Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Harmony394    20/01/2015    14 recensioni
Sansa, subito dopo aver avuto il primo menarca, è costretta a sposare Joffrey appena tre giorni dopo la sua fine. Nessuna via d’uscita, nessun amico di cui fidarsi, nessuno pronto ad ascoltare i suoi cinguettii pregni di paura. Ma proprio quando la situazione sembra arrivata al capolinea, ecco qualcuno disposto a spezzare le inferriate di una gabbia che di dorato ha solo il colore. Qualcuno che non è né un principe né un cavaliere, ma un mastino. E il suo nome è Sandor Clegane.
«Perché siete sempre così crudele?!» domanda lei, le lacrime appese alla punta delle ciglia. Non mi piace vederla piangere, cazzo, soprattutto se la causa del pianto sono io. Ma non mi importa. Deve capire come funzionano le cose, che questa non è una delle sue fottute ballate ma la vita vera e che nella vita vera non esistono cavalieri ma solo chi muore e chi tenta di non morire. Il resto sono solo cazzate.
«Sarai grata per le cose crudeli che faccio quando sarai Regina e sarò l’unico a frapporsi tra te e il tuo adorato Re».
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Lime, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
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Brotherhood Without Banners
 
 
Noi siamo il popolo eterno 
Fratello della miseria 
Non toccherete da noi nessun cielo né Inferno 
Non c'è Inferno né cielo 
C'è il marcio, ecco che c'è 
In questo marcio ci siamo noi vermi di terra 
 

 
Sono state tante le notti che ho passato senza dormire:  la notte in cui Gregor mi aveva premuto la faccia contro la brace, per esempio; o la notte in cui Alina era morta o quando, ad Approdo del Re, dovevo far la guardia alle camere di quell’idiota di Joffrey. Sono rimasto sveglio diverse notti e per diversi motivi, ma mai per aver baciato una donna – o meglio, una ragazzina che odora ancora d’estate.

È accaduto tutto così in fretta che ancora fatico a capacitarmene. È assurdo, cazzo. Il solo pensiero che io possa davvero aver baciato la ragazzina Stark lo è. Eppure, se chiudo gli occhi, sento ancora le sue labbra sulle mie, la sua pelle sotto le mie dita, il profumo dei suoi capelli... Aah! È inutile girarci attorno. La verità è solo una: io, la dannata ragazzina Stark, l’ho baciata sul serio e non c’è niente che possa fare per cambiare le cose.

Non so cosa mi abbia spinto a farlo. Per gli dèi, ho trascorso due anni, dannazione, due lunghissimi anni a trattenere il cazzo nei pantaloni quando la vedevo passare per i corridoi di Approdo del Re, ad evitare di incrociare il suo sguardo troppo a lungo, a fare in modo che nessuno le facesse del male e poi… e poi succede questo. Un bacio, maledizione, un fottutissimo bacio! E tutto solo perché non ho saputo resistere a quegli occhioni languidi, alle sue labbra rosse, alla sua vocina rotta dal pianto… ‘fanculo!

Do un calcio ad una pietra e questa rimbalza contro il tronco di un albero. Fanculo. ‘Fanculo, cazzo! ‘Fanculo a tutto: all’uccellino, al bacio che le ho dato ed a tutto il cazzo di mondo. Che io sia dannato! Perché mi preoccupo tanto? È colpa sua, non mia. Se lei fosse stata zitta e non fosse scappata via a quel modo, se non fosse stata tanto bella e se non mi avesse detto quelle dannate parole nulla di tutto questo sarebbe mai successo ed io starei dormendo tranquillo e senza alcun pensiero per la testa! Io non c’entro niente con tutta ‘sta merda. Io voglio solo prendere il mio oro e—

«No… », sussulto: è la voce di Sansa. Mi volto verso di lei, il cuore che sprofonda nello stomaco al pensiero che mi abbia sentito, e la trovo rannicchiata nel suo giaciglio tutta attorcigliata nel mio mantello bianco macchiato di sangue. Le sue labbra sono distorte in una smorfia impaurita. Sta avendo un incubo, realizzo, e la furia si placa di colpo. Mi chino verso di lei, studiandone i lineamenti delicati. Come fa? Come riesce ad essere tanto bella? «No… no, non voglio. Vi prego, sir…».

Sir.

Ho sempre detestato questa parola, ma adesso la odio quasi quanto odio mio fratello. Una vocina fastidiosa mi urla nelle orecchie che sono io il sir che sta sognando, io quello che le sta facendo del male – che le ha  fatto del male – e la sensazione di ricevere un pugno in pieno stomaco è insopportabile. Come ho potuto farlo?! Avevo promesso che l’avrei protetta, che avrei ucciso chiunque avesse voluto farle del male, ma a quanto pare sono proprio io il mostro da cui deve stare in guardia. Finirò per farle del male se resto, ed io non voglio. Non sono Gregor, cazzo, non sono come lui!  Devo andare via da qui. Adesso.

Mi allontano da lei, dalla foresta e da tutto ciò che mi ricorda quel dannato di bacio. Non so per quanto ho corso, ma ho il fiatone e la mia testa sembra impazzire. Mi accascio contro il tronco d’un albero, il cuore in gola e le ginocchia che tremano. Chiudo gli occhi e rivedo i suoi occhi azzurri, le sue labbra rosee che premono contro le mie, i suoi capelli che si annodano fra le mie dita. Mi passo una mano sul volto, respirando a fatica. Il desiderio di fottermene di tutto e correre lì e farla mia è più di quanto il mio corpo possa sopportare.

È tua. Prendila.
No. No, non le farò del male.
È lì. Nessuno lo verrà a sapere, nessuno potrà biasimarti – dopotutto, te lo deve, no? Dopo tutto quello che le hai dato…
No, no… Basta. Taci. Taci!
È tua…
No, ho detto che non le farò del male!

Nella mia mente si fa vivida l’immagine del suo corpo nudo contro il mio - posso quasi sentirne il calore sotto le dita - e l’armatura diventa improvvisamente ingombrante e fastidiosa. Rivoli di sudore freddo mi imperlano la fronte, il calore al basso ventre diventa insostenibile. Non ce la faccio più. Non mi basta più solo un bacio, adesso. Voglio di più. Voglio lei.

… È tua.
È mia.

Ma è solo quando sono a pochi metri da lei, il cazzo in mano e una voglia spietata di prenderla come avrei dovuto fare già molto tempo prima, che sento le sue parole. Questa volta non è un gemito sconnesso quello che esce dalle sue labbra, né una supplica. È qualcosa di molto di più, qualcosa che non mi aspettavo e che mi arriva addosso come una secchiata d’acqua gelida.

«Sandor…».

È il mio nome.

All’improvviso, senza che io l’abbia premeditato, senza che riesca a fermarmi, è la corteccia d’un albero quella che sto colpendo con tutte le mie forze. Non sento il dolore alle nocche mentre lo faccio, né il sangue che scorre sulle mie mani. No. È la rabbia quella che mi preme sotto le unghie, che mi fa scoppiare il cuore di collera e mi fa vedere tutto rosso. Come ho potuto anche solo pensare una cosa del genere?! Come ho potuto andarci così vicino?! Sferro un altro pugno e gran parte della corteccia dell’albero si scortica via, il dolore alle dita inizia a farsi sentire  ma non mi importa… non importa…

Quando sono troppo esausto e dolorante per continuare, il sole sta sorgendo ed il crepuscolo designa il cielo con i colori dell’arancio e del blu. La corteccia dell’albero è stata quasi completamente rimossa, diverse schegge di legno sono sotto la mia pelle ed il sangue scorre grumoso sulle mie dita. Non sono rotte, posso ancora muoverle, tuttavia sono messe male e non so se riuscirò a tenere la spada. Digrigno i denti, pentendomi di quello che ho fatto. Senza spada non potrò proteggere né me né l’uccellino.

In culo anche la spada.

Quando torno all’accampamento strappo via un pezzo di stoffa dalla mia casacca e cerco di ripulirmi al meglio possibile. Niente da fare: le dita restano comunque rigide e gonfie, adesso persino chiuderle mi fa male. Solo dopo aver disinfettato le ferite con del vino rosso riesco a muoverle un po’ meglio, seppur con difficoltà. L’uccellino, avvolta dentro il mio mantello, continua a dormire ignara di tutto. Sembrano passare delle ore prima che il sole inizi a mostrarsi.
Un mugugnare indistinto mi avverte che lei si sta svegliando. Sono tentato di prenderla in giro per averci messo tanto, ma mi ferma il pensiero di quello che è accaduto ieri. Si alza, stiracchia le braccia al cielo e si strofina gli occhi finché non mette a fuoco l’ambiente attorno a lei; poi mi fissa per un po’, inebetita, e diventa rossa come i suoi capelli.

«B-Buongiorno».
«Muoviti», faccio una smorfia, alzandomi per dar da mangiare a Straniero. «Non mi va di aspettare che faccia mezzogiorno. Dobbiamo partire subito».

Lei fa per ribattere qualcosa ma non un suono lascia le sue labbra. Imbronciata, prende il mio mantello e lo fissa per un po’, poi lo piega e me lo porge con titubanza. Le sue guance sono rosse come i suoi capelli, forse persino di più, ed è quasi irritante realizzare che questo non fa altro che renderla più bella.

«Grazie» Sussurra, e qualcosa nel modo in cui pronuncia quelle parole mi fa salire un brivido lungo la schiena. Nel silenzio che segue mi accorgo del suo sguardo accigliato sulle mie dita ed un nodo alla gola mi spinge a nasconderle nella tasca dei miei pantaloni. Cosa direbbe se sapesse di come me le sono procurate? No, non voglio che capisca, che sappia dei pensieri che faccio su di lei… che pensi che sia un mostro.
Distoglie lo sguardo. «Dove siamo?», chiede. Ha sviato il discorso. Brava ragazza.
«Non lo so. Vicino le Torri, presumo. Wendish Town, forse; quest’umidità maledetta dovrebbe essere parte integrante del posto».
«Dopo che mi avrete riportato a casa…», la sua voce è un pigolio appena percepibile, le sue guance si imporporano come tulipani. «Voi…  insomma, avete proprio deciso che ve ne andrete?».
«Aye», sono stufo di riprendere questo argomento. «Quante volte dovrò ripetertelo prima che ti entri in testa?».
«Non volevo essere insolente», dice lei, torturandosi le dita. «È solo che… ecco… mi farebbe piacere avervi a Grande Inverno», il suo sguardo si fa vacuo, colmo d’imbarazzo, ed io aggrotto la fronte senza riuscire a capire. Mi sta davvero chiedendo di restare? «Insomma, quello che intendo è che… ecco… mi avete salvato la vita tante di quelle volte che starei male se sapessi che vi fosse accaduto qualcosa».  

Se prima avevo pensato di odiarla e di non volerla più vedere, adesso la detesto anche più di Gregor. Come osa chiedermi una cosa del genere?! A me, dopotutto quello che sto facendo per non pensare a lei, alle sue dannate labbra, alla sua pelle che odora di pulito, a trattenermi dal prenderla e fotterla come se non ci fosse un domani! Il cuore sembra scoppiarmi nel petto, palpitando così forte da far male. Voglio baciarla. L’ho già fatto una volta, perché non posso farlo di nuovo? E lei mi sta dicendo che vuole stare con me, che non vuole che me ne vada e… dannazione, nessuno lo aveva mai fatto prima! Nessuno mi aveva mai chiesto di restare, mentre lei … lei vuole che rimanga, che stia con lei a Grande Inverno, che la protegga. Ed io voglio restare con lei - oh, lo sa il cielo se voglio farlo. Lo voglio così tanto, così tanto…

“Vi prego, sir…”

Il ricordo di quelle parole così cariche di paura e angoscia mi colpisce come un pugno nello stomaco. All’improvviso capisco di essermi sbagliato, che lei non mi ha mai voluto e che quelle frasi non sono altro che degli stupidi cinguettii che ha imparato a memoria dalla sua septa. Sta solo cercando di essere gentile per potersi vantare con la sua famigliola del cazzo di essere rimasta la solita madamigella del cazzo che aspetta il Cavaliere dei Fiori e che tratta con dolcezza i deboli e i cattivi. Non gliene importa niente se resto o meno. Stringo i denti, le unghie che mi si conficcano nei palmi delle mani fino a far male. Fottuta ragazzina, pensa sul serio che basteranno quei suoi grandi occhioni azzurri  e le sue paroline gentili per farmi rincoglionire? Sono un cane, io, un mastino, e fiuto le menzogne come uno squalo fiuta il sangue… e lei è solo un uccelletto che sta giocando a fare la buona samaritana.

«Risparmiami questa ridicola messa in scena, ragazzina. Ti ho già detto una volta che non sopporto le menzogne, ricordi? E tu non sai mentire» Le scocco un’occhiataccia. Lei serra le labbra, offesa.

«Perché pensate sempre che io vi stia mentendo? Ho detto la verità. Mi farebbe davvero piacere che voi restiate a Grande Inverno! Mio fratello potrebbe nominarvi suo leale cavaliere e voi non dovrete restare da—».

«Solo, uccelletto? È questo che ti preoccupa? Sapermi solo?», le mie dita scattano sul suo braccio e lei sussulta spaventata. «Sono stato solo una vita intera. Cosa vuoi che me ne importi? Perché non provi a farti un po’ gli affari tuoi? Forse se avessi fatto così il tuo caro padre sarebbe ancora vivo, non trovi?».

«Smettetela di parlarmi così! Volevo solo essere gentile!» Bercia lei, e questo non fa che irritarmi ancora di più. Avevo ragione. Non gliene frega niente se resto o se vado via, vuole solo “essere gentile”. La mia presa si fa più stretta e prepotente, lei geme che le sto facendo male e che il mio sguardo le fa paura. La spingo lontano da me, il mio corpo è un tremito continuo; il mio respiro è diventato pesante, affaticato, e le dita hanno ripreso a formicolarmi per il dolore. La guardo: i suoi occhi sono pieni di collera eppure conservano quella bellezza del nord che l’ha sempre contraddistinta. Mi odia, ne sono certo, glielo leggo in faccia. Be’, che mi odi pure. Anch’io la odio! Odio lei, odio Gregor ed odio tutta questa pagliacciata!

«Prima non riuscivi nemmeno a guardarmi in faccia e adesso fai tutte queste dannate storie. Se per un semplice bacio voi donne diventate così irritanti, adesso capisco perché tutti quegli uomini sposati sono diventati degli emeriti coglioni!».

Al rievocare il bacio di ieri il viso dell’uccelletto si tinge di rosso e le sue labbra si tirano in una smorfia imbarazzata ed evasiva; si zittisce e si tortura il labbro inferiore con i denti. Distolgo lo sguardo dal suo nello stesso istante in cui lei lo distoglie dal mio e decido di allontanarmi. Non sopporto le ragazzine: non sopporto lei, il modo in cui mi guarda e mi parla, quasi che si aspettasse di vedermi togliere una presunta maschera da un momento all’altro. Ma io non porto alcuna maschera. Io sono così perché voglio esserlo, e lei potrà dire e pensare quello che le pare ma non saranno quei suoi occhioni dolci a cambiare ciò che sono!

«Dove state andando?» La sua voce tradisce del nervosismo. Sbuffo: cos’è, crede che me ne vada?
«Che ti importa?».

Mi si avvicina a passo spedito, le mani che gesticolano senza sosta. «Dobbiamo arrivare alle Torri prima del matrimonio! Non potete andarvene in giro a fare una passeggiata proprio adesso che siamo così vicin— », un rumore di fronde d’albero che sfregano fra loro si riversa nell’aria. Sansa si volta di scatto, io aguzzo lo sguardo verso il cespuglio: di nuovo, qualcosa si muove. Ed è qualcosa di grosso, visto il rumore che fa. Faccio appena in tempo a vederla correre dietro di me in preda al panico e sentire le sue braccia sottili arrampicarsi dietro la mia schiena, che l’uccelletto inizia a singhiozzare spaventata.

«Oh no... Oh no! Lo sapevo, ci hanno trovati… i Lannister sono qui! Oh dèi, se mi prendono mi porteranno dalla Regina e lei mi taglierà la testa... oh, no, no, no lo sapevo che saremmo dovuti partire prima, adesso siamo circondati e loro… ed io…» Il fruscio si fa sempre più vicino, la stretta della ragazzina sulle mie spalle più ferrea. La mia presa scatta sul pomello della spada. Qualsiasi cosa ci sia dietro il cespuglio sarà morta prima che possa avere il tempo di realizzarlo. Un altro rumore. Le fronde dei cespugli si aprono e ciò che ne esce è…

“Woff!”

Un… cane?
Impiego qualche secondo prima di realizzare davvero che il terribile mostro di cui la ragazzina ha tanta paura altro non è che un meticcio dal pelo lungo, con occhi piccoli e marroni ed una lingua lunga e rosea che ciondola dal suo muso peloso. Quando ci vede inizia a scodinzolare allegro ed è evidente che non farebbe del male ad una mosca. Lo guardo. Lui guarda me. Sospiro.

«Stai calma», sussurro alla ragazzina, la voce intrisa di sarcasmo. «Potrebbe fiutare la tua paura*».

Ma lei non risponde. Mi sarei aspettato una risposta sollevata, un “mi dispiace” per essersi appesa come un gatto alla mia schiena o qualsiasi altra cosa che non fosse il silenzio. Ad un tratto il cane di prima inizia a ringhiare verso di me, ma non sono io ad innervosirlo. Faccio giusto in tempo ad accorgermi che l’uccelletto non è più sulle mie spalle che un sacco nero viene calato sopra la mia testa e qualcosa di duro e pesante mi colpisce la nuca.

L’ultima cosa che sento prima di rovinare a terra e svenire sono le voci concitate di uomini che non conosco.

 
 
Quando apro gli occhi, la prima cosa a cui penso è di essere ancora viva. La seconda, è che non so dove mi trovo.

Provo a parlare, ma l’unica cosa che riesco a mugugnare sono gemiti sommessi e parole soffocate per via della benda che mi hanno ficcato in bocca. Ha un odore stantio, sa di vecchio e di terra, ed un brivido mi scorre lungo la schiena quando mi rendo conto che non è solo la mia bocca ad essere stata legata ma anche le mie mani. Tento di ricordare ciò che è accaduto: l’odore pungente del ferro e del sangue dell’armatura del Mastino mi torna alla mente, così come le sue enormi spalle a cui mi ero aggrappata, ed infine un terribile dolore alla nuca che mi aveva fatto mollare la presa e cadere a terra con un tonfo.  

Risate grasse e canzoni stonate riecheggiano attorno a me, intonando una sottospecie di ballata che mi ricorda tanto quella dell’Orso e La Fanciulla Bionda in chiave molto più volgare. Non conosco le voci degli uomini in questione ma sembrano ubriachi e molto euforici. Sono felici per avermi catturata, dunque? Se è così, saranno di certo uomini dei Lannister. Mi stanno portando ad Approdo del Re, dalla Regina, e questo significa che sia io che il Mastino verremo uccisi e che la mia testa verrà messa su una picca! I miei occhi si riempiono di lacrime ed il terrore serpeggia in tutto il mio corpo. Oh, no… no… eravamo così vicini alle Torri… mancava così poco… così poco!

«La ragazzina sta piangendo», è la voce crudele e beffarda di uno di quegli uomini. Subito mi pento di aver lasciato che mi vedessero piangere. Tiro su col naso e mordo il tessuto della benda. Vorrei vederli in faccia, sapere chi dovrò far uccidere quando sarò di nuovo con Robb e la lady mia madre, ma il buio continua ad oscurarmi la vista. «Forse dovremmo riportarla al suo cane da guardia, mmh?».

Il carretto sulla quale mi hanno gettata cigola e sobbalza ad ogni piccolo sassolino. Stringo i denti ed inghiotto il nodo che ho al petto. Stanno parlando del Mastino. È ancora vivo, dunque? Dov’è adesso? Hanno preso anche lui? E chi sono questi uomini? E se fosse stato ucciso?! Il solo pensiero mi riempie d’un’angoscia tanto profonda da ferirmi. Non voglio che muoia, così come non volevo che accadesse tutto questo. Io volevo solo vivere come le lady di cui i menestrelli cantavano nelle ballate, sposata ad un principe buono e gentile e diventare regina di un popolo che mi amasse. Perché è successo tutto questo?

«Deve tenerci molto. A lei, intendo. Hai visto come ha reagito quando si è svegliato? Per gli dèi, non ho visto qualcuno reagire a quel modo in cinquant’anni di vita, e che io sia dannato se dico il falso».

«Scommetto venti pezzi d’argento che è così furioso perché avrà pagato un bel po’ di grana per avere una puttana così carina, e adesso noi gliel’abbiamo portata via. A proposito: perché abbiamo preso anche lei? Che ce ne facciamo di una cagna?».

L’indignazione che mi assale nel sentirmi etichettare in quel modo è così scalpitante da farmi tremare. Il mio stomaco è in subbuglio, una vampata di calore mi investe in pieno. Come osano? Loro non sanno di chi stanno parlando! Io sono la figlia di lord Eddard Stark e lady Catelyn Tully, loro non sanno— … un momento: loro non sanno. Non hanno idea di chi io sia, mi credono una meretrice qualunque, l’amante del Mastino, e se non lo sanno allora questo significa che non stiamo andando ad Approdo del Re!

«Che cazzo vuoi che ne sappia? Thoros ha detto di prenderla e noi l’abbiamo presa. Al massimo ci farà da puttana al posto di quell’altra ragazzina presuntuosa».

Thoros. Ho già sentito questo nome. Ma dove?

«Ehi, vacci piano. A me quella ragazzina ‘sta simpatica!».
«Sì, e scommetto che te la vuoi anche scopare!».
«Oh, ma ‘sta zitto. Com’è che con te si finisce sempre per parlare di fica?».
«Perché? Non ti piace?».
«Sei proprio un coglione. Ehi… ehi, ragazzina, so che sei sveglia», una mano che puzza di sudore mi toglie la benda dalle labbra; subito il sapore di fiele della stoffa mi lascia un retrogusto amarognolo sul palato e mi fa contrarre la bocca in una smorfia. «Diglielo anche tu a ‘sto vecchio maiale che nella vita ci sono cose più importanti della fica. Come ad esempio il vino, no? A proposito: a te piace il vino, ragazzina? Hai sete?».

Sì, ho una sete terribile. Non bevo da ieri sera ed un bicchiere di vino, per quanto orribile il sapore possa essere, sarebbe perfetto. Nonostante ciò, piuttosto che bere dallo stesso recipiente da cui hanno bevuto questi due barbari preferisco morire. Scuoto la testa, risoluta. Posso quasi vedere il sorriso sghembo dell’uomo che mi sta di fronte sgretolarsi.

«Fa' come ti pare. Siamo arrivati, comunque. Prendetela e portatela fino all’interno: non vogliamo che si sporchi il bel visino che ha, no?».

Qualcuno mi stringe per i fianchi e mi issa sulle sue spalle come se fossi un sacco di patate; non provo nemmeno a ribellarmi, so già che sarebbe inutile e peggiorerebbe solo le cose. Per un breve, doloroso istante ho l’impressione che le mani che mi stringono appartengano al Mastino, che siano suoi i calli che sfregano contro il tessuto del mio vestito, ma quando sento l’odore di rum ed aglio dell’uomo che mi sta portando chissà dove capisco di essermi di nuovo sbagliata, e che questa volta il Mastino non potrà salvarmi così facilmente. Non passano che pochi minuti prima che il fresco venticello mattutino e il rumore dello sgretolare delle foglie del selciato vengano sostituiti dal lontano eco dell’acqua che scorre ed un freddo gelido mi si infiltri sin dentro le ossa. Quando vengo messa giù, le corde che mi stringono le mani vengono sciolte e la benda agli occhi tolta cosicché riesca a mettere a fuoco l’ambiente. Mi guardo attorno: è una caverna. Il freddo è pungente e a ben poco serve il fuoco che hanno acceso più in là. Vi sono una trentina di uomini e di donne attorno a me e tutti, nessuno escluso, sono ridotti così male da farmi credere di trovarmi in un campo di battaglia piuttosto che in un rifugio segreto.

«Ehi, vermiciattolo, ti abbiamo trovato una compagna di giochi» È la voce dell’uomo di prima a parlare, ma questa volta riesco a vederlo in faccia. Ha gli occhi grigi, la barba rossiccia e le braccia piene di peli; trasuda sporcizia da tutti i lati ed il suo occhio destro è ricoperto di piaghe e cicatrici. Al suo confronto, il Mastino risulta un uomo bellissimo.

Il suo sguardo si posa su quello di due ragazzini pochi metri più in là: uno è alto e piuttosto robusto mentre l’altro è secco, sporco come l’uomo che troneggia accanto a me e con arruffati capelli neri. Non sembrano apprezzare la compagnia e il luogo in cui si trovano. Mi guardano, e se lo sguardo del primo ragazzo, quello più robusto, si sofferma sul mio poco meno di dieci secondi, quello del ragazzino secco come un chiodo si assottiglia in due fessure minuziose e mi osserva per lungo tempo. Non so quale sia il motivo ma un profondo senso d’agitazione mi fa prudere le mani. Dopo quella che sembra un’eternità il ragazzino dai capelli arruffati si alza e viene nella mia direzione: all’inizio il suo passo è lento, circospetto, poi inizia a farsi più veloce finché non diventa una corsa vera e propria. Finisco col ritrovarmelo davanti, tutto sporco di terra e fuliggine e col fiato corto. Mi guarda. Io lo guardo. I suoi occhi grigi sono piccoli, il suo viso allungato. Rimane in silenzio ed allunga una mano verso di me, sfiorandomi il viso. Sta tremando. Solo adesso mi accorgo che le sue dita sono troppo piccole per essere quelle d’un ragazzo e che il suo viso, pur essendo dai lineamenti allungati e duri, è quello d’una ragazza. Ma è solo quando parla che sento il cuore scoppiarmi nel petto.

«… Sansa?».

Non so cosa sia successo, ma all’improvviso le mie braccia sono strette alle sue spalle così forte da farmi male io stessa. Il fiato mi si spezza in gola quando riconosco l’odore di fiele e di terra che l’ha sempre contraddistinta, quando la sento ricambiare il mio abbraccio con la medesima forza; i miei occhi si annebbiano d’una felicità che non sentivo da molto, troppo tempo e le parole, i pensieri ed il mondo stesso passano in secondo piano. È Arya. È mia sorella. Quella che sto stringendo è mia sorella. La mia piccola, odiosa sorella. Ed è qui con me, viva, sporca di terra e di sangue ma viva. Continuo a stringerla fra le mie braccia per timore che possa scomparire di nuovo, che vada via. È mia sorella, continuo a ripetermi, È Arya. Ed è viva. È viva.

«Cosa… cosa ci fai qui?!», mi chiede, la voce incrinata dall’emozione. Solo adesso mi accorgo che tutti, compresi i due uomini di poco prima, ci stanno fissando con sgomento e senza capire. «I-Io credevo che tu fossi ancora ad Approdo del Re…», guardo i suoi occhi come se non riuscissi a farne a meno, accarezzo le sue guance e le mie labbra si posano sulla sua fronte. È Arya, ripeto a me stessa, il petto gonfio di commozione. È Arya.

«Oh, Arya, ho così tante cose da raccontarti! Ho passato così tanto tempo a pensarti, a pregare che tu stessi bene…», i ricordi di Approdo del Re fanno capolino nella mia testa, taglienti come rasoi. Scuoto la testa, decisa. Sono solo ricordi, ormai. È passato. È passato. «Non ci crederesti mai, ma se sono ancora viva lo devo al—».

Una serie di ululati e latrati mi fa sussultare: altri uomini stanno entrando, uno è ridotto più male dell’altro, ed in mezzo a loro troneggia l’enorme figura incappucciata del Mastino che si dimena e bestemmia ad alta voce. Quando gli tolgono il cappuccio ammicca alla flebile luce presente nella grotta e si guarda attorno spaesato. Non pare riesca vedermi, in mezzo a tutta quella folla, ed io mi ritrovo a combattere contro la voglia scalpitante di correre da lui. Accanto a me, Arya aggrotta la fronte piccata e mi rivolge un’occhiata perplessa.

«Cosa ci fa lui qui?», chiede, la sua voce è intrisa di odio. I suoi occhi si sgranano. «Aspetta... tu sei venuta con lui!».
«No, Arya, ascoltami, lui… lui non è come cred—».
«Tu sei venuta qui con… con quel mostro!», la sua faccia è una maschera di incredulità e rancore. «Cosa ti ha fatto? Ti ha fatto del male?! Sei ferita, Sansa? Quel mostro! Giuro che se ti ha toccata io—».

Le mie labbra si stirano in una sottile linea adirata. Non è giusto che parli così del Mastino, non dopo che mi ha salvato la vita tante e tante di quelle volte. Sarà rude, crudele e col cuore pieno di odio per il mondo intero, ma non è un mostro. Joffrey lo era. La Regina Cersei lo è. Ilyn Payne lo è. Non lui.

«Arya, no… no, non capisci! Lui non è un mostro, lui è—».
«Un mastino!».

 Mi volto di scatto ed incontro il volto di un uomo dai capelli biondicci e sporchi di polvere: indossa parti differenti di diverse armature, il suo volto è pieno di graffi e la sua corazza riporta macchie di sangue. Ci stava ascoltando. Presa com’ero dalla discussione non me n’ero resa conto. Il mio sguardo saetta su quello grigio di Sandor ed il mio stomaco si stringe in una morsa quando ripenso che è tutta colpa mia se adesso si trova in questa situazione. L’uomo di poco prima inizia a girargli attorno, mi lancia un’occhiata beffarda e gli sussurra qualcosa all’orecchio che lo fa tremare e ringhiare. Prima che possa dire qualcosa, qualcun altro prende la parola.

«Thoros», un uomo sbuca dall’ombra. Ho già sentito la sua voce, eppure non riesco a ricordare il suo viso: ha un occhio coperto da una benda, radi capelli biondi e cicatrici sparse su tutto il corpo. Mi rivolge uno sguardo che sembra trapassarmi da parte a parte, poi accenna ad un lieve sorriso. «È questo il modo di trattare degli ospiti? Perlopiù di fronte a delle lady di Grande Inverno?».

Ora mille occhi sono puntati su di me ed Arya: occhi grigi, occhi castani, occhi verdi… ci squadrano come se fossimo dei fantasmi. In un impeto d’orgoglio prendo un respiro profondo e gonfio il petto: non piangerò e non supplicherò più di fronte a nessuno. Se vogliono giocare, io starò al loro gioco.

«Lasciatelo», comando allora, ringraziando gli dèi per aver fatto sì che la mia voce risuonasse tanto composta. Loro ridono ed altri mormorano e ridacchiano; accanto a me, Arya spalanca la bocca e mi guarda come se fossi matta. L’uomo da un occhio solo fa loro cenno di tacere e mi si avvicina a passo volutamente lento, squadrandomi come se fossi un dolce, e quando mi è vicino mi afferra per il mento e mi studia il viso con minuzia. Il suo alito sa di sangue e… morte?
«Oh, sì… proprio come pensavo: hai lo stesso carattere di tua madre, giovane lady, ed i suoi stessi occhi».
Deglutisco a fatica ma non distolgo lo sguardo. «Non credo di conoscervi, sir. Conoscete la lady mia madre?».

Lui ridacchia e la sua presa si fa più salda sul mio viso. Il suo volto deturpato è terribile e spaventoso, anche più di quello del Mastino. Cosa vuole da me? Perché ci ha portati qui? Mi fa paura. Voglio andare via da qui!

«No», dice, la voce simile ad un rantolo. «Ma conoscevo tuo padre. Era un grand’uomo, onorevole e fedele al suo Re. Lo rispettavo e lo rispetto tutt’ora che è morto per mano di quei vili dei Lannister. Immagino che neppure tu debba provare tanta simpatia per quei leoni spelacchiati… giusto, ragazzina?», la sua stretta si fa prepotente e dolorosa, un gemito lascia le mie labbra ma lui non sembra aver intenzione di mollare la presa. Attorno a noi regna il silenzio. «Giusto?!».
«S-Sì, sir».

 «Dunque mi chiedo come mai tu te ne vada in giro con i loro rognosi cani da guardia!», la presa sulla mia guancia cede e l’uomo si dirige a passo spedito verso il Mastino, puntandogli un dito contro. «Allora? L’hai rapita, non è così? E chissà con quante cazzate le avrai riempito la testa! Cosa le hai fatto, cane?!».
«Proprio un bel niente, se vuoi saperlo», la voce di Sandor Clegane è secca, colma di odio. I suoi occhi sono più spaventosi del solito. «E tu, invece? Adesso rapisci le mocciose?», aggiunge, indicando Arya col capo.

«Le abbiamo dato un posto dove dormire e del cibo da mangiare, sia a lei che al suo amico*. Noi della Fratellanza Senza Vessilli non ci approfittiamo dei più deboli, Clegane. Noi li aiutiamo. Non si può certo dire lo stesso della tua casata, che è stata costruita sui cadaveri di bambini morti. Il principe Aegon Targaryen e sua sorella giacevano dinanzi al Trono di Spade, la loro testa era stata fracassata contro il pavimento insieme a quella della loro madre Elia Martell, se non ricordo male. Credi davvero che io possa credere ad un vile codardo dal sangue sporco come te?!».

«Mi prendi forse per mio fratello? I mocciosi dei Targaryen io non li ho mai toccati, né sentito l’odore, né sentiti piangere! Vi comportate tanto da cavalieri ma non mi sembra che ci sia uno solo di voi, qui dentro, che possa vantarsi di non aver mai ucciso un uomo!», Sandor dà uno strattone alle catene, le sue labbra si deformano in un ringhio di rabbia. Se gli occhi potessero uccidere, l’uomo che gli sta dinanzi adesso sarebbe cenere. «Se volete uccidermi per dei crimini che non ho commesso fate pure! Ma non venite a rifilarmi la stronzata che la vostra merda non puzza di merda, perché qui dentro abbiamo tutti le mani sporche del sangue di qualcuno!».
«Brucia all’Inferno, cane!», urla qualcuno dalla folla.
«Assassino! Assassino!», gli fa eco qualcun altro. La folla inizia ad agitarsi, grida ed ingiurie si levano nell’aria. Afferro Arya per una spalla e le dico che dobbiamo fare qualcosa, che non è giusto che incolpino il Mastino di cose che non ha compiuto, ma lei mi rivolge uno sguardo carico di incredulità e si scrolla da me con una spallata.
«Ti sei bevuta il cervello?! Come puoi difendere un mostro simile?!».
«Non è un mostro!», ribatto io, ma le mie parole vengono soffocate sul nascere.
«Ha ucciso Mycah!», grida, e tutti tacciono e posano lo sguardo su di lei. Rendendosi conto di essere osservata, Arya si rivolge alla folla e le sua voce trema quando si decide a terminare la frase. «… Il garzone del macellaio, mio amico. Aveva dodici anni ed era disarmato!».
Il Mastino aggrotta la fronte e scrolla le spalle. «Non è stata una mia scelta. Il principe Joffrey me lo aveva ordinato ed io ho solo eseguito gli ordini. Volete condannarmi per essere stato fedele al mio Re?».
«Così fedele…», è l’uomo che si fa chiamare Thoros a parlare, la sua voce è dura come pietra. «Da ucciderlo proprio il giorno delle sue nozze. Che razza di cane sei, tu?».
«Un cane sciolto, adesso. E mi sono rotto i coglioni di starvi a sentire!».
«Dunque ammetti di averlo ucciso» Replica Thoros, ed un sorrisetto sinistro gli si dipinge sul volto. Stanno tentando di incastrarlo, vogliono una scusa per giustiziarlo. No… no, non è giusto! Non possono farlo! Tutto questo non è giusto!

«L’ha fatto a causa mia!», la mia voce si riversa fuori dalle mie labbra prima che possa fermarla. Di nuovo, mille occhi si posano su di me ed un brivido freddo mi sale lungo la schiena. Prendo un respiro profondo e, pregando che la voce non mi tremi, parlo. «L-Lui… l’ha fatto solo per salvarmi. Joffrey voleva…», il ricordo delle sue dita dentro di me, dei suoi denti sul mio collo e delle sue parole cattive mi colpiscono come una stilettata al cuore e le lacrime iniziano a pizzicarmi la gola. Stringo un lembo del mio vestito, tremante. «Lui v-voleva prendermi con la forza. Mi ha fatto del male, ha minacciato di uccidermi e… e… e poi io mi sono ribellata – lo so, ho sbagliato, non avrei dovuto ma lui era così cattivo… ed io così spaventata! – e lui ha chiamato il Mastino, gli ha ordinato di…», le mie guance si tingono di rosso, la voce mi si spezza in gola. Voglio scomparire, desidero che la terra mi risucchi in questo preciso istante. Con la coda dell’occhio, noto che anche Sandor ha serrato le labbra e distolto lo sguardo.

 «Va' avanti, ragazza» Mi ordina Thoros. Obbedisco.

«G-Gli ha ordinato di prendermi. Lì, davanti a lui, come se fossi una meretrice da due soldi. Voleva umiliarmi, farmela pagare per averlo rifiutato, ed io credevo… io credevo che il Mastino lo avrebbe fatto. Ma mi sbagliavo. Lui si è rifiutato ed ha ucciso Joffrey e mi ha portata via da Approdo del Re. Non mi ha mai fatto del male, lo giuro, anzi mi ha anche salvata da dei lupi e da un uomo che voleva violentarmi ed ha promesso che mi avrebbe riportata a casa ed io… io—».

«Basta così» Mi interrompe l’uomo da un occhio solo. Alzo lo sguardo: Arya mi fissa con occhi sgranati, pieni d’angoscia e di qualcos’altro che non riesco a capire, e sulle sue labbra danzano una decina di domande; molte donne mi osservano con occhi colmi di pietà mentre altri uomini ancora con sguardo di rimprovero e stizza per aver preso le difese dell’uomo che vogliono uccidere. Il Mastino invece guarda dritto dinanzi a sé, come se non esistessi, e per la prima volta sento il bisogno impellente di parlargli, di dirgli che mi dispiace di averlo messo in tutti questi guai, che non ho mai pensato davvero che fosse odioso e che voglio davvero che resti con me a Grande Inverno, che non è un vero cavaliere ma che lo voglio bene comunque perché mi ha protetta come se lo fosse; che io ho ancora il suo sapore di vino e di sangue sulle mie labbra e che non volevo che quel bacio terminasse.

«Sei accusato di omicidio, ma io sono solo un uomo e non sta a me giudicarti», prende la parola Dondarrion rivolgendosi a Sandor, ed io tiro un sospiro di sollievo. «Il Signore della Luce è l’unico che può farlo. Un verdetto per singolar tenzone darà la risposta!».

Nella grotta echeggiano urla d’incitamento piene di furore, tutti iniziano ad urlare lodi al un certo Dio della Luce e respirare diventa di colpo difficile: un combattimento per singolar tenzone. Il Mastino dovrà combattere. Una parte di me sa con certezza che è impossibile che venga battuto, che è invincibile nel combattimento e che non ho nulla da temere, eppure un’altra parte, quella che ho sempre associato al cuore, è ghermita da un’ansia che non mi aspettavo di poter provare per qualcuno. E se non dovesse farcela? E se lo uccidessero? No… no, no, no, non voglio che accada! Non voglio che qualcun altro muoia a causa mia!
«No!», urlo, facendomi spazio tra la folla. Gli occhi del Mastino si scontrano coi miei ed il mio sguardo si posa sulla sua mano: dalle fasciature spicca ancora una macchia rossa cremisi e le dita sono ancora gonfie. Non può lottare in quello stato! Dondarrion lo sa, per questo lo ha sfidato! «No! Non combattete! La sua mano—».

«Sta al tuo posto, ragazzina. Posso battere questi guardiani di porci ad occhi chiusi. Allora, chi sarà a battersi?», chiede Sandor, la voce profonda simile ad un latrato. «Sarai tu, prete?», il suo sguardo si posa sull’uomo dai capelli radi, Thoros, per poi passare ad un altro ancora. «O forse sarà l’arciere senza palle? O magari, chi lo sa? Sarà la lupacchiotta a combattere! Che ne dici, eh, stronzetta Stark? Non vuoi vendicare il tuo caro garzone del macellaio?».

Ma non è Arya a farsi avanti, né il prete o l’arciere, bensì l’uomo da un occhio solo. E solo adesso mi ricordo di lui: era al torneo del Primo Cavaliere, Jeyne lo aveva trovato attraente ma, per quanto il suo viso non lasci dubbi, è un uomo radicalmente differente dal cavaliere biondo e con l’armatura splendente che era una volta. Mi premo le mani alle labbra, il cuore in gola e il fiato corto: se è davvero lui, se si tratta sul serio di Beric Dondarrion, allora il Mastino… lui… lui potrebbe non riuscire a batterlo. Non in quello stato!

«No. Sarò io il tuo sfidante», dice, la voce grave quanto il suo aspetto. Il Mastino gli rivolge un’occhiata truce e colma di odio, poi sogghigna e mormora qualcosa su come sarà bello tagliargli la testa in due. «Liberatelo. E portatemi la spada», aggiunge Beric, e subito alcuni uomini corrono a liberare il Mastino dalle corde e qualcuno di loro ridacchia alla vista della sua mano ferita.  

L’uomo dai capelli biondi di nome Thoros si fa avanti: tra le mani regge una spada di ferro. Si inginocchia e chiude gli occhi, mormorando parole che non riesco ad udire. Solo quando un coro di uomini ripete dietro di lui, riesco a capire che si tratta di una preghiera.

«Signore della Luce proteggici», esclamano all’unisono, ed io mi sento a disagio. Chi è questo dio? Perché adorano lui e non i Sette? «Mostraci la verità. Abbatti quest’uomo se è colpevole o dona forza alla sua spada se tu ritieni che sia sincero. Signore della Luce, dona a noi la saggezza perché la notte è buia e piena di terrori».

Trattengo a stento un urlo quando accade l’impensabile: Thoros pronuncia altre flebili parole e Beric Dondarrion, con sguardo serio quanto una tomba, si taglia il palmo dalla mano e bagna l’elsa della spada col suo sangue. È in quel momento che la spada prende fuoco. Non so come sia possibile, né se si tratti di una qualche stregoneria o di un miracolo, ma le fiamme avvolgono solo la lama della spada e risparmiano l’elsa. La reazione del Mastino è immediata: sgrana gli occhi e muove diversi passi all’indietro. Per la prima volta, vedo una profonda paura nei suoi occhi grigi. Mi viene voglia di urlare. Il fuoco è l’unica cosa che teme e loro lo sanno, per questo hanno usato quella spada maledetta, per questo hanno proposto un verdetto per singolar tenzone!

«No!», urlo. «Questo non è giusto! Non è leale!», ma nessuno mi dà retta. Guardo Arya supplichevole, implorandola con lo sguardo di fare qualcosa, ma lei stringe i denti e volta il capo dall’altra parte. Devo fare qualcosa, e devo farla in fretta. Non posso permettere che il Mastino venga ucciso, non adesso, non ora che sono così vicina alle Torri, non dopo che mi ha salvato tutte quelle volte, non dopo il bacio che mi ha dato…

Il clangore sordo delle lame che si incontrano annuncia l’inizio del combattimento. Gli occhi del Mastino sono colmi di timore per il fuoco ma le sue braccia sferrano colpi decisi e letali che, tuttavia, Dondarrion para con destrezza. Si muovono in cerchio, affondano, sferrano attacchi mortali, ma nessuno dei due sembra davvero prevalere sull’altro. Sandor sferra un altro attacco ma Beric lo para con lo scudo e, approfittando del tempo guadagnato, lo colpisce al fianco. Il Mastino grida per il dolore e risponde all’attacco con una stoccata che fa barcollare il suo avversario all’indietro. Le loro lame si incontrano di nuovo, e di nuovo e di nuovo ancora, e per ogni colpo il mio cuore fa un salto. Le ginocchia mi tremano e nella mia testa vi è un solo pensiero: devo fare qualcosa. Non posso permettere che muoia.

Beric spinge, con l’ausilio dello scudo, il Mastino verso sinistra e lo fa cadere coi piedi dentro una brace. Mi premo le mani alle labbra e sgrano gli occhi terrorizzata. No. No, vi prego dèi, non lasciate che perda. Donate forza alla sua spada. Vi prego, dèi, non lasciate che muoia.

Sandor grida e scalcia dei barili che gli sono fra i piedi; la presa sulla spada è debole e con orrore mi rendo conto che non durerà ancora per molto. Beric approfitta di questo momento per sferrare un altro attacco al suo scudo che lo sbilancia e lo fa cadere a terra. La spada di Beric scende su di lui e il mio grido viene coperto dal rimbombo del metallo che sbatte contro lo scudo del Mastino, che inizia a spaccarsi sotto il peso della spada di Dondarrion. Nella grotta rimbombano le grida degli uomini attorno a me: “Colpevole!”,  urlano. “Colpevole! Colpevole”.

Quando lo scudo del Mastino inizia a prendere a fuoco e la lama di Beric Dondarrion si alza di nuovo, pronta a scendere sentenziando la sua morte, la mia testa si svuota di ogni pensiero ed emozione. Non sento più niente, solo la voce che nella mia mente urla sguaiata che devo fare qualcosa, che io non voglio che il Mastino muoia perché non gli ho ancora detto che mi dispiace di averlo cacciato in questo guaio, che non ho mai voluto che succedesse una cosa del genere e che quando mi ha baciata io mi sono sentita bene, al sicuro e... e...

Agisco senza pensare alle conseguenze: forte del fatto che tutti sono presi dal combattimento e troppo esaltati per badare a me, sguscio dietro una fila di barili e, con tutta la forza che ho, li spingo giù; subito questi rotolano a terra e fanno così tanto chiasso che tutti i presenti si voltano verso di me, che faccio appena in tempo a nascondermi dietro l’incavatura rocciosa di un masso. Il Mastino però se ne accorge e, ancora schiacciato a terra, prende il pugnale dalla cintola e taglia la gola a Beric in modo tanto profondo che lui non riesce nemmeno ad urlare. Dondarrion gorgoglia qualcosa, il suo unico occhio diventa vitreo ed inespressivo, la spada cade ai suoi piedi in un tonfo metallico e lui la segue un attimo dopo, il viso grigio e sporco di sangue. Capisco che il combattimento è finito quando Thoros corre da lui e gli si getta addosso, biascicando preghiere sommesse e veloci, ma il sollievo dura poco.

«Il fuoco!», urlo, quando le grida del Mastino mi arrivano alle orecchie. Si sta dibattendo come un matto per liberarsi dello scudo infuocato, supplica aiuto e piange come un bambino. “Vi prego, brucio. Aiutatemi. Qualcuno. Aiuto. Vi prego”.  Solo adesso mi accorgo di quanto realmente tema il fuoco, di quanta paura abbia, e corro verso di lui più veloce possibile. Sarò io a salvargli la vita, questa volta.

Mi alzo e afferro la prima cosa che trovo: un otre di vino. La prendo e rovescio il suo contenuto addosso alla manica della sua armatura e lo scudo che, grazie agli dèi, si spegne. A quel punto Sandor lo toglie con uno scossone e mani tremanti, poi si getta a terra e si copre gli occhi con le dita come se non volesse vedere più nulla. Ha il respiro affannoso, il volto sporco del sangue di Beric e metà del suo braccio riporta un’ustione terribile. Adesso, oltre al viso, è un altro il punto in cui il fuoco ha lasciato la sua morsa.

Una cacofonia di grida e rumori mi fanno voltare: Arya. Sta correndo verso di me… anzi, no: sta correndo verso il Mastino. I suoi occhi grigi sono colmi d’un odio che non le avevo mai visto addosso, inadatto al viso d’una bambina di dieci anni, e fra le dita regge un pugnale. Vuole ucciderlo. Una bambina di soli dieci anni, mia sorella, la stessa bambina che si divertiva a tirarmi i capelli per scherzo e lanciarmi palle di neve quando eravamo fra le mura di Grande Inverno… vuole uccidere qualcuno. Stringo i denti e mi paro davanti a lui, le mani e le ginocchia mi tremano. No. Non permetterò più a nessuno di far del male alle persone che amo.

Non faccio in tempo a fermarla che lo fa qualcun altro: il ragazzo dalle spalle larghe di poco prima, quello che era con lei. Lei urla, strepita che sono una stupida a difenderlo e che deve vendicare il suo amico, che il Mastino è un assassino e merita la morte e che anch’io la merito per quello che sto facendo. Le sue parole mi feriscono e le lacrime mi pizzicano la gola. Mi odia, lo so. Mi ha sempre odiata, me lo diceva sempre, ma adesso è diverso. Adesso l’unica cosa che vorrei è andarle incontro e dirle che mi dispiace, che non voglio che mi odi e che non posso permettere che l’unica persona in grado di riportarmi da nostra madre muoia, ma le parole mi muoiono in gola. L’unica cosa che sono in grado di fare è stringere i pugni così forte da farmi diventare bianche le nocche.

«A quanto pare il Dio della Luce ama più me che il tuo schifoso garzone del macellaio, piccola stronza» Sputa fra i denti il Mastino, dietro di me.
«Brucia all’Inferno!» Grida Arya, piangendo di rabbia. Io avanzo di alcuni passi verso di lei, gli sguardi di tutti puntati su di me.
«Arya…», parlo, con il cuore in mano. Forse posso ancora sistemare la cosa, forse tutto tornerà com’era un tempo. «Arya, mi dispiace per tutti i dispetti che ti ho fatto. Quando dicevo di odiarti non intendevo sul serio. Sei mia sorella, come potrei odiarti? Io… io ti voglio bene, ho pregato di poterti rincontrare così tante volte e… e adesso sei qui. Viva», le lacrime mi pizzicano gli occhi. Abbiamo litigato così tante volte, e per così tante sciocchezze… come vorrei tornare indietro a quei momenti. «Arya, ti prego, torna a casa con me. Il Mastino… lui… lui non è davvero cattivo. È arrogante, presuntuoso e pieno di odio per il mondo intero ma non mi farebbe mai del male, così come non ne farebbe a te. Lui ha promesso di portarmi alle Torri Gemelle, dove nostro zio sta per sposarsi; ci sarà nostra madre, Arya, e Robb. Saremo di nuovo insieme, capisci? E saremo felici come una volta», accelero il passo. Le sono così vicina da poterla toccare. Alzo una mano verso di lei, le lacrime che minacciano di sgorgare dai miei occhi da un momento all’altro. La voglia di abbracciarla diventa dolorosa. «Arya, ti prego…».

«No», nel silenzio innaturale della grotta, le sue parole sembrano grida. «Io con te non ci vengo, Sansa».

Sento qualcosa andare in frantumi. È il mio cuore. «No, no, Arya, ti prego…», le afferro il braccio, il ragazzo accanto a lei mi spinge lontana. Lo fulmino con lo sguardo.

«L’hai sentita? Lei con te non ci viene. Vattene!», dice lui, sprezzante. La voglia di colpirlo al volto mi fa ringhiare di rabbia. «Torna a fare la cagna di quell’assassino, visto che ti piace tanto!».

«No…», il mio sguardo saetta su quello di Arya. Lascerai che mi parli così?, chiedo senza bisogno di parlare. Lei resta impassibile e fa un passo indietro. Il freddo che trovo nei suoi occhi brucia più del fuoco. No. No, no non può finire così… non adesso che sono riuscita a trovarla, non dopo tutto quello che è accaduto! «Arya… nostra madre e Robb, loro—».

 «Penseremo noi a riportarla alle Torri Gemelle, ragazzina», un brivido freddo mi scorre lungo la schiena. No. Non è possibile… questa voce… «Tu, piuttosto, ringrazia di essere figlia di Ned Stark, o non sarei stato tanto gentile con te».

Mi premo le mani alle labbra quando lo vedo. È impossibile, è assurdo... tutto ciò è assurdo. Eppure è proprio lui: la benda gli ricopre l’occhio cavato e il suo corpo è ricoperto del sangue che poco prima era sgorgato dalla sua gola. Beric Dondarrion è risorto dalla morte.

«V-Voi… voi eravate morto…» Biascico con voce tremante e occhi sgranati. Il mio sguardo corre su quello di Thoros, alle sue spalle: sorride, consapevole di aver compiuto qualcosa che va oltre le leggi del tempo e della vita, e si avvicina di qualche passo.

«Il Dio della Luce è grande, ragazzina, e potente. Lui esiste davvero, non come i tuoi falsi dèi. Quest’oggi non vi verrà fatto alcun male poiché è stato lui a volerlo, ma state pure certi…», i suoi occhi si posano sulla figura di Sandor che, a fatica, si è rimesso in piedi ed ora troneggia dietro di me. «Che se non fosse stato per lui, il tuo caro cagnolino sarebbe già con la gola tagliata. Ad ogni modo, il Dio della Luce ha espresso il suo verdetto: sei libero, Sandor Clegane».

«Bene», stavolta è il Mastino a parlare, il volto deturpato è ancora sporco di sangue. «Rivoglio il mio oro. Me lo avete preso e adesso dovete rendermelo! Ho vinto la vostra fottuta sfida, ne ho il diritto!».

«Lo riavrai indietro quando la guerra sarà finita*», ribatte Beric, passandogli un foglietto di carta. «Ecco, qui c’è la ricevuta dell’oro che ti spetta».

Il Mastino lo prende e lo getta a terra senza neanche guardarlo. «Io ci piscio sopra! Siete soltanto dei ladri!».

«Siamo dei fuori legge. Avremmo potuto tagliarti la gola, se avessimo voluto» Ribatte un altro.

Stringo gli occhi in due fessure piene di collera. Ma come osano? Hanno voluto loro tutto questo! Noi non stavamo facendo niente a nessuno, se ci avessero lasciato in pace nulla sarebbe accaduto!
Il Mastino scatta verso di lui, i pugni serrati e bocca distorta in una smorfia. «Tu provaci, arciere, e ti ficco una freccia su per il culo!».
«È un assassino! Non potete lasciarlo andare! È colpevole!» Sbotta allora Arya, e la stessa irritazione di quando aveva offeso Joffrey torna a farmi visita.
«Secondo il nostro dio non lo è» Replica Beric, non distogliendo lo sguardo dal Mastino.
«Sì, ma—».
«Basta così!» Grida, ed Arya tace. Vorrei dirgli di non parlare a quel modo a mia sorella, che è solo un vigliacco e che il suo dio è pazzo, ma resto in silenzio ad inghiottire ogni parola, ogni insulto. Proprio come ad Approdo del Re. «Non spetta a noi giudicare. Vai in pace, Sandor Clegane», poi si rivolge ad altri due uomini, entrambi grossi quanto il Mastino.«In quanto a voi: sapete cosa fare».

Sandor resta in silenzio, stringe le labbra e i pugni. Mi volto verso di lui e aspetto che calino il cappuccio sulla mia testa, mi leghino le mani e mi portino fuori, proprio come sembra stiano per fare con lui. Un uomo mi si avvicina ed io lo fulmino con lo sguardo, ma lui sorride sinistro e mi stringe le braccia in una morsa di ferro. Un campanello d’allarme trilla nella mia testa.

«Cosa state facendo? Lasciatemi andare, mi fate male!», grido. La fronte del Mastino si aggrotta e nel suo sguardo leggo una nota di agitazione.
«Si da il caso, giovane lady, che oltre ad essere fuori legge siamo anche dei cavalieri. E i cavalieri salvano le fanciulle da cani rognosi come questo» sul suo volto deturpato si apre un sorriso beffardo. «E, per l’onore che serbo nei confronti di tuo padre, ho deciso di riportare sia te che tua sorella dalla lady vostra madre. Di certo puoi fidarti più di me che di quest’inetto, non trovi?».

«No!», cerco di liberarmi dalla presa dell’uomo che mi stringe le braccia, ma inutilmente. Il panico mi ghermisce lo stomaco, i miei occhi si sgranano. «No! Lasciatemi andare! Non voglio stare con voi!».

Scorgo Sandor dare spallate e gridare bestemmie, furioso come non l’ho mai visto. «Non toccatela!», il suo volto è distorto in una maschera di ira, le sue labbra sono tirate in quello che ha tutta l’aria di essere un ringhio. Gli uomini attorno a lui calano un sacco nero sulla sua testa ma lui non si arrende. «Non toccatela! Vi ucciderò! Vi ucciderò tutti, dannati bastardi! Lei è mia, è mia!».

Le lacrime mi pizzicano gli occhi e respirare diventa improvvisamente difficile: urlo che non voglio stare lì, che è col Mastino che voglio andare e non con loro, che sono dei vigliacchi e che li odio tutti e li farò uccidere da Robb, ma loro non mi ascoltano. Un uomo mi preme una mano in bocca ma io gliela mordo; la sua presa cede per un secondo ed io ne approfitto per fuggire, ma subito Thoros mi afferra per le braccia braccandomi come un cervo spaurito. Scalcio, urlo, ma è tutto inutile. Alla fine, dopo quelle che sembrano ore, la forza mi abbandona e la voce mi si strozza in gola. Faccio in tempo a sentire il Mastino chiamare il mio nome che le lacrime mi offuscano la vista ed io cado sulle ginocchia, debole come non mai. Per un motivo che non capisco mi ritorna alla mente il bacio della scorsa notte, le sue labbra crudeli che sapevano di vino , ed all’improvviso realizzo quanto io abbia bisogno di lui, quanto desideri riaverlo con me, quanto bene gli voglia nonostante le sue parole scortesi, i suoi mezzi sorrisi beffardi e le imprecazioni volgari. Il dolore esplode in me come un fulmine a ciel sereno e le lacrime striano le mie guance tutte assieme.

La grotta scende nel silenzio, solo i miei singhiozzi riecheggiano fra le pareti. Nessuno mi guarda, nessuno dice nulla. Sono tutti in silenzio, a fare finta che io non esista, a fingere di non avermi appena portato via l’unica persona che mi fosse stata vicina per tutto questo tempo, ed io mi riscopro ad odiarli tutti quanti. Arya, Beric, Thoros, il ragazzo dalle spalle larghe e tutti gli altri. Li odio. Li odio tutti… tutti!

Dita sottili mi sfiorano una spalla. Schiaffeggio via la mano di mia sorella con rabbia e le rivolgo un’occhiata truce. «Non mi toccare!», grido, e lei ritira la mano. «Vattene via! Non voglio vederti! Vattene!».

Arya si morde il labbro inferiore e si tortura i lacci della maglia, ma non dice nulla. Rimane in silenzio e se ne va, lasciandomi da sola. Sconvolta e priva di forze, sprofondo la testa nelle ginocchia, gli occhi chiusi e le spalle scosse dai singhiozzi. Ricordo la voce di Sandor mentre lo portavano via, la furia sorda che aveva solcato il suo sguardo quando aveva capito che non sarei andata con lui, ed un altro singhiozzo mi scuote le spalle nel momento in cui realizzo che, per la prima volta, mi ha chiamata per nome.



 
 
 
 
 
 
 
 Note dell'autrice.

1) la canzone iniziale è tratta dal musical Notre Dame The Paris. 
2) Questa è una citazione PALESISSIMA al film di Rapunzel. Perdonatemela ma dovevo, DOVEVO inserirla.
3) In questo What If Arya e Gendry sono già “dentro” la Fratellanza Senza Vessilli. Da poco, certo, ma ci sono già. Ho preferito fare questa piccola modifica in modo tale che non fosse tutto troppo simile alla serie tv o al libro poiché sarebbe risultato noioso e prolisso.
4) Sì, lo so che rileggere le stesse frasi del telefilm è molto Meh, però capitemi: amo questa scena con tutta me stessa. DOVEVO inserirla. 

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Ciao a tutti! 
Prima di tutto, mi dispiace di cuore per non aver potuto aggiornare la settimana scorsa. Purtroppo ho avuto diversi problemi, sia di salute che scolastici, e tutt'ora sono di frettissima perché dovrei riprendere a studiare per l'interrogazione di domani. Sigh.
Spero solo che il capitolo vi sia piaciuto, ero (e sono tutt'ora) molto agitata al riguardo. Adoro la Fratellanza Senza Vessilli e ancor di più adoro lo scontro tra Sandor e Beric. Dovevo insierirlo per forza, scusatemelo. 
Finalmente è apparsa Arya... e lei e Sansa hanno già ripreso a litigare. XD Niente da fare, 'ste due saranno sempre come cane e gatto - ma forse è proprio per questo che si vogliono così bene, sotto sotto? :P

Grazie di cuore a tutti coloro che hanno recensito il capitolo scorso, messo la storia nelle seguite\preferite\ricordate e letto questo capitolo. Grazie di cuore, davvero.
Ci vediamo al prossimo capitolo!

P.S: io e Phoenixstein stiamo scrivendo una nuova fanfiction SanSan a due mani.
Se volete dare un'occhiata, ecco qui il prologo!: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2986334&i=1


Baci!
   
 
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