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Autore: Acinorev    21/01/2015    14 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo ventuno - Fear

 

Emma lo vide non appena varcò i cancelli dell'università: aveva la testa pesante a causa delle lezioni impegnative e del pranzo ancora da addentare, ma la figura di Harry era certamente il fattore più determinante nel suo stato d'animo.
Sbuffò e si spostò i capelli sciolti sulla spalla destra, camminando lentamente ma con fare deciso: lui stava fumando davanti alla propria auto, con indosso dei pantaloni scuri, una camicia celeste e gli occhiali da sole, nonostante il cielo fosse reso meno brillante da una coltre di nubi chiare.
Posare lo sguardo sul suo viso teso le ricordava la discussione risalente al pomeriggio precedente: ovviamente, Harry non aveva risposto al suo messaggio - per quanto il contenuto potesse essere discutibile - ma almeno aveva avuto il riguardo di cercarla, forse di tentare un chiarimento.
Emma si arrestò di fronte a lui, senza dire una parola ed incrociando le braccia al petto, dopo aver sistemato meglio la cinghia della borsa colma di libri. Era stanca ed irritata, ma pronta a raggiungere un compromesso.
Harry si limitò a terminare la sigaretta con una lunga inspirazione, per poi buttarla a terra e spegnerla con la punta dello stivale rovinato: con un distratto cenno del capo le intimò di seguirlo e lei gli diede ascolto, aspettando di poter entrare in macchina. Ogni movimento che compivano era avvolto nel silenzio di fruscii e nervosismo.
Non gli chiese dove avesse intenzione di portarla, sia perché il vecchio timore delle automobili la stava nuovamente minacciando, sia perché il modo in cui Harry stava stringendo il volante le suggeriva di non interpellarlo. Si decise quindi ad aspettare, approfittando di quel lasso di tempo per formulare delle idee coerenti.

Distratta dallo scorrere veloce del paesaggio al di là del finestrino, Emma quasi sobbalzò quando l'auto accostò all'improvviso, pochi minuti più tardi. Cercò di non manifestare la sorpresa scaturente dal non essere giunti ad una meta particolare, ma solo nei pressi del modesto parcheggio vuoto di un ristorante ancora chiuso: credeva che Harry avesse semplicemente abbandonato l'idea di arrivare fino in fondo, decidendo di fermarsi prima solo per poter sfogare la sua irrequietezza.
Lo osservò in silenzio, mentre scendeva dalla macchina e la aggirava a passi svelti, mentre apriva il suo sportello, invitandola implicitamente a raggiungerlo: Emma inspirò a fondo, appoggiò la borsa ai piedi del sedile ed abbandonò l'abitacolo, tornando vittima di una brezza pungente.
Harry le fu addosso in un istante.
Con le mani sul suo volto, le coprì la bocca con la propria in un impeto di tale foga da costringerla ad indietreggiare, fino ad incontrare la carrozzeria dell'auto, dura contro la sua schiena. La baciò famelico, arrabbiato, e lei non si sottrasse ad una simile dimostrazione, molto più eloquente di qualsiasi parola: da come il suo respiro si mostrava spezzato e veloce, da come le sue dita premevano sulla sua pelle, poteva capire il grado della sua irritazione, ma anche la profondità del legame che ormai li univa.
Emma raccolse le mani contro il suo petto, desiderosa di assecondarlo, nonostante potesse leggere nei suoi gesti anche una punta di presunzione: anche lei aveva bisogno di quel contatto, sebbene fossero nel bel mezzo di un problema irrisolto e di peso, nel loro percorso. Harry, però, si arrestò proprio quando la frenesia della loro brama si azzardò a sfiorare un limite di non ritorno.
Fece un passo indietro, alzandosi gli occhiali da sole sul capo, a trattenergli i capelli disordinati, e stringendo i pugni lungo i propri fianchi: la mascella serrata e gli occhi furenti indicavano che fosse pronto ad un confronto, adesso, dopo aver soppresso un altro tipo di inquietudine.
Lei lo scrutò con il petto ansante, leccandosi le labbra dove poteva ancora trovare tracce del suo sapore.
«Come pretendi che io ti creda, se con lui ti sei comportata allo stesso modo?» esordì Harry, gesticolando e andando dritto al punto. La voce già alta, anche se roca. 
«Ed io come posso dimostrarti qualcosa, se tu non me ne dai la possibilità?» gli rispose, avanzando verso di lui. Si erano appena baciati ed erano subito tornati ad uccidersi: sempre che le due cose non fossero una.
«Sarebbe un rischio, non una possibilità!» le ricordò aspramente.
Emma si lascio pervadere da un effimero senso di tenerezza, derivante dalla paura di Harry. «Evitare il problema sarebbe più utile, secondo te?»
«Il punto è che non dovrebbe esserci nessun problema!»
«Ma c'è!» precisò, sovrastando le sue parole. «Io e Miles siamo stati insieme, ci siamo lasciati ed il nostro legame esiste
Lui la guardò torvo, sbuffando un'offesa evidente: era chiaro che si fosse indispettito per il riconoscimento esplicito di qualcosa che lo turbava fino a quel punto. Emma se ne accorse e decise di rimediare, addolcendo la voce.
«Ci siamo visti ieri sera», spiegò, lasciando sottintesi i soggetti e premurandosi di carpire qualsiasi reazione, in modo da affrontarla prontamente. Lo vide tendersi, schiudere le labbra per dire qualcosa, imprecare o forse insultarla, quindi lo precedette. «Gli ho detto di non cercarmi più, di andare avanti da solo», osò. «È per questo che ho voluto vederlo».
La bocca di Harry si serrò duramente, mentre le sue iridi si concentravano su ogni particolare del viso che avevano di fronte: sembrava cercare di soppesare ciò che aveva sentito, il comportamento da adottare, le domande da porre e le accuse da snocciolare. Optò per il silenzio, forse anche grazie alla smentita tanto evidente dei suoi dubbi, forse grazie alla vergogna di essersi dimostrato tanto geloso.
Emma capiva i suoi tentennamenti, per quanto la indignassero: sapeva perfettamente di aver attraversato momenti simili con Miles, dubbi analoghi e scuse analoghe, ma sapeva anche che le situazioni erano completamente diverse, per caso o per destino. Con Miles aveva negato qualsiasi coinvolgimento nei confronti di Harry, fin quando non aveva potuto farlo con sé stessa: era stata costretta ad ammettere il contrario, ad un certo punto, e a confermare i suoi dubbi. Con Harry, invece, era certa che la propria attenzione non avrebbe potuto rivolgersi di nuovo verso Miles e che non sarebbe mai dovuta arrivare a tanto.
Era comprensibile che lui non si fidasse delle sue parole, ma lei non poteva dimostrarle concretamente e la cosa andava a proprio svantaggio, oltre che innervosirla: Emma sapeva di essere nel giusto, ma non poteva appellarsi ad altro, se non a rassicurazioni verbali. Anzi, non aveva potuto farlo fino alla sera prima.
«Perché non me l'hai detto subito?» domandò Harry, senza esporsi sulle proprie emozioni. «Perché non mi hai detto che volevi vederlo per allontanarlo, al posto di continuare a litigare?»
«Perché la tua reazione mi ha dato sui nervi!» si giustificò malamente, gesticolando.
«Quindi la colpa sarebbe mia?» si ribellò lui, avvicinandosi un poco. «Perché non ti prendi le tue responsabilità? A prescindere da come mi sono comportato, spettava a te fermarmi e farmi ragionare!»
«Ragionare?! Eri davvero in grado di farlo?!»
«L'avrei fatto, se mi avessi detto la verità!»
Emma sospirò sonoramente, passandosi una mano sulla fronte e mordendosi il labbro inferiore. Cercò di calmarsi, chiudendo gli occhi per qualche istante: se pretendeva un cambiamento da parte di Harry, doveva essere la prima ad andargli incontro. Di conseguenza, dato che era orgogliosa, ma non stupida, e dato che sapeva riconoscere i propri errori, decise di agire di conseguenza. «Ho sbagliato», esclamò, debolmente. «Avrei dovuto dirti sin da subito perché avevo intenzione di incontrarlo, ma mi sono lasciata prendere dalla rabbia e ho finito per... Ho sbagliato», ammise nuovamente.
Si sentì vagamente meglio, dopo essersi liberata di quella confessione - che probabilmente altre persone avrebbero affrontato con molta più leggerezza. Harry sembrava soddisfatto di aver ottenuto qualcosa e lei aspettò che anche lui si piegasse ad ammettere i propri errori: lo osservò per diversi secondi, sentendo l'incredulità aumentare man mano che il silenzio si prolungava. Era impossibile che Harry non si rendesse conto del problema di fondo, della loro difficoltà nel comunicare.
«Io ho ammesso la mia parte di responsabilità: so di essere troppo orgogliosa e cieca, mentre discutiamo. Ma tu? Non hai proprio niente da dire?» gli domandò, corrugando la fronte e sperando di sbagliarsi.
«Per esempio?» ribatté lui, in una sottile provocazione - o almeno era quello che sperava fosse Emma.
«Per esempio qualcosa riguardo i tuoi ventisei anni suonati e la tua incapacità di comportarti da persona matura in certe circostanze!» lo accusò, piccata dal suo stoicismo e dall'aria innocente nella quale si stava avvolgendo.
C'era una cosa che rimpiangeva, in un certo senso, della relazione con Miles: il suo modo di contenerla, di confrontarsi con lei in toni morbidi e comunque determinati. Era qualcosa che non aveva mai provato prima e che l'aveva conquistata, regalandole una certa dose di serenità, ma che con Harry mancava quasi sempre: loro esplodevano, più che discutere. Si ferivano, urlavano e poi si privavano di qualsiasi pietà per terminare con un colpo ben assestato: sapeva che avrebbero potuto agire diversamente, ci credeva davvero, ma sapeva anche quanto potessero essere lontani da quell'obiettivo. Erano ancora troppo instabili, per permettersi una tale tranquillità.
«A me non sembra che tu sbraiti meno di me, quando ce n'è bisogno», le ricordò Harry, con aria di sufficienza.
Emma spalancò gli occhi, allibita. «Con la differenza che io lo ammetto!» precisò, alzando nuovamente la voce. «E poi, non hai appena finito di dirmi che ognuno deve pensare alle proprie colpe? Perché, adesso che tu dovresti davvero farlo, ti ostini a puntare il dito contro di me?» lo provocò, usando le sue stesse motivazioni. Non gli avrebbe permesso di fuggire.
Harry la osservò senza articolare nemmeno una misera sillaba, con le labbra ben decise a rimanere serrate: allungò una mano nella tasca dei pantaloni e ne tirò fuori il solito contenitore in metallo - che talvolta sostituiva un pacchetto cartaceo - dal quale recuperò una sigaretta, fabbricata da sé. La accese lentamente, inspirando a fondo.
Lei aspettò ancora insopportabili secondi, ma quando comprese che non avrebbe ricevuto alcuna risposta, l'onda di delusione la colpì troppo duramente: si ritrovò a rabbrividire e a respirare con più fatica, mentre gli occhi bruciavano per lo sforzo di trattenere una sensazione più incerta e subdola, che sapeva di paura.
Si voltò di scatto e si allontanò a passi svelti, senza curarsi di ipotizzare una reazione da parte di Harry e senza aspettarsela. Non se ne stava andando, aveva solo bisogno di tempo e spazio per negare a degli occhi immeritevoli una debolezza tanto improvvisa. Si fermò a qualche metro di distanza, con le braccia incrociate al petto per consolarsi da sola, e fuggevoli lacrime a rigarle il volto: non sapeva perché avesse avuto una reazione tanto intensa, ma sapeva che la base sulla quale si poneva poteva essere anche più crudele.

Harry la raggiunse dopo diversi minuti, senza far troppo rumore: la affiancò in silenzio, mentre lei sfuggiva al suo sguardo voltando il viso nella direzione opposta. Doveva aver terminato la sigaretta - o forse ne aveva fumate più di una - perché non c'era un forte odore di fumo, ma solo una vaga fragranza, simile a quella che spesso gli imbrattava i vestiti.
Mosse una mano con cautela sfiorandole un braccio, mentre lei si scostava bruscamente, quasi ne fosse appena stata ferita. Era infuriata con se stessa, con l'incapacità di darsi un contegno, ed il fatto di dover sottostare alla sua indole indagatrice la irritava ancora di più.
Harry non si arrese. Con le dita leggere le percorse la spalla, fino ad arrivare al suo collo e alla guancia sinistra, coperta da ciocche di capelli indisciplinati: li scostò piano, forse temendo un altro rifiuto, e le sfiorò la pelle ancora umida.
Emma percepì l'esitazione e lo stupore nel tocco dei suoi polpastrelli, quindi si affrettò a passare la manica della giacca sulla propria guancia, in modo da eliminare ogni traccia di vergogna. Continuava a non guardarlo.
«Non serve a niente piangere», esclamò lui, con un tono di voce più vellutato, ma comunque troppo duro per fungere da rassicurazione. Non si sentiva ridicolo a pronunciare parole simili, quando solo poco prima si era rifiutato di compiere quell'unico sforzo che sarebbe davvero servito a qualcosa?
Emma trattenne un sospiro e si morse con forza il labbro inferiore.
Lui tentò di attirare la sua attenzione, spostandole il mento nella sua direzione, ma lei si ritrasse con più energie.
«Stiamo solo discutendo», provò ancora, forse stupido da una tale ed improvvisa falla nella sua armatura da guerriera.
Nessuna reazione.
«Emma», la richiamò, con più autorità.
Lei si voltò finalmente nella sua direzione, ma con movimenti così tesi e nervosi da farlo sobbalzare. Le sue iridi gli stavano rovesciando addosso più cose di quelle concesse, ma non c'era modo di arrestarle.
Harry corrugò la fronte, spaesato da un tale rancore, e subito dopo indossò una maschera di durezza per difendersi. «Che ti prende?» le chiese, con poca delicatezza.
Questo fu sufficiente a sbloccare gli istinti di Emma, a liberarla dai limiti che si stava imponendo e dai sigilli che aveva imposto alle proprie parole. Si sentì in grado di reagire, di attaccare.
Anche se, contro ogni sua previsione, ciò che ottenne fu solo una patetica ammissione.
«Tu mi spaventi!» gridò, indietreggiando di un passo e trattenendo il respiro.
Lui fece lo stesso, assumendo un'espressione confusa e cauta al tempo stesso.
«Cosa?» domandò fioco.
Emma si pentì di aver utilizzato un tono tanto misero, ai propri occhi: avrebbe preferito non risultare così fragile, ma ormai poteva solo sperare che Harry comprendesse finalmente ciò di cui si stava realmente parlando.
Distolse lo sguardo e si torturò una guancia, tirando su con il naso.
«Non stiamo solo discutendo. Stiamo discutendo di nuovo, per l'ennesima volta», esordì, controllando la propria voce per renderla più decisa e tornando a scrutarlo in viso. «Ed io non voglio rischiare ancora di... Ora come ora non sono in grado di rischiare che non funzioni». Non poteva permettersi un ulteriore sfregio alla propria resistenza, non dopo quello subito con Miles: non aveva le forze per affrontarlo. Doveva avere qualcosa di cui fidarsi, qualcosa che le assicurasse una reale possibilità.
Harry rifletté su quelle parole, o forse si limitò a ripeterle nella propria mente, perché non commentò in alcun modo. Emma colse l'occasione per continuare.
«Quindi sì, tu mi spaventi, perché litighiamo sempre per gli stessi motivi, perché ci facciamo male sempre nello stesso modo. Ma nonostante questo le cose non cambiano, non importa quanto io mi sforzi. E parlo di me, perché quando ti chiedo di ammettere un tuo errore e tu stai zitto, dimostri soltanto di non voler fare uno sforzo in più per noi, o di non poterlo fare. Ed in entrambi i casi la conclusione è una sola, ovvero che finirà di nuovo uno schifo!»
Non c'erano più lacrime a bagnarle il viso, ma le tremavano le mani.
«Questa possibilità mi terrorizza», riprese, abbassando lo sguardo per un solo istante. «Ma mi terrorizza ancora di più il fatto di non riuscire a mettere fine a tutto questo, nemmeno fosse una condanna».
Era la verità: nonostante tutto il male che lei ed Harry erano in grado di procurarsi, nonostante i difetti che erano in grado di accentuarsi a vicenda, lei non riusciva a distaccarsi definitivamente, né riusciva a scovare la volontà di farlo. Si sentiva costretta a restare impigliata in una prospettiva che non aveva nulla di rassicurante e che probabilmente non avrebbe avuto un lieto fine, senza avere le forze per agire e crearsi un proprio destino. Sapeva di andare incontro a qualcosa di spiacevole, ma non aveva il coraggio di allontanare la possibilità, per paura di escludere anche quella opposta.
Harry si avvicinò di un passo, stupendola, e si inumidì le labbra come per prepararsi a parlare. Allungò nuovamente le dita verso il suo viso, ma chiuse la mano in un pugno nell'abbandonare l'intento.
«Prima non ho risposto solo per... Orgoglio, immagino», confessò, con l'intento di rassicurarla: i suoi lineamenti contriti manifestavano la difficoltà d'espressione. Emma l'avrebbe ascoltato fino alla fine, con la speranza ad attanagliarle lo stomaco.
«Io non sono così», continuò lui, stavolta con una punta di disprezzo nella voce. Disprezzo per se stesso. «Non è da me reagire come un bambino infastidito, urlare come una prima donna. Voglio dire, è da me, ma tu... Tu peggiori tutto: qualsiasi mia reazione, qualsiasi mio pensiero».
Emma ricordò all'improvviso ciò che le era stato detto la sera della mostra, quando Harry aveva ammesso di comportarsi in un certo modo solo quando lei era presente: sul momento l'aveva interpretata come un'accusa e si era sentita una vittima, ma a distanza di tempo e alla luce dei nuovi significati scaturenti dalle sue labbra, poteva vedere tutto in un'altra prospettiva.
«Tiri fuori il meglio di me in certe occasioni, lo facevi anche sei anni fa», ricominciò lui. Le iridi a testimoniare la sua sincerità. «Ma tiri fuori anche il peggio. Così, quando mi fai incazzare - e succede spesso - io perdo il controllo: qualsiasi cosa tu faccia o dica, ai miei occhi si ingigantisce ed io agisco di conseguenza. E mi faccio schifo da solo certe volte, perché in effetti potrei comportarmi diversamente, eppure non riesco a fare altrimenti. Ma sai una cosa? Non fa niente, perché a me piace. Mi piace poter essere me stesso, mi piace come tu riesca a togliermi qualsiasi inibizione, anche se poi finiamo per litigare, perché mi fai vivere le cose cento volte più intensamente. E ne vale la pena».
La sua voce si era fatta più morbida, così come molli si erano fatte le gambe di Emma, malferme per l'emozione. Non erano le parole più romantiche che le fossero mai state rivolte, ma conservavano un tale significato da essere migliori di qualsiasi dichiarazione avesse mai potuto desiderare: essere in grado di plasmare Harry e tutto ciò che rappresentava, era un potere che stuzzicava la consapevolezza di Emma e la propria vanità, aizzandola ad alimentare a sua volta emozioni, sensazioni e sentimenti ben più importanti. Harry aveva abbassato le proprie difese e le aveva concesso di scoprire la propria arrendevolezza, permettendole di valutare quanto fosse simile alla propria.
Con il cuore scosso, tentò di non lasciarsi guidare dalla sola emotività. «Ma che senso ha vivere le cose così intensamente, se per poco tempo?» domandò infatti, con una certa amarezza sulle labbra. «Io voglio costruire qualcosa, Harry, e voglio che sia qualcosa di promettente, in grado di durare e resistere», ammise, sentendosi una bambina alle prese con sogni fiabeschi. «E se lo vuoi anche tu... Dobbiamo lavorarci su e dobbiamo sforzarci di cambiare alcune cose, anche se ci viene naturale comportarci in un certo modo, anche se io tiro fuori il peggio di te e tu mi rendi isterica nel novanta per cento delle volte che ci vediamo».
Harry si fece ancora più vicino, fino a respirarle sul volto e ad accarezzarle il collo con entrambe le mani fredde. Appoggiò la fronte alla sua e forse sperò di poter parlare solo tramite i gesti: entrambi sembravano esausti per la chiarezza alla quale si erano costretti negli ultimi minuti, per lo scontro privo di difese che stavano affrontando, per le possibilità che si srotolavano dinanzi a loro senza alcun consiglio.
«Pensavo che stessimo già costruendo qualcosa», sussurrò, facendole mancare il respiro e costringendola a cibarsi del suo. Pronunciò quelle parole con un tale calore da farle dubitare di qualsiasi remora l'avesse mai preoccupata.
Emma si leccò le labbra involontariamente, rilassandosi sotto il suo tocco. «Sì, ma non stiamo facendo un buon lavoro», commentò piano: troppo concentrati sull'accusarsi l'un l'altro - lei per prima - rischiavano di rovinare qualsiasi cosa in cui si stessero impegnando, a modo loro.
«No», mormorò lui, sfiorandole la bocca, «ma è bello lo stesso».
Lei non si ritrasse all'idea di baciarlo, di suggellare in altri termini una verità tanto confortante, quindi lasciò che le labbra di Harry premessero sulle sue: riversò in un respiro tutta la dolcezza esasperata e tutta la tensione frustrata che li stava intrappolando, concedendogli di accarezzarla con la lingua e con le mani.
«Ti va di impegnarci un po' di più?» gli domandò, senza separarsi troppo dalla sua pelle, mentre le proprie mani raggiungevano le sue spalle per stringerle appena. Voleva una rassicurazione, una promessa che potesse incoraggiarla a non avere troppa paura.
Harry sorrise lentamente, baciandole con delicatezza la punta del naso. «Va bene», le soffiò su una guancia, mordendola piano. «Va bene, Emma», ripeté, poggiando le labbra sul suo collo scoperto ed inspirando il suo profumo.
Emma si strinse al suo corpo e serrò le palpebre, sollevata da una nuova prospettiva ed una nuova sicurezza: gli passò le braccia intorno al busto e nascose il viso sul suo petto, beandosi dei movimenti regolari del suo respiro e dei suoni più miti del suo cuore.
«Cercheremo di fare piano, hm?» sussurrò Harry, scostandole i capelli con una mano, in modo da non averli a solleticargli il volto. 
Lei annuì, sorridendo per il paradosso: le sembrava impossibile essere in grado di rallentare, non quando Harry la stava travolgendo senza possibilità di resistenza. E le sembrava divertente che fossero scesi ad un tale compromesso, quando sei anni prima Emma l'avrebbe disprezzato aspramente.
«Ma ho una condizione», aggiunse lui, stupendola. 
«Quale?» gli domandò, calibrando il suo tono serio pur senza escludere l'ipotesi che potesse essere un inganno beffardo. Alzò lo sguardo su di lui, incontrando i suoi occhi.
«Chiamami un'altra volta stupido, idiota o deficiente, e la punizione sarà corporale», esclamò, sciogliendosi in un sorriso provocatorio e malizioso che subito trovò un riflesso sulle labbra di Emma, schiuse dall'ilarità.
Lei si sollevò sulle punte dei piedi e rubò un rapido bacio dalla sua bocca. Harry non le permise di allontanarsi, però, coprendole di nuovo le labbra con le proprie ed approfondendo quel contatto: dapprima con dolcezza, si appropriò di ciò che riteneva un suo diritto con passione sempre maggiore, fino ad avere il respiro corto e le mani insaziabili. Gliele fece scorrere tra i capelli, fino ad incastrarle in deboli nodi creati dalla sua stessa presa.
«Quindi...» le sospirò accanto ad un orecchio, mentre lei gli mordeva leggera la mandibola, «... posso smettere di preoccuparmi di Miles?» continuò, abbassando la voce.
Emma si indispettì appena per quella domanda ai suoi occhi banale e si separò dal suo corpo il necessario per guardarlo negli occhi. Un sopracciglio alzato e le labbra imbronciate: sapeva che Harry fosse difficile da distogliere dalle sue convinzioni, ma sperava che almeno in quel momento potesse metterle a tacere e fidarsi un po' di più.
Lui si accorse dell'ombra di rimprovero sul suo volto. «Sto solo cercando di parlarne da persona matura», le assicurò, assumendo un'espressione più giocosa e continuando ad avvolgere il suo corpo con le braccia.
Lei alzò gli occhi al cielo ed evitò una leggera risata. «Inizio a pensare che tu non avresti dovuto preoccuparti di Miles nemmeno quando stavo con lui», sussurrò, abbassando lo sguardo e torturando tra le mani uno dei bottoni della sua camicia: il torace di Harry era scoperto in una piccola porzione, facendole bramare una carezza. «E tu puoi anche non credermi, adesso, ma è così. Immagino che te ne accorgerai da solo», aggiunse, riportando l'attenzione nelle sue iridi. Si sentiva impacciata nel pronunciare una promessa simile, ma per convincerlo di ciò che provava, ne avrebbe pagato il prezzo.
«Lo spero», rispose Harry, senza nascondere un vago turbamento. «Lo spero davvero», ripeté, avvicinandosi nuovamente al suo viso e permettendole di saggiare un ennesimo bacio. La sua voce si premurò di lasciar trasparire una certa tensione: le sue parole si erano macchiate di amarezza, non dovuta ad una visione romantica del loro rapporto, quanto più alla riluttante speranza di avere ragione, di escludere una qualsiasi delusione alla quale l'azzeramento delle sue premure lasciava spazio. Aveva deciso di rischiare e di accettare la sfida, ma la sua fierezza si era apertamente dichiarata contraria.
«Non dire più che non ti importa se vado a letto con qualcuno», mormorò Emma dopo pochi istanti, vagamente risentita: nonostante sapesse che quelle parole erano state dettate da un istinto vendicativo, l'avevano irritata sensibilmente.
Harry la strinse un po' di più.
«No».



Un nuovo messaggio: ore 18.02
Da: Harry (il più bello)

"Domani sera hai da fare?"

Emma rilesse il messaggio un paio di volte, curiosa della prospettiva, e rilesse il mittente il doppio delle volte, ridendo spensieratamente sui libri dell'università.

Messaggio inviato: ore 18.11
A: Harry (il più bello)

"No, perché? (quando hai avuto il tempo di cambiare il tuo nome nella MIA rubrica?)

Un nuovo messaggio: ore 18.13
Da: Harry

"Ti passo a prendere alle 8 pm, andiamo a cena fuori (forse eri troppo distratta ad ammirarmi e non te ne sei accorta)"

L'idea di una serata in sua compagnia, come da diverso tempo non accadeva - anni, letteralmente -, la agitava non poco: l'impazienza aveva già iniziato a pervaderle ogni centimetro del corpo, insieme alla placida sensazione di un nuovo inizio.
Si chiese se Harry non le avesse accennato dei programmi nelle ore che avevano trascorso insieme quello stesso pomeriggio per imbarazzo, o se ci avesse pensato solo successivamente.

Messaggio inviato: ore 18.15
A: Harry

"Cena fuori al McDonald's o...? Insomma, come devo vestirmi? (idiota)

Un nuovo messaggio: ore 18.16
Da: Harry

"Forse finirò per pentirmene, ma vestiti elegante (punizione in arrivo, tranquilla)"

Emma si strinse il telefono al petto, divertita dai loro messaggi spensierati e allegri: cercava di immaginare Harry che l'attendeva fuori casa, con indosso un completo serio ed elegante, magari contraddistinto da vizi personali, come il colletto della camicia sbottonato. E non le importava di doversi aspettare una punizione, perché tutto il resto l'avrebbe compensata e perché, di questo era quasi certa, poteva indovinare che non fosse una procedura spiacevole, quanto più un semplice dispetto di lascivia.





 


Buongiorno!
Sì, sono piuttosto in anticipo: il capitolo era pronto già da qualche giorno e a causa degli esami all'università ho dovuto aggiornare oggi, per organizzarmi meglio.
Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto, perché è piuttosto significativo: come sempre, qualsiasi cosa non sia chiara o non vi convinca, non esitate a parlarmene.
Solito commentino:
Harry, senza sapere dell'incontro tra Miles ed Emma, la cerca di sua spontanea volontà, evidentemente non soddisfatto dal modo in cui si sono lasciati il pomeriggio prima: hanno di nuovo una discussione ed Emma cerca di rimediare a quello che ha riconosciuto come un proprio errore (entrambi non ragionano più quando iniziano a discutere, ahimé) e spera che sia una dimostrazione sufficiente a convincerlo che Miles non è una minaccia (Harry ha tutte le ragioni del mondo per dubitare delle sue rassicurazioni, dato che lei stessa ammette la loro similitudine a quelle che dava a Miles: però , per quanto Emma sia sicura della loro sincerità, fino ad ora non ha avuto un modo concreto di dimostrarle).
Molte di voi si sono chieste, in base allo spoiler, cosa fosse mai successo per spingere Emma a piangere: niente di eclatante, come avete visto. Semplice e crudele paura, di quelle un po' infantili che abbiamo tutte, ma aggravata da esperienze che segnano: Emma sta rischiando molto nello stare con Harry, cosa che aveva già detto prima del loro primo bacio, e le loro continue discussioni - sempre uguali - la terrorizzano, perché segnano una grande difficoltà ad andare avanti. Dopo la batosta di Miles, proprio non ce la fa a sopportare altro e ha paura che con Harry possa finire di nuovo male, nonostante lei stessa non riesca ad allontanarsi. Quiiiiindi, lui smette di fare il coglione orgoglioso ed arrivano ad un compromesso: diciamo che cercano di ricominciare, di impegnarsi davvero per fare qualcosa del loro rapporto.
Harry le chiede un appuntamento, che descriverò nel prossimo capitolo: vi anticipo che sarà... Intenso :)
Piccola parentesi: si ritorna a ciò che Harry aveva già detto alla mostra, durante l'ennesimo litigio. Lui semplicemente sbotta quando si tratta di Emma: tutti i suoi difetti si amplificano, così come i suoi istinti un po' orgogliosi e un po' stronzi. Spero sia chiaro il suo ragionamento, il fatto che a lui questo piaccia: in fondo non capita spesso di essere dei coglioni e di sentirsi comunque giusti, al fianco di qualcuno, né di poter essere se stessi completamente, anche nel peggio.
Scusate per il solito poema, ma ci tengo a chiarire qualsiasi cosa nella narrazione si sia persa per strada. Spero mi farete sapere le vostre impressioni!!
E grazie infinite per tutto, come sempre: allo scorso capitolo ho ricevuto recensioni che mi hanno fatto sorridere molto e vi ringrazio per questo :)
(Risponderò alle recensioni stasera, perché sono piuttosto impegnata!)

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

 
   
  

 
  
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