Un invito speciale, colmo di aspettative…
E
dunque, dopo aver risolto tutto (o quasi) con Gabri,
mi ritrovo ad affrontare un’altra giornata di scuola.
L’ennesima.
Non c’è
niente di bello tra queste quattro mura, anche se può sembrare una di quelle frasette scontate.
Insomma,
qui viene il bello.
Solita
solfa e solite ore passate a distrarmi con Tita e
Giaco.
Però io
non sono contenta.
Vedo
quei due cretini che si lanciano occhiate furtive, mentre Tita
ha messo su un’espressione perennemente imbronciata e Gabri
non sa proprio come comportarsi.
Certo
che quell’idiota l’ha combinata grossa!
Durante
l’intervallo, Giaco saltella come una cavalletta e mi si piazza di fronte e mi
rivolge un’occhiata maliziosa, furbetta, che gli conferisce un’aria ancora meno
attraente.
Mi
piacerebbe che trovasse una ragazza, ma temo che per lui sarà ardua, se non
migliora almeno un po’. In tutto, non solo fisicamente.
«Berty, questa non te la puoi perdere!»
«Di che
parli?»
«Domani
c’è il compleanno di Mauro, ha organizzato una festa imperiale!»
«Non
sono stata invitata…» gli faccio notare, lanciandogli
un’occhiata interrogativa con la quale intendevo dire: “E quindi? Vuole pure il
regalo?”
«Ti
sbagli!»
Non
capisco.
Ma ecco
che, poco dopo, arriva Mauro con un sorrisone.
Lui, a
differenza di Giaco, non ha nessun problema a trovare una ragazza, ne ha sempre
un sacco che gli girano intorno.
«Ciao, Berty. Sono venuto a dirti una cosa importante.»
Importantissima,
proprio.
«Parli
della tua imperiale festa di compleanno?» faccio, tanto per dargli l’illusione
di essere importante.
E infatti…
«Oh, ti
sei ricordata? Wow, mi sento onorato, mi hai fatto emozionare!» esclama, con
gli occhi che brillano e un’espressione da pesce lesso stamapata
in faccia, quell’espressione che farebbe perdere la testa a qualunque ragazza.
Ma non a
me. Mi fa quasi pena.
«No, me
l’ha appena detto lui» ribatto, indicando Giaco e rivolgendo a Mauro un sorriso
dolcissimo, il più dolce – e crudele – che mi viene.
Sul viso
bello e pulito di Mauro passa una fugace ombra di delusione, ma lui cerca di
nasconderla dietro una scrollata di spalle e un sorriso tirato.
Non può
ingannarmi, quelli come lui li capisco al volo.
E ho
appena demolito la sua piramide di orgoglio super pompato appena cinque secondi
fa.
«E ci
vieni?» mi chiede poi, leggermente in imbarazzo.
«Vedremo,
non lo so ancora» butto lì, sapendo già che andrò alla sua stupida festa, ma
solo per due fondamentali ragioni:
1)
Giaco mi ha praticamente chiesto di andarci,
anche se l’arrivo di Mauro l’ha fermato
2)
Ci sarà SICURAMENTE sia Gabri
che Tita, perciò una festa è il luogo perfetto per
cercare di combinare qualcosa per quei
due
Lui
annuisce e batte in ritirata.
Mauro,
con me, ne ha da imparare, decisamente.
«Ovviamente
verrai» afferma Giaco, battendomi sulla spalla.
E la sua
non è una domanda, bensì un’affermazione.
Ne sa
una più del diavolo, il mio nanetto da giardino.
Il
problema si pone su un altro fronte, purtroppo.
Devo
fare i conti con quella brava e dolce madre che, all’uscita, mi preleva come se
volesse rapirmi, impedendomi di rientrare a piedi.
Quando
si dice: genitori iperprotettivi nei momenti meno opportuni.
Secondo
Giaco, non riuscirò a convincere la prof di matematica a lasciarmi andare alla
festa, visti i precedenti.
Ma io,
al solito, l’ho presa male. Molto male.
Se Mauro
lascia che chiunque ferisca il suo orgoglio, be’, io
non sono Mauro.
E
dunque, la convincerò, a costo di passare tutto il tempo che mi separa
dall’inizio della festa a pregarla in ginocchio e a lustrare la casa come
Cenerentola.
Questo,
per chi ha un orgoglio come il mio, potrebbe sembrare un discorso contorto e
paradossale, ma preferisco vincere la scommessa che mi ha lanciato Giaco, anche
se questo significherà fare dei piccoli/grandi sacrifici – ovvero, prostrarmi a
mia madre come una serva della gleba.
Ma
torniamo a noi.
«Mamma?»
«Sì,
Albertina?»
Passo
sopra al fatto che sia l’unica (o quasi) a chiamarmi in quel modo, visto che
per tutti sono Berty. Ma lei queste abbreviazioni non
le ha mai sopportate, o almeno, non nei confronti di sua figlia.
Con le
sue amiche cinguettanti, be’… con loro è tutta
un’altra storia.
«Senti,
domani Mauro compie gli anni…» attacco.
«Mauro?
Intendi il tuo compagno, Marzi?»
«Sì,
Mauro Marzi, mamma.»
«Ah,
auguri!»
Cominciamo
male.
«Sì, certo… ma, organizza una festa, domani sera…
mi ha invitato» dico, rimanendo poi col fiato sospeso, in attesa della sua
reazione.
Ho
scelto questo momento perché, mentre mia madre guida, certe volte risponde in
maniera distratta e accetta cose che, in altri momenti, non si sognerebbe
neanche di prendere in considerazione. E, quando riesco a strapparle un sì, non
le permetto di tornare indietro.
«Mmh?»
«Posso
andarci?»
Maria
Vittoria, d’un tratto, pesta il piede sul freno, eseguendo una manovra
impossibile da descrivere a parole, in modo da fermarsi poco prima di andare a
schiantarsi contro il muro di un’abitazione.
Si volta
nella mia direzione e mi guarda, con un’espressione imperscrutabile.
«Mamma… stai calma, okay?»
«Cosa
hai detto? Ripeti» dice, con tono basso, controllato (o, almeno, così sembra). Se
non la conoscessi, direi sicuramente che non potrebbe essere più tranquilla di
così. Ma vista la brusca frenata di poco fa, non sono certa di tornare sana e
salva a casa.
«A cosa
ti riferisci?»
«Cosa mi
stavi dicendo di Marzi?» domanda, addolcendo un po’ il tono.
La quiete
prima della tempesta.
«Ma no,
niente, sai… dicevo solo che mi hanno invitato ma… non intendo andarci, scherzi? Non me ne frega niente!»
esclamo, sarcastica.
Ma mia
madre il sarcasmo non lo pratica, ahimè, perciò tira un sospiro di sollievo e
sorride, rimettendo in moto. Poi afferma: «Certe volte, Albertina, sono proprio
fiera di te».
E io mi
sento un’idiota perché sto perdendo la scommessa e il tempo stringe.
Non
gliene parlo più per il resto della giornata e neanche nei pochi momenti che
trascorriamo in macchina, mentre andiamo a scuola.
Cerco di
pensare a come prenderla e i miei amici se la ridono, sicuri che non riuscirò a
farcela, stavolta.
Ma io
non perderò, no, è diventato più importante vincere quest’accidenti di
scommessa che andare a quella stupida festa.
Che poi,
in effetti, ci sto ancora pensando: Tita e Gabri devono avvicinarsi, quindi io non posso mancare. Se lasciassi
tutto in mano a Giaco, sarebbe la rovina della storia d’amore più sfigata del
globo terrestre.
Così,
dopo pranzo, vado da mamma, che sta caricando la lavastoviglie e le do una
mano, tanto per guadagnare tempo e rompere il ghiaccio.
«Oggi ho
visto Marzi, in corridoio.»
Questa non
me l’aspettavo, tuttavia rimango impassibile, devo dare l’impressione che non
me ne importi niente.
«Mmh» mugugno, afferrando i bicchieri da sopra il tavolo.
«Mi ha
pregato di lasciarti andare alla sua festa di compleanno.»
Colpo di
scena numero due: perché diamine Mauro ha fatto una simile stupidaggine?
Opzione
1: vuole somministrarmi qualche sfida mozzafiato di fronte a tutti;
Opzione
2: è un idiota e cercava di rabbonire la prof di matematica (ma si vede che non
la conoscere, ecco spiegata la sua idiozia, che peraltro prescinde dalla
suddetta opzione);
Opzione
3: Vuole davvero che io ci sia.
E perché
vuole che io ci sia?
Siamo amici?
No, purtroppo siamo in classe insieme.
Allora,
che vuole da me?
Un pensiero
orrendo e spaventoso cerca di farsi largo tra questi pensieri, ma io lo scaccio
con forza.
Sono sorpresa,
ma fingo ancora indifferenza.
«Ah,
pensa te…»
«Ma tu
non vuoi andare, vero?»
«No, no,
figurati!» esclamo, facendo spallucce.
«A chi
vuoi darla a bere, Albertina?»
Touché.
«Io? Ma no,
è vero, poi figurati, io e Mauro Marzi non siamo neanche amici!»
Almeno questo
è uno straccio di verità.
«Scarlatti
e Zunino ci vanno?»
Per un
attimo, rimango perplessa, poi mi rendo conto che mia madre, ancora una volta,
ha chiamato per cognome i miei amici, Giuditta Scarlatti e Giacomo Zunino.
Tita e Giaco.
«Sì, sì,
anche Gabri… cioè, Mela» rispondo, dopo alcuni
secondi di riflessione.
Non sono
proprio abituata ad abbinare i nomi e cognomi delle persone che frequento. Se non
fosse per l’appello fatto in classe, probabilmente non saprei neanche come sono
registrati all’anagrafe. Cose superflue, del resto.
Ma torniamo
a Maria Vittoria, ovvero mia madre, che annuisce con aria seria, neanche stesse
decidendo se concedere o meno l’eutanasia ad un malato terminale.
Mi fa
quasi paura.
«Se vuoi
andare, vai, però devi essere a casa alle sette.»
La guardo,
stralunata. Sta scherzando.
«Ehm,
mamma?»
«Che c’è
ancora?» sbuffa, sedendosi sul divano e accendendo il televisore.
«La
festa comincia alle otto, mi viene difficile rientrare un’ora prima» spiego.
«Alle
dieci.»
E sia.
In due
ore non riuscirò a fare granché, però è meglio di niente.
E, in
ogni caso, ho vinto la scommessa.
Esco dalla
cucina, soddisfatta, e mi preparo per andare a comprare il regalo per Mauro
insieme a Tita, Giaco e Gabri.
Andiamo in
un centro commerciale e decidiamo di girare un po’, perché non abbiamo proprio
idea di cosa regalare a quel montato di Mauro.
«Che ne
dite di una scatola di preservativi?» se ne esce Giaco, trotterellandomi
accanto.
«Io
proporrei un vibratore» interviene Gabri, per poi
cominciare a sghignazzare.
«Ragazzi!»
squittisce Tita, sperando di non attirare l’attenzione
di qualcuno.
Pensa sempre
troppo a come potrebbe essere giudicata, mi spiace tanto che lei viva con
questo cruccio.
«Ho un’idea
migliore» strillo, sorridendo. «Regaliamogli un completino sadomaso.»
«Per carità!»
si scandalizza la mia amica, tappandosi le orecchie.
«GENIALE!»
ruggiscono gli altri due, battendomi sulla spalla.
Un’ora
dopo, siamo seduti al tavolino di un bar e abbiamo comprato un libro altamente tematico:
“Come pompare il proprio ego fino alle stelle”.
Sono certa
che gli piacerà!