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Autore: Kaiyoko Hyorin    24/01/2015    2 recensioni
[Estratto dal primo capitolo]
Non fece in tempo a realizzare quell'unico fugace pensiero che ella si accorse di avere i suoi occhi scuri puntati addosso, cosa che ne aumentò drasticamente la soggezione che provava nei suoi confronti ed a stento riuscì a impedirsi di sussultare nuovamente, preda di un imbarazzo senza pari.
“P-perché mi fissa in quel modo?!”
[Fine Estratto]
Era iniziato come un lavoretto di revisione e invece mi sono ritrovata a stravolgere completamente la trama, creando qualcosa di nuovo ed inaspettato! Ad oggi è l'opera più lunga che abbia scritto e spero che il risultato sia valso lo sforzo, augurandomi che risulti comunque una lettura gradevole, a prescindere! Vi auguro una buona lettura!
Attenzione: aggiunto OOC per il cambiamento caratteriale a cui i personaggi vanno incontro nel corso dell'intera storia, in accordo con la trama, senza comunque arrivare ad uno "stravolgimento" nel vero senso della parola; quindi non spaventatevi!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kei Hiwatari, Nuovo personaggio
Note: Lime, OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unione d'affari'
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47. Un epilogo infausto


Non ricordava d'essersi mai arrabbiato tanto.
Era andato tutto storto, dalla prima all'ultima cosa.
Era incazzato con suo padre per aver osato arrivare a tanto, ma al tempo stesso era incazzato con sé stesso ed un po' anche con lei. Con Yukiko.
Sì, era incazzato nero anche con lei per il modo in cui se n'era andata e l'aveva lasciato lì davanti a casa sua senza uno straccio di spiegazione, degnandosi di mandargli un misero messaggio di due righe scarse dopo due ore di assoluto silenzio. Si era sentito uno stupido. Si sentiva uno stupido persino in quel momento, se si soffermava a pensarci su troppo a lungo.
La riunione di quel mattino s'era protratta oltre l'orario d'inizio pausa-pranzo, cosa che aveva contribuito in maniera esponenziale a fargli saltare i nervi. Che poi non fosse ancora riuscito ad incrociare neanche per sbaglio suo padre, per aver così l'opportunità di affrontarlo una volta per tutte, aveva sortito lo stesso effetto di una valvola di sfogo guasta.
Perciò, lo sapeva, ormai era sul punto di esplodere.
Attraversando il corridoio con passo deciso, il dranzerblader non si risparmiò neanche un'occhiata storta a chi incrociava il suo cammino, finendo per indurre ogni dipendente della Hiwatari a scostarsi al suo passaggio in tutta fretta. Persino appena varcò la soglia della mensa, il brusio abituale ebbe un netto calo e non pochi sguardi saettarono verso di lui fra il sorpreso e l'allarmato, per poi deviare in qualche altra direzione, sfuggendo i suoi occhi di brace. Incurante della cosa, Kei si ritrovò a corrugare ancor di più le sopracciglia chiare: fra tutte quelle paia d'occhi, infatti, mancavano proprio quelli che stava cercando.
Dopo una manciata di secondi di immobilità, fece dietrofront, tornando sui suoi passi e rischiando per il movimento brusco di urtare uno dei contabili del nono piano. Se ne fregò altamente, ignorando il modo goffo di quest'ultimo di spostarsi all'ultimo secondo così come ne ignorò l'esclamazione soffocata che gli era scappata nel farlo.
L'unica cosa che gli importava, ora, era trovare lei.
Ma dove cazzo era finita?!
Forse dovresti calmarti un poco” gli suggerì atona la voce dell'Aquila nella sua mente “Cosa pensi di ottenere in questo modo?
Delle spiegazioni, ovviamente.
Sai benissimo che le spiegazioni che vuoi non sono le sue..”
Quelle parole lo fecero bloccare davanti all'accesso alle scale, le braccia ancora rigide lungo i fianchi, i pugni chiusi sino a far sbiancare le nocche. Cosa stava dicendo? Certo che voleva delle spiegazioni da lei! Non gli aveva nemmeno mandato un messaggio, dopo ieri notte! Non sapeva dov'era stata, né con chi! L'unica cosa di cui era certo era che non fosse tornata a casa..
In balia di silenziose invettive contro il mondo intero, il dranzerblader finalmente si ricordò di aver un cellulare e senza porre altro tempo in mezzo lo estrasse dalla tasca dei jeans. S'era a malapena messo la camicia, quel mattino, lasciando perdere tutte quelle stronzate sull'abbigliamento più consono all'ambiente di lavoro e tutto il resto. Sul petto gli pesava addirittura la croce d'argento che solitamente sfoggiava solo quando usciva la sera, questo più per il fatto di essersi dimenticato di togliersela che per vera intenzione di sfoggiarla in quell'ufficio.
Merda!”
Era troppo teso addirittura per usare il cellulare senza rischiare di sfondarne lo schermo con le dita. Doveva davvero darsi una calmata.
Inspirando, pensò in un impeto di frustrazione che quel che gli ci sarebbe voluto era un bell'incontro.
Sì, un incontro di Beyblade lo avrebbe fatto scaricare e concentrare su qualcos'altro, dando il tempo al suo cervello di elaborare l'intero accaduto senza minacciare di implodere o fargli venire un embolo. Avrebbe sfogato la tensione nervosa che gli accendeva lo sguardo di lampi incandescenti e sarebbe riuscito ad affrontare la situazione con il giusto autocontrollo e la solita padronanza di sé.
Peccato che non ne aveva la possibilità. Non in quel momento. Prima doveva trovare Lei!
Facendo partire la chiamata, si accostò il cellulare all'orecchio ed attese, ascoltando con sempre meno pazienza il susseguirsi di squilli a vuoto. Ne contò sei, prima che la ragazza dall'altro capo si degnasse di rispondere.
Pronto?
– Dove sei? – spiccio, freddo come il ghiaccio. La sentì esitare per un secondo.
Sul tetto...
Non le lasciò il tempo di aggiungere altro che riattaccò, imboccando di nuovo il corridoio per arrivare così davanti all'ascensore. Per questa volta fu abbastanza fortunato: le porte gli si spalancarono praticamente davanti e lui poté entrarvi senza dover attendere che chicchessia scendesse. Non degnò di un'occhiata i tre dipendenti all'interno, si accostò alla pulsantiera e ne spinse il bottone dell'ultimo piano con una certa veemenza, prima di incrociare le braccia e, con un cipiglio più che evidente, appoggiarsi ad una delle pareti di metallo con una spalla. Si predispose così ad attendere che la sua ascesa terminasse al piano desiderato, lo sguardo basso e un'imprecazione mentale dietro l'altra per ogni sosta effettuata da quella cabina. Quando finalmente poté scendere, mettendo piede sul pavimento piastrellato dell'ultimo piano, ne era assolutamente convinto: la prossima volta ci avrebbe sicuramente messo meno tempo facendosi quelle dieci rampe di scale a piedi.
Sicuramente.


Tenendo il cellulare ancora di fronte a sé, Yukiko tardò a rimetterlo in tasca, osservando il display con aria ansiosa e tormentata al contempo.
– È successo qualcosa?
Quella domanda la fece voltare verso il suo interlocutore, seduto come lei sulla pavimentazione di quel tetto che era a tutti gli effetti un giardino pensile. Gli occhi ambrati di Shinnosuke la scrutavano con una punta di curiosità, seppur il suo tono avesse lasciato trapelare una nota di preoccupazione; per questo la mora si ritrovò a sorridergli in un tentativo di rassicurazione.
– Nulla di grave, davvero. Non preoccuparti.
Kei non le aveva risposto dopo quel messaggio. Non l'aveva neanche cercata, stando alla mancanza di avvisi che aveva riscontrato quel mattino, quando aveva riacceso il cellulare dopo aver fatto colazione a casa di Hilary. Quel silenzio si era protratto per tutta la mattinata, una cosa che aveva minato il suo umore già pericolante, facendola sprofondare in un'acuta depressione. Quando poi non l'aveva incontrato come al solito all'inizio della pausa pranzo, le era nata nel petto una fitta che le aveva gelato il cuore e si era diffusa nel resto del suo corpo, facendola rabbrividire di freddo.
Un freddo che tutt'ora la stava attanagliando, combattendo il fioco tepore del sole autunnale che tutt'ora splendeva su di loro e rendendo perciò vana quell'uscita sul tetto. Il cielo era sereno, spazzato da un debole vento che in quell'ora più calda s'era quietato abbastanza da permettere ad entrambi di restare a godersi il bel tempo. O almeno, provarci. Yukiko non ci stava riuscendo, men che meno in quel momento, dopo aver finalmente sentito la voce del suo dranzerblader.
Una voce talmente fredda da risuonarle nelle orecchie come una pugnalata in pieno petto.
Non aveva alcun dubbio: era in arrivo una tempesta. Metaforicamente parlando, ovviamente.
– Qualche problema con Hiwatari?
La tensione che già la permeava in ogni muscolo la fece quasi sussultare a quella domanda diretta e si affrettò a riporre nella borsa il cellulare mentre gli rispondeva, evitandone lo sguardo con un sorrisetto nervoso.
– No, figurati! Che problema dovrebbe esserci? – una domanda retorica che cadde nel vuoto, suonando vuota persino a lei. Per questo tentò di riempire quella sensazione con nuove parole – Davvero, sarà una cosa da nulla..
– Quello ha una pessima reputazione – se ne uscì senza preavviso lui, interrompendola con fare noncurante ed inducendola a scoccargli un'occhiata fra il guardingo ed il sorpreso. L'aveva presa totalmente alla sprovvista, effetto che si accentuò alla vista del tranquillo sorriso che aveva in volto.
Quel sorriso glielo aveva visto spesso nei giorni passati, ogni qualvolta avevano avuto occasione di parlare e, sebbene con un certo sconcerto della mora, avevano finito per passare quasi tutto il tempo libero alla Hiwatari insieme da quando si erano presentati, quella volta in corridoio. Per questo, sebbene certo fossero pochi i giorni trascorsi a quel modo, inarcò suo malgrado un sopracciglio, lasciando affiorare la propria perplessità riguardo quelle parole.
– Di cosa stai parlando?
– Ho sentito delle voci di corridoio: pare sia un tipo poco raccomandabile – le rivelò lui, apparendo quasi mortificato della cosa, prima di proseguire – ..è stato coinvolto più d'una volta in qualche rissa ed i ragazzi con cui girerebbe sembra siano tutti dei 'figli di papà' che hanno, come concetto di divertimento, quello di passare le serate a sbronzarsi con donne sempre diverse.
– Ah... – se ne uscì Yukiko, impietrita, senza riuscire ad aggiungere altro, prima di venire anticipata ancora una volta.
– Insomma, non voglio farti la paternale, anche perché sarebbe strano visto che abbiamo quasi la stessa età.. ma, fossi in te, ci starei attento ad uno come lui..
Sorpresa, la nightblader lì per lì non seppe cosa rispondergli, aspettandosi di tutto tranne un discorso simile da parte di qualcuno appena conosciuto. Ebbe quasi la netta sensazione che le cose le stessero iniziando a sfuggire di mano; una sensazione sgradevole, che la spinse a sfoggiare un sorriso a metà. Poco dopo, sul punto di ribattere qualcosa nel modo più cordiale possibile concesso dalle circostanze, vennero tuttavia interrotti dal rumore della porta di servizio che si spalancava, cosa che la indusse a voltarsi di scatto in quella direzione, spalancando le palpebre.
Sotto i suoi occhi, Kei fece un passo avanti, fermandosi a fissarla con un'espressione che ella riuscì soltanto a classificare come 'di pietra', malgrado i suoi occhi si fossero appena altalenati da lei a Shinnosuke e viceversa. Una folata di vento più fredda spazzò il tetto, scompigliando loro i capelli e insinuandosi sotto gli abiti, infrangendo quel silenzio calato a dividerli all'improvviso con il suo fruscio.
Per Yukiko fu come se il mondo intero perdesse importanza, come se non vi fosse più altro a parte loro due, cosa che contribuì a farla sprofondare in sé stessa.
Dio, era bello persino da arrabbiato. Perché sì, per lei era evidente quanto in realtà lo fosse, nonostante l'aria apparentemente imperturbabile che ostentava. Lo poteva indovinare dalla forma delle spalle, dalla linea tesa della mascella, dalla posa delle braccia lungo i fianchi, culminanti con due mani chiuse a pugno, mentre si stagliava stoico contro quella carezza gelida che gli schiuse maggiormente il colletto della camicia nera e le permise di cogliere il riverbero prodotto dal pendente a forma di croce che teneva al collo, appeso ad una catenina del medesimo metallo grigio.
Quando il dranzerblader si soffermò per un lungo momento a fissare il ragazzo che era con lei, la mora sentì una nuova tensione permearla da capo a piedi, inducendola ad alzarsi in piedi per pararglisi innanzi. Alla mente le tornarono le parole che Shinnosuke le aveva proferito poco prima, per quanto razionalmente queste per lei non potessero aver alcuna importanza e, in una situazione diversa, le avrebbe sicuramente accantonate in un battito di ciglia.. invece, in quell'occasione non le fu così semplice farlo, serrando le labbra in una smorfia che tradiva tutta la sua ansia.
– Dobbiamo parlare – esordì il ragazzo dai capelli d'argento, interrompendo il silenzio che era calato fra loro. Quelle parole non ammettevano repliche e lui non si mosse, cosicché fu la sua voce ad attraversare i pochi metri di distanza fra loro, prima che scandisse, senza ombra di incertezza – da soli.
Quella precisazione le bloccò ogni muscolo, pietrificandole il sangue nelle vene, ma la sua mente dopo un primo istante di assoluta sorpresa, si ribellò.
No.
Era stanca di nascondersi; era stanca di mentire..
Shinnosuke si mosse dietro di lei, ma Yukiko, cogliendo con la coda dell'occhio quel movimento, allargò il braccio destro per frapporlo fra lui e quella porta. L'irritazione si riaccese in lei, questa volta rivolta verso quello che da più di un mese e mezzo era il suo ragazzo.
– Lui resta – ribatté senza più alcuna incertezza, in un tono di sfida che la spinse a sollevare persino il mento.
Quella reazione parve prendere in contropiede il blader di fronte a lei, perché questi inarcò un sopracciglio in un primo momento. Il successivo, sembrò tuttavia che gli argini che si era costruito per contenere il suo umore si fossero finalmente infranti, perché le scoccò uno sguardo tanto tagliente da costringerla a ricambiarlo, stringendo al contempo la mano ancora accostata al proprio fianco a pugno.
– Bene – le rispose ancor più freddamente, facendo un mezzo passo avanti. Si richiuse la porta alle spalle con un unico movimento del braccio, imprimendo in esso tanta forza da far risuonare il tonfo che ebbe il battente sino alla base del vano scale su cui si apriva.
Quel suono la fece sussultare e riavvicinò il braccio a sé, improvvisamente impaurita di fronte alla furia espressa dell'altro, il quale finalmente si mosse, avanzando verso di lei con un'andatura dalla quale era evaporata ogni fluidità. Un'occhiata sommaria le rivelò che non dovesse esservi più traccia di un solo muscolo rilassato in quel corpo a lei noto.
– Inizia a dirmi chi cazzo è lui.
Nessuna inflessione particolare, nessun sentimento che non fosse un astio tagliente ella riuscì a cogliere nel giovane, del quale l'intimidazione la prese alla sprovvista. Aprì la bocca per parlare ma a quel primo tentativo la voce, infame traditrice, le venne a mancare, dando il tempo al dranzerblader di fermarsi a meno di due metri da lei. I suoi occhi, fissi in quelli verdi di lei, ardevano come braci incandescenti.
– Io sono Takumi Shinnosuke – si fece a quel punto avanti il diretto interessato, comparendo affianco alla nightblader e prendendola alla sprovvista. Voltandosi a fissarlo, lo vide sfoggiare quell'aria tranquilla ed incurante che gli aveva visto spesso addosso, in quel suo sorriso sicuro di sé e gentile al tempo stesso. Una gentilezza che tuttavia nascondeva una sfumatura più tagliente ora che i suoi occhi d'ambra si fissarono su Kei – Un nuovo amico di Yukiko.
Merda.
Quell'esordio le tolse il respiro, come se l'aria di tutto il pianeta fosse stata risucchiata da un buco nero il cui centro era proprio il dranzerblader. Questi sembrò sul punto di incenerirlo senza una parola, prima di riservare lo stesso sguardo anche a lei, in accompagnamento ad un mezzo sorriso privo di qualsiasi ilarità.
– Un tuo amico, eh?
I sottintesi racchiusi in quell'unica parola la fecero arrossire, preda di un improvviso sdegno che riaccese, in una vampata di tutto rispetto, la sua irritazione, facendole ritrovare la voce persa poc'anzi.
– Un amico – ribatté con veemenza, punta sul vivo, offesa, oltraggiata da quell'allusione maligna.
In cuor suo non considerava ancora Shinnosuke un amico, ma era stata spinta dall'impulso del momento a rimarcare quelle parole con quel tono. Che lui avesse pensato, spinto da un qualche tipo di gelosia, all'eventualità che lei avesse potuto guardare qualcun altro all'infuori di lui la faceva andare letteralmente in bestia. Con chi diamine credeva di aver a che fare?!
Lo sguardo che gli restituì non ebbe niente da invidiare a quello di lui di poc'anzi, mentre stringeva convulsamente i pugni lungo i fianchi.
– Che razza di opinione ti sei fatto?! – gli domandò, cedendo all'impulso di esternare ciò che pensava – Non sono io quella che ha passato gli ultimi anni della sua vita a scoparsi chiunque avesse un paio di tette!
Colpito.
Kei digrignò i denti, punto sul vivo a sua volta a quell'accusa, e le sue spalle ebbero un fremito, ma lei non gli lasciò aprire bocca. Col respiro rotto a causa della tensione, afferrò con un movimento rapido il proprio beyblade, tirandolo fuori dalla tasca per rivolgerne il bit in sua direzione, lo sguardo fermo e tagliente. Se davvero era bastato così poco per fargli dimenticare chi fosse, ci avrebbe pensato lei a spolverargli la memoria.
– Risolviamo questa cosa a modo nostro! – lo spronò, senza più alcun tentennamento.
Aveva preso la sua decisione: solo così avrebbero messo fine a quella situazione; solo così si sarebbero chiariti. Per quanto il blader infatti potesse essere chiuso in sé stesso e non abituato a parlare, quando scendeva in campo era tutt'altra cosa e lei ne aveva avuto la prova ormai più d'una volta. In campo, il suo ragazzo tirava fuori un'espressività che, seppur sottile, era sempre meglio di quel muro di indifferenza che, con un impeto inatteso, le era venuto a sbattere contro.
L'iniziale momento di stupore che gli fece così inarcare un sopracciglio, venne presto accantonato da un lievissimo tremito dell'angolo destro delle sue labbra, che si sollevò verso l'alto prima che il blader di fuoco infilasse la mancina in tasca ed estraesse Dranzer dai jeans.
– Come vuoi..


Kei si mise in posizione dopo che la moretta ebbe recuperato il suo lanciatore dalla borsa e finalmente quel tipo dai capelli biondi si fece da parte, incitato dalla ragazza stessa, per lasciar loro lo spazio che gli serviva.
Fissandosi l'un l'altra con il medesimo sguardo combattivo e penetrante, il dranzerblader si ritrovò a pensare che sì, la splendida ragazza che lo stava fronteggiando in quel momento era proprio l'unica che avrebbe potuto considerare “sua”. Solo a lei sarebbe venuto in mente di sfidarlo; solo lei avrebbe avuto l'intuizione che il modo più rapido e sicuro per risolvere ogni cosa con lui era un incontro di Beyblade.
Non dovette attendere molto, prima che Yukiko si mettesse in posizione ad una manciata di metri di distanza, ed appena questo avvenne scandì il conto alla rovescia.
– Tre.
– Due – fece lei di rimando, con il medesimo tono combattivo.
– Uno..
– Pronti.. Lancio! – esclamarono all'unisono, azionando il lanciatore.
Imprimendo tutta la sua forza nel lancio, Kei digrignò i denti mentre Dranzer sfrecciò ad altissima velocità verso il centro dell'area che lo separava dalla sua avversaria e compagna, al pari di ciò che fece Night nello stesso momento. Le trottole di due diverse tonalità di blu si scontrarono, mandando scintille per poi riallontanarsi di scatto a causa del contraccolpo inferto e subito. La lieve onda d'urto che arrivò a sfiorare il volto dei due contendenti ed a smuoverne i capelli neri e d'argento, gli fece batter una volta sola le palpebre mentre la concentrazione, ormai preda di tutto il suo essere, gli fece seguire con sguardo fisso la traiettoria circolare seguita dai due beyblade, intenti a girarsi intorno.
Fu in quel momento di stasi, il quale si protrasse per qualche minuto - entrambi fin troppo consapevoli che l'iniziativa avrebbe decretato la vittoria o la sconfitta - che la voce di lei lo raggiunse, tanto fredda quanto alta a sovrastare il rumore delle due trottole in gioco.
– Io non riesco a credere che tu abbia davvero pensato ciò che hai detto!
Kei si riscosse, sollevando lo sguardo sulla mora a qualche metro da lui: sembrava rigida nella sua posa, con le braccia lungo i fianchi e i pugni chiusi, per non parlare di quegli occhi, di un verde tanto intenso quanto cupo. Ricordando l'impulso che lo aveva spinto a rivolgerle l'insinuazione di cui ella stava parlando, scoccò un'occhiata in tralice all'unico spettatore presente, quel tale di nome Shinnosuke, prima di tornare a dare tutta la sua attenzione alla moretta.
– Non lo so – mormorò scontroso, con una smorfia malcelata. Lo sguardo di lei lo trapassò da parte a parte, facendolo irrigidire meccanicamente.
– Stai dicendo che non ti fidi di me?!
– Non mi fido degli altri! – sbottò il dranzerblader, esasperato da quella situazione.
Davvero non capiva? Davvero non riusciva a vedere che genere di sguardi attirava su di sé, persino in ufficio?
– Scusami?! – esclamò di rimando lei, con tanto d'occhi, prima di continuare – Come se fossi io quella che per strada attira gli sguardi di ogni ragazza che incontra! Come se fossi io quella che gli altri tentano di abbordare con ogni pretesto! Io, quella a cui viene fatta la radiografia persino in ufficio!
A quelle parole accusatorie e cariche di insofferenza, lui si ritrovò a boccheggiare, gli occhi spalancati.
Allora non capiva davvero.. non vedeva!
– Allora sei cieca!
Con un movimento del braccio Kei, persa la pazienza, mandò di nuovo all'attacco Dranzer, che si scagliò con forza contro il bey avversario. Quando lui e Night cozzarono l'uno contro l'altro rimbalzarono nuovamente indietro, per poi tornare a scontrarsi più volte, con più foga, tanta da rispecchiare perfettamente gli stati d'animo di entrambi gli sfidanti. E, proprio durante questi attacchi consecutivi, la nightblader ritornò a parlare con una voce della quale riuscì a captare chiaramente la nota incrinata.
– Te ne stai via più di una settimana, senza neanche raccontarmi com'è andata o cos'hai fatto... e poi te ne salti su con un'accusa simile?! Sei uno stronzo! – lo insultò apertamente, prima di far prendere lo slancio a Night e scagliarlo di nuovo contro il suo avversario in un riverbero luminoso del bit al centro – Neanche mi hai chiamata stamattina, men che meno hai risposto al mio sms!
Kei richiamò il potere del proprio bitpower appena in tempo per sostenere quell'assalto tanto energico, mentre le parole di lei riecheggiavano ancora nella sua mente in tutto il loro significato, inducendolo a rispondere con il medesimo tono a quella nuova accusa irragionevole. Dopo essersi riparato dietro un braccio alzato a quella nuova folata causata dagli attacchi dei loro beyblade, tirò fuori il cellulare dalla tasca, mostrando il display ora illuminato alla mora, lasciandola libera di riconoscere quel fantomatico messaggio di cui stavano ora discutendo ed il cui scarno contenuto di due righe lo informava che stava bene e che sarebbe rimasta fuori per la notte.
– E cosa avrei dovuto rispondere?! – ringhiò, per nulla accondiscendente a dargliela vinta su quella questione, sfoggiando uno dei suoi sorrisetti ironici ed amareggiati al tempo stesso nel proseguire con sicurezza – E scusa se volevo parlare con te di persona, dopo quanto accaduto ieri sera! – l'ironia nella sua voce venne meno, lasciando posto ad un'accusa palpabile – Sei sparita! Non sapevo dove fossi né con chi, né se stavi bene! – ribadì, totalmente serio nel dar voce a ciò che si teneva dentro da ore, sbottando infine – Hai idea di quanto mi sia preoccupato?!
Non gli importava più ormai di apparire debole o ridicolo: da un pezzo aveva smesso di far finta di non preoccuparsi per lei. Era la sua ragazza, era naturale che lui lo facesse! E lei non poteva in alcun modo continuare a far finta di niente; non poteva continuare a comportarsi come se non avesse alcuna responsabilità nei suoi confronti.
Scoccandole uno sguardo penetrante tanto quanto quello d'ella di pochi minuti prima, la vide spalancare gli occhi di smeraldo ed aprire le labbra in un moto di stupore, cosa che gli fece nascere in petto una scintilla di soddisfazione. Le parti s'erano appena invertite.


Quell'ultima frase colpì Yukiko in pieno petto, facendola vacillare nelle sue convinzioni. Kei che ammetteva di essersi preoccupato per lei era in assoluto una delle poche cose che mai si sarebbe aspettata di sentire, non così presto né a quel modo. Gli occhi le pizzicarono. In quel momento, la colse l'illusione di essere tornata indietro nel tempo, in quel parcheggio, entrambi non propriamente padroni di sé stessi, seppur per motivi diversi da quello attuale - questa volta l'alcol non c'entrava nulla.
Un'illusione che venne infranta l'attimo seguente.
– A mio parere.. – esordì Shinnosuke facendo un passo avanti, intromettendosi così in quella discussione biunivoca.
I due litiganti si voltarono entrambi a guardarlo di scatto, gli occhi che mandavano lampi.
Tu stanne fuori! – esclamarono all'unisono, prima di tornare a rivolgersi l'una verso l'altro.
Il malcapitato fece un passo indietro, apparentemente sconvolto e nuovamente silenzioso, permettendo alla mora di riprendere la parola.
– Ero fuori di me, ok? Avevo bisogno di stare un po' per conto mio! – esclamò a quel punto Yukiko, tornando a concentrarsi esclusivamente sull'altro blader.
– Questo non implicava il tenermi all'oscuro! Dove cazzo sei stata, che non vuoi dirmelo?
– Sono tornata a casa!! – gli disse tutto d'un fiato, vedendolo dopo questo inarcare un sopracciglio, come se fosse stato preso alla sprovvista. Non gli diede il tempo di dire alcunché comunque, spiegandosi mentre teneva i suoi occhi incollati in quelli di lui – Sono tornata al vecchio appartamento dove ho vissuto con mia madre e mio padre – abbassò finalmente lo sguardo lucido sui due bey ancora in gioco, di nuovo intenti a girarsi attorno. I lunghi capelli scuri e sciolti le adombrarono parte del viso, prima che proseguisse con il medesimo tono alterato, incrinato ma un poco più basso, tornando a stringere i denti – Ho incontrato per caso Uzumi.. e dopo non me la sentivo di tornare, così ho passato la notte da Hilary.
– Da Hilary? – ripeté in tono interrogativo, in un soffio carico di incredulità.
Sollevò ancora una volta i propri occhi verdi sul ragazzo dai capelli d'argento, quasi a sfidarlo a contraddirla dopo averne udito il tono – Sì, da Hilary! Non sapevo da chi altro andare e lei è stata tanto gentile da accogliermi a casa sua.
– Potevi venire da me – ribatté prontamente Kei, con una nota di amarezza nel tono nuovamente controllato, seppur fece quasi un mezzo passo avanti, sostenendone lo sguardo con uno altrettanto deciso e fermo, ribadendo risentito – Potevi tornare da me.
Quelle parole le lacerarono il cuore.
– No, non potevo – scosse il capo in segno di diniego, l'irritazione e la rabbia di poc'anzi ormai evaporate come neve al sole, mentre trovava finalmente il coraggio di aprirgli il suo cuore. Lo guardò come si guarda l'oggetto di un desiderio consumato dal tempo dell'attesa ma ancora troppo intenso per perdere il suo effetto – Non potevo parlarti in quelle condizioni, né potevo chiederti il consiglio che mi serviva.
Il dranzerblader serrò la mascella, ma stavolta rimase calmo dietro una nuova maschera di freddezza; anch'egli era abbastanza provato dalla rabbia che aveva sfogato sino a pochi istanti prima, tanto da lasciare che sul suo volto si delineasse un'espressione carica d'amarezza mista a confusione.
– Perché no? – le chiese, più cupo che mai.
E quella domanda finalmente giunse, facendola irrigidire prima di lasciare che i propri sentimenti avessero la meglio su di lei e sulla sua compostezza ancora una volta. Così esplose, chiudendo strettamente gli occhi ed incassando il capo fra le spalle mentre dava sfogo a quella verità.
– Perché ti amo!


Kei sussultò, sgranando gli occhi e fissandola con un'incredulità ed uno smarrimento che non riuscì a nascondere. Le corde vocali non gli risposero più, men che meno gli andò in aiuto il suo cervello, in preda ad un corto circuito neuronale da record. Persino la sfida in corso perse importanza e Dranzer rallentò impercettibilmente a causa del turbamento del suo blader.
Questi infatti, si sentì improvvisamente tanto stupido che anche Takao in quel momento avrebbe potuto passare per intelligente, al confronto. Ma lei non gli diede neanche il tempo di riprendersi dallo shock emozionale che gli aveva causato quella confessione tanto repentina quanto sentita.
Vide una lacrima abbandonare le ciglia scure d'ella, ne incrociò nuovamente lo sguardo ed il rimpianto che vi lesse dentro gli tolse il respiro, negandogli il guizzo di felicità che aveva tentato di esplodergli al centro del petto, soffocandolo come farebbe un panno umido su una fugace scintilla.
– Non ce la faccio più a continuare così, Kei – gli si rivolse ancora, con voce spezzata ed un flebile sorriso sulle labbra rosee – Non posso più negare di provare qualcosa per te e non mi importa che si venga a sapere di noi: non voglio più nascondermi!
Night tornò all'attacco, scagliandosi contro Dranzer con la stessa foga dimostrata poco prima dalla mora, mettendo il bey di fuoco alle strette senza che il suo blader potesse reagire a quel nuovo assalto.
– Non voglio più stare in silenzio a guardare qualcuna che ci prova con te!
Quell'ultima affermazione lo travolse in tutto il suo significato, facendolo boccheggiare. Non riuscì a far altro che rimanere lì impalato a guardare impotente la propria disfatta, senza riuscire a recuperare abbastanza fiato da farlo passare per la gola sotto forma di parole di senso compiuto. Riuscì solo a pensare di essere stato uno stupido, fin dall'inizio, per aver sottovalutato la faccenda. La sua mente era sommersa da quell'unico pensiero e fu questo a farlo tardare ad avere una qualsiasi reazione, abbastanza da venir preso in contropiede dall'attacco speciale di lei.
Night! Stella Cometa! – gridò.
Totalmente incapace di opporvisi, il dranzerblader sussultò quando, l'istante successivo, il suo beyblade subì in pieno l'attacco gelido, venendo scagliato nella direzione opposta con tanta energia da rendergli impossibile il seguirne lo spostamento. Gli passò a pochi millimetri dalla guancia sinistra, mancandolo di poco, e la cosa lo pietrificò sul posto facendogli balzare il cuore in gola. Immobile, colse il secco rintocco che produsse Dranzer andando a colpire la parete di alcuni metri dietro di lui, intaccandone l'intonaco prima di ricadere mestamente sul pavimento. Spiazzato dalla rapidità con cui si erano susseguiti gli eventi, non riuscì nemmeno a rendersi conto del pizzico di capelli che la sua stessa trottola gli aveva reciso passandogli tanto vicino, non potendo far altro che rimanere a fissare colei che si era appena aggiudicata la vittoria di quell'incontro.
Yukiko, lo sguardo basso e le labbra schiuse a riempire ripetutamente i polmoni d'aria, tremava appena di fronte a lui, i capelli corvini ad adombrarle il viso a discapito della luminosità di quel tiepido meriggio. Per il breve tempo a seguire, la cui percezione per entrambi era alterata dall'adrenalina in circolo, facendo loro credere che esso fosse eterno ed assoluto, nessuno si mosse, le orecchie di tutti colme del ronzio prodotto dall'unico beyblade rimasto ancora in gioco.
Quando finalmente Kei riuscì anche solo a pensare di scuotersi di dosso quella sgradevole sensazione di smarrimento che l'aveva assalito sin dal termine della loro sfida, venne privato dell'occasione di aprire bocca a causa di un movimento al limitare del suo campo visivo. Questo gli ricordò la presenza indesiderata di Shinnosuke, ancora lì, fermo a fissarlo con tutta l'aria di attendere una sua precisa reazione. La cosa lo irritò e, serrando nuovamente i pugni lungo i fianchi, gli fece perdere momentaneamente di vista la sua ragazza, giusto il tempo di scoccargli un'occhiataccia delle sue.
Tanto bastò a lei per reagire, perché nello stesso momento richiamò il suo beyblade e, senza attendere oltre, scattò in avanti, passando accanto al dranzerblader tanto rapidamente da non dargli neanche possibilità di provare a fermarla. Non potendo far altro, lui si voltò su sé stesso, puntando i suoi occhi dai riflessi d'ametista sulla schiena di lei.
– Yukiko! – la chiamò, invano, mentre i suoi muscoli finalmente rispondevano correttamente ai messaggi inviati dal cervello e le gambe si muovevano.
La nightblader lo ignorò, sparendo oltre la porta in metallo prima che lui riuscisse a raggiungerla e, quando si affacciò alla rampa di scale chiamandola ancora una volta, ne colse appena la chioma bicolore sparire per la rampa di scale.
L'unica risposta che gli giunse fu l'eco della sua stessa voce.


Quando quella sera Yukiko rincasò, si chiuse in camera senza una sola parola e, raggiunto il proprio letto, vi si lasciò andare in uno stato di abbandono pressoché totale.
Sua madre rincasò meno di venti minuti più tardi e quando salì a cercarla lei le rispose a malapena a mugugni, cosicché fu la stessa signora Natsuki a gettare la spugna ed a lasciarla sola, senza insistere sul fatto che scendesse a mangiare qualcosa. Persino una madre degenera come lei aveva quel minimo di sensibilità necessaria a capire quando insistere su certe cose e quando invece non fosse opportuno.
Quella sera, per Yukiko fu come se gli accadimenti della notte precedente avessero perso del tutto la loro importanza in virtù di quanto era successo quel primo pomeriggio.
Gliel'aveva detto.
Gli aveva detto che lo amava.
Ed ora era tutto finito.
Soffocò un singhiozzo contro il cuscino, raggomitolandosi su sé stessa e stringendoselo sul volto, artigliando la stoffa con ambo le mani sino a ché le dita non iniziarono a dolerle, mentre il senso di vuoto che aveva provato per quelle ultime ore lasciava il posto ad un dolore sordo talmente intenso da smorzarle il respiro.
Merda.
Rivisse per l'ennesima volta l'intera discussione, si rivide davanti agli occhi della mente l'espressione marmorea del dranzerblader subito dopo la sua stessa confessione, rilesse la sorpresa e la confusione sul suo volto e si sentì morire. Che stupida era stata, a pensare, a sperare che lui provasse gli stessi sentimenti. Che razza di stupida, nel credere che si sarebbe risolto tutto per il meglio.
Alla fine era accaduto proprio ciò che temeva: aveva rovinato tutto, con le sue stesse mani.
Voleva piangere. Almeno il dolore che sentiva al centro petto avrebbe trovato uno sfogo di qualche tipo, invece non riuscì ad esternare una sola lacrima. Solo singulti aridi, che le ferirono la gola e minacciarono di soffocarla. Soltanto a quel punto cedette e, con una fatica inimmaginabile, in un momento di calma ed autocontrollo scivolò giù dal letto per raggiungere lo stereo. Quando lo accese, alzò il volume finché la musica non fu l'unica cosa che fu in grado di sentire fra quelle quattro mura, riuscendo a trovare un po' di sollievo nel non udire più il suono del proprio respiro affannoso.
Sapeva di essere penosa, non aveva bisogno di alcuna conferma da parte del proprio corpo.
Fece scorrere la playlist sino a trovare la canzone cercata e, quando le prime note di Bring me to life inondarono cristalline l'ambiente, si lasciò ricadere sul pavimento al centro della camera, gli occhi socchiusi sul soffitto e le braccia spalancate, in un abbandono di sé praticamente totale. Si concentrò sulla musica, su quelle parole che lei conosceva a memoria, finché infine riuscì ad arrestare il frenetico lavoro della propria mente e la prima lacrima le trasbordò dalle ciglia, scomparendo il secondo seguente nell'attaccatura dei suoi lunghi capelli neri.
Smise di pensare.
Smise di essere.
E finalmente riuscì ad abbandonarsi al proprio dolore.


Il ragazzo fece un rispettoso cenno di saluto al suo cliente più importante, prima di accomodarsi alla scrivania, cercando di mantenere un'espressione più neutra possibile, ma l'uomo d'affari dall'altro lato inarcò comunque un sopracciglio nel soffermarsi a scrutarlo in volto.
– Che nuove mi porti, Shinnosuke?
– Signore, credo che sia accaduto il peggio – gli rivelò senza mezzi termini il castano, piegando le labbra in una smorfia. Si sentiva a disagio, quasi in colpa per quanto era avvenuto sul tetto, ed il pensiero aveva continuato a tormentarlo per tutto il pomeriggio.
Il signor Hiwatari lo fissò come si può guardare una corsa d'auto in cui la tua beniamina veniva appena sorpassata in curva da un'avversaria. O almeno questo fu l'unico paragone che il giovane detective riuscì a trovare più calzante in quel momento di disagio. Con voce pacata gli raccontò tutto, osservando nel mentre il volto del presidente perdere progressivamente la sua imperturbabilità in favore di un'aria dapprima incredula, poi allarmata ed infine decisamente cupa.
Quando il silenzio tornò a calare nell'ufficio, lo vide passarsi una mano sul viso prima di abbassare poi lo sguardo sul telefono alla sua destra. Passarono un paio di secondi prima che l'importante uomo d'affari arrivasse a capo dei propri pensieri e tornasse ad incrociarne gli occhi ambrati.
– Bene. Se le cose stanno davvero così è il caso di prendere in mano la situazione – affermò con risolutezza, prima di allungare una mano verso quello stesso telefono e iniziare a comporre il numero.
A quel punto Shinnosuke accennò ad alzarsi per lasciare la stanza, ma Hiwatari lo fermò con un semplice cenno della mano che gli indicava di nuovo la sedia, così si rimise seduto. La voce femminile che rispose all'altro capo della linea risuonò poco dopo nell'interfono.
Pronto, Susumu?
– Sakura, è successa una cosa..
Che è successo alla mia Yuki-chan?! – la voce della signora Natsuki non perse compostezza, anzi. Il suo tono assunse una sfumatura più seria ed inflessibile: il tono di una madre pronta a difendere i propri cuccioli in qualunque modo e momento.
Ora toccò al signor Hiwatari spiegare l'accaduto alla donna e lo fece con voce greve, che lasciava trapelare quanto seria potesse essere per loro l'intera questione. Shinnosuke non lo valutò troppo strano, in fondo era pur sempre dei loro figli che si parlava, era inverosimile che la loro felicità non gli stesse un minimo a cuore. Quando terminò, la risposta dall'altro capo della linea si fece attendere e in un primo momento il detective credette che la chiamata potesse essersi interrotta, ma poi la voce della donna d'affari tornò a farsi udire.
..è colpa nostra – mormorò quella infatti, tradendo per la prima volta una nota trafelata. Shinnosuke inarcò un sopracciglio, non riuscendo a seguire più il loro ragionamento, ma la signora continuò – ..avremmo dovuto dir loro tutto fin dall'inizio. Avrei dovuto dire a Yukiko di noi fin da subito, così niente di tutto questo sarebbe successo.. oh, Susumu, è tutta colpa mia.
– Non è colpa tua, cara – la interruppe morbidamente il presidente della Hiwatari, scuotendo il capo – Tutta questa storia è iniziata nel peggiore dei modi e non abbiamo saputo gestirla nel modo corretto nemmeno alla fine.
Ora come ora è inutile rivangare il nostro fallimento – si fece avanti la presidentessa della N.C. con una certa determinazione che denotava il suo carattere pragmatico, sempre incline al cercare una soluzione piuttosto che al piangersi addosso.
A quel punto Shinnosuke si schiarì la voce, attirando l'attenzione di entrambi.
La persona di cui mi hai parlato è lì con te?
– Sì, è qui: può sentirti.
– Salve signora Natsuki – la salutò il giovane detective, scandendo bene le parole per farsi capire il più possibile al viva-voce – Se permettete, io avrei un'idea su come fare a sistemare le cose.
Il signor Hiwatari inarcò un sopracciglio, ma dopo un istante fu la donna a rispondere.
No.
Il ragazzo si ritrovò a spalancare un po' di più gli occhi chiari sull'apparecchio.
Ci siamo impicciati anche troppo.. è giunto il momento per noi di fare i genitori, Susumu.
Il presidente Hiwatari assunse un'aria greve fissando anche lui il telefono da ufficio lì accanto al suo braccio, prima di passarsi stancamente una mano sul volto e infine lasciar sgonfiare i polmoni in un quieto sospiro a labbra chiuse.
– Hai ragione, Sakura.. – ammise, suo malgrado.
Una pausa di silenzio.
Vado a preparare qualcosa per la cena.. non credo che per stasera la mia bambina uscirà dalla sua stanza.
L'uomo d'affari annuì e si salutarono, concludendo così quella conversazione. Quindi i suoi occhi scuri così simili a quelli del figlio si posarono sull'unico rimasto.
– Non sono mai stato molto bravo a fare il padre.. – mormorò, preda dell'impulso del momento, facendo inarcare un sopracciglio al suo interlocutore. Questi attese, non avendo nulla da dire in merito, finché pochi secondi dopo il presidente di fronte a lui non aprì nuovamente bocca – Da questa sera puoi considerare il tuo incarico terminato. Qualunque cosa farai da questo momento in poi sarà a tua discrezione.. farò in modo che domani la somma pattuita venga versata sul conto di cui mi hai fornito i dati bancari.
Che in lingua da uomo d'affari voleva dire che aveva carta bianca e che poteva agire liberamente secondo il suo personale giudizio. Non c'era niente di più liberatorio di questo, per un libero professionista come lui. Annuendo, si alzò dalla sedia su cui era stato fatto precedentemente accomodare e si voltò per raggiungere la porta.
Alla prima occasione avrebbe fatto la sua mossa. Ormai non c'era più nulla a trattenerlo.


...continua.

[ANGOLO AUTRICE]
Ciao a tutte/i!! XD ok, lo confesso, sono un po' nervosa.
Cosa ne pensate di sto capitolo? Confesso che è un po' il fulcro di quest'ultima parte, quindi sì, ci tengo particolarmente ad avere un parere oggettivo a sto punto.. è anche più lunghetto dei precedenti di un paio di pagine, cosa che non sono proprio riuscita ad evitare! Allora, allora?? ç.ç
Ho aggiornato prima, visto? L'avevo detto che l'avrei fatto presto, ma a sto punto mi chiedo se la cosa vi abbia fatto piacere, visti i contenuti ed i risvolti della trama di questo capitolo!! ^.^'
Inizio ad essere nervosa, soprattutto perché la fine è trooooppo vicina e io coi finali sono sempre un disastro! Spero ne venga fuori una cosa accettabile, in caso contrario vi do' l'autorizzazione a linciarmi..
be', che dire? vi saluto e vi auguro un buon weekend!
Alla prossima!
 
Kaiy-chan
   
 
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