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Autore: Acinorev    28/01/2015    10 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo ventidue - Yes

 

Harry le aveva già inviato un messaggio con scritto di uscire di casa, ma Emma si stava ancora guardando allo specchio: non era in panico, quasi. Sconcertata dalla propria insicurezza, il peso di quell'appuntamento la stava facendo sprofondare in un moto di insoddisfazione.
I capelli raccolti con forcine fastidiose sulla spalla sinistra, mossi e poco voluminosi, le sembrarono all'improvviso solo disordinati. L'eyeliner nero la ingannava divertendosi a risultare asimmetrico, sui due occhi brillanti e contornati da un ombretto chiaro quasi quanto la sua pelle. L'abito color panna, dalle maniche a tre quarti e ricoperto da fantasie in pizzo, tutto ad un tratto le evidenziò qualsiasi difetto fisico lei potesse elencare, mentre l'ampia scollatura sulla sua schiena nuda le appariva volgare, più che elegante. Le decolleté in velluto nero non erano più tanto comode, ma solo una trappola mortale.
«Un disastro», mormorò, afferrando la pochette dal letto disfatto ed ignorando la suoneria del proprio cellulare. Abbassò le palpebre e respirò profondamente, come se avesse dovuto prepararsi ad una prolungata apnea: sapeva di non avere nulla da temere, di aver ricontrollato ogni particolare decine di volte, prima di scegliere quello adatto, e di aver raggiunto un risultato invidiabile, ma il solo pensiero che Harry l'avrebbe guardata camminare verso di sé, carico di aspettativa e magari di brama, la disorientava: un'assurdità, se si teneva conto dell'innata vanità e sicurezza di Emma Clarke.
Constance e Ron erano sdraiati sul divano, in attesa di cenare: sapevano che la figlia stesse per uscire, ma non sapevano con chi o in che termini. Così, la prima la osservava con sfacciata curiosità, sorridendo cauta e maliziosa. Il secondo, invece, la scrutava con sospetto e minaccia, quasi a volerla mettere in guardia nonostante i suoi ventidue anni.
Emma indossò il cappotto beige e si inumidì le labbra dipinte di un rosso accesso, in un vago richiamo alle lentiggini poco visibili: ormai qualche minuto in ritardo, salutò flebilmente i genitori ed uscì di casa.

Harry la stava aspettando in macchina e lei poteva già immaginare il cipiglio sul suo volto, dovuto all'impazienza e all'attesa - forse snervante come la sua. Camminò lentamente verso il cancelletto d'entrata, sempre più confidente nel proprio aspetto e fiduciosa nello svolgersi della serata.
Quando aprì lo sportello udì una canzone proveniente a basso volume dall'autoradio: prese posto sul sedile e si schiarì la voce, voltandosi lentamente e con finta indifferenza verso di lui.
Harry aveva una mano abbandonata mollemente sul volante, che subito si chiuse con nervosismo intorno ad esso, e le iridi ferme su di lei: in silenzio, stava percorrendo ogni tratto del suo volto, senza accorgersi delle labbra che si schiudevano spontaneamente, e poi ogni curva del suo corpo forse troppo coperto, a giudicare dall'espressione indispettita che per un brevissimo istante si trovò ad assumere.
Emma si sentì subito soddisfatta, desiderata, e sorrise apertamente. «Ciao», lo salutò con semplicità: non credeva che avrebbe ricevuto un complimento verbale, ma aveva a disposizione altri indizi per compensare quella lieve mancanza.
Harry alzò un sopracciglio e la guardò negli occhi. «Quanto volevi farti aspettare?» la rimproverò a bassa voce, mettendo in moto l'auto e leccandosi le labbra, per poi morderle appena. Lo conosceva abbastanza bene, ormai, da capire facilmente quali suoi comportamenti fossero duri per natura e quali invece una mera copertura per emozioni da nascondere.
Si sporse verso di lui, prima che ingranasse la marcia, e gli baciò un angolo della bocca. «Scusa», esclamò in tono infantile, divertendosi a stimolare delle reazioni nella sua maschera impassibile.
Harry fece schioccare la lingua sul palato, si voltò nella sua direzione ed assottigliò gli occhi. «Mi stai provocando?» le chiese, senza però aver bisogno di una reale risposta. Lo sguardo che si posava per un fuggevole attimo sulle sue gambe coperte dai collant.
«No», si difese lei, assumendo un'aria da piccola innocente che non lo convinse affatto: non riusciva a capire cosa indossasse, oltre il cappotto nero che più volte gli aveva visto addosso, e la curiosità la stava divorando.
Lui annuì piano, sospettoso, ed uscì dal parcheggio.

Non avevano sprecato parole, durante il tragitto, ma si erano guardati molto: Emma si sentiva logorare da quelle iridi maliziose, in qualche modo inquiete ed infastidite dalla presenza di uno strato di vestiti  di troppo. La comune ansia provata nei viaggi in automobile era stata completamente sovvertita dal gioco di osservazione al quale entrambi si ostinavano a partecipare: forse scomodi nell'alba di una sfumatura diversa del loro rapporto, forse eccitati dal profumo l'uno dell'altra, forse agitati come due adolescenti.
Il Des Artistes era un ristorante aperto da poco, con una facciata nuova di restauro collocata nella periferia di Bradford: Emma non ci era mai stata, ma era deliziata dalla prima impressione a riguardo. Il parcheggio non era molto grande, a rispecchiare la clientela ristretta ma non per questo immeritevole, e l'intera struttura dell'edificio - di un piano solo - alternava elementi in cemento chiaro ed in legno, con decorazioni floreali ad ogni finestra ampia.
Dopo aver posteggiato l'auto, mentre Harry si slacciava la cintura e toglieva l'autoradio, Emma si ritrovò ad imprecare contro se stessa. Sollevando la pochette dalle proprie gambe, scorse un lungo graffio nei collant comprati il giorno stesso per l'occasione: scosse la testa e sbuffò, ricordandosi di non averne portato un paio di riserva e di non poter uscire in quel modo, dato che il danno era evidente e ben esposto.
«Qualcosa non va?» le chiese Harry, più per fretta che per reale preoccupazione.
«Mi si sono rotte le calze», brontolò lei, passando le dita sul primo - e magari ultimo - inconveniente della serata.
Lui si accertò delle sue parole, soffermandosi più del dovuto su quello screzio di nylon. «Quindi?» le domandò a bassa voce, provocandola.
Emma sospirò. «Quindi scendi, ed io me le tolgo», propose: non che provasse alcun senso di pudore in sua compagnia, ma ci teneva a stuzzicarlo e a mantenere una certa immagine di sé.
Harry le offrì un sorriso sghembo, poi si inumidì le labbra lentamente e la osservò con una vaga malizia negli occhi, che le fece desiderare di rimangiarsi ogni parola appena pronunciata e di lasciarsi scrutare ancora un po', in ciascun movimento che avrebbe compiuto. Quando lui abbandonò l'abitacolo, lasciandola sola, il ritorno brusco alla realtà e l'allontanamento di pensieri asfissianti la fecero arrossire impercettibilmente.
«Datti una regolata, stupida», si rimproverò da sola, incredula dinanzi alla propria impazienza di uno sguardo lascivo e di un contatto altrettanto carico di attesa. Non capiva perché proprio in quelle circostanze si sentisse tanto accaldata, quando già diverse volte in precedenza le loro mani avevano varcato la soglia dell'innocenza. 
Controllando che Harry non si voltasse a spiare - o forse il contrario - si sfilò i collant con una certa difficoltà, a causa dei limiti nella disposizione di spazio, e si sistemò il vestito in modo da coprirsi a dovere. Inspirò a fondo e lo raggiunse al di fuori dell'automobile.
«Tutto il resto è intatto?» le domandò subito, chiudendo a chiave le portiere e mostrandosi più chiaramente alla luce dei lampioni. Aveva i capelli sciolti, forse ancora umidi di doccia o di qualche prodotto usato per ammaestrarli: il viso pulito e riposato era reso più vivo dalla lucentezza delle sue iridi.
«Sì», rispose Emma, sorridendo appena nel cogliere le sue reali intenzioni, mentre si incamminava verso l'entrata del ristorante.
«Peccato», mormorò lui lentamente, avvicinando le labbra al suo orecchio ma senza toccarlo: una mano a sfiorarle la schiena, a farla rabbrividire.

L'interno del locale era avvolto da un'illuminazione calda, fioca, proveniente da grossi lampadari in stile orientale che pendevano dal soffitto alto e costituito da travi in legno. Dello stesso materiale erano fabbricati i tavoli rettangolari e coperti da semplici tovaglie bianche, dagli angoli ricamati elegantemente: la sala principale non era molto affollata, né rumorosa, ed il profumo di incenso si confondeva a quello di pietanze invitanti.
«Wow», sussurrò Emma, sinceramente stupita da una tale atmosfera: quando le era stato proposto di andare a cena fuori, si era aspettata davvero di tutto, ma non tanto. Si pentì immediatamente di aver ipotizzato un salto al McDonald's.
Harry non rispose a quell'apprezzamento, impegnato ad annunciare il proprio arrivo ad uno dei composti camerieri accanto al bancone: questo li accolse con un lieve inchino e li guidò in rispettoso silenzio verso un tavolo per due, in una delle minute sale secondarie e davanti ad una delle grandi finestre, che dava sul giardino nel retro del ristorante.
«Come hai trovato questo posto?» chiese Emma, continuando ad osservare ogni particolare dell'ambiente e sfilandosi il cappotto: le tinte delle pareti erano più calde rispetto a quelle dell'entrata, e c'era solo un altro gruppo di clienti a sporcare la loro intimità.
Notando il silenzio che seguì la sua domanda, tornò con lo sguardo su Harry e mancò un respiro: non la stava osservando, sarebbe stato riduttivo definire così quell'analisi mista a bramosia alla quale i suoi occhi la stavano sottoponendo. Forse avevano sopportato troppo a lungo la presenza di quel pesante cappotto, perché il sollievo e lo stupore che manifestarono nel posarsi sul suo abito le provocarono una piacevole fitta al petto.
Nonostante il desiderio di non interrompere quel momento, decise che fosse più soddisfacente riconoscerlo. «Harry?» lo chiamò, quasi in un sussurro. L'espressione divertita, consapevole.
«Hm?» si riscosse lui, per poi accorgersi della situazione e distogliere lo sguardo improvvisamente più fiero. «Ah, ci sono stato qualche settimana fa», spiegò con noncuranza, sedendosi frettolosamente. Anche Emma dovette resistere alla tentazione di spiarlo più a lungo, perché le piaceva il modo in cui i pantaloni neri ed eleganti gli accarezzavano le gambe, così come la giacca sbottonata creava un brusco contrasto con la camicia bianca, ben stirata. Il tessuto sottile lasciava trasparire alcuni tratti dei tatuaggi sul suo petto.
«È molto bello», affermò quindi, cercando di distrarsi, mentre prendeva posto di fronte a lui: sul tavolo, due sottili menù aspettavano di essere sfogliati e dei bicchieri lucenti aspettavano di essere riempiti da un vino incoraggiante.
«Lo so», rispose Harry, sciogliendosi in un sorriso più rilassato e beffardo come al solito.
Emma alzò gli occhi al cielo per la sua presunzione ed appoggiò gli avambracci sul tavolo, concentrandosi per un istante sulla composizione costituita da un tovagliolo in stoffa, appoggiata sul proprio piatto. «Anche tu sei agitato?» domandò cauta, senza curarsi di tener per sé quell'impressione: non poteva negare di non sentirsi irrequieta, vittima di un fremito in parte inspiegabile, ed era sicura che nemmeno i propri gesti potessero farlo.
Harry alzò lo sguardo dal menù che aveva iniziato a sfogliare. «Al pensiero di quanto spenderò alla fine della serata? Sì, un po'», ammise, stringendosi nelle spalle.
La fece ridere, forse intenzionalmente. «Ah, quindi paghi tu?» lo stuzzicò lei: in realtà, fino a quel momento non era stata sicura di quel piccolo ma significativo particolare. Non che non confidasse nelle buone maniere di Harry, ma... Be', aveva imparato ad aspettarsi di tutto dai suoi modi a volte bruschi e poco galanti: bastava pensare a quante volte l'aveva lasciata a piedi all'altro capo della città.
«Sei sempre in tempo a dissuadermi», le ricordò, vivace.
Lei scosse il capo, arricciando il naso. «No, credo che approfitterò della gentilezza».
Lo scambio di battute si concluse con due larghi sorrisi, senza che la domanda di Emma ricevesse una risposta concreta.

«Harry?»
La bocca di Emma si distorse in una smorfia di disgusto, masticando lentamente il boccone quasi intatto.
Lui la osservò stupito, sbattendo le palpebre. «Che c'è?» indagò, quasi divertito dalla vista che gli si prospettava: dal modo in cui il suo piatto si stava svuotando velocemente, era facile pensare che la pietanza ordinata a base di pesce lo avesse conquistato.
«Non mi piace», sussurrò lei, sperando di non farsi sentire dagli altri clienti, sempre più numerosi. «Non mi piace per niente», ripeté, scuotendo il capo e deglutendo a fatica. Fino ad allora - ovvero dopo due antipasti ed altrettanti primi - la cena si era rivelata squisita, ma Emma non poteva dire lo stesso per il secondo che le era stato preparato e che lei stessa aveva scelto: ricordava solo che si trattava di filetto e che c'era del tartufo, anche se non poteva dire quale formaggio condisse il tutto, insieme ad una salsa dal sapore acre.
«Non lo mangiare», le propose Harry con praticità, riempendole il bicchiere di vino e suggerendole di berne un sorso per sovrastare il disgusto.
«Ma mi dispiace avanzarlo: non l'ho praticamente toccato», mormorò: oltre che per lo chef, le dispiaceva per il portafoglio che avrebbe pagato i suoi gusti strampalati, ma questo non lo disse.
«Il cameriere non si offenderà», le fece presente.
«Tu non lo vuoi?»
«Ho già il mio».
«Sicuro?»
«Mi hai confuso con tuo padre?» la prese in giro, riferendosi a lei come se fosse stata una bambina capricciosa.
Emma sospirò e spinse un po' più avanti il piatto. «E va bene», acconsentì.
«Vuoi farti portare qualcos'altro?»
Con lo scorrere del tempo, la tensione tra loro si era allentata ed i modi di Harry si erano rivelati più posati di quanto non si fosse aspettata: sembrava si stesse impegnando per regalarle una serata quantomeno piacevole, accontentandola in piccoli gesti che probabilmente qualunque ragazza avrebbe apprezzato. «No, grazie», gli rispose gentile.
«Fa così schifo?» le domandò subito dopo, corrugando la fronte e bevendo un po' di vino. «Fammi assaggiare».
Emma tagliò un angolo di filetto e lo intinse nella salsa raccolta a lato, poi allungò la forchetta verso Harry ed aspettò che lui addentasse il piccolo assaggio. Non si fece distrarre dal movimento lento delle sue labbra, né dalla sua aria attenta.
«Non è male», concluse, pulendosi la bocca con il tovagliolo: lei gli rivolse un'altra espressione di ribrezzo, alla quale rispose con un sospiro. «Vuoi fare cambio?»
Il suo secondo aveva di certo un profumo più invitante, doveva ammetterlo. «Lo faresti?» domandò, sorridendo in modo infantile.
Harry sbuffò: prese il proprio piatto e lo sostituì con quello di Emma. «Pago io, mi assicuro che tu mangi tutto... Devi davvero avermi preso per tuo padre», insistette.
«Mio padre non mi avrebbe mai ceduto un secondo di pesce», precisò, accavallando le gambe sotto al tavolo. «E di certo non mi guarda come fai tu», continuò, più sottile nei modi di fare e di accarezzare le parole.
Lui la osservò serio, forse per valutare come ribattere. «Te l'ho ceduto solo per pietà», disse soltanto, concentrandosi sulla nuova pietanza ed evitando volutamente di commentare l'altra sua affermazione. Non riusciva a farlo sbottonare, a farlo cedere: i suoi occhi parlavano chiaro ogni volta che si soffermavano su di lei, ma quando i discorsi si facevano più personali e lui sembrava sul punto di darle una soddisfazione, la delusione tornava a stuzzicarla.
Talvolta si chiudeva talmente tanto in se stesso, da risultare imbronciato: in un certo senso le ricordava un'altra occasione nella quale la sua tensione l'aveva incuriosita e spinta ad insistere, in modo da infrangere qualsiasi freno si stesse imponendo. 
La notte del ballo di primavera, sei anni prima, nel salotto di casa sua: la voglia di toccarla che gli paralizzava ogni intenzione.
Emma sospirò appena, immersa nei pensieri ed in ricordi inopportuni, che rischiavano di torturarla più del dovuto: si sistemò i capelli e addentò un gamberetto. Masticando senza fretta, per godersi un sapore finalmente apprezzato, riportò lo sguardo sul viso che aveva di fronte: scoprì Harry ad osservarla, come ormai si premurava di fare da quando l'aveva vista uscire di casa.
«A cosa stai pensando?» gli domandò lei, dopo aver deglutito: la sua aria assorta era una tentazione irresistibile per la propria curiosità, soprattutto se poteva avere lei al suo centro.
Harry si mosse lentamente, affascinandola con ogni più piccolo gesto: si leccò le labbra e lasciò le posate nel piatto, pulendosi nuovamente la bocca con il tovagliolo che teneva sulle gambe. «Devo solo sopravvivere a questa cena», rispose: la voce calda e bassa che sapeva di promessa.
«In che senso?» indagò, incantata dal suo sguardo.
Lui alzò un angolo della bocca nell'accenno di un sorriso. «Vuoi davvero sapere a cosa sto pensando?»
Emma annuì.
«Sto pensando al tuo corpo», proseguì in un sussurro fermo, provocante. Lei capitolò prima ancora che la sua mente si appropriasse di quella confessione, e la tensione la irrigidì fino a darle l'impressione di potersi spezzare da un momento all'altro. «A cosa vorrei vedere. A cosa vorrei fare».
Emma si mosse involontariamente, serrando le gambe e schiudendo le labbra per respirare piano, con un certo sforzo: la consapevolezza di essere oggetto di pensieri poco casti, di pensieri di Harry, le accarezzò il basso ventre e la colpì con più forza di quanta fosse in grado di sopportarne. Cercando di non lasciarsi sfuggire una così patetica impazienza, si congedò per potervi porre un limite.
«Vado... Vado un attimo in bagno», annunciò, schiarendosi la voce non appena la scoprì tremante. Lui non si oppose, ma la osservò mentre si alzava e camminava verso la toilette.

Al fondo di un corridoio, i bagni erano costituiti da due semplici anticamere - una per le donne ed una per gli uomini: Emma entrò senza nemmeno bussare, per poi afferrare con disperazione il bordo del lavandino.
Desiderava Harry. 
Lo desiderava così intensamente ed in modo così totalizzante, da non poter resistere un istante ancora: per tutta la sera era stata tediata da preliminari d'eccezione, da lascivia sottintesa ed incenso sicuramente costituito da afrodisiaci. E quando le parole di Harry erano arrivate alle sue orecchie, semplici come se fossero state scontate e prevedibili, la realizzazione di non riuscire più a controllare la propria libidine l'aveva spinta ad allontanarsi, a fuggire dal suo profumo anche solo per un attimo. Non era riuscita a rispondere a quella provocazione, come in altre occasioni si sarebbe divertita a fare: era semplicemente scappata.
Si guardò allo specchio e sospirò sonoramente: si sarebbe lavata la faccia con dell'acqua gelida, se solo non fosse stata preoccupata di rovinare il trucco. Provava imbarazzo per quella dipartita improvvisa: con che coraggio sarebbe tornata al tavolo, dopo aver mostrato una così ridicola cedevolezza? Con che orgoglio avrebbe dovuto affrontare la crescita del suo ego?
All'improvviso, la porta del bagno si schiuse ed Emma si spaventò, portandosi una mano al petto. Harry entrò con movimenti misurati, forse per cautela o forse per imporsi un limite: sembrava che il suo respiro fosse impercettibilmente più accelerato, da come il suo torace compiva movimenti regolari e a tratti insoddisfatti.
Immobili a poco più di un metro di distanza, entrambi si stavano studiando con attenzione, intenti a scoprire le reciproche intenzioni.
«Perché te ne sei andata?» le domandò Harry, senza alcuna preoccupazione nel tono di voce: conosceva già la risposta, ma era evidente che volesse anche sentirla.
«Esci, torno subito», rispose lei, lasciando il bordo del lavandino per darsi un contegno più credibile.
«No».
Emma si morse un labbro, chiedendosi fin dove sarebbe stata in grado di resistere.
«È per quello che ho detto?» perseverò lui, statuario.
Un predatore che gioca con la sua vittima, sadico e attento.
Lei scosse il capo, deglutendo a fatica.
«È perché tu vuoi lo stesso?» rincarò Harry, come se avesse smesso di credere alle sue risposte e volesse basarsi solo sulle reazioni del suo corpo.
Si sentì in dovere di riscattarsi. «Avevamo deciso di fare con calma», gli ricordò, dando ormai per scontato l'argomento d'interesse: era una scusa insensata, dato che le loro difficoltà erano di tutt'altro tipo e che, anzi, un contatto più intimo avrebbe solo potuto aiutarli. Il punto era che non si sentiva in grado di cedere proprio in quel momento, perché temeva di non riuscire ad uscirne illesa.
«Sì».
Harry chiuse a chiave la porta e fece un passo avanti.
Con calma.
«Siamo nel bagno di un ristorante», tentò ancora, indietreggiando solo per invitarlo ad avvicinarsi ancora. Altra scusa scadente.
«Sì».
Era sempre più vicino e le sue iridi non la abbandonavano nemmeno un istante.
Sicuramente non gli sarebbe sopravvissuta.
«Potrebbe entrare chiunque da un momento all'altro», esalò Emma. Motivazione anche più banale, dato che la porta era ormai bloccata: difatti, la sua voce si era svuotata di qualsiasi enfasi, come arrendendosi a ciò che non poteva e non voleva più respingere.
«Sì», sussurrò ancora Harry, ormai a pochi centimetri dal suo volto, confermando qualcosa che probabilmente non aveva nemmeno ascoltato o, forse, ripetendo sempre la stessa parola nella speranza di sentirla uscire dalle labbra che stava cercando.
Emma inspirò a fondo, per disperato bisogno di ossigeno, e pregò affinché il proprio cuore battesse più silenziosamente e la lasciasse pensare. «Harry», sussurrò infine, mentre sentiva le sue mani sui propri fianchi, avide e tenaci: nonostante l'intenzione, quel semplice nome si era rivelato essere un invito arreso.
Le loro bocche si avvicinarono a tal punto da illudersi di un bacio già avvenuto.
«Sì», disse lui ancora una volta, in un soffio flebile e quasi inudibile.
L'istante successivo, Emma aveva le palpebre serrate e la bocca occupata da labbra familiari, sfacciate ed irruente. Tutta l'aspettativa che entrambi avevano accumulato nell'arco di una serata si riversò in quel contatto, privandoli di qualsiasi accenno di lucidità: si baciarono stanchi di aspettare, impazienti di avere tutto e non solo di più.
Harry le avvolse la vita tra le braccia, premendosela contro e sospirando per il contatto, per la prepotenza delle mani di Emma strette tra i suoi capelli: la fece indietreggiare contro la parete, dove i loro corpi poterono aderire meglio e nell'assaggio di una tortura.
Si toccavano come se temessero di non essere reali, come se servissero le loro dita ed i loro palmi aperti a definire i confini dei loro corpi, come se non avessero molto tempo a disposizione: e tempo non ne avevano davvero, perché il desiderio di possedersi era troppo forte per poter essere dilazionato o messo a tacere. Emma lo sentiva nelle vene, a scorrerle al posto del sangue, e lo sentiva nei muscoli tesi della schiena che stava stringendo a sé, nonostante la camicia le impedisse di sfiorarne la pelle, di graffiarla.
Harry le morse un labbro, provocando in lei un lieve verso di dolore, e si abbassò a baciarle voracemente ogni millimetro del collo, del petto: lo sentì mormorare qualcosa di simile ad un'imprecazione, forse a causa del vestito poco scollato che non gli permetteva di arrivare al suo seno. Le sue mani le percorsero i fianchi più e più volte, senza sapere dove fermarsi.
Emma, invece, non sapeva nemmeno da dove cominciare. Gli accarezzava il volto e si ricordava del suo torace, scosso da respiri ormai spezzati e furenti. Gli sbottonava la camicia, tracciava il suo petto con le dita e poi si ricordava delle sue scapole. In un percorso estenuante di particolari da riconoscere, da riscoprire e da godere, non riusciva a trovare il modo di averlo completamente senza perdere alcun dettaglio. E faceva quasi male.
«Voglio averti qui, adesso», esclamò Harry sulla sua clavicola, con la voce sporca di volgarità, mentre spingeva una gamba tra le sue e la bloccava tra sé e la parete in mattonelle fredde. «Io ti voglio, Emma», ripeté. Lei chiuse gli occhi e abbandonò il capo all'indietro, persa.
«Lo sai, vero?» continuò lui, cercando ora la sua bocca, ora un particolare più attraente, per poi tornare sulle sue labbra. Le stava arrossando a furia di succhiarle, leccarle, morderle.
«Lo senti», aggiunse, premendo di più contro di lei e facendole mancare il fiato. Ed era un riferimento fisico, certo, ma includeva anche ogni istante in cui precedentemente l'aveva sfiorata, ogni parola che l'aveva indebolita per il suo significato, ogni sguardo che l'aveva fatta sentire nuda.
Emma non ebbe tempo di fermarsi a riflettere, né voleva farlo: riusciva solo ad adattarsi alle sue mani, pronta a ricevere tutto ciò che avevano intenzione di offrirle. Non voleva pensare, voleva accertarsi che il corpo di Harry fosse tra le sue braccia: ricordava bene la passione che erano in grado di sperimentare sulla propria pelle, distinta da quella scaturente da chiunque altro e unica nella sua crudele purezza, ed era irreale poterla provare di nuovo, potersene cibare avidamente. 
Nella cecità del suo impeto, provò a sfilargli la giacca, ma la loro posizione glielo impedì: Harry era sordo a qualsiasi movimento che non fosse mirato a toccare lei e lei soltanto, quindi non si curò del suo tentativo, né del tessuto che gli era rimasto incastrato sulle spalle tese. Le afferrò i glutei, invece, e le respirò velocemente accanto all'orecchio: Emma raggiunse il cavallo dei suoi pantaloni ed il solo contatto fece gemere entrambi. Lui per il piacere, lei per il modo in cui riusciva a farlo reagire.
Harry si abbandonò per un solo istante contro il suo corpo, rapito dai suoi movimenti privi di imbarazzo, ma subito dopo si fece ancora più irruento: con le mani tremanti le sollevò l'orlo del vestito, arrotolandolo con decisione sui suoi fianchi, e le accarezzò l'intimità senza delicatezza, con ardore.
Le gambe di Emma cedettero appena, nell'ombra di un piacere tanto atteso, ma lei si aggrappò alle sue spalle e gli ansimò sul collo. I loro movimenti erano scoordinati e rozzi, perché guidati da un istinto ben più ammaliante: si toccavano e lo facevano male, respiravano e non assimilavano sufficiente ossigeno, cercavano di parlare e non avevano voce per farlo.
Quando una delle mani di Harry abbandonò il suo seno, fu tentata di protestare infastidita e lo fece mordendogli il lobo di un orecchio: quello sembrò strattonarsi i pantaloni, forse per sbottonarli, ma lei lo precedette senza smettere di baciarlo. Qualche istante dopo sentì qualcosa cadere a terra, ma la sua attenzione migrò dal portafoglio sul pavimento a ciò che Harry stava tenendo stretto in un palmo: la confezione traslucida di un preservativo la istigò ad accelerare i movimenti sulla sua eccitazione, tanto da fargli serrare la mascella e le palpebre. Lui si abbassò i pantaloni e gli slip, in modo da essere più comodo, e si infilò il preservativo senza aspettare oltre, ma le bloccò le mani quando Emma provò a sfilarsi l'intimo.
Harry le afferrò la coscia destra, marchiandola con le proprie impronte, e la sollevò verso l'esterno, sostenendola sul proprio avambraccio: il palmo della sua mano si schiuse contro la parete ed il suo bacino si avvicinò ancora di più a quello di Emma, in attesa. 
Un cauto bussare alla porta la distrasse, obbligandola a voltarsi nella direzione di provenienza con un sobbalzo di stupore: quasi non si accorse che Harry le aveva già scostato gli slip, ma dovette trattenersi dall'urlare a pieni polmoni quando lo sentì entrare dentro di sé. Una spinta decisa, rapida, incapace di aspettare oltre.
Emma si morse il labbro ed inclinò il capo all'indietro, mentre si abituava alla sensazione di un contatto tanto intimo ed irruento, in grado di sgretolarle le ossa e qualsiasi forza muscolare: si abbandonò nella stretta di Harry, mentre lui gemeva in silenzio.
«È occupato?» domandò una voce al di fuori dell'anticamera, ma senza ricevere alcuna attenzione.
Harry si spinse di nuovo nel suo corpo, con la stessa intensità e con un suono roco bloccato nella gola. Lei si tese e si contrasse intorno alla sua eccitazione, facendogli sbattere un pugno chiuso contro il muro: aveva l'impressione di non poter sopportare oltre, di non poter sostenere il peso di una sensazione così totalizzante. Ne era schiacciata, non riusciva ad espandere i polmoni in modo adeguato.
Dalle sue labbra vibrò un suono simile ad un gemito, acuto ed indiscreto. Harry lo bloccò con una mano, mentre con l'altra si sforzava di sorreggere la sua gamba: le coprì la bocca con il palmo umido e le leccò il collo, sfacciato e delicato al tempo stesso.
Un'altra spinta.
«Piano», le intimò con la voce in frantumi, per poi iniziare a muoversi più velocemente, senza sosta e senza alcuna esitazione. Emma era scossa dalla mancanza di fiato, dalla lussuria irruenta che sentiva conquistarle ogni lembo di pelle e dall'impossibilità di ansimare rumorosamente, costretta a tenere dentro di sé qualsiasi emozione stesse provando.
Ed era assurdo, assurdo che lui le ordinasse qualcosa del genere: doveva essere un dispetto, un modo per torturarla ancora più subdolamente, costringendola al silenzio quando le sue azioni la spronavano a disubbidire. 
La mano di Harry si mosse in modo strascicato fino a posarsi sulla sua guancia, sul suo collo, e lì rimase come per aggrapparsi ad un qualcosa di concreto, mentre la sua fronte si posava stancamente sulla spalla di Emma, incapace di sorreggersi e svuotata di qualsiasi funzione naturale di pensiero. Lei gli strinse le braccia intorno al collo, soffocando innate grida con baci roventi ed instancabili, fin quando i sensi persero il contatto con la realtà e le sue gambe iniziarono a tremare in preda al piacere.
Harry ne sembrò tratte forza e veemenza: velocizzò le proprie spinte mentre il corpo di Emma era ancora intorpidito dall'orgasmo ed impiegò solo pochi istanti per seguirla nello stesso percorso, venendo ancora dentro di lei.
Quei pochi metri quadri si fecero silenziosi, colmi solo dei loro respiri irregolari, profondi perché inefficaci: Emma deglutì a fatica, inumidendosi le labbra per assaporare il ricordo degli ansiti che lui vi aveva lasciato contro. Lo guardò senza osare muoversi, continuando ad accoglierlo e a fremere: i suoi occhi erano torbidi, offuscati dall'irrazionalità, e la veneravano ciecamente. Aveva la pelle sporca di rossetto sbiadito, che testimoniava le innumerevoli carezze di baci che aveva subito.
«C'è qualcuno o no?» domandò ancora la stessa voce femminile, dall'esterno, accompagnando le parole spazientite con un tentativo di aprire la porta.
Harry inclinò le labbra in un sorriso sghembo: indietreggiò lentamente per uscire da lei, baciandola con dolcezza come per compensare quella sottrazione inevitabile. Le permise di abbassare la gamba, percorsa da un vago formicolio dovuto alla posizione, e le accarezzò il viso umido di sudore e respiri troppo vicini. Si lasciò rubare un altro bacio e poi un altro ancora, e per entrambi fu spiacevole dover imporre una distanza tra i loro corpi.
Non appena Harry si allontanò di un passo, sfilandosi il preservativo e gettandolo nel cestino, lei si osservò distrattamente allo specchio: disordinata e con la pelle arrossata da morsi e contatti esigenti, si sentì leggera. Schiarendosi la voce, si voltò a recuperare un paio di fazzoletti di carta dal dispensatore fissato alla parete, per pulirsi quanto più possibile, mentre Harry faceva lo stesso e si rivestiva.
Quando entrambi furono di nuovo in ordine, presentabili, e quando le tracce del loro coinvolgimento furono nascoste sotto l'apparenza, sospirarono con sottile imbarazzo e sollievo. L'uno di fronte all'altra, non sapevano se toccarsi ancora una volta e rischiare di non smettere, o se resistere, per quanto potesse essere difficile.
«Tu hai ancora fame?» le chiese Harry, inumidendosi le labbra ed osservandola attentamente: il suo respiro non era ancora tornato pienamente regolare e rendeva ancora più evidente il reale significato di quella domanda.
Emma scosse il capo, decisa: sapeva a cosa avrebbe portato la propria risposta e non poteva che aspettare le conseguenze in trepidazione.
«Bene», affermò lui con un sorriso, passandosi una mano tra i capelli. «Allora andiamo», continuò, indicando con un cenno la porta alle sue spalle.
Improvvisamente l'idea che qualcuno potesse vederli uscire insieme da quel bagno, con addosso un'aria estremamente sconveniente, la imbarazzò molto: Harry però stava già aprendo la porta, costringendola ad affrontare le proprie premure e a trasformarle in divertimento mal celato.
Una signora di età avanzata, dal portamento elegante e la corporatura tozza, dava l'impressione di essere sul punto di esplodere per l'impazienza e per - evidentemente - l'urgenza dei propri bisogni: scorgendoli in quelle condizioni, il suo viso si tinteggiò di un rosso indignato e le sue labbra si strinsero per l'irritazione.
«Signora», la salutò Harry, rivolgendole un sorriso provocatorio e superandola senza aspettare una risposta: allungò una mano verso Emma e lei l'afferrò, ridendo in silenzio.

.

 





 


HELLO!
Direi di passare subito ai commenti, anche perché ho pochissimo tempo: capitolo interamente dedicato al tanto atteso appuntamento tra Emma ed Harry, che per una volta si concedono di comportarsi come una coppia normale. Non sono affatto sicura che l'effetto ottenuto sia quello che io avevo in mente, ma giuro che avevo un programma hahaha Come avrete notato, per quasi tutto il capitolo non succede... niente. Battutine, sguardi, forse a volte si è caduti persino nella noia: ma l'ho fatto di proposito, sia perché a volte accade proprio così - senza grandissimi avvenimenti - sia perché volevo sottolineare la loro calma. Harry era eccessivamente composto , Emma molto tesa: lui stava solo pensando a quanto fosse eccitato - senza troppi giri di parole - e lei ci macinava sopra. INSOMMA, tutto sfocia nella scena del bagno: niente (seconda) prima volta romantica. Ho preferito farli avvicinare così, tesi ed impazienti, incapaci di aspettare di uscire dal ristorante.
Gli scrupoli di Emma non riguardano affatto problemi di incertezza e bla bla bla, ma solo la paura di non riuscire a contenere tutto quello che avrebbe provato (spero di esser stata chiara, non saprei come altro spiegarlo): difatti, a lui poco importa hahaha Si erano ripromessi di fare piano (ammetto che il "piano" che le impone Harry era anche un parallelismo con la promessa dello scorso capitolo :)), ma non era di questo che parlavano: forse è l'unica cosa in cui non ci sono mai problemi, tra loro ahhaha
Il "sì" finale era per riprendere il comportamento di Harry, per sottolineare il definitivo abbandono di Emma (e di nuovo, un parallelismo al capitolo del ballo di primavera in LG: non so se qualcuno ricorda, ma lui le aveva chiesto di tornare a casa sua e lei aveva risposto "sì": effettivamente, nel prossimo capitolo andranno a casa di Harry......).
E quiiiiiiindi, spero che il capitolo vi sia piaciuto: io ho i miei soliti dubbi (scrivere di loro in questi termini è stata una liberazione, ma anche un parto), ma confido che sarete voi a comunicarmi eventuali perplessità/problemi. 
Grazie di tutto, come al solito!!
Alla prossima settimana :)

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

 
    

  

 
  
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