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Autore: Durhilwen    23/01/2015    3 recensioni
Qui non troverete nessun principe elfico, nessun mondo da salvare, e assolutamente nessuna damigella in pericolo.
Perché questa è la storia di come dalla Morte sboccia la vita, dagli errori il perdono, e dall’odio... l’amore.
E’ la storia di un Orco come mai l’avete visto prima d’ora.
-
E’ collegata in ordine cronologico a “la scelta giusta”; vi consiglio di leggere prima la Flashfic appena citata, se avete intenzione di continuare.
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Galadriel, Nuovo personaggio, Orchi
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo sesto: calò il silenzio.

 

 

“Sei fantastica, davvero”, questo mi aveva detto.

Senza alcun segno di titubanza in viso: ne era convinto, quindi?

E perché dovrei essere così ai suoi occhi?

Per quindici anni della mia vita le mie orecchie avevano udito solamente insulti, grida, violenti ruggiti di persone feroci nei miei confronti.

E all’improvviso, quella semplice frase era riuscita a farmi vacillare un poco: magari lo sono davvero, fantastica.

Magari un giorno anche io avrò una corona d’alloro sulla testa, una veste lucente e qualcuno al mio fianco.

Magari… magari un giorno l’uomo che sposerò mi amerà davvero, e non vorrà solo farmi del male per il suo, di piacere.

Pensavo a questo, sorridendo nelle tenebre, mentre correvo verso casa.

 

•••

 

“Dove sei stata tutto il giorno?!” scommetto che quella sera anche la Persia riuscì ad udire le urla di Taydra.

Già, questo era il suo nome: sgradevole quasi quanto il suo volto da civetta.

“Mi dispiace, non avrei dovuto tardare, ma pensavo che la giornata libera-…”

“Non m’importa ciò che hai pensato! Ora fila al letto, domani dovrai svegliarti presto: stamattina, mentre eri via, si è presentato un uomo importante, dalla toga mi è parso un senatore.

Volevi tanto la libertà? Eccotela, accontentati.

Andrai via con lui entro la settimana, se gli piacerai. Anzi, andrai via con lui e basta, ho bisogno di soldi io, e qua non servi a nulla.

Per di più stai crescendo troppo in fretta, e quelle anziane non se le prende nessuno. Ah, se tutto fosse andato in maniera diversa…” continuò a borbottare parole indistinte, sistemando qua e là, annuendo di tanto in tanto.

“Hai sentito cosa ti ho detto? Muoviti, a dormire!” sbraitò alla fine.

 

Si, avevo sentito benissimo.

E udii allo stesso modo la pesantezza dei passi che mi stavano conducendo verso la camera da letto.

Libertà.

Nessuno dovrebbe abusare di questa parola.

Sogni.

In un mondo così, che sogno a fare?

Non riuscivo a riflettere in maniera lucida, mi muovevo a scatti e tenevo gli occhi sbarrati dall’incredulità, perché mai avrei immaginato che una giornata tranquilla come quella sarebbe finita in tragedia.

Tragedia, si.

In quel momento avevo chiaro il mio futuro: semplicemente, avrei perso tutto.

Le mie conoscenze, la mia semi-indipendenza, e tutto ciò che prima consideravo solo un incubo, improvvisamente si era trasformato in una cruda realtà.

Scappare? Non avrei potuto. Prima o poi qualcuno mi avrebbe trovata e sarei finita chissà dove, in compagnia di chissà chi.

Fingermi morta? Ma per favore, Namìvya, non siamo a teatro!

Nulla, assolutamente nulla.

Non avrei potuto fare nient’altro di diverso da ciò che feci: mi sdraiai sullo scomodo giaciglio, e piansi fino a sentire gli occhi di pietra, fino a perdere la testa, fino a che non riuscii ad addormentarmi.

Una sola parola rimbalzava da un angolo all’altro della mia mente: Ishdreg.

 

•••

 

E lo sognai, quella notte.

Si avvicinava con calma, sorrideva mesto; decisi di salutarlo con la mano.

Ma il suo volto s’indurì, e la sua espressione divenne  morte: gelida, mi scrutava con violenza, giudicava ogni angolo del mio corpo.

Voleva comprarmi.

Provai a fuggire, non ci riuscii; mi strinse il polso sinistro e la sua presa ferrea lasciò un segno scuro sulla carne.

Caddi a terra, lui iniziò a strapparmi le vesti ferocemente: ebbi paura.

Gridai, gridai con tutto il fiato che avevo in corpo, fino a morire.

 

 Mi svegliai di soprassalto, ansimante e sudata, tra le stesse quattro mura della sera precedente: la luce riempiva la stanza, e le solite grida di Taydra mi fecero capire che era ora di alzarsi.

Panico? No, di più.

Tremavo ancora, cercavo invano di sorridere per farmi forza, recitavo versi di una filastrocca imparata da bambina per allentare la tensione, e riuscii ad allontanare il pensiero abbastanza da lasciarmi respirare.

“Troverai tutto nella camera adiacente alla tua, sbrigati che tra un’ora arriva!”

Le sue parole mi fecero dimenticare ogni dettaglio dell’incubo: strano, non è vero?

Eppure, quella maledetta notte mi sarebbe tornata in mente solo parecchio tempo dopo, in circostanze assai spiacevoli, direi.

 

Svoltai l’angolo ed entrai nel minuscolo stanzino accanto al mio (“camera”, che paroloni!); a destra presi un fiammifero e una candela, per orientarmi in quel buco nero, poi lo vidi, appoggiato con grazia su una pila infinita di vecchi stracci: un abito meraviglioso.

Era molto lungo, aveva una spalla sola e il suo colore assomigliava al blu del mare: lungo le maniche, terribilmente delicate, vi erano ricami dorati.

Lo portai nel mio angolo e dopo un’accurata pulizia, lo indossai: sembravo davvero… diversa.

“Ma quanto ci metti a vestirti? Sbrigati, ragazzina!”

Taydra ormai rappresentava l’unico (ed efficace) modo per distruggere ogni momento di calma della mia vita.

“Arrivo…” mormorai poco convinta.

Appena uscita dalla stanza, trovai la donna ad aspettarmi: era ferma in piedi, e mi guardava.

Non sembrava più arrabbiata, non sembrava più burbera e scortese… sorrideva, forse per la prima volta, e aveva gli occhi lucidi.

“Ricordo di quando per la prima volta ti trovai, eri così piccola… e adesso guardati... Ti chiedo scusa, Namìvya”.

COSA, COSA, COSA, avevo sentito bene?

“In questi quindici anni ti avrei voluto trattare come una figlia e invece ho sbagliato tutto: non ti ho mai assecondata, non ti ho mai ascoltata, non ho mai adempiuto ai giuramenti che mi ero imposta di mantenere.

E’ tardi ormai per farmi perdonare, ma volevo solo augurarti buona fortuna per la tua nuova vita. So cosa proverai, e non sarà facile…” sembrò per un attimo immersa in lontani ricordi.

“Ma sono certa che ce la farai. Perché tu, Namìvya, tu puoi”.

Eravamo entrambe immobili, ci fissavamo senza cedere, sembrava quasi che il tempo si fosse fermato; poi Taydra si avvicinò e mi poggiò le sue mani possenti sulle spalle: “Ascoltami Namìvya, ascoltami bene e non dimenticare ciò che sto per dirti!” era preoccupata? Era… spaventata?

“Giurami che non ne parlerai mai con nessuno, ti prego!” continuò.

“Va bene, lo giuro!”

“Sappi che potrei essere giustiziata per quest-”

“Non dirò una sola parola ad anima viva” la interruppi.

Lei fece un respiro profondo, poi continuò: “Non è giusto. Niente di tutto questo lo è, niente di tutta questa nostra vita mai lo sarà. Donne inferiori all’uomo? Giammai! Ma per carità, chi potrebbe parlarne… siamo un paese democratico, giusto? Eppure… tanto lo sai.

E so bene che abbiamo lo stesso pensiero, Namìvya.

Molte delle persone che incontrerai ti ripeteranno che non sei niente, come ho fatto io – scusami, scusami ancora! – che non vali, che nessun uomo potrà mai prenderti in sposa, perché le prostitute sono solo uno scarto.

Tu non rispondere a nessuno, ma annuisci e china il capo, o sei finita.

Namìvya, guardami negli occhi, e promettimi che fuggirai appena ne avrai l’occasione”.

Non poteva essere reale, non poteva! Taydra… affettuosa? Taydra spaventata? Taydra che improvvisamente vuole bene a qualcuno?
Sembrava un sogno, forse bello, forse pericoloso.

Perché se davvero tutto ciò che sarebbe presto diventata la mia vita, era così potente da aver fatto inginocchiare lei, anni prima…
Non riuscii a terminare il mio pensiero, l’ansia era tornata, e con essa uno scossone da parte di Taydra.

“Me lo prometti, Namìvya? Mi prometti che non ti volterai mai indietro? Non fidarti di nessuno, e scappa!”

Ricacciai indietro le lacrime e risposi, con voce ferma: “Te lo prometto!”

Mi abbracciò.

Forse per la prima ed ultima volta, conobbi la bontà di quella donna che non mi era più possibile odiare.

Tentai di ricambiare la stretta, ma qualcuno bussò.

Taydra si irrigidì, cambiò totalmente espressione: con un gesto eloquente mi disse dove rimanere, poi andò ad accogliere l’ospite.

Calò il silenzio.

•••

 

Era un uomo adulto, tra i trentacinque e i quarant’anni; di bell’aspetto, dal portamento nobile: sicuramente un politico.

I capelli corvini erano in ordine, la precisione con la quale era agghindato lo rendeva un perfezionista e un maniaco del bell’aspetto, gli occhi azzurri sembravano ghiaccio.

Al suo sguardo mi sentii nuda: scrutò ogni angolo della mia pelle, fece qualche giro intorno a me – che immobile, sembravo una statua in marmo – e alla fine, con un cenno della testa, chiamo Taydra in un’altra stanza.

Appena sparirono dalla mia vista, mi accasciai su uno sgabello malmesso: entro la fine della giornata la mia vita sarebbe tornata l’inferno di prima, oppure peggio.

E cosa potevo fare? Nulla.

Solo star lì, piegata in due dal peso che portavo sulle spalle, a guardare il pavimento grigio di un’antica prigione quasi cara, a me.

 

Sentii delle monete tintinnare nell’altra stanza, qualche passo e scattai in piedi, con un tenue - quanto bugiardo - sorriso sulle labbra.

“Domani alle otto, non aspetterò più di cinque minuti” disse l’uomo uscendo di casa.

Io annuii alle sue spalle, divennero scheletri: cosa ne sarebbe stato di me?

L’indomani alle otto il mio destino sarebbe stato scritto, e nessun altro al posto mio avrebbe potuto cambiarlo.

Lo giuro, Taydra, fuggirò.

 

•••

 

La giornata passò lenta e pesante, il silenzio in casa regnava sovrano e né io, né Taydra, né la gente nelle strade sembrava in vena di parlare.

Non avevo mai fatto caso al silenzio, prima di allora: ero calmo, ma violento.

Sapeva rendere chiunque tranquillo, oppure l’esatto contrario: aveva il potere di uccidere.

Perché nelle piazze, alla domanda “Che qualcuno si faccia avanti, se contrario all’esecuzione”… nessuno aveva mai il coraggio di parlare.

E io? Cosa avrei fatto alla mia stessa condanna a morte?

Perché io sarei fuggita, no?

Avrei rischiato? Ma certo, ero sempre stata coraggiosa.

Giusto? Ero coraggiosa, io?

Si, forse si, forse lo ero davvero. E dopotutto Ishdreg mi aveva promesso che non se ne sarebbe m- … “ISHDREG!”

Urlai, scattando in piedi.

Taydra apparve da fuori, dicendo: “Ma cosa diamine strilli? Smettila, non sei un animale!” e brontolando tornò alle sue faccende.

Non le risposi, presi un mantello e corsi senza pensare ad altro “Torno subito!” dissi, tanto per toglierle dalla faccia quell’espressione acida.

 

Non faceva freddo, eppure l’aria serale quel giorno era diversa: più rigida, ferma. O molto più probabilmente era uguale al solito, cambiava solo il mio stato d’animo (vorrei ben dire!).

Non ricordo molto del tragitto da casa alla botola: correvo senza fermarmi, senza respirare, senza riflettere; quasi non guardavo a terra mentre sfidavo il vento.

Entrai con un salto, continuai a correre lungo la galleria senza neanche una torcia: tastavo le pareti con scarsa attenzione, ormai le conoscevo a memoria.

Sbucai dall’altra parte e lo vidi dormire. Mi avvicinai con circospezione, toccai la sua spalla sinistra piano: lui sobbalzò per lo spavento.

E sapete una cosa? Malgrado tutto… mi fece sorridere.

 

♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦

 

Non sapevo cosa dire.

Quando, tempo prima, mi aveva raccontato del suo ruolo nella società, non avevo creduto neanche per un istante che prima o poi sarebbe stata venduta.

E invece eccola lì, lei e il suo “devo andarmene, ma non credo tornerò mai”, le sue lacrime amare.

Ma io, adesso, cosa posso fare? Mi chiedevo incessantemente.

Perché lo giuro, avrei fatto qualsiasi cosa per vedere di nuovo quel suo sorriso timido, per sentire di nuovo i suoi giudizi sulle istituzioni; avrei addirittura ascoltato mille lezioni sulla Grecia, solo per tenerla ancora un po’ con me.

Mi sentii un egoista, un approfittatore: pensavo a me, alla mia nostalgia, e ancora non dicevo nulla che potesse farla star meglio.

Era in piedi di fronte a me, aspettava una risposta, un cenno.

Cosa avrei potuto dire? Cosa avrei potuto fare?

Mi avvicinai a lei, le presi la mano con tutta la convinzione possibile: “Tu non appassirai”.

Come se stessi parlando a un fiore… parole senza senso, dite? Forse è così.

Ma lei era un fiore, e sarebbe stata pronta a sbocciare… se non fosse stata strappata.

Mi guardò incerta: era gelida, i suoi occhi vuoti, senza espressione.

Lasciai perdere le parole e l’abbracciai. Lei sembrò irrigidirsi, all’inizio, poi si sciolse un po’ e ricambiò la stretta.

Rimanemmo così, nel silenzio piatto ed assordante di una comune sera estiva.

 

•••

 

“Non tutto è perduto, se rifletti, piccolo amico” disse una voce.

Era lei, era tornata! La Dama Bianca!

“Cosa posso fare?” chiesi mentalmente, in attesa di un consiglio: e se in quel momento mi avesse ordinato di gettarmi da una rupe, so quasi per certo che… non avrei rifiutato.

“Pensa, Ishdreg, pensa. Cosa fanno le persone quando incombe un pericolo?”

Riflettei per un attimo: “Scappano? Scappano!”

Ci fu un attimo di assoluto silenzio.

“Buona fortuna Ishdreg, sarò con te in ogni momento del tuo viaggio” concluse dolcemente lei, prima di svanire dalla mia mente.

 

“Potremmo fuggire!” - esclamai districandomi dall’abbraccio e fissandola negli occhi – “potremmo andare verso Sparta, o magari ad Olimpia! Ci sono così tanti posti che dobbiamo ancora vedere… l’altra volta mi hai raccontato di questo evento meraviglioso che stanno organizzando, le Olimpiadi, giusto?

Dai, sarebbe fantastico, e soprattutto n-”

“No, Ishdreg” rispose lapidaria.

Per un attimo rimasi stupito: “Perché no? Preferisci restare c-”

“CERTO CHE NO!” sbottò “ma non posso scappare. Non adesso, almeno. Taydra finirebbe nei guai per colpa mia, e non posso proprio permetterlo.

Non sarebbe giusto. E’ un essere umano anche lei, dopotutto.”

Si sistemò i capelli dietro le orecchie; aveva la treccia completamente sfatta, eppure per la prima volta non sembrava solo una statua senza difetti, senza dettagli fuori posto.

Uno sguardo furbo la illuminò all’improvviso.
La sua espressione mutò dallo sconforto alla determinazione: “Ti ho detto che non posso scappare, giusto? Poi mi sono corretta. Non adesso. Domani potrò, eccome se potrò. Oh, sono un genio, un genio!” cominciò a camminare avanti e indietro, gesticolando come sua abitudine e guardando a terra.

Mi sentii stupido a dire: “Scusa, non ho capito che intendi fare…” ma lei non parve badarci troppo.

Si girò verso di me con le mani giunte, gli occhi spalancati ed un sorriso leggermente inquietante: “Voglio la mia libertà!”

 


 

Angolo dell'autrice.
 
Miei cari ragazzi, fate di me ciò che ritenete più giusto *spalanca le braccia con aria melodrammatica, in attesa della lapidazione imminente*
Scherzi a parte, che ritardo! Non ho scuse, solo l'ispirazione che si era andata a fare un giro.
Questo è il capitolo più lungo, per ora: sto finalmente ingranando la giusta marcia, i prossimi spero miglioreranno sempre di più!
Ma soprattutto, voi che ne pensate? Come vi pare si stia evolvendo la storia? Che succederà?
Dico solo... nah, sto zitta.

Ringrazio di cuore tutte le persone che recensiscono, preferiscono, seguono e ricordano la mia storia: vi mando un abbraccio forte!
Spero di sentirvi presto - ispirazione? Ci sei? - e vi auguro una buona serata,
Durhilwen
   
 
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