5
“Alcune
persone
sono nate per essere regine”
(Merlin,
La
chiamata del Drago, Gwen)
-
Perbacco, se è fredda! – disse
Anna, non appena l’acqua del lago le arrivò alle
caviglie. Si fermò,
rabbrividendo violentemente.
Elsa
si mosse con grazia controllata,
increspando appena la superficie. Ovviamente lei non aveva freddo. Ben
presto
fu immersa fino alla vita, mentre sua sorella sguazzava in un profluvio
di
lamentele ed esclamazioni. Teneva le braccia strette intorno al corpo e
tremava
da capo a piedi.
-
Dobbiamo... dobbiamo r-raggiungere
il riflesso. A-abbiamo t-tempo fino a c-che la l-luna rimane immobile.
– spiegò
Anna, battendo i denti. Si chiese se ce l’avrebbe fatta ad
arrivare al riflesso
della luna o se avrebbe finito col morire di freddo.
-
Anna, stai bene?
-
S-sì, c-certo. V-voglio dire... p-potrebbe
andare m-molto meglio di c-così e v-v-vorrei tanto c-che ci
f-fosse un’altra...
entrata. Non s-sopporto gli elfi e le f-fate. È t-tutta
c-colpa di... Oberon e
del suo f-f-folletto. – In quel momento avrebbe tanto voluto
possedere un
potere come quello di Elsa per essere insensibile al gelo come lo era
lei.
Continuò a camminare, fino a quando l’acqua del
lago non le arrivò al petto.
Alla luce delle stelle scorse le scure sagome di alcuni pesci che si
muovevano
sotto la superficie.
Il
riflesso della luna era sempre là,
immobile. Anna sapeva che di solito non funzionava così. La
luna avrebbe dovuto
ritrarsi a mano a mano che loro si avvicinavano. Ma non succedeva.
Tuttavia non
scorgeva niente che assomigliasse ad un passaggio.
-
Bene. Vado io per prima – disse
Anna.
-
No. Andiamo insieme. – Elsa allungò
una mano verso di lei, mettendogliela sulla spalla e fermandola prima
che
potesse proseguire.
Riecheggiò
nuovamente quell’orribile,
isterica risata. Più lontana stavolta, nel cuore del bosco.
Entrambe si
voltarono di scatto, aspettandosi di scorgere la cosa che era stata
così vicina
a loro mentre camminavano verso il lago.
Non
videro niente. Solo ombre. E la
risata si spense.
Anna
non perse altro tempo e trascinò
Elsa in avanti, verso la luna. Per un istante non accadde nulla. Fu
come se si
trovassero in bilico su un gradino. Il freddo si intensificò
e uno sbuffo
d’aria le colpì in pieno viso.
Poi
qualcosa le tirò verso il basso.
Anna si lasciò sfuggire un grido e si aggrappò ad
Elsa.
Scesero
giù e tutto divenne ovattato.
Per qualche istante intorno non vi fu altro che oscurità.
Oscurità densa,
spaventosa. Sfiorano una massa di ombre informi e vaghe che avrebbero
potuto
essere tutto e nulla. Poi videro una luce verde che si avvicinava
sempre di
più.
Precipitarono
su una superficie
piatta e pavimentata. Erano entrambe bagnate fradice.
-
Anna? – chiese Elsa, aiutandola ad
alzarsi.
-
Tutto bene. Almeno credo. – disse.
In realtà stava tremando e avrebbe tanto voluto essere in un
posto più caldo,
magari a casa sua, ad Arendelle, davanti al fuoco scoppiettante con una
bella
tazza di cioccolata tra le mani. Non sottoterra, con i vestiti zuppi
che
sembravano pesare una tonnellata.
Erano
in una stanza illuminata da una
luce debole, ma calda ed accogliente. Le circondavano pareti di roccia
ricoperte di muschio e sulle quali scorrevano rivoli d’acqua.
C’era anche un
ingresso ad arco, protetto da lunghi tralci verdi che andavano a
formare una
sorta di tenda.
-
Non sembra un brutto posto. Se non
facesse così freddo... certo, fa freddo per me, non per te.
– puntualizzò Anna.
I
capelli biondi di Elsa erano quasi
incolori nei punti in cui le ciocche si erano incollate alla pelle.
Goccioline
d’acqua le solcavano il viso e il collo. La strana luce della
Corte Seelie
giocava con il colore dei suoi occhi, rendendoli più
azzurri.
Anna
batté le palpebre e si affrettò
a distogliere lo sguardo. – Beh, adesso...
Una
figura piccola scosse i viticci
dell’ingresso e piombò nella stanza, borbottando e
rotolando. Le sorelle si
fecero da parte, mentre Puck si rimetteva in piedi, la chioma castana
tutta
arruffata.
-
Il mio cappello... – prese a dire.
Iniziò a girare su se stesso. –
Dov’è il cappello? Dov’è?
L’avete visto?
-
È questo? – chiese Elsa,
porgendogli un berretto rosso.
-
Sì! Proprio questo, grazie! Mio
signore, sono qui. Sono arrivate! – Puck si
schiacciò il cappello sulla testa,
coprendo una delle sue orecchie a punta e lasciando fuori
l’altra.
Una
mano spostò i viticci e Oberon
comparve, sorridente e sereno, come se non aspettasse altro che un
annuncio da
parte del suo folletto. – Mia cara Anna e... Vostro
Splendore. Avevo percepito il vostro potere. Che piacere.
Devo ammettere che non vi aspettavo così presto.
-
E quando ci aspettavate? – chiese
Anna, guardandolo di sottecchi.
-
Non così presto
– ribadì Oberon. I suoi occhi azzurri
scintillavano,
maliziosi. Indossava una camicia verde con le maniche larghe e a
sbuffo, un
paio di pantaloni attillati, in pelle nera e stivali alti fino al
ginocchio. –
Pensavo avreste necessitato di più tempo per riflettere. Ma
sono lieto di
avervi qui, alla Corte Seelie.
-
Quindi possiamo entrare? – domandò
Elsa.
-
Vostro Splendore... voi non avete
bisogno di un invito. Siete una regina, proprio come mia moglie.
-
Non entro senza mia sorella –
precisò, quasi ce ne fosse bisogno.
-
Non avevo dubbi a riguardo, Vostro
Splendore. Come vi stavo dicendo un attimo fa, vi aspettavo. Entrambe.
Naturalmente anche Anna può entrare. Se non vi stessi
aspettando non vi avrei
nemmeno permesso di trovare l’ingresso attraverso il riflesso
della luna. Vogliamo
andare? Puck, hai perso anche una scarpa oltre al cappello. –
Oberon voltò le
spalle e si diresse verso l’ingresso ad arco, mentre Puck
raccoglieva la scarpa
perduta. Erano scarpe rosse con la punta arricciata. Gli conferivano
un’aria
ancora più ridicola.
Anna,
dal canto suo, era già stufa di
tutti quei Vostro Splendore.
Le
due sorelle seguirono il re degli
elfi al di là dei viticci. Si inoltrarono in un breve
corridoio, dove l’aria
era più luminosa e densa di profumi. Qualcuno, forse un elfo
oppure una fata,
pizzicava le corde di un’arpa, spandendo una musica dolce.
-
Ricordate: fate le domande giuste,
altrimenti non avrete le risposte che cercate – disse Oberon
all’improvviso,
mentre il corridoio terminava, aprendosi su una sala grande, sorretta
da
possenti colonne di marmo alle quali erano avviluppati tralci di fiori
colorati.
-
Che cosa? – chiese Anna.
-
Le fate non possono mentire. Certo,
le eccezioni esistono sempre, ma Titania non è
un’eccezione. Non sa mentire, ma
se non ponete le domande giuste non vi risponderà. O meglio,
vi risponderà, ma
non come volete voi.
Tutto
intorno a loro era luminoso e
verdeggiante. E nell’aria danzavano una miriade di luci
bianche, gialle,
azzurre, blu e scarlatte. Seguivano il ritmo della musica e...
tintinnavano
come campanelle.
In
realtà le luci erano fate. Fate che
vagavano per la corte. I tintinnii erano le loro risate. Quando una
passò
davanti al suo viso, Elsa vide le piccole ali trasparenti che
sbattevano,
vivaci. Alcune svolazzarono intorno alla testa di Puck, gli rubarono il
cappello, che lui cercò di riprendersi tra mille
imprecazioni e gesticolando
furiosamente, e poi lo lasciarono cadere. Puck lo prese al volo.
-
Bentornato, mio signore. Bentornato.
– disse una voce sopra di loro. – E benvenute
vicine!
Appeso
ad una liana che pendeva dal
soffitto c’era un essere dalle fattezze umane, ma piccolo e
tozzo, senza
capelli, con la pelle scura e un gran sorrisone stampato in faccia.
-
Non sono tue vicine. Vengono da un
regno lontano. – comunicò Oberon, passando oltre.
L’essere
si aggrappò alla colonna e
si arrampicò fino in cima.
-
Che cos’è? – domandò Anna.
-
Lui e quelli della sua specie si
chiamano Brownies. Sono simili agli esseri umani, ma hanno un
po’ di sangue
elfico.
-
Ma solo un po’, mio signore. Sono
esserini antipatici. – aggiunse Puck.
-
Così come tu sai essere uno
spiritello malefico! – lo punzecchiò il Brownie,
con una vocetta acuta.
-
E parlano troppo – continuò il
folletto.
-
Loro parlano troppo mentre tu
combini troppi pasticci. – gli ricordò Oberon.
Elsa
ed Anna vennero condotte dinanzi
ad una massiccia porta di legno, sulle quale crescevano altri fiori e
foglie.
La serratura scattò e il chiavistello si spostò
senza che nessuno toccasse
niente.
-
Puck, rimani fuori – ordinò Oberon.
-
Oh, mio signore! Non lasciatemi
qui. È così noioso aspettare fuori!
-
Non lamentarti. Ti ricordo che è
colpa tua se le signore sono state costrette a venire fino a qui.
-
Mio signore, lo so! Ma io volevo
soltanto aiutare.
-
Ed io ti avevo raccomandato di
starmi vicino e non combinare guai. Quindi ora rimani fuori. Tanto so
che per
te non è un problema: cercherai di origliare. –
Oberon oltrepassò le porte e le
sorelle lo seguirono. Esse si richiusero subito dietro di loro.
I
servitori presenti levarono le
tende non appena il sovrano delle fate condusse Elsa ed Anna al centro
del
salone. Erano tutti elfi o fate, ma c’era anche qualche altro
Brownie.
I
troni su cui sedevano lui e Titania
erano in legno di quercia, ricoperti di fiori. Avevano radici che
affondavano
nel terreno levigato, come alberi.
-
Mia moglie ci farà attendere ancora
un po’, a quanto sembra – disse Oberon, gettandosi
i capelli scuri dietro le
spalle. – Intanto vi ho fatto preparare qualcosa da mangiare.
Volete favorire?
Sarete sicuramente affamate.
Una
giovane fata bionda, vestita di azzurro,
apparve accanto ad Anna preceduta da un sfavillio. Reggeva un vassoio
con un
buon numero di leccornie e due tazze piene di uno strano liquido
rossastro.
-
No, grazie. – disse Elsa. – Non
vogliamo mangiare.
I
profumi e la musica della Corte
Seelie l’avevano inebriata a tal punto, che per qualche
istante Anna si era
completamente dimenticata dell’avvertimento di Gran
Papà e della regina delle
Amazzoni.
-
No? Davvero non ne volete? Pensavo
vi piacessero queste cose. – disse Oberon. E sembrava
sinceramente sorpreso.
Anna
gettò un’altra occhiata a ciò
che c’era sul vassoio. Proprio quello che temeva: un piatto
di sandwitches,
palline di cioccolato identiche a quelle che Puck si era mangiato senza
troppi
complimenti al suo matrimonio, frutta, dolci alla crema e quella
bevanda non
meglio identificata.
Deglutì
a fatica. Era anche peggio di
ciò che si immaginava. Resistere, quando ci si trovava alla
Corte Seelie, era
veramente difficile. Gli odori erano più intensi.
Le
venne l’acquolina in bocca.
-
Anna, guardami. – le disse Elsa,
afferrandola saldamente per il polso.
Lei
si voltò di scatto verso la
sorella, incrociandone lo sguardo ansioso, ma risoluto.
-
Oh! Già, giusto – si affrettò a
rispondere, cercando di scrollarsi di dosso quelle sensazioni.
– Non... non
abbiamo fame. Voglio dire, è tutto buonissimo, io adoro i
sandwitches e anche
quei... dolci al cioccolato. Ma sto bene così.
Sì, non potrei stare meglio!
Oberon
sorrise. – Beh, che peccato.
-
Sappiamo cosa potrebbe succederci
se li mangiamo, sapete? – continuò Anna,
stringendo di più la mano di Elsa. –
Ce l’hanno detto. Rimarremmo intrappolate qui per sempre.
-
Ah! Immaginavo che vi avessero
avvertito, ma io sono un elfo cortese. Soprattutto se si tratta di
ospiti
importanti come voi.
-
Un elfo cortese? Offrite del cibo
sapendo bene che se lo mangiassimo non potremmo lasciare la Corte!
– esclamò
Elsa.
-
Io non costringo nessuno a mangiare
ciò che offro. È solo cortesia, come vi ho detto.
Sono abituato a far sentire a
loro agio gli invitati. Certo, molti sono persone accorte e non cedono
alle... tentazioni.
– Oberon fece un cenno alla fata, che se ne andò
senza dire una parola. – Altri
lo fanno e devono rimanere qui. Ma ‘per sempre’ non
è esatto. Non sarebbe per
sempre. Solo per un po’. Fino a quando non sono disposti a
dare qualcosa in
cambio a Titania.
-
Questo mi ricorda un uomo che ho
incontrato molto tempo fa. Un uomo... con dei brutti problemi alla
pelle. –
disse Anna. – Si chiamava...
-
Tremotino – lo interruppe Oberon,
roteando gli occhi. – Lo conosco benissimo, mia dolce Anna.
Tutti conoscono
l’Oscuro, del resto. Ringraziamo che la maledizione ce
l’abbia portato via... beh,
a voler essere precisi era tornato, ma qualcuno l’ha chiuso
in gabbia e l’ha
reso incapace di nuocere a chicchessia.
-
Chiuso in gabbia?
-
Oh, Anna, è una storia abbastanza
lunga. E comunque, è tutto finito.
-
Dove sono i nostri ricordi? –
domandò Elsa, facendo un passo avanti.
-
Calma, Vostro Splendore. Eccoli,
sono qui. – Oberon chiuse la mano a pugno e, quando la
riaprì, sul palmo teneva
due pietre viola, identiche a quelle in cui Ingrid aveva racchiuso
alcuni
ricordi di Elsa e di Emma.
-
Sono lì dentro? – chiese Anna.
-
Li ho conservati con cura. Me ne
rammarico. Volevo rimediare al disastro che aveva combinato quel
maledetto
folletto. Pensavo di farvi un favore.
Elsa
fissò le pietre. Per un attimo,
il suo cuore tremò al solo pensiero di ciò che
potevano contenere. Era già
abbastanza difficile gestire quei sentimenti inspiegabili che
provavano...
-
Ma forse ho peggiorato la
situazione. – concluse Oberon.
In
quel momento una nuova luce più
intensa delle altre entrò nel salone. Era una luce bianca e
quasi accecante,
che procedette verso l’alto e poi scese in picchiata su
Oberon, ronzandogli
intorno al capo e infastidendolo. Il sovrano agitò una mano
come se stesse
scacciando una mosca. La fata che si muoveva in quella luce
evitò gli schiaffi
e si diresse rapidamente verso uno dei due troni, quello di destra. La
luce si
espanse, quasi fosse sul punto di esplodere e la fata assunse la forma
umana,
adagiandosi elegantemente sul trono a lei riservato.
-
Titania! Finalmente ci hai degnati
della tua presenza. Ti davamo per dispersa. –
asserì Oberon, sedendosi sul
trono accanto a lei.
-
Ti piacerebbe! – rispose la regina
delle fate. – Spero che tu non abbia cominciato senza di me.
-
Stavo appunto dicendo alle nostre
ospiti che i loro ricordi sono al sicuro. In realtà mi stavo
anche scusando.
Titania
osservò le due sorelle con un
certo interesse.
Elsa
si ritrovò a pensare che gli
occhi della sovrana fossero gli occhi dei veggenti. Gli occhi di chi
aveva vissuto
talmente a lungo da possedere, ormai, il potere di vedere qualsiasi
cosa. Erano
occhi grandi e di un verde molto chiaro, un verde che possedeva
sfumature
azzurrate. La pelle altrettanto chiara sembrava sottile come carta,
come quella
di Oberon ed era in netto contrasto con i capelli neri e ondulati
sistemati su
una spalla e con le labbra rosse. Indossava un abito violetto con una
sopravveste azzurra. Le maniche trasparenti erano strette,
all’altezza dei
gomiti, da due grossi bracciali.
-
Fai bene a scusarti, considerando
che è colpa tua. – continuò la regina.
– Non sai nemmeno tenere a bada un
maledetto folletto.
-
Colpa mia? Ti devo ricordare che è
stata tua l’idea di affidarmi quel folletto.
-
Io avevo una riunione importante
con altre fate, non potevo permettere che Puck rovinasse tutto con una
delle
sue trovate.
-
Certo, quindi hai pensato bene di
scaricarmelo! Che idea geniale, mia adorata
Titania.
Titania
si girò lentamente verso
Oberon. - Sicuramente più geniale della tua idea di versarmi
il succo magico
sugli occhi per farmi invaghire di un somaro.
-
Ancora con questa storia! Era
soltanto uno scherzo. Non sarebbe successo niente se fossi stata
più
ragionevole.
-
Io ragionevole? Ti avevo detto di
stare alla larga da quel paggio, perché era il figlio di
un’amica e avevo
promesso di proteggerlo.
-
Volevo solo farne un guerriero, un
combattente. Del resto era un elfo, proprio come me. Non un semplice
paggio di
corte!
-
Un mezzelfo. Forse saresti dovuto
essere tu quello ragionevole. Invece no, hai dovuto prendere iniziative
avventate solo per un capriccio.
-
Capriccio? Lo chiami capriccio? I
capricci li lascio a te, mia cara.
Titania
gli rivolse un sorriso
sarcastico. - Io proteggevo il figlio di un’amica. Questo
è tutto fuorché un
capriccio. Mentre il tuo... non ero a conoscenza della tua predilezione
per i
paggi giovani. Buona a sapersi. Lo terrò presente, nel caso
decidessi di usare
un po’ di quel succo mentre dormi.
-
Titania, vergogna! Come osi
insinuare, in presenza delle nostre ospiti per giunta, che io volessi
approfittarmi in quel modo del tuo
paggio!
-
Non ho bisogno di insinuare niente.
Credo che le nostre ospiti sappiano già con chi hanno a che
fare.
Anna
ed Elsa si chiedevano quanto
sarebbero andati avanti con quel battibecco.
-
I loro ricordi, Oberon. – disse
Titania. – Fammi vedere che cos’hai portato via
loro.
Le
pietre comparvero nella mano della
regina prima che avesse finito di parlare. Oberon scosse il capo,
seccato. Titania
toccò le pietre magiche con la punta delle dita e, per
qualche momento, il suo
sguardo si perse nel vuoto.
-
Ehi, aspettate un secondo... quelli
sono i nostri ricordi! – esclamò Anna. Ma
naturalmente la regina delle fate non
la stava nemmeno ascoltando.
-
È così divertente – disse Titania,
sorridendo, quando ebbe finito di sbirciare. – Comprendo, in
parte, perché mio
marito abbia deciso di cancellare queste cose dalla vostra mente. Ma
d’altra
parte non avrebbe dovuto farlo senza il vostro permesso.
-
Ecco che mi contraddice di nuovo.
Lo fa apposta! – intervenne Oberon.
-
Perché non prendi i ricordi della
principessa, mia caro marito, e non esci da questa sala? Lasciami sola
con la
regina Elsa. – Una delle due pietre tornò sul
palmo della mano di Oberon.
Titania si alzò.
-
Aspettate... che? – Anna non capiva
che cosa stesse succedendo. - Sola con mia sorella? Non se ne parla,
non vedo
perché dobbiate restare da sola con mia sorella. Io non ho
intenzione di
andarmene.
-
Invece lo farete.
-
Non... non me ne vado. Dovrete
trascinarmi.
-
Oberon, dammi una mano.
Oberon
si spostò così velocemente che
Anna nemmeno lo vide. Il re delle fate l’afferrò e
se la caricò in spalla.
-
Che cosa state facendo?! Lasciatemi
subito! – gridò Anna, dimenandosi e scalciando.
-
No! Che cosa volete fare? – domandò
Elsa, tendendo le mani verso la sorella.
-
Vi devo comunicare, Elsa, che i
vostri eccezionali poteri sono stati inibiti nel momento in cui avete
messo
piede nella mia Corte. – la informò Titania.
– Quindi non sforzatevi troppo.
Non che mi dispiacerebbe vedere Oberon trasformato in una statua di
ghiaccio...
deve essere uno spettacolo interessante.
Oberon
non rispose, ma levò gli occhi
al cielo, mentre trasportava Anna fuori dalla sala. Lei continuava a
prendere a
pugni la schiena dell’elfo, ma senza successo. Rivolse
un’occhiata preoccupata ad
Elsa.
-
Nessuno farà del male alla vostra amata
sorella. – la rassicurò Titania. –
Tranquillizzatevi.
Le
porte si chiusero tra le mille
proteste di Anna. Elsa udì anche Puck che berciava qualcosa.
-
Quel folletto meriterebbe una
lezione – commentò la regina delle fate,
voltandole le spalle. Giocherellò con
la pietra che conteneva i suoi ricordi. – Oberon non ha
voluto dirmi che cos’ha
visto quella sera, al matrimonio di Anna. Ha detto che
l’avrei scoperto presto,
perché sareste venute a cercare le vostre memorie perdute.
Lui era convinto che
ci avreste messo un po’ di tempo... ma a quanto pare su
questo avevo ragione
io.
Elsa
non rispose.
-
Una polvere elfica che toglie ogni
inibizione... sempre meglio che il succo del fiore vermiglio di Cupido.
–
asserì Titania, inarcando le sopracciglia.
Inclinò la testa di lato. Adesso
tutta la sua attenzione era rivolta ad Elsa. – Vorresti non
sentire più quello
che senti, vero?
-
Io... vorrei solo riavere i miei ricordi.
– disse Elsa, evitando di guardare Titania direttamente negli
occhi.
-
Risposte. Ecco quello che desideri.
Non solo i tuoi ricordi. Gli esseri umani sono sempre alla ricerca di
risposte.
– Titania fece il gesto di porgerle la pietra e, mentre Elsa
allungava una mano
per prenderla, da essa scaturì un fascio di luce magica.
I
ricordi la travolsero come una
marea.
Anna
rimase immobile per un istante, poi si liberò dei guanti
bianchi, gettandoli
via, le allacciò le braccia intorno alle spalle e premette
il viso contro il
suo collo. Chiuse gli occhi per escludere il mondo con le sue sfumature
troppo
accese, per escludere la luce al di là delle finestre, lo
scintillio del cielo,
il chiacchiericcio distante. Respirò l’odore di
Elsa, sentendo il battito del
suo cuore contro il proprio.
“Anna.”,
ripeté lei.
La
sorella levò lo sguardo per incontrare il suo. E... oh, i
suoi occhi erano
splendidi. Anna era splendida. Così bella e pura ed
innocente. Così
desiderabile che Elsa si chiese come avesse fatto a resisterle fino a
quel
momento.
La
regina di Arendelle sollevò una mano e cominciò a
toglierle le forcine dai
capelli, lasciando che le ciocche ricadessero sulle spalle scoperte.
“Volevo
farlo quando ti ho vista in abito da sposa... e anche dopo. Non sono
più riuscita
a smettere di guardarti...” Le parole uscivano dalla bocca di
Elsa senza alcun
freno. Se faceva una pausa tra una frase e l’altra era solo
perché aveva il
respiro corto, affannato. “Ma lo sai già,
vero?”
“So...
che?”
Elsa
la baciò. L’aveva già baciata, ma
sempre con molta attenzione, in modo incerto,
prudente, come se temesse di farle del male.
Questo
bacio era diverso. Era ansioso ed era profondo. E Anna le rispose con
la stessa
intensità, aggrappandosi di più a lei, gemendo
contro la sua bocca quando Elsa
si staccò per riprendere fiato.
“Se
volevi farlo da quando mi hai vista in abito da sposa... allora non
smettere”,
le disse Anna, con il respiro affannato e le labbra vicine alle sue.
Elsa
le affondò una mano nei capelli e ricominciò a
baciarla. Improvvisamente non
contava più il fatto che fossero sorelle, che quello fosse
il matrimonio di
Anna, che qualcuno avrebbe potuto venire a cercarle e quindi scoprirle.
Non
contava più niente.
“Non
sopportavo più... tutto quei ‘Vostro
Splendore’, ‘Vostra Magnificenza’. Chi
pensa... chi si crede di essere?” Anna parlava in modo
strano, come se avesse
bevuto troppo, interrotta dai baci di Elsa.
“Ssh”,
le disse sua sorella, mettendole una mano sulla bocca. “Non
parlare”
Anna
disse qualcos’altro, ma si perse sulle labbra di Elsa, che le
scostò le ribelli
ciocche rosse per baciarle il collo e le spalle scoperte. Anna la
tirò di più
verso di sé, come se non fossero già abbastanza
vicine e, nel farlo, perse
l’equilibrio, trascinandola sul prato. Elsa cadde sopra di
lei, ma non smise di
baciarla. Presa dalla foga, Anna le morse il labbro superiore e glielo
succhiò
più volte. Le sue mani si mossero senza controllo e
cercarono di slacciare il
vestito di Elsa. La sorella continuava a ripetere il suo nome, come se
non
potesse farne a meno e ad Anna piaceva il modo in cui lo pronunciava,
sfiorandole l’orecchio con la bocca, il fiato corto.
Dicendolo come se non
esistesse nient’altro al mondo che desiderasse di
più.
Lontano,
molto lontano, una portafinestra si aprì. Rumore di passi.
“Hai
sentito qualcosa?”, chiese Elsa, sollevando la testa.
“Non
me ne importa niente”, rispose Anna, appoggiandole una mano
sulla nuca e
costringendola a concentrarsi ancora su di lei.
I
passi si avvicinarono.
“Ecco,
Puck, folletto malefico! È tutta colpa tua. Guarda
cos’hai fatto!”. La voce di
Oberon sembrava stridere con tutto il resto. Era una voce arrabbiata.
Elsa
si separò di scatto dalla sorella. Non riuscì ad
alzarsi in piedi perché le
cedettero le ginocchia e finì di nuovo sul prato.
“Adesso
mi tocca usare la magia elfica! Ah, ma questa me la paghi”.
“Mio
signore, non vedo proprio la fonte del problema, perdonatemi. Io volevo
solo
aiutare”.
“Tu
volevi aiutare! Volevi combinare pasticci, come al solito, non aiutare!
Ora
togliti dai piedi e lascia che mi occupi di... di... di
questo”.
Anna
riemerse dal mare di ricordi,
inspirando una boccata d’aria, come se fosse rimasta troppo
tempo sott’acqua e
fosse sul punto di soffocare.
Oberon
sedeva di fronte a lei, con i
gomiti appoggiati alle ginocchia e la pietra magica che, ormai, non era
che un
innocuo sasso senza valore. La gettò via. Puck, che sedeva
in un angolo, la
prese al volo e iniziò a giocherellarci.
-
Io... non... voi... – farfugliò
Anna, cercando di raccapezzarsi.
-
Sono i vostri ricordi, mia cara
Anna. Non era ciò che desideravate? –
domandò il re elfico, sorridendo,
divertito.
-
I ricordi che mi avete rubato! E mi
avete anche... anche... rubato mia sorella. Mi avete portata via,
caricandomi
in spalla come se fossi un... sacco di patate!
-
Oh, siete assai più leggera di un
sacco di patate. E nessuno vi ha rubato vostra sorella. Titania
è una fata che
trova interessanti le persone come Elsa. Non posso dire che trovi
interessante
anche voi, mi dispiace molto.
-
Voglio andare da Elsa!
-
Non siate impaziente, Titania non
avrà ancora finito.
-
Di fare cosa?
-
Qualsiasi cosa abbia in mente di
fare. Non preoccupatevi. Vostra sorella uscirà sulle sue
gambe da quella sala. Titania
sa essere assai dura con i suoi nemici. Ma voi non siete sue nemiche.
– Oberon
si alzò in piedi. L’aveva condotta in
un’altra parte della Corte Seelie, un
piccolo giardino sotterraneo pieno di piante coperte di fiori, con una
cascatella che sgorgava da un punto sopraelevato di una parete di
roccia,
formando un laghetto dove galleggiavano le ninfee. – Spero
che il posto vi
piaccia. È un luogo tranquillo, non trovate?
-
Non mi interessa quanto è
tranquillo questo posto. Sì, lo è, ma io voglio
vedere Elsa. Non potete
trattarmi così. E sono sicura che sapete che
cos’ha in mente di fare vostra
moglie. Immagino che siate sposati da molto tempo, non potete non
saperlo!
-
Duecento anni. Quindi sì, è molto
tempo. Ma vi assicuro che la mente di Titania, a volte, è
ancora un mistero per
me. Però so che non ucciderebbe mai senza un motivo valido.
Questo
le ricordò Ippolita, la regina
delle Amazzoni. E lo scheletro nella gabbia.
-
E comunque avete mai pensato di
contare le volte in cui pronunciate il nome di vostra sorella o vi
riferite a
lei?
-
Contare?
-
Contare, sì. Ma torniamo ai vostri
ricordi, mia dolce Anna. Ora capite perché ve li ho portati
via? Sono
rammaricato, credetemi, ma sulle prime ho pensato che fosse la cosa
più giusta
da fare. – Oberon non le aveva concesso il tempo per
replicare. – Pensavo
che... fosse più saggio dimenticare. Un rapporto come il
vostro... nessuno lo
comprenderebbe. Scommetto che non lo comprendete nemmeno voi. Siete
sorelle. Lo
stesso sangue. La stessa madre e lo stesso padre.
-
Non c’è bisogno che me lo
ricordiate! Lo so già. – La mente di Anna
continuava a vagare dietro ai quei
ricordi che aveva appena recuperato. La sconvolgeva la sola idea di
dove
sarebbero potute arrivare se Oberon non le avesse trovate. Eppure il
ricordo
era incredibilmente dolce e intenso, le metteva i brividi. –
E in ogni caso non
potete tenermi qui. Non è giusto.
-
Davvero non vi piace la Corte
Seelie, Anna?
-
Beh... non ho detto che non mi
piace, ho solo detto che... che non potete tenermi qui mentre mia
sorella deve
vedersela da sola con Titania. – In realtà trovava
che la Corte Seelie avesse
un certo fascino. Potere, soprattutto. I profumi e
l’atmosfera fatata le
annebbiavano un po’ la mente.
Oberon
si sedette di nuovo. – Ho
qualcosa da dirvi, mia cara. Qualcosa da chiedervi, a dire il vero.
-
E che cosa sarebbe? – Anna lo
guardò di sottecchi, guardinga. –
L’ultima volta che ho firmato un accordo,
l’ho firmato con Tremotino e non è stato affatto
divertente.
-
So di cosa parlate. Anche mia
moglie si è fatta aiutare da Tremotino, in passato. E...
-
Che? Vostra moglie? Perché?
-
Niente di importante, Anna. Un piccolo
aiuto. È tutto a posto. Ci è andata ben peggio
con Magnus e Amadan.
-
Chi sono Magnus e Amadan?
-
Non ne sapete niente? Non avete mai
sentito parlare di re Magnus? Nella biblioteca della vostra famiglia
non c’è
proprio nulla...?
-
Ho letto tutto quello che c’è là
dentro e vi assicuro che non ho mai sentito parlare di... personaggi
simili.
-
Che peccato. Neanche in certe
pergamene in futhark antico?
Anna
sbatté le palpebre.
“Mi
hanno portato queste. Non ho idea di cosa dicano, esattamente, ma la
lingua è
la stessa del messaggio riportato... sull’urna”.
“E
cos’hai capito? Fino ad ora,
intendo”.
“Quasi
niente. Solo alcune parole”.
-
Aspettate... che? Le pergamene che Elsa stava cercando di tradurre... quelle pergamene...
-
Sì, proprio quelle. Quando riuscirete a venirne a capo, vi
renderete conto che
è di me e di Titania che parlano. Nonché dei
nostri nemici, Magnus, il re che
mi ha preceduto, e suo figlio Amadan. Due intriganti manipolatori...
non vi sarebbe
piaciuto conoscerli. Abbiamo avuto un sacco di problemi a causa loro.
-
Avete letto le pergamene?!
-
Conosco molte lingue, mia dolce Anna. Compreso il futhark antico. Avrei
voluto
parlarne con la regina Elsa, ma non ne ho avuto il tempo.
-
Futhark! Anch’io lo conosco, mio signore! –
intervenne Puck, rimasto in
silenzio fino a quel momento.
-
Lo so bene, folletto dei miei stivali. Te l’ho insegnato io!
Quindi,
oltre ad essersi intrufolato
al suo matrimonio senza essere invitato con un folletto che aveva
combinato un
disastro e oltre ad aver passato buona parte del tempo a fare gli occhi
dolci a
sua sorella, si era anche permesso di sbirciare nelle altre stanze del
palazzo,
fino a trovare le pergamene che Elsa stava cercando di tradurre.
Avrebbe tanto
voluto acchiapparlo e dargli una lezione!
-
Ora veniamo al dunque. Come vi ho
detto, c’è qualcosa che voglio chiedervi. E mi
auguro che vi piaccia.
***
Elsa
era riemersa dalle memorie che
Titania le aveva ridato con la sensazione di aver vissuto per la
seconda volta
tutto ciò che era accaduto con Anna quella sera. Aveva
l’impressione che sulle
labbra le fosse rimasto il sapore della sua bocca, di quei baci
così caldi e
profondi... e sulla pelle la sensazione pressante delle sue carezze.
“Volevo
farlo quando ti ho vista in abito da sposa... e anche dopo. Non sono
più riuscita
a smettere di guardarti...”
“Se
volevi farlo da quando mi hai visto in abito da sposa... allora non
smettere”.
Elsa
chiuse gli occhi, serrando le
palpebre e inspirando profondamente. Quando li riaprì,
Titania la stava
fissando.
-
È tipico degli essere umani
desiderare qualcosa che non è possibile avere. –
commentò la regina delle fate,
muovendosi con grazia verso di lei. – Anche di certe fate,
certo. Del resto,
nella nostra specie ci sono eccezioni. Poche, ma ce ne sono.
-
Io... so benissimo che è sbagliato.
-
Ma è quello che volete. E vi piace.
-
Ciò non significa che sia giusto.
-
Forse no. Le cose che si amano non
sempre sono giuste. – Titania prese a girarle intorno.
Elsa
avvertiva la forza di quello
sguardo su di sé. Le sembrava che tutto tendesse verso la
sovrana della Corte
Seelie, come se fosse stata lei a creare quel luogo perché
fosse un riflesso
della sua bellezza e del suo potere. Come se non fosse stata la Corte a
dare la
vita a Titania, ma l’esatto contrario.
-
Voi... cosa sapete dell’amore?
Siete una fata – disse Elsa, colmando il silenzio che si era
venuto a creare.
-
Il fatto che io non possa
innamorarmi non mi impedisce di riconoscere l’amore, se lo
vedo. – le rispose
prontamente Titania. – E onestamente sono viva da parecchio
tempo, se non
l’avete ancora capito. Da molto più tempo di voi.
Ho vissuto anche in mezzo
agli uomini. Quindi conosco i sentimenti.
Elsa
tacque.
-
E voi, invece, che cosa ne sapete
dell’amore? L’avevate mai conosciuto, prima
d’ora? E parlo del vero amore.
Dell’amore carnale. Avete mai desiderato qualcuno come
desiderate Anna?
“Avete
mai desiderato qualcuno come desiderate Anna?”
-
No.
-
No, certo. Siete vissuta in
isolamento per anni. Come potete averlo conosciuto?
-
Come sapete che...?
-
Io so molte cose. Ve l’ho detto,
sono viva da molto tempo. E alle orecchie delle fate giungono sempre un
sacco
di storie interessanti.
“Avete
mai desiderato qualcuno come desiderate Anna?”
Titania
le si parò dinanzi. Era più
bassa di Elsa, eppure, al tempo stesso, appariva più
imponente. – Oberon era
convinto che dimenticando avreste risolto i vostri problemi. Ha
annullato
l’effetto della polvere elfica e vi ha cancellato i ricordi
perché sapeva che
eravate ad un passo da quella linea di confine che due persone come voi
non
dovrebbero mai superare. Non che non vi siate già spinte
oltre, ma quella sera,
se mio marito non vi avesse trovate...
Elsa
non commentò. Sentì che il
sangue le affluiva alle guance, impetuoso. Il suo cuore batteva un
po’ più
veloce del normale.
-
Vorresti non provare quello che
provi, vero? – disse Titania, ripetendo la domanda che le
aveva già fatto. –
Vorresti... che fosse tutto più semplice. Una parte di te
vorrebbe non aver mai
imboccato questa strada, perché adesso è
difficile tornare indietro.
Elsa
continuò a restare in silenzio.
Non era sicura di poter controllare la propria voce se avesse parlato.
Era
furiosa con la regina della Corte Seelie perché
l’aveva separata da sua
sorella. Era preoccupata per Anna. Ed era spaventata. Spaventata
perché non
sapeva che cosa le aspettava e spaventata dalle parole e dagli occhi di
quella
fata.
-
Dimenticare non è la soluzione. Non
serve a niente. Voi avete dimenticato grazie ad un incantesimo, ma
avete
continuato a ripensarci e a tormentarvi. Cosa che vi ha spinte in
questo luogo.
Il segreto... non è nella mente.
-
Non lo posso dimenticare. – riuscì
a dire Elsa, con la voce ridotta a un sussurro. – Come posso
dimenticare
qualcosa di... qualcosa di simile? Anche se è sbagliato...
non saprei come
fare.
Titania
sembrò annoiata da questa
considerazione.
“Avete
mai desiderato qualcuno come desiderate Anna?”
“Se
volevi farlo da quando mi hai vista in abito da sposa... non
smettere”.
La
regina delle fate le sorrise,
angelica.
E
prima che Elsa potesse anche solo
rendersi conto di ciò che stava succedendo, lei
affondò una mano nel suo petto
e le strappò il cuore.
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Angolo
autrice:
Buonasera
e rieccomi.
Anche
questo capitolo necessita di
qualche spiegazione.
Dunque,
come avrete capitolo, la
citazione all’inizio viene da Merlin, precisamente
è una battuta di Gwen e, in
questo caso, si riferisce soprattutto alla regina Titania, ma anche ad
Elsa.
Anna
ed Elsa entrano nella Corte
Seelie così come ci sono entrati Clary, Jace e gli altri
personaggi di Shadowhunters – The
Mortal Instruments, ovvero
attraverso il riflesso della luna.
I
riferimenti a Re Magnus e suo
figlio Amadan vengono direttamente da The
Books of Magic, una miniserie a fumetti in lingua inglese
scritta da Neal
Gaiman.