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Autore: Kim WinterNight    19/01/2015    4 recensioni
«Ciao, cari lettori.
Mi presento: mi chiamo Albertina, per gli amici Berty. Ho quindici anni e vivo in Italia, precisamente in un paese fittizio che chiamerò… mmh… Bettola town.
Okay, lo so, il nome può sembrare buffo e non attinente al nostro caro Stato Italiano (Repubblica fondata sul Lavoro e bla bla bla), ma sfido chiunque a trovare un nome migliore di questo!»
Spero che la storia vi piaccia.
Non sono solita scrivere comici, però per queste vicende sono davvero ispirata e ho preso spunto da un sogno che ho fatto recentemente.
NOTE: tutti i personaggi sono di mia modesta invenzione e qualsiasi riferimenti a luoghi o persone è puramente casuale.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un invito speciale, colmo di aspettative…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E dunque, dopo aver risolto tutto (o quasi) con Gabri, mi ritrovo ad affrontare un’altra giornata di scuola.

L’ennesima.

Non c’è niente di bello tra queste quattro mura, anche se può sembrare una di quelle frasette scontate.

Insomma, qui viene il bello.

Solita solfa e solite ore passate a distrarmi con Tita e Giaco.

Però io non sono contenta.

Vedo quei due cretini che si lanciano occhiate furtive, mentre Tita ha messo su un’espressione perennemente imbronciata e Gabri non sa proprio come comportarsi.

Certo che quell’idiota l’ha combinata grossa!

Durante l’intervallo, Giaco saltella come una cavalletta e mi si piazza di fronte e mi rivolge un’occhiata maliziosa, furbetta, che gli conferisce un’aria ancora meno attraente.

Mi piacerebbe che trovasse una ragazza, ma temo che per lui sarà ardua, se non migliora almeno un po’. In tutto, non solo fisicamente.

«Berty, questa non te la puoi perdere!»

«Di che parli?»

«Domani c’è il compleanno di Mauro, ha organizzato una festa imperiale!»

«Non sono stata invitata…» gli faccio notare, lanciandogli un’occhiata interrogativa con la quale intendevo dire: “E quindi? Vuole pure il regalo?”

«Ti sbagli!»

Non capisco.

Ma ecco che, poco dopo, arriva Mauro con un sorrisone.

Lui, a differenza di Giaco, non ha nessun problema a trovare una ragazza, ne ha sempre un sacco che gli girano intorno.

«Ciao, Berty. Sono venuto a dirti una cosa importante.»

Importantissima, proprio.

«Parli della tua imperiale festa di compleanno?» faccio, tanto per dargli l’illusione di essere importante.

E infatti…

«Oh, ti sei ricordata? Wow, mi sento onorato, mi hai fatto emozionare!» esclama, con gli occhi che brillano e un’espressione da pesce lesso stamapata in faccia, quell’espressione che farebbe perdere la testa a qualunque ragazza.

Ma non a me. Mi fa quasi pena.

«No, me l’ha appena detto lui» ribatto, indicando Giaco e rivolgendo a Mauro un sorriso dolcissimo, il più dolce – e crudele – che mi viene.

Sul viso bello e pulito di Mauro passa una fugace ombra di delusione, ma lui cerca di nasconderla dietro una scrollata di spalle e un sorriso tirato.

Non può ingannarmi, quelli come lui li capisco al volo.

E ho appena demolito la sua piramide di orgoglio super pompato appena cinque secondi fa.

«E ci vieni?» mi chiede poi, leggermente in imbarazzo.

«Vedremo, non lo so ancora» butto lì, sapendo già che andrò alla sua stupida festa, ma solo per due fondamentali ragioni:

1)      Giaco mi ha praticamente chiesto di andarci, anche se l’arrivo di Mauro l’ha fermato

2)      Ci sarà SICURAMENTE sia Gabri che Tita, perciò una festa è il luogo perfetto per cercare di combinare qualcosa per  quei due

Lui annuisce e batte in ritirata.

Mauro, con me, ne ha da imparare, decisamente.

«Ovviamente verrai» afferma Giaco, battendomi sulla spalla.

E la sua non è una domanda, bensì un’affermazione.

Ne sa una più del diavolo, il mio nanetto da giardino.

 

Il problema si pone su un altro fronte, purtroppo.

Devo fare i conti con quella brava e dolce madre che, all’uscita, mi preleva come se volesse rapirmi, impedendomi di rientrare a piedi.

Quando si dice: genitori iperprotettivi nei momenti meno opportuni.

Secondo Giaco, non riuscirò a convincere la prof di matematica a lasciarmi andare alla festa, visti i precedenti.

Ma io, al solito, l’ho presa male. Molto male.

Se Mauro lascia che chiunque ferisca il suo orgoglio, be’, io non sono Mauro.

E dunque, la convincerò, a costo di passare tutto il tempo che mi separa dall’inizio della festa a pregarla in ginocchio e a lustrare la casa come Cenerentola.

Questo, per chi ha un orgoglio come il mio, potrebbe sembrare un discorso contorto e paradossale, ma preferisco vincere la scommessa che mi ha lanciato Giaco, anche se questo significherà fare dei piccoli/grandi sacrifici – ovvero, prostrarmi a mia madre come una serva della gleba.

Ma torniamo a noi.

«Mamma?»

«Sì, Albertina?»

Passo sopra al fatto che sia l’unica (o quasi) a chiamarmi in quel modo, visto che per tutti sono Berty. Ma lei queste abbreviazioni non le ha mai sopportate, o almeno, non nei confronti di sua figlia.

Con le sue amiche cinguettanti, be’… con loro è tutta un’altra storia.

«Senti, domani Mauro compie gli anni…» attacco.

«Mauro? Intendi il tuo compagno, Marzi?»

«Sì, Mauro Marzi, mamma.»

«Ah, auguri!»

Cominciamo male.

«Sì, certo… ma, organizza una festa, domani sera… mi ha invitato» dico, rimanendo poi col fiato sospeso, in attesa della sua reazione.

Ho scelto questo momento perché, mentre mia madre guida, certe volte risponde in maniera distratta e accetta cose che, in altri momenti, non si sognerebbe neanche di prendere in considerazione. E, quando riesco a strapparle un sì, non le permetto di tornare indietro.

«Mmh

«Posso andarci?»

Maria Vittoria, d’un tratto, pesta il piede sul freno, eseguendo una manovra impossibile da descrivere a parole, in modo da fermarsi poco prima di andare a schiantarsi contro il muro di un’abitazione.

Si volta nella mia direzione e mi guarda, con un’espressione imperscrutabile.

«Mamma… stai calma, okay?»

«Cosa hai detto? Ripeti» dice, con tono basso, controllato (o, almeno, così sembra). Se non la conoscessi, direi sicuramente che non potrebbe essere più tranquilla di così. Ma vista la brusca frenata di poco fa, non sono certa di tornare sana e salva a casa.

«A cosa ti riferisci?»

«Cosa mi stavi dicendo di Marzi?» domanda, addolcendo un po’ il tono.

La quiete prima della tempesta.

«Ma no, niente, sai… dicevo solo che mi hanno invitato ma… non intendo andarci, scherzi? Non me ne frega niente!» esclamo, sarcastica.

Ma mia madre il sarcasmo non lo pratica, ahimè, perciò tira un sospiro di sollievo e sorride, rimettendo in moto. Poi afferma: «Certe volte, Albertina, sono proprio fiera di te».

E io mi sento un’idiota perché sto perdendo la scommessa e il tempo stringe.

 

Non gliene parlo più per il resto della giornata e neanche nei pochi momenti che trascorriamo in macchina, mentre andiamo a scuola.

Cerco di pensare a come prenderla e i miei amici se la ridono, sicuri che non riuscirò a farcela, stavolta.

Ma io non perderò, no, è diventato più importante vincere quest’accidenti di scommessa che andare a quella stupida festa.

Che poi, in effetti, ci sto ancora pensando: Tita e Gabri devono avvicinarsi, quindi io non posso mancare. Se lasciassi tutto in mano a Giaco, sarebbe la rovina della storia d’amore più sfigata del globo terrestre.

Così, dopo pranzo, vado da mamma, che sta caricando la lavastoviglie e le do una mano, tanto per guadagnare tempo e rompere il ghiaccio.

«Oggi ho visto Marzi, in corridoio.»

Questa non me l’aspettavo, tuttavia rimango impassibile, devo dare l’impressione che non me ne importi niente.

«Mmh» mugugno, afferrando i bicchieri da sopra il tavolo.

«Mi ha pregato di lasciarti andare alla sua festa di compleanno.»

Colpo di scena numero due: perché diamine Mauro ha fatto una simile stupidaggine?

Opzione 1: vuole somministrarmi qualche sfida mozzafiato di fronte a tutti;

Opzione 2: è un idiota e cercava di rabbonire la prof di matematica (ma si vede che non la conoscere, ecco spiegata la sua idiozia, che peraltro prescinde dalla suddetta opzione);

Opzione 3: Vuole davvero che io ci sia.

E perché vuole che io ci sia?

Siamo amici? No, purtroppo siamo in classe insieme.

Allora, che vuole da me?

Un pensiero orrendo e spaventoso cerca di farsi largo tra questi pensieri, ma io lo scaccio con forza.

Sono sorpresa, ma fingo ancora indifferenza.

«Ah, pensa te…»

«Ma tu non vuoi andare, vero?»

«No, no, figurati!» esclamo, facendo spallucce.

«A chi vuoi darla a bere, Albertina?»

Touché.

«Io? Ma no, è vero, poi figurati, io e Mauro Marzi non siamo neanche amici!»

Almeno questo è uno straccio di verità.

«Scarlatti e Zunino ci vanno?»

Per un attimo, rimango perplessa, poi mi rendo conto che mia madre, ancora una volta, ha chiamato per cognome i miei amici, Giuditta Scarlatti e Giacomo Zunino.

Tita e Giaco.

«Sì, sì, anche Gabri… cioè, Mela» rispondo, dopo alcuni secondi di riflessione.

Non sono proprio abituata ad abbinare i nomi e cognomi delle persone che frequento. Se non fosse per l’appello fatto in classe, probabilmente non saprei neanche come sono registrati all’anagrafe. Cose superflue, del resto.

Ma torniamo a Maria Vittoria, ovvero mia madre, che annuisce con aria seria, neanche stesse decidendo se concedere o meno l’eutanasia ad un malato terminale.

Mi fa quasi paura.

«Se vuoi andare, vai, però devi essere a casa alle sette.»

La guardo, stralunata. Sta scherzando.

«Ehm, mamma?»

«Che c’è ancora?» sbuffa, sedendosi sul divano e accendendo il televisore.

«La festa comincia alle otto, mi viene difficile rientrare un’ora prima» spiego.

«Alle dieci.»

E sia.

In due ore non riuscirò a fare granché, però è meglio di niente.

E, in ogni caso, ho vinto la scommessa.

Esco dalla cucina, soddisfatta, e mi preparo per andare a comprare il regalo per Mauro insieme a Tita, Giaco e Gabri.

 

Andiamo in un centro commerciale e decidiamo di girare un po’, perché non abbiamo proprio idea di cosa regalare a quel montato di Mauro.

«Che ne dite di una scatola di preservativi?» se ne esce Giaco, trotterellandomi accanto.

«Io proporrei un vibratore» interviene Gabri, per poi cominciare a sghignazzare.

«Ragazzi!» squittisce Tita, sperando di non attirare l’attenzione di qualcuno.

Pensa sempre troppo a come potrebbe essere giudicata, mi spiace tanto che lei viva con questo cruccio.

«Ho un’idea migliore» strillo, sorridendo. «Regaliamogli un completino sadomaso.»

«Per carità!» si scandalizza la mia amica, tappandosi le orecchie.

«GENIALE!» ruggiscono gli altri due, battendomi sulla spalla.

Un’ora dopo, siamo seduti al tavolino di un bar e abbiamo comprato un libro altamente tematico: “Come pompare il proprio ego fino alle stelle”.

Sono certa che gli piacerà!

  
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