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Autore: emychan    26/01/2015    4 recensioni
"In principio il giardino apparteneva all'uomo e alla donna"
Così si apre la storia narrata in Yggdrasil, ma questa è una storia diversa.
Questa è la storia di Lilith, delle sua scelta e della sua caduta.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ecco il nuovo capitolo! Un po' più difficile del previsto, ma ce l'ho fatta!:) Spero vi piaccia!!
Come sempre grazie a chi ha commentato!:)
Per le note sul romanzo di "Yggdrasil" vi rimando al primo capitolo o vi invito a visitare il profilo Facebook o Twitter di Ella M. Scarlett

A presto!:) 



Adriel

 
«Adriel? Dove stai andando?»
I piedi dell'angelo si fermarono ad un passo dall’arcata marmorea, i sandali neri coperti di polvere e terriccio. Accigliato, Adriel li esaminò in silenzio, chiedendosi come avesse fatto a ridurli in quel terribile stato senza accorgersene.
I suoi pensieri vennero interrotti dalla calda mano che si posò sulla sua spalla, calda come il fuoco di cui era composto il sole. La stretta, seppur ferrea e quasi bollente, non era dolorosa. E, d'altronde- si chiese- perché avrebbe dovuto esserlo? Michael non aveva motivo di essere in collera con lui. Non ancora, almeno.
«Pensavo di scendere nell'Eden» rispose fingendosi tranquillo. Dentro di sé, la voce che lo ammoniva e condannava da giorni prese a gridare. Era già arrivato il momento del suo castigo, dunque? Era stato scoperto? Le altre creature celesti avevano, finalmente, visto ciò che si agitava nelle profondità del suo cuore? O era stato Michael?
Forse era per questo che lo aveva fermato. Aveva percepito l’orribile ingordigia, che offuscava la sua luce. Aveva scorto l’orribile macchia che si estendeva sul suo capo ad ogni passo?
«Scendi spesso laggiù, ultimamente» mormorò pensoso l'arcangelo custode del fuoco.
Adriel chinò il capo con maggiore fervore rifiutandosi di fissare negli occhi il suo capo-stipite, il più amato dei suoi fratelli.
«Ma ti capisco, sei innamorato-» continuò, ignaro del pallore di Adriel o del suo respiro irregolare. Del lento raggelarsi di ogni suo muscolo.
«Innamorato?» ripeté in un sussurro, la voce tremante. «Non credo sia il termine giusto-»
Michael scoppiò in una fragorosa risata. «Non lo siamo tutti, in fondo?» gli chiese con aria divertita. La pelle attorno agli occhi lievemente raggrinzita dall’eterno sorriso, che portava sulle labbra.
«Io-» provò a rispondere l’angelo, ma nessuna parola riuscì a giungergli alle labbra.
«E come non esserlo?» scosse il capo Michael, i lunghi capelli rossi selvaggi attorno al viso abbronzato. «Gli umani sono creature talmente meravigliose! Anch’io vorrei passare i miei giorni a camminare e a conversare con loro» si accigliò incrociando le braccia sul petto «E, invece, devo andare  ad una noiosa riunione indetta da Luc. Sembra vivere per togliermi tutto il divertimento, quello» brontolò a mezza voce.
Adriel tornò a respirare, il peso sul suo petto meno ingombrante di poco prima. Sentì il calore tornargli alle guance e una risata gli salì alla gola.
Oh, se solo sapessi- avrebbe voluto dirgli- Se solo sapessi.
Avrebbe voluto gettarsi ai suoi piedi e scoppiare in un lungo pianto risanatore. Singhiozzare e supplicare il suo perdono.
Oh, mio Signore- avrebbe voluto scongiurarlo con occhi colmi di lacrime- Chiudimi in una di quelle orribili celle fredde e buie. Getta via la chiave e ricordami cosa significa stare lontani dalla Luce. Perché sono impazzito! Sono pazzo a desiderare ciò che non è mio da avere.
Ma per quanto volesse confessare, il pensiero di essere separato da lei era troppo doloroso.
Il pensiero di non poter più vedere la donna, di non parlarle, di non sentirne più il profumo o il calore della pelle, il suono della risata o il bruciante calore dei pensieri ribelli.
«Avete ragione» si limitò a mormorare, infine, tornando a chinare il capo sconfitto. «È impossibile non amarli.»
Al suo fianco, Michael rise di nuovo. «Ah, beato te. Scendi pure, allora. E porta i miei saluti agli umani.»
 Adriel annuì, di nuovo preda della sua colpa. Non riusciva a guardare Michael in viso. Non riusciva a sopportarne lo sguardo sincero e il sorriso affettuoso. Non meritava quell’amore.
Era un ingrato e un traditore. E tutto era reso peggiore dalla sua appartenenza a quella stirpe. La stirpe dell’arcangelo col cuore più buono e generoso di tutti. E quanto peggio sarebbe stata, per questo, la punizione subita, una volta scoperto? Il cuore così grande di Michael, una volta riempito d’ira, cosa lo avrebbe portato a fare? 
«Sei caduto in disgrazia, Adriel. E da chi andrai a rifugiarti, quando il Signore deciderà di falciare la tua meschina esistenza?» con un ultimo passo, si lasciò cadere nell’Eden.
 
 
Ore dopo, si ritrovò seduto all’ombra di una quercia. La mente sgombera da ogni rimpianto o pensiero, che non fosse la presenza della donna nella radura.
La osservò in silenzio, per lunghi e interminabili attimi, ma per quanto la guardasse, non riusciva a trovare un solo difetto in lei.
Il problema della donna, rifletté, stava nella sua bellezza. Una bellezza imparagonabile a quella di ogni altra creatura divina e mortale.
I suoi capelli dorati splendevano come luce divina sotto ai raggi del sole e i suoi occhi erano grigi come la tempesta, che agitava i cieli ad un Suo comando. Il suo corpo era snello e flessuoso come i giunchi del bosco, ma il vero capolavoro era la sua anima.
Oh, la sua anima. Quale misteriosa complessità di rabbia e amore.
E se il problema della donna era la sua bellezza, quello di Adriel era il desiderio.
Desiderava e voleva e agognava e sognava.
Con tutto se stesso, con la stessa forza con cui pregava per il Padre, con la stessa sete con cui si abbeverava alla fonte divina, con la stessa avidità con cui amava il Padre.
E quanto poteva essere sbagliato un sentimento simile? Un paragone tanto perverso e peccaminoso.
Oh, sapeva di sbagliare. Sapeva di dover smettere, ma -per quanto se lo ripetesse- i suoi pensieri e il suo corpo non facevano che condurlo a lei, tenendolo imprigionato, quasi incatenato al suo fianco.
E, per quanto lo desiderasse, non poteva fare a meno di desiderare la sua voce o il suo sorriso.
E, per quanto volesse mettere fine ad ogni cosa, prima che tutto fosse perduto, non poteva ignorare la rabbia e l’invidia, che gli provocavano la vista dell’uomo.
L’uomo al quale lei era destinata. L’uomo per il quale era stata creata.
Quella creatura limitata, schiava della sua carne, che mai avrebbe potuto renderla felice.
Oh, lui poteva darle un amore umano, quello sì. Un amore sconosciuto alle creature celesti. Quel desiderio carnale, fisico, al quale aveva assistito dall’ombra più di una volta. Ma cosa importava di quello? A cosa serviva quella breve unione nella carne, se una volta finita nulla di più rimaneva tra di loro?
Lui amava alla maniera degli angeli. Lui amava come l’uomo non avrebbe mai potuto amare.
Come ogni creatura celeste ama il suo Creatore, con la stessa purezza e lo stesso egoismo con cui gli angeli cantavano le lodi del Regno.
«Sei di nuovo qui, Adriel?»
La voce lo colse di sorpresa strappandolo dai suoi cupi pensieri e il calore della piccola mano della donna si posò sul suo braccio strappandogli un sospiro.
Annuì, perdendosi ancora una volta nel profumo e nello sguardo dell’umana.
Quanti giorni avevano già trascorso così? Seduti a parlare su un manto di foglie verdi e gialle. Immersi nella natura più nascosta dell’Eden, lontani dagli occhi dell’uomo e delle altre creature celesti.
«Volevo insegnarti a modellare il legno» le disse con voce tremante, conscio dell’ennesima menzogna raccontata per giustificare la sua presenza lì.
Gli occhi di Lilith si accesero di malizia, le guance arrossate dalla gioia di vederlo. Entrambi riconoscevano la bugia, così come entrambi fingevano di non vederla.
«Perché non mi insegni ad andare a caccia, invece?» gli chiese lei.
«A caccia?»
Lilith annuì. «Voglio che mi insegni a creare un’arma. Qualcosa per cacciare e difendermi.»
«E da cosa dovresti mai difenderti qui?» chiese lui, sinceramente sorpreso dalla richiesta della donna.
«Forse da niente» annuì lei, ma con aria dubbiosa, quasi più per compiacerlo, che non per sincerità. «Ma non rimarrò qui per sempre, no?» gli disse. L’aria in parte determinata e in parte speranzosa.
Adriel si sporse per scostarle una ciocca di capelli biondi dal viso. «E dove vorresti andare? Mi mancheresti» le sussurrò compiaciuto di vederla arrossire.
«Ma tu verresti con me, non è vero? Mi proteggeresti sempre e vedremmo insieme il mondo.»
L’orrore di quel pensiero lo colse del tutto impreparato. All’idea di allontanarsi dal Regno, dai suoi fratelli, dal Padre, un senso di disperazione parve sollevarsi da dentro di lui minacciando di inghiottirlo. Ma accanto ad esso, c’era anche qualcos’altro.
Quel pozzo infinito di desiderio, di egoismo, quella voce che gli gridava di portarla via all’uomo e tenerla con sé prese di nuovo ad agitarsi.
E se fossero scappati insieme? Se avessero lasciato tutto e tutti alle loro spalle?
Quell’enorme calderone di emozioni parve sotterrarlo sotto al suo peso, confondendolo e Adriel rimase in silenzio, le labbra tese in un tremolante sorriso.
«Perché non possiamo essere ciò che vogliamo?» continuò la donna, ma l’angelo la fermò. Incapace di sostenere oltre quella conversazione, scosse il capo e le posò un dito sulle labbra.
Non dire niente, la supplicò mentalmente. Non continuare a peccare con le parole oltre che col cuore.
Il problema della donna, in definitiva, era  la sua anima.
Troppo grande per stare rinchiusa in quella minuta prigione di carne. Troppo per il loro mondo. Troppo per la gerarchia nella quale erano destinati a vivere e prosperare.
Lei era diversa da loro, era diversa dall’uomo, era qualcosa di impensabile, di completamente nuovo.
E lui poteva darle ciò che desiderava, lo sapeva. Poteva renderla felice e saziare il  suo bisogno di vita e libertà mostrandole gli angoli più oscuri e lontani del mondo. Ma anche se poteva farlo, non era destinato a stare con lei. Non era quello il suo dovere.  
Era una creatura celeste e le creature celesti non appartenevano agli umani, così come gli umani non appartenevano a loro. Lui apparteneva alla Luce e la donna apparteneva all’uomo.
Questa era l’unica realtà.
Ma le labbra della donna, adesso, era vicine al suo viso, rosse e lucide come la buccia dei frutti che crescevano sugli alberi del giardino. E lui sapeva cosa Lilith desiderava.
Li aveva visti una volta, lei e l’uomo, poggiare le labbra l’uno contro l’altra.
Non sapeva cosa significasse quel gesto, né perché lo avessero fatto, ma aveva percepito il piacere di entrambi e aveva desiderato scagliare l’uomo lontano da lei.
Adesso, con quella semplice, muta resa, Lilith offriva a lui ciò che l’uomo aveva già avuto. Ciò che era diritto dell’uomo, e solo suo, avere. E voleva sentirlo, voleva saperlo, voleva provare quello stesso piacere carnale a loro sconosciuto.
«Devo andare, Michael mi chiama» sussurrò alzandosi. Non le lasciò nemmeno il tempo di parlare o di provare a fermarlo. Ne percepì la sorpresa, la delusione, ma scappò prima di potersene pentire.
Si fermò solo una volta giunto oltre il cancello che avvolgeva il giardino.
Rimase lì, nascosto nell’ombra, a guardarla lavorare il legno con aria imbronciata, le spalle curve.
«Credevo non ci fosse concesso scendere qui, ma chiaramente sbagliavo.»
Adriel sussultò, le guance arrossate dalla vergogna. La paura si insinuò nuovamente nella sua anima e nella sua mente, perché quella voce fredda e carica di sarcasmo era inconfondibile.
«Mich-» si fermò schiarendosi la gola. «Il sommo Michael mi ha dato il suo permesso» si giustificò.
Lucifiel non si mosse continuando a studiarlo coi suoi impassibili occhi dorati. L’angelo si chiese quanto avesse visto, quanto avesse percepito.
Il serafino chinò il capo su una spalla portandosi un dito alle labbra. «Oh-» mormorò vagamente stupito. «Non sapevo fossi così importante.»
Adriel boccheggiò avvampando di vergogna. «Ha dato il permesso a tutta la schiera» lo corresse subito.
«Eppure, qui vedo solo te» fu la gelida risposta.
L’angelo cercò furiosamente qualcosa da ribattere, ma- ben presto- Lucifiel non parve più prestargli alcuna attenzione.
Gli occhi del consigliere si posarono oltre il cancello, sulla donna intenta a lavorare. «È, dunque, quello?» chiese con aria sorpresa. «Tutto questo rumore per una creatura così fragile e minuta?»
«Quella è la donna-» gli rispose Adriel sentendosi vagamente offeso dalle sue parole. «L’uomo è al lago.»
«La donna-» mormorò il serafino, quasi soprappensiero. «Certo.»
Adriel sentì l’improvviso e irrazionale impulso di allontanare l’attenzione del consigliere da Lilith.
«Volete parlare con l’uomo? Dovrei andare a cercarlo per voi?»
Quegli occhi dorati scivolarono di nuovo sul suo viso e Lucifiel lo studiò, sembrando quasi sorpreso di trovarlo ancora lì, al suo cospetto. «Non hai doveri ai quali tornare, angelo Adriel? O la tua schiera ha più tempo libero di quanto credessi?»
«Io non-»
Lo sguardo fermo del serafino gli fece morire ogni protesta sulle labbra.
«Stavo giusto andando, sommo Lucifiel» chinò il capo allontanandosi di un passo.
L’arcangelo non rispose, tornando a guardare in silenzio la donna.
Adriel non capiva cosa nascondesse il suo viso, quali emozioni stesse provando innanzi a quella creazione.
Con un nuovo e diverso peso sulle spalle, gettò un’ultima occhiata di rammarico verso Lilith.
Presto, le promise in silenzio. Presto, tornerò da te.
 
end
   
 
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