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Autore: seasonsoflove    27/01/2015    8 recensioni
"Era quasi ora di pranzo alla Storybrooke High School, e Belle era seduta in classe insieme ai suoi compagni.
Belle era la tipica ragazza...atipica.
Graziosa ma di una bellezza antica, di classe. I lunghi capelli rosso scuro leggermente mossi, la carnagione pallida, le guance rosee, gli occhi di un azzurro irreale, il viso tondo, e il corpo minuto."
AU!Highschool - Young!Storybrooke.
Pairing (Rumbelle/SwanQueen e altri possibili)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Belle, Emma Swan, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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And it's too late baby
now it's too late
though we really did try to make it
something inside has died
and I can't hide 
and I just can't fake it





Sabato mattina Belle si svegliò lentamente, quasi in trance.
Non aprì immediatamente gli occhi. Le pareva di vedere la luce filtrare prepotentemente dalle tende. Immaginò che fosse tardi ma non se ne curò. Era bello tenere gli occhi chiusi. Fingere che nulla fosse accaduto. Una parte di lei ci credeva persino, si aggrappava a quella piacevole sensazione.
Purtroppo la realtà giunse brusca e inaspettata, sotto le sembianze di suo padre.
“Belle, mi dispiace svegliarti ma è passata l’una e credo che sia venuta l'ora di alzarti.”
Allora aprì gli occhi.
“Papà?”
“Sì. Ecco, io ti ho lasciata dormire…non…non mi è sembrato che tu abbia dormito molto questa notte. Ma devi mangiare qualcosa. Guarda qua…ti…ti ho preparato tutto quello che ti piace!”
Suo padre si sedette sul bordo del letto con un ampio vassoio in mano: tè, biscotti, brioche, una tavoletta di cioccolato, pane tostato…
Belle si stropicciò gli occhi e si stiracchiò. Sentiva le palpebre pesanti e gonfie, probabilmente effetto collaterale di quanto aveva pianto.
“Grazie” mormorò afferrando un biscotto.
Non aveva fame ma Moe aveva ragione: non poteva rimanere a digiuno per sempre.
L’uomo sospirò e la squadrò con i suoi occhi azzurri.
“Ora…ti va di dirmi cosa è successo?”
La ragazza scosse la testa.
“Non voglio parlarne. Davvero…apprezzo tanto lo sforzo che hai fatto e…appena sarò pronta ti dirò tutto. Ma ora preferisco…non pensarci. Perché…mi fa male.”
Sentì gli occhi riempirsi di nuovo le lacrime. Allora con un grande sforzo le ricacciò indietro e mangiò decisa un altro biscotto.
“Va bene…” disse Moe.  Era palesemente impaziente ma rispettò il volere della figlia. “Però devi assolutamente sentire la tua amica Tink. Ha chiamato almeno dieci volte, credo sia molto preoccupata.”
Belle deglutì. Giusto. Ora doveva dirlo a Tink, che sicuramente l’aveva già saputo, ma avrebbe preteso i dettagli della storia e avrebbe insistito per mettere in atto qualche folle vendetta. Poi avrebbe dovuto dirlo ad Ariel…a Ruby, sua zia. Le aveva scritto felice durante quei mesi, dicendole quanto era contenta e Ruby le aveva risposto con altrettanto entusiasmo, le aveva detto che sarebbe venuta a trovarla una volta finiti gli esami, a giugno, e che non vedeva l’ora di incontrare il suo famigerato ragazzo…
“Sì.” Asserì Belle dopo qualche minuto. “Credo che mi farà bene parlare con Tink.”
Suo padre annuì coscienziosamente, chiedendosi però dentro di sé perché non volesse parlare anche con lui.
 
 
Quando Belle accese il cellulare, trovò circa una cinquantina di messaggi.
C’erano quelli di Tink, dai più semplici:
 “Dobbiamo parlare, richiamami appena puoi!”
A quelli più minacciosi:
“Sto venendo a casa tua, ti avviso” e “Vado da Robert e gli do fuoco alla casa se non rispondi subito”
Per finire con lo spam più selvaggio:
“Rispondi1” “Rispondi2” “Rispondi3” “4” “5” “6”.
C’erano anche i messaggi di Ariel, in quantità notevolmente minore ma altrettanto preoccupati.
Belle sbuffò mentre un altro messaggio arrivò in quel preciso istante:
“Tuo padre mi ha detto che sei sveglia richiamami subito HAI CAPITO, SUBITO”
 
Ma non erano quelli i messaggi che Belle temeva.
Tremante, con un enorme groppo alla gola, aprì la casella aspettandosi il peggio.
Invece non trovò nulla.
Lui non le aveva scritto niente.
Rimase immobile a fissare lo schermo del cellulare.
Il dolore che aveva provato la sera prima e che quel mattino pareva essersi leggermente sopito, riprese a martellarle il petto con una violenza inaudita.
La cosa peggiore era che una parte di lei aveva davvero sperato.
Non che un messaggio avrebbe cambiato le cose, assolutamente…no, semplicemente una parte di lei avrebbe semplicemente voluto leggere il suo nome sul visore. Vedere che le aveva scritto. Che stava soffrendo quanto lei, che aveva pensato a lei…avrebbe voluto leggere le parole che avrebbe scelto. Sarebbe stato inutile ma in un certo senso, avrebbe ancora fatto parte della sua vita, per qualche minuto. L’avrebbe sentito vicino, nel dolore.
Invece nulla.
E Belle provò di nuovo quella netta sensazione, come se qualcosa si fosse rotto per sempre e ora li dividesse un confine invisibile.
Non l’aveva lasciato per quel bacio.
Non era stato quello, non il bacio in sé. Era stato…tutto il resto.
Il fatto che la paura fosse stata più forte dell’amore che provava per lei.
O che avrebbe dovuto provare.
Il fatto che in pochi giorni di lontananza aveva semplicemente perso la testa. Come avrebbe fatto ad affrontare un eventuale distacco se non era in grado di gestire neanche una settimana da solo?
E così Belle French era semplicemente arrivata alla conclusione che Robert amava più la sua paura e la sua debolezza, di lei.
 

 Quel week-end fu terribile per ciascuno di loro. Belle parlò con Tink ed Ariel e spiegò loro cos'era successo. Entrambe le ragazze espressero il loro sdegno nei confronti di Robert e lo ricoprirono coi peggiori insulti: la cosa non fu molto d'aiuto per nessuno.
Regina si limitò a studiare, più che altro per cercare di evadere dal sentimento di disagio e noia che la pervadeva da venerdì.
Killian era furioso. Furioso col mondo, con i suoi genitori che litigavano, che piangevano, che non gli spiegavano bene come stavano le cose. Furioso con i medici perchè suo fratello era ancora in coma e non si svegliava nonostante l'operazione fosse andata relativamente bene. Furioso persino con sè stesso. Non aveva detto a nessuno dei suoi amici della sua situazione, ed era disperato.
Quel week-end sembrava non finire più. Eppure passò e in un modo o nell'altro, fu lunedì.


Robert aveva cercato di darsi dei piccoli obiettivi da completare giorno per giorno, così da avere la sensazione di poter ancora recuperare ciò che aveva perso. Non era molto d’aiuto ma in qualche modo lo faceva sentire meglio. Era l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi: la speranza di poter ritornare all’inizio. La speranza che i suoi sforzi e il tempo potessero risolvere le cose.
Quel giorno, lunedì mattina, era venuto il momento di fare una certa consegna.
Probabilmente non sarebbe cambiato nulla ma gli pareva importante anche solo provarci.
Così incontrò Tink nel cortile dietro la scuola.
“Ciao.” Esordì lei vagamente imbarazzata.
“Ciao.”
Entrambi fissarono il pavimento con estremo interesse.
“Mi dispiace per come sono andate le cose.” Disse infine Tink, brusca.
“Già. Dispiace anche a me.”
Lui non aveva particolarmente voglia di parlarne, specialmente perché la ragazza era amica di Belle. Se da una parte poteva sfruttare la cosa, dall’altra…in qualche modo sentiva di non dovere invadere la privacy dei loro discorsi. Avrebbe tanto voluto chiederle come stava Belle, cosa faceva, se lui le mancava, se parlava di lui, se era arrabbiata e se davvero aveva intenzione di non perdonarlo, se lo amava ancora o se tutto ciò che provava era magicamente sparito nel nulla…
Non lo fece.
“Allora, ho…questa cosa. Devi darla a Belle.”
Tirò fuori il piccolo pacchettino dalla tasca e lo consegnò a Tink.
“Sai che non funzionerà, vero?” chiese lei mestamente.
“Non sto cercando di riconquistarla. E’ solo davvero importante per me che…che lei lo veda.”
Tink si mordicchiò le labbra. Sembrava sul punto di chiedergli qualcosa.
“Posso vedere cos’è?” domandò infine.
Il suo tono di voce curioso strappò un mezzo sorriso a Robert, il primo in diversi giorni, che annuì.
Così la ragazza aprì il pacchettino. All’interno vi era un ciondolo semplice e rotondo, montato su una catenina d’oro.
“Ha qualche significato nascosto?”
Lo alzò all’altezza degli occhi per osservarlo meglio.
“Si può aprire.”
Fece per aprirlo, ma esitò.
“Se…se preferisci non lo faccio.”
“Puoi farlo.”
All’interno del ciondolo c’era un semplice bigliettino bianco.
Tink lo lesse.
“Ah.”
“Già.”
Nessuno dei due disse nulla. Robert cominciò a sentire quella fastidiosa sensazione agli occhi che aveva imparato a collegare alle lacrime imminenti. Sbattè le palpebre un po’ di volte e cercò di rilassarsi.
“Quando…quando avresti dovuto darglielo?”
“Venerdì.”
Lei esitò un momento, poi qualcosa la spinse ad agire. Si avvicinò al ragazzo e lo abbracciò con gentilezza.
“Oh.” Si lasciò sfuggire Robert. Era perplesso ma ricambiò l’abbraccio.
“Mi dispiace davvero.”
“Anche a me.”
“Robert, tu hai fatto una stronzata enorme, davvero.”
“Lo so.”
Fissò il pavimento senza trovare nient’altro da aggiungere.
“Glielo darò. Ma…non… non ci sperare”
“Lo so.” Ripetè il ragazzo senza forze.
Aveva già smesso di sperare da un bel po’.
 
“Ma dov’eri finita? E’ mezz’ora che ti aspetto!” abbaiò Belle non appena Tink fece il suo ingresso in aula studio.
L’amica alzò le mani con fare colpevole e si sedette accanto a lei.
Il pacchettino che Robert le aveva consegnato era in tasca e sembrava che pesasse più del piombo.
La cosa più semplice sarebbe stato esordire semplicemente con la verità: dirle che aveva visto Gold per parlargli e che le aveva consegnato una cosa per lei. Dopodiché lasciarle il regalo e andarsene con discrezione, per lasciare a Belle il tempo di metabolizzare.
Eppure Tink sentiva che non era la cosa giusta da fare.
Non odiava Robert. Disprezzava ciò che aveva fatto, nella sua mente rappresentava in quel momento tutto ciò contro cui combatteva ogni giorno, cioè la mancanza di rispetto e fiducia nelle relazioni umane.
Ma non lo odiava.
Ma darle quel regalo significava dargli inconsciamente un’altra possibilità.
Perché dentro di sé, Tink sapeva che se Belle avesse letto ciò che era inciso a fuoco su quel ciondolo, le sue decisioni finali avrebbero potuto cambiare radicalmente.
 
Ti amo.
 
Non consegnarla a Belle significava tradire la fiducia di Robert. Dopo che gli aveva fatto una promessa. Ma anche lui aveva fatto delle promesse a Belle e non le aveva mantenute.
Tink rifletteva mentre annuiva automaticamente a tutte le cose che Belle stava dicendo in quel preciso istante.
Chi era lei per impedire alla sua amica di sapere la verità? Dalla sua decisione potevano dipendere i destini dei due ragazzi…oppure no.
Magari i loro destini erano già segnati e quello non avrebbe cambiato nulla…in fondo erano giovani, avevano diciotto anni…
“Quindi pensavo di…di fare domanda a Boston.” terminò Belle con enfasi.
Tink fissò il tavolo davanti a sé, senza dare nessun segno di vita.
Doveva darle quel ciondolo.
Era la cosa giusta da fare: la ragazza era fermamente convinta che bisognasse sempre scegliere l’amore invece che la rabbia e la vendetta. Avrebbe applicato quel criterio anche quella volta.
“Tink?”
Si ridestò dal torpore e fissò Belle.
“Sì?”
“Mi hai ascoltata?”
“Certo che sì. Ma…nell’ultima parte…cosa stavi dicendo…?”
Belle alzò gli occhi al cielo.
Non la stava ascoltando.
Chissà cos’era successo mentre era rimasta fuori tutti quei minuti. Forse aveva incontrato Killian.
“Dicevo che non andrò più a New Haven. Ma la borsa di studio…la posso usare comunque. Quindi…pensavo di fare domanda all’università di Boston. Dove…dove vuoi andare anche te.”
Tink spalancò gli occhi.
“A Boston!?”
“Sì. Così…almeno non…non sarei sola.” Borbottò Belle.
La biondina sentì il pacchettino nella tasca diventare ancora più pesante.
Belle aveva cambiato i suoi piani.
Non voleva più andare a New Haven.
Non voleva seguire Robert, ora che Robert non era più parte della sua vita.
“Io…è…”
Esitò.
Mise la mano in tasca.
“E’ magnifico.” Concluse infine.
Appoggiò entrambe le mani sul tavolo e le congiunse.
“Davvero. Potremo prendere una stanza insieme! E…e decorare le mura con un sacco di foto di Game of Thrones!” esclamò poi.
Belle rimase un attimo interdetta.
“Sì…con…foto di Game of Thrones.”
Entrambe rimasero in silenzio per un po’ di tempo, immerse nei loro pensieri.
Poi istintivamente Tink appoggiò la propria mano su quella dell’amica.
“Sarà una nuova avventura! E so…che non è come l’avevi immaginata, ma…ci divertiremo”
Entrambe sorrisero.
No, non era come aveva immaginato ed era troppo presto per pensarci senza provare un’orribile sensazione di vuoto allo stomaco, ma Belle pensò che in fondo la ragazza aveva ragione.
Si sarebbero divertite.
 
 
Nei giorni seguenti, la notizia dell’incidente del fratello di Killian si diffuse rapidamente a scuola.
Il giovane capitano della squadra di football era estremamente popolare e la sua mancanza non passò di certo inosservata.
Robert gli scrisse senza troppa convinzione martedì mattina, se non altro perché aveva bisogno di parlare con qualcuno.
Non ottenne risposta ed immaginò che il ragazzo se ne fosse andato da qualche parte in vacanza senza avvisare nessuno, o che avesse deciso di prendersi qualche giorno di “malattia” come era solito fare (giorni in cui vegetava sul divano fingendo di avere la febbre per non dover andare a scuola).
Quando giovedì mattina, la professoressa Blanchard annunciò alla classe che il fratello di Killian Jones era in gravissime condizioni, in coma all’ospedale, rimasero tutti sconcertati. Robert pensò tristemente che in quel momento forse non era la persona più triste della città e decise che sarebbe andato a trovare l’amico quel pomeriggio stesso.
La persona che si sentì peggio, per Killian e per sé stessa, fu Tink.
 
 
Emma Swan sfogliava pensierosa un catalogo di mobili, seduta da Granny’s, una tazza di caffè bollente di fronte.
Si era trasferita da poco nella nuova casa in affitto e aveva intenzione di apportare qualche modifica.
Le avrebbe fatto comodo avere un uomo, pensò distrattamente, o anche qualche amica a darle una mano. Aveva già acquistato una scrivania nuova ma non aveva idea di come montarla.
Suo padre si era immediatamente offerto, ma Emma aveva declinato. Se c’era una cosa di cui era sicura in quel momento, era il suo assoluto desiderio di tenere fuori i suoi genitori dalla sua vita.
I signori Swan si erano notevolmente indignati e preoccupati quando Emma aveva espresso il suo desiderio di cambiare casa ed iniziare una vita per conto proprio. Così dopo numerosi litigi, incomprensioni, i due avevano acconsentito a patto che la giovane professoressa accettasse comunque di non rispedirli dritti indietro a Tallahassee.
Emma aveva accolto la loro proposta, ed ora viveva da sola.
Era una sensazione magica. Poteva mangiare ciò che voleva, andare a dormire quando voleva, fare ciò che voleva senza doverne rendere conto.
Aveva ingenuamente pensato che avrebbe potuto invitare Regina per chiacchierare e bere qualcosa, ma poi la situazione aveva preso una piega imprevista…
Emma si rattristò ripensando al fatto che in qualche modo era riuscita a perdere l’unica amica che era riuscita a farsi in quei mesi. Si chiese per l'ennesima volta il perchè di quella brusca decisione. Forse era stata troppo soffocante, forse le aveva dedicato troppe attenzioni...
Pensò anche al fatto che l’unica amica che era riuscita a farsi era una studentessa di diciotto anni.
Forse era giunto il momento di rivoluzionare la sua vita.
“Ehi- ehi scusi.”
Emma alzò lo sguardo stupita.
Un uomo, o forse un ragazzo, non poteva avere più di trent’anni, le stava rivolgendo la parola.
“Sì?”
“Le…le è caduto questo.” Disse semplicemente l’altro. Le consegnò un foglio, un compito in classe che doveva essere sfuggito dal plico sul tavolo.
“Oh. Grazie!” esclamò Emma sorridendo.
Lo sconosciuto fece altrettanto.
Aveva i capelli castani mossi e intensi occhi scuri. No, decisamente non poteva avere più di trent’anni.
“Prego.”
Emma lo fissò con curiosità. Sembrava sul punto di dire qualcosa ma si guardava intorno dubbioso.
“Mi scusi se glielo chiedo” borbottò infine “Ma non credo di averla mai vista da queste parti. E’ nuova?”
Lei annuì.
“Sì io…beh, non proprio. In realtà abito qui da gennaio. Però…mi considerò nuova. Vengo da Tallahassee.”
L’uomo sembrava sorpreso.
“E’ piuttosto lontano da Storybrooke!”
“Sì…ma…beh, lavoro come professoressa. Sono stata trasferita.” Spiegò con semplicità.
Lui esitò un momento, dopodiché indicò la sedia vuota.
“Sembra una storia interessante. Posso…?”
Emma lo squadrò. Sembrava un tipo a posto.
“Non ho cattive intenzioni.” Disse con un mezzo sorriso, intuendo le sue preoccupazioni.
Emma annuì. “Allora siamo d’accordo. Può sedersi!”
“Mi chiamo Christopher comunque.”
Le strinse la mano.
“Christopher Walsh” (*)
 

 
Regina aveva poche certezze arrivata a quel punto della sua vita.
Sembrava che ognuno di loro fosse stato risucchiato da un vortice di eventi imprevisti ed indesiderati, ed ognuno di loro si ritrovava ad affrontare la situazione come meglio poteva.  Belle e Robert si erano lasciati. La coppia che sembrava essersi dichiarata eterno amore solo pochi giorni prima, era scoppiata.
Regina Mills non aveva idea del perché e soprattutto, in fondo, non le importava: ma in qualche modo, una delle sue certezze era crollata.
Belle era molto umorale. Parlava con apparente tranquillità ed era sempre gentile, ma era anche imprevedibile. C’erano momenti in cui si rinchiudeva in sé stessa, altri in cui scattava per le cose più impensate. In ogni caso, non l’aveva vista versare una lacrima: neanche una volta.
Robert era completamente sparito. O meglio, Regina lo aveva intravisto qualche volta nei corridoi e in classe, ma non si erano mai parlati. Nulla se non un breve cenno. A differenza di Belle, il ragazzo aveva eretto un muro tra sé e il resto del mondo. Aveva ceduto il posto di capitano della squadra del Decathlon ad un ragazzo del terzo anno. Dopodiché, aveva continuato la sua vita: il suo sguardo era vuoto, faceva quasi spavento.
Tink era diventata imprevedibile quasi quanto Belle. Non riusciva a darsi pace per come aveva trattato Killian il venerdì precedente. Questo Regina l'aveva intuito da stralci di conversazioni che aveva captato in biblioteca, mentre studiava insieme alle due ragazze.
La cosa che trovata leggermente comica, in tutto quello, è che anche Zelena in qualche modo si era trovata all’interno di quel vortice di cambiamenti. Durante gli allenamenti era sempre più insopportabile e dispensava cattiverie a tutte le compagne di squadra. Sembrava furibonda per qualcosa e lo dimostrava ampiamente in attacchi di imprevedibile isteria.
Così Regina rifletteva.
E pensava che in fondo, era grata, per una volta, che non fosse toccata a lei. La sua vita era estremamente regolare e calma da quando si era unita nuovamente alle cheerleader. Non poteva certo lamentarsene.
Le cose con Emma Swan, si erano definitivamente sistemate.
Certo, pensava malinconica la ragazza, forse non erano andate nel verso in cui avrebbero dovuto…ma a volte è necessario fare delle scelte.
Ciò che mai aveva immaginato, è che si sarebbe trovata molto presto a farne una.
 
Quando passò davanti al Granny’s Dinner con passo spedito, inchiodò improvvisamente. Non registrò subito ciò che aveva visto. Fece due passi indietro e guardò attraverso la spessa vetrata.
Non poteva essere…eppure…
Emma Swan era seduta all’interno del locale, con un grande bicchiere di caffè in mano. Di fronte a lei, un perfetto sconosciuto, un ragazzone coi capelli castani, sembrava intento ad ascoltarla mentre lei parlava.
Regina rimase immobile a guardare la scena.
Dopodichè corse via.
 
 
“Ascoltami…devo dirti una cosa: papà e mamma…hanno deciso di separarsi. Mi dispiace piccolino, è per questo che lei non viene più a trovarci. Sappi che il mio amore per te non cambia di una virgola. So che vorresti vedere la mamma e che lei ti manca ma…per il momento preferisce stare sola. Io la amo ancora però. Spero che mi ami anche lei. Tu cosa ne pensi?”
Adam inclinò leggermente la testa, perplesso.
Robert lo guardò incoraggiante.
Il cane guaì gli leccò la mano e trotterellò verso la ciotola di cibo.
"Torna qui Adam!"
Lui continuò a mangiare come se niente fosse.
Il ragazzo scosse la testa sconsolato, riprendendo a rosicchiare un biscotto.
"Sei proprio stupido. Povero piccolo."
Improvvisamente sentì il campanello suonare.
Si avviò verso l’ingresso, chiedendosi chi potesse essere.
Rimase estremamente stupito quando vide Tink Glocke, avvolta in una mantellina gialla contro la pioggia.
“Posso entrare?” urlò sopra al frastuono del temporale.
Lui annuì.
“Attenta, bagni tutto il marmo.” La ammonì poi.
Tink sbuffò e si fermò sul tappeto.
“Sono qui per una cosa breve e concisa.” Esordì infine.
“Va bene. Vuoi una tazza di tè?”
“No, grazie.”
Si guardò intorno incuriosita. La casa di Gold sembrava davvero bella, anche se da quella scomoda posizione poteva intravedere solamente il soggiorno e parte della cucina.
“Dunque?”
“Si tratta di Killian.”
Robert annuì deluso. Sperava di avere qualche notizia di Belle, o almeno di sapere come aveva reagito di fronte al ciondolo…
“Io…io e lui dovevamo uscire venerdì scorso.”
Lo stomaco del ragazzo fece una capriola.
Venerdì scorso…
“Lui non si è presentato all’appuntamento. Ora ho capito perché. Io…credevo che avesse fatto lo stronzo così gli…gli…” la voce le tremò e i suoi grandi occhi verdi iniziarono a diventare lucidi.
Robert si strofinò le mani a disagio.
“Scusa. Non dovrei piangere. Ecco, ora la smetto subito. Visto?” disse, la voce acuta e una nota leggermente isterica nel modo di parlare.
“Dunque gli…gli ho scritto delle cose davvero cattive. Proprio tanto cattive. E...e mi sento malissimo.”
Gold non disse nulla per qualche secondo. Si chiese distrattamente quali cose cattive gli avesse scritto…
“Non è stata una gran giornata venerdì scorso eh?”
“Decisamente no…”
Entrambi sorrisero tristi.
“Voglio farmi perdonare.” Disse semplicemente Tink. “Non lo conosco benissimo ma…ma voglio che capisca che non avevo idea di cosa fosse successo e che…che ci sono se lui ha bisogno di un’amica. O di qualsiasi altra cosa.”
Robert annuì serio.
Improvvisamente Adam apparve nell’ingresso, facendo capolino dalla cucina.
“Oh.” Esclamò Tink guardandolo.
Il dalmata le si avvicinò allegro, scodinzolando e le annusò felice le gambe.
“Lui è Adam. E’ il cane che…che…”
La voce si perse nel nulla
“Lo so.”
Tink si chinò e gli accarezzò la testa.
“E’ bravo?”
“Non proprio, non mi ubbidisce e fa sempre quello che vuole lui...Ma va bene, è molto affettuoso.”
Lei sorrise e continuò a grattargli la testa mentre il cane si rotolava beato sul tappeto bagnato, scuotendo le zampe e la coda, incurante del fatto che stesse sporcando il preziosissimo marmo di casa Gold.
“Dunque?” chiese poi.
“Penso che dovresti andare a trovare Killian. E dirgli le cose che hai detto a me.”
Gold non si riteneva particolarmente bravo a dare consigli, ma quella gli pareva la cosa più saggia da fare.
“A trovarlo?”
“Sì. In ospedale…insomma, penso che sia meglio che ne parliate a voce. Lui apprezzerebbe.”
Con un ultimo buffetto sulla testa di Adam, Tink si rialzò, con uno sguardo un po’ sperduto, nella sua mantellina gialla.
“Mi sembra di stare all’interno di un vortice.”
Il ragazzo si strinse nelle spalle.
Era esattamente la sensazione che provava da una settimana ma preferiva non pensarci.
Forse le cose si sarebbero calmate.
O forse il peggio doveva ancora arrivare.
In ogni caso, pareva che tutti avessero i loro demoni da affrontare.
“Bene. Allora io vado.” Disse poi bruscamente la biondina.
“Sei in macchina?”
“No, in bici.”
“Vuoi un passaggio?”
“No, grazie, ho la mia mantellina…” indicò la telara gialla.
A Robert parve vagamente ridicola.
“Allora…ciao.”
“Ciao…ci…ci vediamo. E…beh, se non ubbidisce…prova a parlargli in tedesco.”
 
 
Non troppo lontano da casa Gold, nella sontuosa villa dei Mills, Regina mangiava senza troppo entusiasmo una misera insalatina.
Sua madre parlava con Henry Mills riguardo al…nulla. Sembrava arrabbiata con una certa Eva Blanchard (Regina pensò distrattamente che probabilmente era la madre della sua professoressa di lettere). Ma di tutto ciò, a Regina non importava nulla. Non riusciva a togliersi di mente Emma Swan.
Emma Swan e quello sconosciuto.
Erano amici? Erano conoscenti, si erano appena incontrati? O erano qualcosa di più?
Emma le aveva detto di aver bisogno di amici, ma a quanto pare gli amici ce li aveva eccome…o forse si era rivolta a lui dopo che Regina stessa aveva troncato la loro amicizia.
Forse si era sentita sola e aveva avuto bisogno di qualcun altro.
“E’ la madre della tua professoressa, giusto, Regina?”
Regina alzò la testa turbata e fissò i suoi genitori.
“Cosa?”
“La signora Blanchard…”
“Oh! Sì, sì!” esclamò convinta. Poi ci ripensò e aggiunse “E’ un’incompetente, non la sopporto.”
Non era vero ma sua madre sorrise soddisfatta.
Così alla ragazza fu permesso di tornare ai suoi pensieri.
Realizzò lentamente, mentre con estrema precisione infilzava un pomodorino, che un sentimento completamente nuovo si stava facendo strada in lei.
Qualcosa di mai provato e di molto sgradevole.
Avrebbe voluto vederlo bene in faccia quello sconosciuto.
Avrebbe voluto dirgli che non era il benvenuto nella vita di Emma.
Era…
“Gelosia.” Mormorò la ragazza.
“Come?” le chiese il padre.
“Niente. Pensavo…pensavo ad un tema per il saggio che devo scrivere.” Dichiarò precipitosamente.
Era gelosia.
Ricordava di aver provato vagamente lo stesso sentimento quando aveva scoperto che Belle e Robert avevano iniziato a frequentarsi alle sue spalle.
Ma non era nulla al confronto di questo, no, questo era sgradevole, bruciante ed estremamente fastidioso.
Non sapeva perché.
Le dava fastidio l’idea che Emma l’avesse rimpiazzata così in fretta.
O forse che le avesse mentito, dicendole di essere la sua unica amica.
O forse era qualcosa di più particolare, legato al sogno che aveva fatto settimane prima…
“Ho finito. Posso andare di sopra? Devo assolutamente finire di studiare storia per domani altrimenti…”
Cora annuì. “E ricordati domani mattina, di puntare la sveglia. Io e tuo padre partiamo per le sei!” Le urlò dietro.
Una volta in camera Regina sua, decise che era venuto il momento di agire.
Non avrebbe perso Emma Swan. Forse era già successo ma conoscendo la professoressa e il suo carattere, sarebbe tornata da lei.
E lei, Regina, avrebbe tenuto testa a Zelena.
Non riusciva a credere di essersi lasciata influenzare da quell’arpia, ma ora le cose sarebbero cambiate.

 
 
Il venerdì mattina, Robert si svegliò.
Come prima cosa accese il cellulare, lo faceva ogni mattina: era un’abitudine che aveva preso da quando stava con Belle. Nessuno dei due amava le cose eccessivamente romantiche ma ad entrambi piacevano i piccoli gesti quotidiani come augurarsi il buongiorno, o la buonanotte.
Come ogni mattina, da una settimana prima, anzi, a ben voler vedere, da due settimane prima, il cellulare di Robert non segnava nessuna novità.
Come ogni mattina da sette giorni a quella parte, il ragazzo scrisse un messaggio.
 
Buongiorno Belle. Ti amo tanto e mi manchi. Adam ti saluta, sta benone ma manchi anche a lui.
 
Lo salvò nelle bozze poi andò a fare colazione.
Come ogni mattina, da una settimana, afferrò la tazzina scheggiata che Belle aveva rotto accidentalmente la prima volta che era venuta a casa sua; la appoggiò sul tavolo e vi versò il tè dentro.
Non era sentimentalismo.
Non era romanticismo gratuito o qualche strana forma di autolesionismo.
Semplicemente Robert non riusciva a lasciarla andare. Non poteva e soprattutto, non voleva. Ogni piccola cosa che poteva tenerlo legato a lei, qualsiasi cosa che in qualche modo fosse stata toccata da lei, andava trattata col massimo riguardo e andava amata e protetta.
Così Robert si era trovato ad amare ancora di più il piccolo Adam, che in quel momento poteva dichiararsi tranquillamente il cane più felice di Storybrooke.
La sciarpa gialla che lei gli aveva regalato mesi prima era riposta sulla scrivania, insieme ad un paio di guanti che lei una volta aveva dimenticato lì e che lui aveva scordato di ridarle.
“Un giorno o l’altro mi ricorderò di restituirglieli” si era detto Robert.
Forse avrebbe potuto usarli come scusa per rivederla, anche solo per un minuto…ma in fondo, preferiva tenerli.
Forse perché una parte di lui sperava davvero che un giorno glieli avrebbe restituiti.
In ogni caso, decise che dopo scuola sarebbe andato a trovare Killian e suo fratello Liam all’ospedale. L’amico aveva sicuramente più bisogno di conforto di lui.
Adam apparve accanto a lui e balzò sulla sedia.
“Adam, no.” Disse Robert senza troppa convinzione.
Il cane salì rapido sul tavolo.
“No!”
Iniziò a leccare i resti della torta che sua madre aveva cucinato.
“No! Per l’amor del cielo, non ti è bastata l'esperienza dell'altro giorno!? Mi hai già rovinato un tappeto!"
Afferrò il cagnetto e lo rimise a terra.
“Adam, nein. Sitz.” Disse infine, cercando di mantenere il tono fermo.
Erano le uniche due parole che sapeva di tedesco, ma l’effetto fu disastroso.
Adam salì nuovamente sul tavolo e non si arrese fino a che non venne chiuso drasticamente fuori dalla cucina.
 
 
Regina osservò il profilo di Emma, senza farsi notare, appena fuori dalla porta, leggermente nascosta.
Lasciò che gli occhi indugiassero sui lunghi capelli biondi, sulla forma del viso, sulle mani in quel momento impegnate a scrivere una lunga sfilza di voti…
Deglutì.
Dopodiché uscì allo scoperto e bussò alla porta per educazione.
Emma alzò lo sguardo e un’espressione di puro stupore le si dipinse sul volto.
“Regina!” esclamò.
Le labbra si piegarono in un sorriso spontaneo.
“Professoressa Swan…” rispose l’altra, evitando di incrociare lo sguardo.
“Vuoi dirmi qualcosa?”
“In realtà sì…ma preferirei…se non le dispiace…” fece per chiudere la porta ed Emma annuì.
 
 
C’era una cosa che Tink non aveva messo in conto quando con Belle aveva deciso di andare a trovare Killian, quel pomeriggio.
Cioè che probabilmente, essendo venerdì pomeriggio, anche Robert si sarebbe trovato lì.
Quando in sala d’aspetto trovarono il ragazzo seduto ad una delle sedie accanto alla porta, le due si bloccarono immediatamente.
Seguì una serie di reazioni spontanee e poco piacevoli.
Robert scattò in piedi senza avere nemmeno il tempo di riflettere, mentre Belle fece un passo indietro, mormorò qualcosa all’amica, si voltò e percorse il corridoio verso l’uscita.
Tink in tutto ciò rimase a fissare la scena con tanto d’occhi.
“Voglio parlarle.” Disse semplicemente Robert alla ragazza.
Era vero.
Si erano evitati per tutta la settimana.
Lei lo aveva evitato.
Ma ora era lì e doveva parlargli, doveva ascoltarlo…forse non era troppo tardi…
“Allora vai e parlale. ” Rispose Tink, brusca.
Robert corse lungo la corsia, evitando un paio di barelle. Trovò Belle di fronte all’ascensore.
“Belle!”
Lei non si girò.
Fissò il visore che segnava i piani.
Ancora tre. Poteva farcela.
“Belle.”
Il cuore prese a batterle molto più velocemente. Poi sentì una mano poggiarsi sulla spalla.
Si girò di scatto, piena di rabbia.
“Non mi toccare.” Sibilò.
Robert indietreggiò subito, alzando le mani.
“Scusami…non…non sapevo come farti girare.”
Belle rimase immobile.
Una settimana non era neanche lontanamente sufficiente a rimarginare una ferita simile.
Aveva sperato che evitandolo sarebbe stato più semplice, ma si sbagliava di grosso.
Deglutì a stento, imponendosi di non versare una lacrima: ne aveva già versate abbastanza.
“Volevo solo chiederti…come stai.”
La semplicità di quella domanda la lasciò ancora più stravolta.
Sentì il tintinnio dell’ascensore alle sue spalle, il segnale che tanto aspettava.
Senza dare una risposta, entrò nell’ascensore.
Sperò con tutta sé stessa che Robert non la seguisse.
Non lo fece.
Rimase immobile davanti alle porte, fissandosi le scarpe.
“Spero che tu stia bene.” Disse infine mentre le porte si chiudevano.
 
 
Quindici minuti più tardi, Belle era ancora di fronte all’ospedale, triste, amareggiata, arrabbiata e delusa da sé stessa.
Che cos’avrebbe pensato sua madre se l’avesse vista in un’occasione simile?
Era andata a trovare un amico in difficoltà, a confortarlo e a dirgli che sapeva bene cosa significava rischiare di perdere una persona amata; era andata per aiutare Tink a sbrogliarsi da quell’orrenda situazione, per sostenerla.
Ed era scappata via.
Aveva visto il suo ex ragazzo ed era scappata come la più stupida delle ragazzine alle prime armi.
Killian era lassù con suo fratello in coma, Tink era lassù che aspettava la sua occasione per chiedere scusa…e Robert?
Robert anche probabilmente era lassù, era lì per aiutare il suo amico.
Non l’aveva visto uscire e a meno che non avesse pensato di andarsene da qualche porta sul retro, le probabilità di ritrovarlo lì erano alte.
Lo amava ancora. Era ovvio e prevedibile, pensò amareggiata mentre si tormentava le unghie appoggiata ad un muretto, ma non per questo faceva meno male.
Eppure era stata scorretta anche con lui.
Le aveva solo chiesto come stava. Avrebbe potuto rispondergli e chiudere la conversazione, magari anche essere onesta con lui: dirgli che non voleva vederlo o parlargli perché stava male, essere sincera e comportarsi come la ragazza matura che doveva essere.
Era davvero arrivata a quel punto?
Il suo pensiero tornò a Killian.
Si ricordò quando sua madre, Colette, aveva iniziato a sentirsi poco bene. Le si fermò la gola a ripensare ancora a quanto aveva sofferto. Lei, suo padre, sua madre.  E Killian era lassù, e suo fratello, Liam, era in coma, e i genitori di Killian andavano e venivano e poteva solo immaginare l’orrore e il terrore che provavano ogni volta che parlavano con i medici e non veniva data loro nessuna novità positiva. E Belle sapeva bene cosa volesse dire…eppure non era lì con lui.
Per codardia. Per semplice vigliaccheria.
Così Belle si staccò dal muretto, smise di tormentarsi le unghie, respirò a fondo e rientrò nell’ospedale.
 
 
In sala d’attesa non trovò Tink.
Però trovò Robert.
Era ancora seduto, sulla stessa sedia di prima, immobile, pallido. Gli occhi, quei meravigliosi occhi scuri che in qualche assurdo modo, al sole assumevano una strana sfumatura ambrata, erano leggermente arrossati.
Belle si sedette dal lato opposto della sala.
Vicino a lei c’era solo una vecchia signora intenta a leggere il giornale.
Robert non si mosse e non la guardò.
Continuava a fissare il pavimento.
Una parte di Belle la spingeva prepotentemente a cambiare posto. A sedersi vicino a lui, a parlargli.
A dirgli che non stava bene, che era a pezzi da esattamente sette giorni. E a chiedergli se per lui era la stessa cosa, a domandargli perché in una settimana non le avesse scritto una sola volta, a chiedergli se era normale che facesse così male e se prima o poi sarebbe passato.
Non scenderai a patti un’altra volta.
Ma è più coraggioso parlargli che ignorarlo, lo sai bene. In quello che stai facendo non c’è nulla di cui essere fiera.
“Non sto molto bene.”
La voce le uscì fiocamente, tremante.
L’anziana signora si girò verso di lei stralunata, dopodichè scosse la testa e riprese a leggere.
Gli angoli della bocca di Robert si incurvarono leggermente, mentre osservava di sottecchi la scena.
Anche a Belle venne da sorridere. Era una cosa che sempre li aveva accomunati, una sorta di passione per le situazioni assurde.
Durò un attimo: un attimo in cui entrambi furono sul punto di sorridere, di sorridersi. Un brevissimo attimo in cui erano tornati ad essere loro.
Ma il momento svanì e la magia si perse.
Le bocche tornarono tese e gli sguardi seri.
“Anche io non sto bene.” Disse dopo qualche minuto, Robert.
“Mi dispiace per prima. Sono stata sgarbata.”
“Non importa, davvero…io sono stato un po’ troppo avventato. Non avrei…non mi sarei dovuto permettere.”
La vecchia accanto a Belle continuò a leggere il giornale.
Il rumore delle pagine e il suono dell’ascensore e dei vari macchinari dell’ospedale furono l’unica cosa udibile per parecchi minuti.
“Tink è dentro?”
“Sì.”
 
La porta si aprì e ne uscì Tink, completamente stravolta.
Belle scattò in piedi e la raggiunse, abbracciandola.
“Com’è andata?”
“Io…bene. Gli…gli ho detto tutto quello che volevo dirgli. Se…se vuoi ora puoi andare tu.”
Si soffiò forte il naso e si lasciò cadere su una sedia.
Robert tamburellò col piede.
“Vuoi che venga anche io?” chiese poi rivolto a Belle.
Lei annuì.
Aveva bisogno di qualcuno per fare ciò che voleva fare.
Qualcuno che nonostante tutto la conoscesse e la amasse.
Entrarono nella stanza.
 
Killian era seduto accanto al letto, le mani incrociate, la testa bassa.
Alzò lievemente lo sguardo su di loro e fece un debole cenno con la mano.
Vicino a lui suo fratello Liam, giaceva inerme sul letto. Il volto sfigurato, i macchinari tutti intorno a lui che segnavano le deboli ma regolari pulsazioni.
“Come sta?” esordì Robert.
Killian parlò, la voce leggermente strozzata e nasale.
“Non lo so. Non capisco nulla di quello che c’è scritto nella cartella clinica o di quello che dicono i dottori. Vorrei aver ascoltato quello che dicevano a scienze. Sono incazzato nero e i miei cercano…cercano di spiegarmelo ma continuano a litigare ed io non capisco e i medici continuano a…a discutere di trauma cranici ed emorragie...”
Belle ricordò come anche lei non avesse compreso nulla di ciò che i dottori avevano detto riguardo a sua madre. E ricordava l’atteggiamento di rifiuto di suo padre, di come non volesse parlare di ciò che stava succedendo…
“Se vuoi…se vuoi posso leggere la cartella e provare a capirci qualcosa insieme a te…” disse dopo un po’ Belle.
Jones annuì rabbioso, con gli occhi pieni di lacrime.
Così Belle diede un’occhiata al primo dei fogli abbandonati sul comodino.
“Qui dice…un sacco di cose su quanto può durare un coma.”
“E quanto può durare? Perché non si sveglia? I dottori hanno detto che l’operazione ha avuto successo!”
Belle esitò.
“Io…non lo so. Però qui dice che il coma…se è…se reversibile, non supera mai i trenta giorni.”
“Reversibile?”
“Significa che può guarire...”
“Sì…io…mio padre dice che ne è convinto. Mia madre invece continua a piangere e non parla.”
“Lo so. Mio…mio padre quando…quando mia madre è stata male, lui…non parlava quasi mai. Le persone reagiscono in modi diversi.”
Killian la guardò.
“Tua…”
“Mia madre.”
Poi improvvisamente annuì. Lo sapeva, la mamma di Belle era morta. Ma non aveva mai realizzato cosa significasse, fino a quel momento.
Belle dal canto suo, sentì la gola stringersi fino a farle male. Senza più riuscire a trattenersi, sentì gli occhi bagnarsi e le lacrime iniziare a scorrerle sulle guance.
Robert rimase immobile, appoggiato al muro.
Si sentiva un estraneo.
Un estraneo al dolore di Killian, un estraneo al provare un amore così forte per un membro della propria famiglia. Un estraneo rispetto a Belle che in quel momento, anche se in lacrime, cercava di leggere gli altri documenti e spiegare all’amico con parole semplici, la situazione di suo fratello.
Si scusava se la voce le si spezzava e riprendeva semplicemente a leggere.
“Ehi, stronzo” disse improvvisamente Killian indicandolo, qualche minuto dopo.  “Vieni qua e abbraccia la tua ragazza, subito!”
Gold non rispose, mentre Belle, col volto rigato dalle lacrime, guardava altrove.
“Se la mia ragazza stesse facendo una cosa del genere per il mio migliore amico le avrei già cucito un tappeto rosso con le mie mani! Anzi, tre tappeti rossi.” rincarò la dose.
Entrambi abbozzarono un leggero sorriso.
Lo sguardo di Robert incontrò quello di Belle.
Killian non aveva idea di come stessero le cose tra loro.
E di certo quello non era il momento per dirglielo.
Senza più riflettere, si avvicinò a lei e la abbracciò.
“Ecco, ora va meglio.” Borbottò Killian, soffiandosi il naso e strofinandosi gli occhi. “Comunque lei è davvero fantastica.” Disse rivolto a Robert indicando Belle “Se te la fai scappare giuro che ti spacco la faccia…e anche Liam…quando si sveglierà…io gli dirò come si è comportata Belle e lui sarà…sarà davvero arrabbiato se non farai le cose come vanno fatte.” terminò la frase guardando il fratello ed accarezzandogli la mano con affetto.
Gold annuì, stringendo Belle a sé, appoggiando il viso tra i suoi capelli.
Sentì le piccole mani di lei aggrapparsi alla sua schiena, quasi disperate, e sentì il suo volto sul collo.
Entrambi sapevano che non ci sarebbe stato un altro momento così per loro.
Un momento in cui piangere insieme e soffrire insieme, un momento in cui potevano consolare un amico e consolarsi a vicenda, dimenticandosi per un istante che in quella guerra loro erano in due schieramenti opposti.
“Allora…” disse dopo un po’ Jones, respirando a fondo “Tink mi ha detto che Belle ti ha regalato un cane.”
Belle si scostò leggermente dal corpo di Gold e annuì.
“Beh è fantastico! Potremo insegnargli un sacco di cose!”
“Io…io non credo che imparerà mai qualcosa.”
La ragazza lo guardò, improvvisamente offesa.
“Guarda che è un cane molto intelligente! Me lo hanno assicurato!” 
“E’ un cane intelligentissimo!” assicurò Killian dandole manforte.
“Senti, non capisce nulla di quello che gli dico. E non mi ubbidisce mai e mi occupa sempre il letto quando devo dormire! L’altro giorno ha mangiato tutti i resti della torta che mia madre aveva cucinato la sera prima e ha vomitato tutto sul tappeto. Inoltre se lo chiamo per nome non risponde.” sbottò infine Robert.
Belle scoppiò improvvisamente a ridere tra le lacrime. Poteva solo immaginare quanto indignato dovesse essere stato Robert di fronte al preziosissimo tappeto rovinato.
“Io lo so perché non risponde e non ti ubbidisce” disse poi, cercando di ricomporsi.
I due ragazzi la guardarono perplessi.
“Quando l’ho preso…prima di fartelo recapitare…io…ho continuato a chiamarlo Bobik per tutto il tempo.”
“HAI FATTO COSA?” Esclamò Robert indignato.
Killian sgranò gli occhi.
“L’ho chiamato Bobik…e…credo che abbia avuto l’imprinting con quel nome!”
Nessuno disse niente.
“L’hai chiamato Bobik. E ora io devo chiamarlo Bobik? Sennò non mi ubbidirà mai?” chiese poi Robert, leggermente turbato.
“A quanto pare sì.”
E infine, anche Killian scoppiò a ridere.
Fu immensamente grato ai suoi due amici per essere riusciti a farlo sorridere in una situazione del genere. Non si era mai sentito peggio ma quella risata era stata come un balsamo sulle sue ferite. Era il rumore della speranza.
“Bobik e Bobby! Oh mio dio! E’ la cosa più stupida e meravigliosa che io abbia mai sentito.” esclamò poi.
Il viso di Robert si fece rosso mentre Belle lo abbracciò di nuovo, ridendo quasi istericamente.
“Non se ne parla. Lui si chiama Adam, non lo chiam-“
“Ma dai, l'hai chiamato Adam!? Ma come hai potuto!? E' un nome da frocetto isterico! Sei sicuro di non avere un cane omosessuale?”
“LUI NON E’-“
“Bobik! Non ti ascolterà mai finchè non lo chiamerai così!” esclamò Belle.
Mentre Killian e Belle ridevano tra le lacrime, Robert respirò a fondo.
“Vada per Bobik.” Disse infine.
 

 
Quando il minuscolo gruppetto uscì dall’ospedale, l’atmosfera si era fatta nuovamente pesante e così i loro cuori.
Tink avrebbe voluto rimanere ancora. Non riusciva neanche a spiegare a voce cos’aveva provato nel vedere il ragazzo accanto al corpo immobile del fratello. Avrebbe voluto tenergli compagnia anche per tutta la notte.
E poi c’era stata l’espressione sul viso di Belle quando era uscita. L’espressione della consapevolezza di chi sa cosa significhi vedere una persona amata in quello stato, l’espressione di una ragazza matura che improvvisamente sembra tornare la spaurita tredicenne di fronte alla morte di sua madre.
“Credo che andrò a casa. Ho bisogno di…di stare un po’ tranquilla.” Borbottò infine Tink. Le facevano male gli occhi, desiderava solo potersi buttare a letto e riemergere il giorno seguente, o forse quello dopo ancora.
Nessuno rispose.
Ci fu un fioco scambio di saluti, dopodichè Robert e Belle rimasero soli. Il tempo era uggioso e si sentiva nell’aria l’odore di un temporale imminente. I due continuarono a camminare senza dire nulla, senza guardarsi, ancora storditi dall’abbraccio di poco prima e dalla valanga di sensazioni che li aveva tramortiti. C’era la tristezza per la situazione, la pena che provavano entrambi per Killian e per suo fratello. C’era l’orrore di Belle nel ricordare quanto accaduto a lei anni prima.
Il rimpianto di entrambi per com’erano andate le cose tra loro, il disperato desiderio di potere in qualche modo aggrapparsi ancora a quell’abbraccio e a quei pochi momenti di leggerezza e fingere che le cose non fossero andate nel modo in cui erano andate.
Nel parcheggio dell’ospedale, entrambi si fermarono.
Robert fissò la sua auto senza realmente vederla; si strofinò gli occhi arrossati e si schiarì la gola.
“Possiamo…mangiare qualcosa insieme? Non ho voglia di…di tornare a casa.”
Vide che Belle guardava lontano, immersa nei suoi pensieri.
“Belle…”
“Ho sentito.”
Si voltò verso di lui infine puntò lo sguardo su di lui.
“Ti amo e…e credo che tu lo sappia.”
Robert non disse nulla. Sentì il cuore bloccarsi e lo stomaco ingarbugliarsi.
Era così felice di sentirglielo dire che per poco non la baciò.
“E…vorrei davvero dire di sì.” Gli occhi della ragazza avevano smesso di lacrimare “Vorrei…vorrei tornare lì dentro e rimanere abbracciata a te, scherzare su Bobik…e vorrei abbracciarti adesso e dirti di sì, mangiare qualcosa e farmi riaccompagnare a casa.”
“Allora fallo.” Provò Robert disperato “Puoi farlo, possiamo mangiare qualcosa anche come amici, ma ti prego io-“
“Non lo farò.” Disse semplicemente Belle.
Lui non rispose.
Esattamente come una settimana prima, la testa iniziò a dolergli e gli sembrò che l’aria gli venisse strappata dai polmoni.
“Ti prego.”
“No. Ti amo ma…ma non posso farlo. E non voglio.”
Lo guardò con serietà. Non doveva piangere.
Forse a casa avrebbe pianto ancora, ma non ora.
Doveva essere corretta ed onesta, come era sempre stata.
“E’ finita.”
 
 







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Song: It's too late - Carole King

(*) Christopher Walsh...è Walsh. Sì la scimmia aka mago di Oz. Christopher (Gorham) è il nome dell'attore che lo interpreta :) 

Bimbumbam.
Here I am.
PUNTUALEEEEE (o quasi. sono le 2AM quindi tecnicamente è il 27 ma WHO CARES).
Also...sono tornata in carreggiata. Mi metterò al pari con le vecchie recensioni arretrate e tutto quanto. I feel power.
Dunque cosa dire su questo capitolo?
L'ho trovato MOLTO difficile e sono molto insicura di com'è riuscito. Non so come potrebbero reagire Belle e RumpleRobert di fronte ad una rottura, insomma, LO SCOPRIREMO NELLA 4x12 ma per ora non lo so...così ho provato a scrivere i tratti del loro carattere.
Ho immaginato un Robert a metà tra il "I'll make up to you" (cit. 4x11) e il post skin-deep, cioè rassegnato e quasi...quasi venerante nei confronti del ricordo di Belle. 
Mentre Belle l'ho immaginata come una che nonostante tutto, si rimbocca le maniche e...cerca di andare avanti. Con correttezza ed onestà.
Sono perplessissima anche sulla parte di Killian.
In effetti sono perplessa su tutto. 
La canzone che ho scelto invece mi piace un sacco. C:
Bene, fatemi sapere se vi va cosa ne pensate, avanzate pure critiche o perplessità perchè sono proprio perplessa su questo capitolo.
Come al solito vi ringrazio per il sostegno, siete meravigliosi <3 Grazie per le recensioni, per aver inserito la storia nelle seguite/favorite/ricordate...grazie di tutto <3 ci leggiamo...Lunedì 9 febbraio! :D
Un bacione

Seasonsoflove


 
   
 
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