accordo” disse poi alzandosi dal letto. “Andiamo a mangiarci una pizza.” Una pizza? Sul serio? 

Grazie a tutti quelli che seguono la storia, a chi l'ha messa tra le sue preferite e le seguite, ma grazie anche ai lettori silenziosi. Spero vi piaccia :) 



 
   
 
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