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Autore: _Fox    25/01/2015    0 recensioni
L'anticamera della fine. Una stanza spoglia, con solo uno scrittoio, una penna e un'ultima pagina bianca. Sei personaggi si susseguiranno in quest'anticamera, poco prima della loro morte. A chi intesteranno la loro ultima lettera? Cosa vorranno lasciare, in ultimo, alla vita?
Tutti, in punto di morte, penseranno a una sola persona, Percival, attorno a cui è ruotata, nel bene e nel male, la loro vita.
Raccolta epistolare. Dal testo:
#1 Neville
È passato tanto tempo da quando sei partito. Avrei voluto trovare la forza di dimenticarti, ma ho ucciso troppi addii per paura del distacco. Ci sono tante cose accadute in tutti gli anni e gli spazi vuoti tra di noi, ma ora che sto per morire nella mia mente c’è un solo giorno, più vivido dei baci che nei miei sogni ho abbandonato sulle tue labbra.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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#2
Rhoda
 
 
 
Percival,
 
ti scrivo da una stanza spoglia – pareti bianche come l’anima che mi è stata cucita addosso – non l’ho mai voluta un’anima così, come una tela – ho accolto sempre i colori degli altri, senza esplodere dei miei – la maledizione del sentire: anche ora che impugno il mio inchiostro, è una lettera immacolata quella che scrivo, non nero su bianco, ma bianco su bianco, un gioco di invisibilità che non so controllare; ho passato la vita a raschiare i muri in cui imprigionavo me stessa; ogni parola, ogni respiro, ogni sguardo che volgevo al mondo, era uno sforzo mortale, ne uscivo sempre con le ginocchia sbucciate, ossa in briciole, pupille aride.
Ho brancolato in corridoi troppo grandi, tastando le mura per non lasciarmi travolgere dal vuoto, ho passato anni a cercarmi nello specchio e negli sguardi e nei gesti degli altri, ma rimanevo delusa da epifanie impossibili.
Mi ci è voluta la morte per capire che ho vissuto senza esserci mai, incastrata com’ero negli altri,
una vita d’eclissi ci rende ciechi al nostro splendore.
 
ho rubato vertigini
 
in quei corridoi germogliava solo il silenzio austero che mi spazzava via come una piuma orfana,
 
tra tutti quei pavoni, ero solo una colomba dalle ali spezzate
 
in quei corridoi ho arrancato, cieca, e ora saluto la vita da una stanza priva di specchi,
 
senza un riflesso, quasi mi riconosco.
 
Non ho mai scritto una lettera, non ho mai avuto nulla da raccontare, nemmeno a te – ero troppo occupata a sentirti. Jinny, Susan – loro avranno sempre qualcosa da dire, loro sono al mondo per lasciare qualcosa. Io ho solo saputo osservarti, assorbire l’energia che emanavi; eri gravità nuova, Percival, ogni tuo palpito rivoluzionava l’universo
 
 ho saputo solo osservare, e sentire, e mai donare
 
Ti sei mai chiesto quanto pericoloso sia saltare tra le pozzanghere?
 
Un pomeriggio sei entrato nel bar, ti aspettavano tutti e io volevo solo nascondermi, sapevo che guardandoti non sarei sopravvissuta, la tua luce mi avrebbe ucciso, non sarei riuscita a capirla, non avevo mani abbastanza grandi, occhi, cuore abbastanza profondi per stringere tutto l’amore di Neville – Neville aspettava da una vita e tu non lo vedevi mai  – che sciocca sono, ancora adesso ti scrivo di un amore che non m’appartiene. Ho vissuto per raccogliere i petali che sfuggivano alle vite degli altri e costruirci le mie ghirlande, orchestre di odori che respiravo solo io. Per una vita, al tramonto, ho raccolto ciò che di me rimaneva, dopo un giorno passato a spezzettarmi nelle ore degli altri, essere al mondo mi uccideva istante per istante, impressioni continue mi riempivano fino a scoppiare.
Anche tu mi hai riempito, Percival – è questo il dono estremo che voglio lasciarti: t’incorono con la mia ultima ghirlanda di fiori, la più bella. Tu mi hai riempito, giorno per giorno. Non mi importava essere amata, non se tu c’eri  – sono stata un’urna di vite altrui, che cosa triste potrà sembrarti, ma è l’unica cosa di me che ho imparato ad amare nonostante mi odiassi, è stato come vivere milioni di vite in un solo corpo e far mie mille storie, e sognare, distillarle nel fresco silenzio delle lenzuola che mi cullavano ogni notte, mentre donavo le mie emozioni alle stelle.
Che lettera misera, Percival, che lettera piena d’inesistenza, la accetterai comunque? Non ho nient’altro da dare al mondo se non questa confessione, non so neanche se la mia sia gratitudine, è sottile il confine tracciato dall’ago sui grigi della mia vita. Sto per andar via, eppure mi sembra di non essere mai stata al mondo – è così che ci si sente a un passo dalla morte? Non so. Ti rievoco; il tuo viso nella mia memoria è il sole che consacra la danza del pulviscolo in una stanza vuota solo in apparenza, ora piena di ritmi e passi e parole insignificanti. Sei stato il sole, Percival, e credo sia compito mio dirti quanto tu abbia brillato, perché spesso si è ciechi al proprio splendore, e solo un’ingorda come me, mascherata dalla sua modestia, può rivelarti ciò che tutti di te hanno amato, senza mai ammetterlo a se stessi.
Ti ricorderò sempre in quell’attimo – un pomeriggio a Londra, un sole irreale e la porta del bar che si schiudeva umile per lasciarti passare – hai illuminato gli anfratti più neri di chi ti ha incontrato anche solo una volta, Percival, la tua luce non conosceva pietà.
Solo questo ho da dirti. Io, con la mia vita non mia, con le mie emozioni rubate.
Lascio a te il pennello anche quest’ultima volta: dipingimi addosso tutta la vita che vuoi.
 
 
 
 
Rhoda
 
 
 
 
“Sono come la schiuma che precipita a riva.”
Le Onde
 
   
 
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