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Autore: Stephanie86    23/01/2015    4 recensioni
[Post!4x11 | Elsanna | Incest | Crossover]
Elsa ed Anna sono tornate a casa. Le loro vite sembrano essere tornate alla normalità.
Ma c'è qualcosa, fra loro. Le sorelle lo sanno e anche se fanno di tutto per ignorare quei sentimenti, essi emergono e le spingono verso una linea di confine che due sorelle non dovrebbero mai superare.
E cosa accade quando il sovrano delle fate, Oberon, si presenta al matrimonio di Anna, accompagnato dal suo dispettoso folletto, Puck? Le cose possono solo farsi più complicate.
Nuove avventure attendono Elsa ed Anna.
_______________________________
Stavano l’una di fronte all’altra, adesso. Il fiato di Elsa le agitava leggermente una ciocca di capelli.
- Non permetterò più a nessuno di separarci. E non andrai più in nessun luogo in cui io non possa raggiungerti – continuò Elsa.
- Questo suona tanto come un 'finché morte non ci separi' – disse, quasi senza riflettere.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Anna, Elsa, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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5

 

 

 

“Alcune persone sono nate per essere regine”

(Merlin, La chiamata del Drago, Gwen)

 

 

 

- Perbacco, se è fredda! – disse Anna, non appena l’acqua del lago le arrivò alle caviglie. Si fermò, rabbrividendo violentemente.

Elsa si mosse con grazia controllata, increspando appena la superficie. Ovviamente lei non aveva freddo. Ben presto fu immersa fino alla vita, mentre sua sorella sguazzava in un profluvio di lamentele ed esclamazioni. Teneva le braccia strette intorno al corpo e tremava da capo a piedi.

- Dobbiamo... dobbiamo r-raggiungere il riflesso. A-abbiamo t-tempo fino a c-che la l-luna rimane immobile. – spiegò Anna, battendo i denti. Si chiese se ce l’avrebbe fatta ad arrivare al riflesso della luna o se avrebbe finito col morire di freddo.

- Anna, stai bene?

- S-sì, c-certo. V-voglio dire... p-potrebbe andare m-molto meglio di c-così e v-v-vorrei tanto c-che ci f-fosse un’altra... entrata. Non s-sopporto gli elfi e le f-fate. È t-tutta c-colpa di... Oberon e del suo f-f-folletto. – In quel momento avrebbe tanto voluto possedere un potere come quello di Elsa per essere insensibile al gelo come lo era lei. Continuò a camminare, fino a quando l’acqua del lago non le arrivò al petto. Alla luce delle stelle scorse le scure sagome di alcuni pesci che si muovevano sotto la superficie.

Il riflesso della luna era sempre là, immobile. Anna sapeva che di solito non funzionava così. La luna avrebbe dovuto ritrarsi a mano a mano che loro si avvicinavano. Ma non succedeva. Tuttavia non scorgeva niente che assomigliasse ad un passaggio.

- Bene. Vado io per prima – disse Anna.

- No. Andiamo insieme. – Elsa allungò una mano verso di lei, mettendogliela sulla spalla e fermandola prima che potesse proseguire.

Riecheggiò nuovamente quell’orribile, isterica risata. Più lontana stavolta, nel cuore del bosco. Entrambe si voltarono di scatto, aspettandosi di scorgere la cosa che era stata così vicina a loro mentre camminavano verso il lago.

Non videro niente. Solo ombre. E la risata si spense.

Anna non perse altro tempo e trascinò Elsa in avanti, verso la luna. Per un istante non accadde nulla. Fu come se si trovassero in bilico su un gradino. Il freddo si intensificò e uno sbuffo d’aria le colpì in pieno viso.

Poi qualcosa le tirò verso il basso. Anna si lasciò sfuggire un grido e si aggrappò ad Elsa.

Scesero giù e tutto divenne ovattato. Per qualche istante intorno non vi fu altro che oscurità. Oscurità densa, spaventosa. Sfiorano una massa di ombre informi e vaghe che avrebbero potuto essere tutto e nulla. Poi videro una luce verde che si avvicinava sempre di più.

Precipitarono su una superficie piatta e pavimentata. Erano entrambe bagnate fradice.

- Anna? – chiese Elsa, aiutandola ad alzarsi.

- Tutto bene. Almeno credo. – disse. In realtà stava tremando e avrebbe tanto voluto essere in un posto più caldo, magari a casa sua, ad Arendelle, davanti al fuoco scoppiettante con una bella tazza di cioccolata tra le mani. Non sottoterra, con i vestiti zuppi che sembravano pesare una tonnellata.

Erano in una stanza illuminata da una luce debole, ma calda ed accogliente. Le circondavano pareti di roccia ricoperte di muschio e sulle quali scorrevano rivoli d’acqua. C’era anche un ingresso ad arco, protetto da lunghi tralci verdi che andavano a formare una sorta di tenda.

- Non sembra un brutto posto. Se non facesse così freddo... certo, fa freddo per me, non per te. – puntualizzò Anna.

I capelli biondi di Elsa erano quasi incolori nei punti in cui le ciocche si erano incollate alla pelle. Goccioline d’acqua le solcavano il viso e il collo. La strana luce della Corte Seelie giocava con il colore dei suoi occhi, rendendoli più azzurri.

Anna batté le palpebre e si affrettò a distogliere lo sguardo. – Beh, adesso...

Una figura piccola scosse i viticci dell’ingresso e piombò nella stanza, borbottando e rotolando. Le sorelle si fecero da parte, mentre Puck si rimetteva in piedi, la chioma castana tutta arruffata.

- Il mio cappello... – prese a dire. Iniziò a girare su se stesso. – Dov’è il cappello? Dov’è? L’avete visto?

- È questo? – chiese Elsa, porgendogli un berretto rosso.

- Sì! Proprio questo, grazie! Mio signore, sono qui. Sono arrivate! – Puck si schiacciò il cappello sulla testa, coprendo una delle sue orecchie a punta e lasciando fuori l’altra.

Una mano spostò i viticci e Oberon comparve, sorridente e sereno, come se non aspettasse altro che un annuncio da parte del suo folletto. – Mia cara Anna e... Vostro Splendore. Avevo percepito il vostro potere. Che piacere. Devo ammettere che non vi aspettavo così presto.

- E quando ci aspettavate? – chiese Anna, guardandolo di sottecchi.

- Non così presto – ribadì Oberon. I suoi occhi azzurri scintillavano, maliziosi. Indossava una camicia verde con le maniche larghe e a sbuffo, un paio di pantaloni attillati, in pelle nera e stivali alti fino al ginocchio. – Pensavo avreste necessitato di più tempo per riflettere. Ma sono lieto di avervi qui, alla Corte Seelie.

- Quindi possiamo entrare? – domandò Elsa.

- Vostro Splendore... voi non avete bisogno di un invito. Siete una regina, proprio come mia moglie.

- Non entro senza mia sorella – precisò, quasi ce ne fosse bisogno.

- Non avevo dubbi a riguardo, Vostro Splendore. Come vi stavo dicendo un attimo fa, vi aspettavo. Entrambe. Naturalmente anche Anna può entrare. Se non vi stessi aspettando non vi avrei nemmeno permesso di trovare l’ingresso attraverso il riflesso della luna. Vogliamo andare? Puck, hai perso anche una scarpa oltre al cappello. – Oberon voltò le spalle e si diresse verso l’ingresso ad arco, mentre Puck raccoglieva la scarpa perduta. Erano scarpe rosse con la punta arricciata. Gli conferivano un’aria ancora più ridicola.

Anna, dal canto suo, era già stufa di tutti quei Vostro Splendore.

Le due sorelle seguirono il re degli elfi al di là dei viticci. Si inoltrarono in un breve corridoio, dove l’aria era più luminosa e densa di profumi. Qualcuno, forse un elfo oppure una fata, pizzicava le corde di un’arpa, spandendo una musica dolce.

- Ricordate: fate le domande giuste, altrimenti non avrete le risposte che cercate – disse Oberon all’improvviso, mentre il corridoio terminava, aprendosi su una sala grande, sorretta da possenti colonne di marmo alle quali erano avviluppati tralci di fiori colorati.

- Che cosa? – chiese Anna.

- Le fate non possono mentire. Certo, le eccezioni esistono sempre, ma Titania non è un’eccezione. Non sa mentire, ma se non ponete le domande giuste non vi risponderà. O meglio, vi risponderà, ma non come volete voi.

Tutto intorno a loro era luminoso e verdeggiante. E nell’aria danzavano una miriade di luci bianche, gialle, azzurre, blu e scarlatte. Seguivano il ritmo della musica e... tintinnavano come campanelle.

In realtà le luci erano fate. Fate che vagavano per la corte. I tintinnii erano le loro risate. Quando una passò davanti al suo viso, Elsa vide le piccole ali trasparenti che sbattevano, vivaci. Alcune svolazzarono intorno alla testa di Puck, gli rubarono il cappello, che lui cercò di riprendersi tra mille imprecazioni e gesticolando furiosamente, e poi lo lasciarono cadere. Puck lo prese al volo.

- Bentornato, mio signore. Bentornato. – disse una voce sopra di loro. – E benvenute vicine!

Appeso ad una liana che pendeva dal soffitto c’era un essere dalle fattezze umane, ma piccolo e tozzo, senza capelli, con la pelle scura e un gran sorrisone stampato in faccia.

- Non sono tue vicine. Vengono da un regno lontano. – comunicò Oberon, passando oltre.

L’essere si aggrappò alla colonna e si arrampicò fino in cima.

- Che cos’è? – domandò Anna.

- Lui e quelli della sua specie si chiamano Brownies. Sono simili agli esseri umani, ma hanno un po’ di sangue elfico.

- Ma solo un po’, mio signore. Sono esserini antipatici. – aggiunse Puck.

- Così come tu sai essere uno spiritello malefico! – lo punzecchiò il Brownie, con una vocetta acuta.

- E parlano troppo – continuò il folletto.

- Loro parlano troppo mentre tu combini troppi pasticci. – gli ricordò Oberon.

Elsa ed Anna vennero condotte dinanzi ad una massiccia porta di legno, sulle quale crescevano altri fiori e foglie. La serratura scattò e il chiavistello si spostò senza che nessuno toccasse niente.

- Puck, rimani fuori – ordinò Oberon.

- Oh, mio signore! Non lasciatemi qui. È così noioso aspettare fuori!

- Non lamentarti. Ti ricordo che è colpa tua se le signore sono state costrette a venire fino a qui.

- Mio signore, lo so! Ma io volevo soltanto aiutare.

- Ed io ti avevo raccomandato di starmi vicino e non combinare guai. Quindi ora rimani fuori. Tanto so che per te non è un problema: cercherai di origliare. – Oberon oltrepassò le porte e le sorelle lo seguirono. Esse si richiusero subito dietro di loro.

I servitori presenti levarono le tende non appena il sovrano delle fate condusse Elsa ed Anna al centro del salone. Erano tutti elfi o fate, ma c’era anche qualche altro Brownie.

I troni su cui sedevano lui e Titania erano in legno di quercia, ricoperti di fiori. Avevano radici che affondavano nel terreno levigato, come alberi.

- Mia moglie ci farà attendere ancora un po’, a quanto sembra – disse Oberon, gettandosi i capelli scuri dietro le spalle. – Intanto vi ho fatto preparare qualcosa da mangiare. Volete favorire? Sarete sicuramente affamate.

Una giovane fata bionda, vestita di azzurro, apparve accanto ad Anna preceduta da un sfavillio. Reggeva un vassoio con un buon numero di leccornie e due tazze piene di uno strano liquido rossastro.

- No, grazie. – disse Elsa. – Non vogliamo mangiare.

I profumi e la musica della Corte Seelie l’avevano inebriata a tal punto, che per qualche istante Anna si era completamente dimenticata dell’avvertimento di Gran Papà e della regina delle Amazzoni.

- No? Davvero non ne volete? Pensavo vi piacessero queste cose. – disse Oberon. E sembrava sinceramente sorpreso.

Anna gettò un’altra occhiata a ciò che c’era sul vassoio. Proprio quello che temeva: un piatto di sandwitches, palline di cioccolato identiche a quelle che Puck si era mangiato senza troppi complimenti al suo matrimonio, frutta, dolci alla crema e quella bevanda non meglio identificata.

Deglutì a fatica. Era anche peggio di ciò che si immaginava. Resistere, quando ci si trovava alla Corte Seelie, era veramente difficile. Gli odori erano più intensi.

Le venne l’acquolina in bocca.

- Anna, guardami. – le disse Elsa, afferrandola saldamente per il polso.

Lei si voltò di scatto verso la sorella, incrociandone lo sguardo ansioso, ma risoluto.

- Oh! Già, giusto – si affrettò a rispondere, cercando di scrollarsi di dosso quelle sensazioni. – Non... non abbiamo fame. Voglio dire, è tutto buonissimo, io adoro i sandwitches e anche quei... dolci al cioccolato. Ma sto bene così. Sì, non potrei stare meglio!

Oberon sorrise. – Beh, che peccato.

- Sappiamo cosa potrebbe succederci se li mangiamo, sapete? – continuò Anna, stringendo di più la mano di Elsa. – Ce l’hanno detto. Rimarremmo intrappolate qui per sempre.

- Ah! Immaginavo che vi avessero avvertito, ma io sono un elfo cortese. Soprattutto se si tratta di ospiti importanti come voi.

- Un elfo cortese? Offrite del cibo sapendo bene che se lo mangiassimo non potremmo lasciare la Corte! – esclamò Elsa.

- Io non costringo nessuno a mangiare ciò che offro. È solo cortesia, come vi ho detto. Sono abituato a far sentire a loro agio gli invitati. Certo, molti sono persone accorte e non cedono alle... tentazioni. – Oberon fece un cenno alla fata, che se ne andò senza dire una parola. – Altri lo fanno e devono rimanere qui. Ma ‘per sempre’ non è esatto. Non sarebbe per sempre. Solo per un po’. Fino a quando non sono disposti a dare qualcosa in cambio a Titania.

- Questo mi ricorda un uomo che ho incontrato molto tempo fa. Un uomo... con dei brutti problemi alla pelle. – disse Anna. – Si chiamava...

- Tremotino – lo interruppe Oberon, roteando gli occhi. – Lo conosco benissimo, mia dolce Anna. Tutti conoscono l’Oscuro, del resto. Ringraziamo che la maledizione ce l’abbia portato via... beh, a voler essere precisi era tornato, ma qualcuno l’ha chiuso in gabbia e l’ha reso incapace di nuocere a chicchessia.

- Chiuso in gabbia?

- Oh, Anna, è una storia abbastanza lunga. E comunque, è tutto finito.

- Dove sono i nostri ricordi? – domandò Elsa, facendo un passo avanti.

- Calma, Vostro Splendore. Eccoli, sono qui. – Oberon chiuse la mano a pugno e, quando la riaprì, sul palmo teneva due pietre viola, identiche a quelle in cui Ingrid aveva racchiuso alcuni ricordi di Elsa e di Emma.

- Sono lì dentro? – chiese Anna.

- Li ho conservati con cura. Me ne rammarico. Volevo rimediare al disastro che aveva combinato quel maledetto folletto. Pensavo di farvi un favore.

Elsa fissò le pietre. Per un attimo, il suo cuore tremò al solo pensiero di ciò che potevano contenere. Era già abbastanza difficile gestire quei sentimenti inspiegabili che provavano...

- Ma forse ho peggiorato la situazione. – concluse Oberon.

In quel momento una nuova luce più intensa delle altre entrò nel salone. Era una luce bianca e quasi accecante, che procedette verso l’alto e poi scese in picchiata su Oberon, ronzandogli intorno al capo e infastidendolo. Il sovrano agitò una mano come se stesse scacciando una mosca. La fata che si muoveva in quella luce evitò gli schiaffi e si diresse rapidamente verso uno dei due troni, quello di destra. La luce si espanse, quasi fosse sul punto di esplodere e la fata assunse la forma umana, adagiandosi elegantemente sul trono a lei riservato.

- Titania! Finalmente ci hai degnati della tua presenza. Ti davamo per dispersa. – asserì Oberon, sedendosi sul trono accanto a lei.

- Ti piacerebbe! – rispose la regina delle fate. – Spero che tu non abbia cominciato senza di me.

- Stavo appunto dicendo alle nostre ospiti che i loro ricordi sono al sicuro. In realtà mi stavo anche scusando.

Titania osservò le due sorelle con un certo interesse.

Elsa si ritrovò a pensare che gli occhi della sovrana fossero gli occhi dei veggenti. Gli occhi di chi aveva vissuto talmente a lungo da possedere, ormai, il potere di vedere qualsiasi cosa. Erano occhi grandi e di un verde molto chiaro, un verde che possedeva sfumature azzurrate. La pelle altrettanto chiara sembrava sottile come carta, come quella di Oberon ed era in netto contrasto con i capelli neri e ondulati sistemati su una spalla e con le labbra rosse. Indossava un abito violetto con una sopravveste azzurra. Le maniche trasparenti erano strette, all’altezza dei gomiti, da due grossi bracciali.

- Fai bene a scusarti, considerando che è colpa tua. – continuò la regina. – Non sai nemmeno tenere a bada un maledetto folletto.

- Colpa mia? Ti devo ricordare che è stata tua l’idea di affidarmi quel folletto.

- Io avevo una riunione importante con altre fate, non potevo permettere che Puck rovinasse tutto con una delle sue trovate.

- Certo, quindi hai pensato bene di scaricarmelo! Che idea geniale, mia adorata Titania.

Titania si girò lentamente verso Oberon. - Sicuramente più geniale della tua idea di versarmi il succo magico sugli occhi per farmi invaghire di un somaro.

- Ancora con questa storia! Era soltanto uno scherzo. Non sarebbe successo niente se fossi stata più ragionevole.

- Io ragionevole? Ti avevo detto di stare alla larga da quel paggio, perché era il figlio di un’amica e avevo promesso di proteggerlo.

- Volevo solo farne un guerriero, un combattente. Del resto era un elfo, proprio come me. Non un semplice paggio di corte!

- Un mezzelfo. Forse saresti dovuto essere tu quello ragionevole. Invece no, hai dovuto prendere iniziative avventate solo per un capriccio.

- Capriccio? Lo chiami capriccio? I capricci li lascio a te, mia cara.

Titania gli rivolse un sorriso sarcastico. - Io proteggevo il figlio di un’amica. Questo è tutto fuorché un capriccio. Mentre il tuo... non ero a conoscenza della tua predilezione per i paggi giovani. Buona a sapersi. Lo terrò presente, nel caso decidessi di usare un po’ di quel succo mentre dormi.

- Titania, vergogna! Come osi insinuare, in presenza delle nostre ospiti per giunta, che io volessi approfittarmi in quel modo del tuo paggio!

- Non ho bisogno di insinuare niente. Credo che le nostre ospiti sappiano già con chi hanno a che fare.

Anna ed Elsa si chiedevano quanto sarebbero andati avanti con quel battibecco.

- I loro ricordi, Oberon. – disse Titania. – Fammi vedere che cos’hai portato via loro.

Le pietre comparvero nella mano della regina prima che avesse finito di parlare. Oberon scosse il capo, seccato. Titania toccò le pietre magiche con la punta delle dita e, per qualche momento, il suo sguardo si perse nel vuoto.

- Ehi, aspettate un secondo... quelli sono i nostri ricordi! – esclamò Anna. Ma naturalmente la regina delle fate non la stava nemmeno ascoltando.

- È così divertente – disse Titania, sorridendo, quando ebbe finito di sbirciare. – Comprendo, in parte, perché mio marito abbia deciso di cancellare queste cose dalla vostra mente. Ma d’altra parte non avrebbe dovuto farlo senza il vostro permesso.

- Ecco che mi contraddice di nuovo. Lo fa apposta! – intervenne Oberon.

- Perché non prendi i ricordi della principessa, mia caro marito, e non esci da questa sala? Lasciami sola con la regina Elsa. – Una delle due pietre tornò sul palmo della mano di Oberon. Titania si alzò.

- Aspettate... che? – Anna non capiva che cosa stesse succedendo. - Sola con mia sorella? Non se ne parla, non vedo perché dobbiate restare da sola con mia sorella. Io non ho intenzione di andarmene.

- Invece lo farete.

- Non... non me ne vado. Dovrete trascinarmi.

- Oberon, dammi una mano.

Oberon si spostò così velocemente che Anna nemmeno lo vide. Il re delle fate l’afferrò e se la caricò in spalla.

- Che cosa state facendo?! Lasciatemi subito! – gridò Anna, dimenandosi e scalciando.

- No! Che cosa volete fare? – domandò Elsa, tendendo le mani verso la sorella.

- Vi devo comunicare, Elsa, che i vostri eccezionali poteri sono stati inibiti nel momento in cui avete messo piede nella mia Corte. – la informò Titania. – Quindi non sforzatevi troppo. Non che mi dispiacerebbe vedere Oberon trasformato in una statua di ghiaccio... deve essere uno spettacolo interessante.

Oberon non rispose, ma levò gli occhi al cielo, mentre trasportava Anna fuori dalla sala. Lei continuava a prendere a pugni la schiena dell’elfo, ma senza successo. Rivolse un’occhiata preoccupata ad Elsa.

- Nessuno farà del male alla vostra amata sorella. – la rassicurò Titania. – Tranquillizzatevi.

Le porte si chiusero tra le mille proteste di Anna. Elsa udì anche Puck che berciava qualcosa.

- Quel folletto meriterebbe una lezione – commentò la regina delle fate, voltandole le spalle. Giocherellò con la pietra che conteneva i suoi ricordi. – Oberon non ha voluto dirmi che cos’ha visto quella sera, al matrimonio di Anna. Ha detto che l’avrei scoperto presto, perché sareste venute a cercare le vostre memorie perdute. Lui era convinto che ci avreste messo un po’ di tempo... ma a quanto pare su questo avevo ragione io.

Elsa non rispose.

- Una polvere elfica che toglie ogni inibizione... sempre meglio che il succo del fiore vermiglio di Cupido. – asserì Titania, inarcando le sopracciglia. Inclinò la testa di lato. Adesso tutta la sua attenzione era rivolta ad Elsa. – Vorresti non sentire più quello che senti, vero?

- Io... vorrei solo riavere i miei ricordi. – disse Elsa, evitando di guardare Titania direttamente negli occhi.

- Risposte. Ecco quello che desideri. Non solo i tuoi ricordi. Gli esseri umani sono sempre alla ricerca di risposte. – Titania fece il gesto di porgerle la pietra e, mentre Elsa allungava una mano per prenderla, da essa scaturì un fascio di luce magica.

I ricordi la travolsero come una marea.

 

Anna rimase immobile per un istante, poi si liberò dei guanti bianchi, gettandoli via, le allacciò le braccia intorno alle spalle e premette il viso contro il suo collo. Chiuse gli occhi per escludere il mondo con le sue sfumature troppo accese, per escludere la luce al di là delle finestre, lo scintillio del cielo, il chiacchiericcio distante. Respirò l’odore di Elsa, sentendo il battito del suo cuore contro il proprio.

“Anna.”, ripeté lei.

La sorella levò lo sguardo per incontrare il suo. E... oh, i suoi occhi erano splendidi. Anna era splendida. Così bella e pura ed innocente. Così desiderabile che Elsa si chiese come avesse fatto a resisterle fino a quel momento.

La regina di Arendelle sollevò una mano e cominciò a toglierle le forcine dai capelli, lasciando che le ciocche ricadessero sulle spalle scoperte.

“Volevo farlo quando ti ho vista in abito da sposa... e anche dopo. Non sono più riuscita a smettere di guardarti...” Le parole uscivano dalla bocca di Elsa senza alcun freno. Se faceva una pausa tra una frase e l’altra era solo perché aveva il respiro corto, affannato. “Ma lo sai già, vero?”

“So... che?”

Elsa la baciò. L’aveva già baciata, ma sempre con molta attenzione, in modo incerto, prudente, come se temesse di farle del male.

Questo bacio era diverso. Era ansioso ed era profondo. E Anna le rispose con la stessa intensità, aggrappandosi di più a lei, gemendo contro la sua bocca quando Elsa si staccò per riprendere fiato.

“Se volevi farlo da quando mi hai vista in abito da sposa... allora non smettere”, le disse Anna, con il respiro affannato e le labbra vicine alle sue.

Elsa le affondò una mano nei capelli e ricominciò a baciarla. Improvvisamente non contava più il fatto che fossero sorelle, che quello fosse il matrimonio di Anna, che qualcuno avrebbe potuto venire a cercarle e quindi scoprirle. Non contava più niente.

“Non sopportavo più... tutto quei ‘Vostro Splendore’, ‘Vostra Magnificenza’. Chi pensa... chi si crede di essere?” Anna parlava in modo strano, come se avesse bevuto troppo, interrotta dai baci di Elsa.

“Ssh”, le disse sua sorella, mettendole una mano sulla bocca. “Non parlare”

Anna disse qualcos’altro, ma si perse sulle labbra di Elsa, che le scostò le ribelli ciocche rosse per baciarle il collo e le spalle scoperte. Anna la tirò di più verso di sé, come se non fossero già abbastanza vicine e, nel farlo, perse l’equilibrio, trascinandola sul prato. Elsa cadde sopra di lei, ma non smise di baciarla. Presa dalla foga, Anna le morse il labbro superiore e glielo succhiò più volte. Le sue mani si mossero senza controllo e cercarono di slacciare il vestito di Elsa. La sorella continuava a ripetere il suo nome, come se non potesse farne a meno e ad Anna piaceva il modo in cui lo pronunciava, sfiorandole l’orecchio con la bocca, il fiato corto. Dicendolo come se non esistesse nient’altro al mondo che desiderasse di più.

Lontano, molto lontano, una portafinestra si aprì. Rumore di passi.

“Hai sentito qualcosa?”, chiese Elsa, sollevando la testa.

“Non me ne importa niente”, rispose Anna, appoggiandole una mano sulla nuca e costringendola a concentrarsi ancora su di lei.

I passi si avvicinarono.

“Ecco, Puck, folletto malefico! È tutta colpa tua. Guarda cos’hai fatto!”. La voce di Oberon sembrava stridere con tutto il resto. Era una voce arrabbiata.

Elsa si separò di scatto dalla sorella. Non riuscì ad alzarsi in piedi perché le cedettero le ginocchia e finì di nuovo sul prato.

“Adesso mi tocca usare la magia elfica! Ah, ma questa me la paghi”.

“Mio signore, non vedo proprio la fonte del problema, perdonatemi. Io volevo solo aiutare”.

“Tu volevi aiutare! Volevi combinare pasticci, come al solito, non aiutare! Ora togliti dai piedi e lascia che mi occupi di... di... di questo”.

 

Anna riemerse dal mare di ricordi, inspirando una boccata d’aria, come se fosse rimasta troppo tempo sott’acqua e fosse sul punto di soffocare.

Oberon sedeva di fronte a lei, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e la pietra magica che, ormai, non era che un innocuo sasso senza valore. La gettò via. Puck, che sedeva in un angolo, la prese al volo e iniziò a giocherellarci.

- Io... non... voi... – farfugliò Anna, cercando di raccapezzarsi.

- Sono i vostri ricordi, mia cara Anna. Non era ciò che desideravate? – domandò il re elfico, sorridendo, divertito.

- I ricordi che mi avete rubato! E mi avete anche... anche... rubato mia sorella. Mi avete portata via, caricandomi in spalla come se fossi un... sacco di patate!

- Oh, siete assai più leggera di un sacco di patate. E nessuno vi ha rubato vostra sorella. Titania è una fata che trova interessanti le persone come Elsa. Non posso dire che trovi interessante anche voi, mi dispiace molto.

- Voglio andare da Elsa!

- Non siate impaziente, Titania non avrà ancora finito.

- Di fare cosa?

- Qualsiasi cosa abbia in mente di fare. Non preoccupatevi. Vostra sorella uscirà sulle sue gambe da quella sala. Titania sa essere assai dura con i suoi nemici. Ma voi non siete sue nemiche. – Oberon si alzò in piedi. L’aveva condotta in un’altra parte della Corte Seelie, un piccolo giardino sotterraneo pieno di piante coperte di fiori, con una cascatella che sgorgava da un punto sopraelevato di una parete di roccia, formando un laghetto dove galleggiavano le ninfee. – Spero che il posto vi piaccia. È un luogo tranquillo, non trovate?

- Non mi interessa quanto è tranquillo questo posto. Sì, lo è, ma io voglio vedere Elsa. Non potete trattarmi così. E sono sicura che sapete che cos’ha in mente di fare vostra moglie. Immagino che siate sposati da molto tempo, non potete non saperlo!

- Duecento anni. Quindi sì, è molto tempo. Ma vi assicuro che la mente di Titania, a volte, è ancora un mistero per me. Però so che non ucciderebbe mai senza un motivo valido.

Questo le ricordò Ippolita, la regina delle Amazzoni. E lo scheletro nella gabbia.

- E comunque avete mai pensato di contare le volte in cui pronunciate il nome di vostra sorella o vi riferite a lei?

- Contare?

- Contare, sì. Ma torniamo ai vostri ricordi, mia dolce Anna. Ora capite perché ve li ho portati via? Sono rammaricato, credetemi, ma sulle prime ho pensato che fosse la cosa più giusta da fare. – Oberon non le aveva concesso il tempo per replicare. – Pensavo che... fosse più saggio dimenticare. Un rapporto come il vostro... nessuno lo comprenderebbe. Scommetto che non lo comprendete nemmeno voi. Siete sorelle. Lo stesso sangue. La stessa madre e lo stesso padre.

- Non c’è bisogno che me lo ricordiate! Lo so già. – La mente di Anna continuava a vagare dietro ai quei ricordi che aveva appena recuperato. La sconvolgeva la sola idea di dove sarebbero potute arrivare se Oberon non le avesse trovate. Eppure il ricordo era incredibilmente dolce e intenso, le metteva i brividi. – E in ogni caso non potete tenermi qui. Non è giusto.

- Davvero non vi piace la Corte Seelie, Anna?

- Beh... non ho detto che non mi piace, ho solo detto che... che non potete tenermi qui mentre mia sorella deve vedersela da sola con Titania. – In realtà trovava che la Corte Seelie avesse un certo fascino. Potere, soprattutto. I profumi e l’atmosfera fatata le annebbiavano un po’ la mente.

Oberon si sedette di nuovo. – Ho qualcosa da dirvi, mia cara. Qualcosa da chiedervi, a dire il vero.

- E che cosa sarebbe? – Anna lo guardò di sottecchi, guardinga. – L’ultima volta che ho firmato un accordo, l’ho firmato con Tremotino e non è stato affatto divertente.

- So di cosa parlate. Anche mia moglie si è fatta aiutare da Tremotino, in passato. E...

- Che? Vostra moglie? Perché?

- Niente di importante, Anna. Un piccolo aiuto. È tutto a posto. Ci è andata ben peggio con Magnus e Amadan.  

- Chi sono Magnus e Amadan?

- Non ne sapete niente? Non avete mai sentito parlare di re Magnus? Nella biblioteca della vostra famiglia non c’è proprio nulla...?

- Ho letto tutto quello che c’è là dentro e vi assicuro che non ho mai sentito parlare di... personaggi simili.

- Che peccato. Neanche in certe pergamene in futhark antico?

Anna sbatté le palpebre.

“Mi hanno portato queste. Non ho idea di cosa dicano, esattamente, ma la lingua è la stessa del messaggio riportato... sull’urna”.

“E cos’hai capito? Fino ad ora, intendo”.

“Quasi niente. Solo alcune parole”.

- Aspettate... che? Le pergamene che Elsa stava cercando di tradurre... quelle pergamene...

- Sì, proprio quelle. Quando riuscirete a venirne a capo, vi renderete conto che è di me e di Titania che parlano. Nonché dei nostri nemici, Magnus, il re che mi ha preceduto, e suo figlio Amadan. Due intriganti manipolatori... non vi sarebbe piaciuto conoscerli. Abbiamo avuto un sacco di problemi a causa loro.

- Avete letto le pergamene?!

- Conosco molte lingue, mia dolce Anna. Compreso il futhark antico. Avrei voluto parlarne con la regina Elsa, ma non ne ho avuto il tempo.

- Futhark! Anch’io lo conosco, mio signore! – intervenne Puck, rimasto in silenzio fino a quel momento.

- Lo so bene, folletto dei miei stivali. Te l’ho insegnato io!

Quindi, oltre ad essersi intrufolato al suo matrimonio senza essere invitato con un folletto che aveva combinato un disastro e oltre ad aver passato buona parte del tempo a fare gli occhi dolci a sua sorella, si era anche permesso di sbirciare nelle altre stanze del palazzo, fino a trovare le pergamene che Elsa stava cercando di tradurre. Avrebbe tanto voluto acchiapparlo e dargli una lezione!

- Ora veniamo al dunque. Come vi ho detto, c’è qualcosa che voglio chiedervi. E mi auguro che vi piaccia.

 

***

 

Elsa era riemersa dalle memorie che Titania le aveva ridato con la sensazione di aver vissuto per la seconda volta tutto ciò che era accaduto con Anna quella sera. Aveva l’impressione che sulle labbra le fosse rimasto il sapore della sua bocca, di quei baci così caldi e profondi... e sulla pelle la sensazione pressante delle sue carezze.

“Volevo farlo quando ti ho vista in abito da sposa... e anche dopo. Non sono più riuscita a smettere di guardarti...”

“Se volevi farlo da quando mi hai visto in abito da sposa... allora non smettere”.

Elsa chiuse gli occhi, serrando le palpebre e inspirando profondamente. Quando li riaprì, Titania la stava fissando.

- È tipico degli essere umani desiderare qualcosa che non è possibile avere. – commentò la regina delle fate, muovendosi con grazia verso di lei. – Anche di certe fate, certo. Del resto, nella nostra specie ci sono eccezioni. Poche, ma ce ne sono.

- Io... so benissimo che è sbagliato.

- Ma è quello che volete. E vi piace.

- Ciò non significa che sia giusto.

- Forse no. Le cose che si amano non sempre sono giuste. – Titania prese a girarle intorno.

Elsa avvertiva la forza di quello sguardo su di sé. Le sembrava che tutto tendesse verso la sovrana della Corte Seelie, come se fosse stata lei a creare quel luogo perché fosse un riflesso della sua bellezza e del suo potere. Come se non fosse stata la Corte a dare la vita a Titania, ma l’esatto contrario.

- Voi... cosa sapete dell’amore? Siete una fata – disse Elsa, colmando il silenzio che si era venuto a creare.

- Il fatto che io non possa innamorarmi non mi impedisce di riconoscere l’amore, se lo vedo. – le rispose prontamente Titania. – E onestamente sono viva da parecchio tempo, se non l’avete ancora capito. Da molto più tempo di voi. Ho vissuto anche in mezzo agli uomini. Quindi conosco i sentimenti.

Elsa tacque.

- E voi, invece, che cosa ne sapete dell’amore? L’avevate mai conosciuto, prima d’ora? E parlo del vero amore. Dell’amore carnale. Avete mai desiderato qualcuno come desiderate Anna?

“Avete mai desiderato qualcuno come desiderate Anna?”

- No.

- No, certo. Siete vissuta in isolamento per anni. Come potete averlo conosciuto?

- Come sapete che...?

- Io so molte cose. Ve l’ho detto, sono viva da molto tempo. E alle orecchie delle fate giungono sempre un sacco di storie interessanti. 

“Avete mai desiderato qualcuno come desiderate Anna?”

Titania le si parò dinanzi. Era più bassa di Elsa, eppure, al tempo stesso, appariva più imponente. – Oberon era convinto che dimenticando avreste risolto i vostri problemi. Ha annullato l’effetto della polvere elfica e vi ha cancellato i ricordi perché sapeva che eravate ad un passo da quella linea di confine che due persone come voi non dovrebbero mai superare. Non che non vi siate già spinte oltre, ma quella sera, se mio marito non vi avesse trovate...

Elsa non commentò. Sentì che il sangue le affluiva alle guance, impetuoso. Il suo cuore batteva un po’ più veloce del normale.

- Vorresti non provare quello che provi, vero? – disse Titania, ripetendo la domanda che le aveva già fatto. – Vorresti... che fosse tutto più semplice. Una parte di te vorrebbe non aver mai imboccato questa strada, perché adesso è difficile tornare indietro.

Elsa continuò a restare in silenzio. Non era sicura di poter controllare la propria voce se avesse parlato. Era furiosa con la regina della Corte Seelie perché l’aveva separata da sua sorella. Era preoccupata per Anna. Ed era spaventata. Spaventata perché non sapeva che cosa le aspettava e spaventata dalle parole e dagli occhi di quella fata.

- Dimenticare non è la soluzione. Non serve a niente. Voi avete dimenticato grazie ad un incantesimo, ma avete continuato a ripensarci e a tormentarvi. Cosa che vi ha spinte in questo luogo. Il segreto... non è nella mente.

- Non lo posso dimenticare. – riuscì a dire Elsa, con la voce ridotta a un sussurro. – Come posso dimenticare qualcosa di... qualcosa di simile? Anche se è sbagliato... non saprei come fare.

Titania sembrò annoiata da questa considerazione.

“Avete mai desiderato qualcuno come desiderate Anna?”

“Se volevi farlo da quando mi hai vista in abito da sposa... non smettere”.

La regina delle fate le sorrise, angelica.

E prima che Elsa potesse anche solo rendersi conto di ciò che stava succedendo, lei affondò una mano nel suo petto e le strappò il cuore.

 

___________________________

 

 

 

Angolo autrice:

Buonasera e rieccomi.

Anche questo capitolo necessita di qualche spiegazione.

Dunque, come avrete capitolo, la citazione all’inizio viene da Merlin, precisamente è una battuta di Gwen e, in questo caso, si riferisce soprattutto alla regina Titania, ma anche ad Elsa.

 

Anna ed Elsa entrano nella Corte Seelie così come ci sono entrati Clary, Jace e gli altri personaggi di Shadowhunters – The Mortal Instruments, ovvero attraverso il riflesso della luna.

I riferimenti a Re Magnus e suo figlio Amadan vengono direttamente da The Books of Magic, una miniserie a fumetti in lingua inglese scritta da Neal Gaiman.


   
 
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