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Autore: FireFistAce    28/01/2015    5 recensioni
Salve! Questa storia è il mio primo Crossover e, quindi, la prima Jelsa che scrivo. Piccola precisazione: i capitoli sono alternati, dopo il prologo sono Jack, Elsa, Jack, Elsa, ecc...
Spero che vi piaccia!
Dal capitolo due:
"Jack (si chiamava così, giusto?) si rimise in piedi subito, volteggiando fino a terra e atterrando con grazia.
Ora che lo guardavo bene, notai che doveva avere più o meno la mia età, ed era vestito in modo improponibile per uno che aveva planato sulle montagne innevate: una leggerissima felpa blu con le maniche lunghe, un paio di pantaloni marroni a pinocchietto e basta. Non aveva le scarpe, non aveva le calze, una sciarpa, un paio di guanti, niente. [...]"
Dal capitolo tre:
"Avrei voluto farle un sacco di domande in quel momento.
Non hai freddo? Non sei stanca? Non vuoi tornare a casa?
Invece rimasi in silenzio e la accontentai, passando intorno a una nuvola conica che andava verso l'alto, girandole intorno e poi capovolgendomi per tornare verso il suolo a capo in giù.
Sentii le sue braccia stringermi il collo e il suo viso affondare nella mia spalla mentre cadevamo a velocità folle verso il basso.
“Hai paura?” chiesi preoccupato.
“No”
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, I Cinque Guardiani, Jack Frost, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Divertirsi costa poco

Prima ancora che Elsa finisse la frase ero scattato in avanti, sapendo di essere più veloce di lei, ed ero corso dietro alla persona che mi stava indicando.

Purtroppo, però, avevo avuto poca fortuna: appena girato l'angolo, si era parato davanti a me un enorme ammasso di gente che andava verso la sala del trono e chiunque si celasse sotto al mantello marrone si era appena nascosto in mezzo alla folla.

Elsa mi raggiunse ma anche lei si rese conto che non saremmo mai riusciti a ritrovare il tizio col mantello marrone, le persone intorno a noi erano decisamente troppe.

Tornammo sconsolati al laboratorio di Nord, dove spiegammo al signore del Natale ciò che era appena successo.

Lui ci guardò accarezzandosi i baffi.

“Be', direi che dobbiamo chiamare Sandy, Dentolina e Calmoniglio e dire loro la situazione. Ma

mentre aspettiamo che arrivino, penso che Elsa dovrebbe stare ad Arendelle, dove pare che Pitch sia intenzionato a combattere” ci disse.

Io lo guardai preoccupato.

“Non penso che Elsa dovrebbe stare là da sola. Non ha più poteri, non sarebbe in grado di fare niente se arrivasse Pitch a minacciare il regno” considerai.

Nord, con una grossa risata, mi dette una pacca sulla spalla.

“Io non ha mai detto che lei deve andare sola. Tu va con lei, Jack!” esclamò. Mi massaggiai la spalla mentre Elsa mi guardava.

“Penso di potercela fare, non importa che tu venga con me. Davvero” mi rassicurò titubante.

Fissai lei, poi fissai Nord e cercai di pensare a una soluzione.

Non era in grado di badare a sé stessa: non aveva poteri, non aveva difese, era psicologicamente instabile e soprattutto era emotivamente compromessa. Se ci fosse stato bisogno di fare qualcosa, non sarebbe mai stata in grado di agire.

Dovevo andare con lei, non c'era discussione. Ma come dirglielo senza che se la prendesse?

“Io credo che sia meglio se vengo anche io. Posso proteggerti” provai a dire, imbarazzato. Elsa arrossì.

“Non ho bisogno di essere protetta, posso cavarmela da sola” considerò.

“Magari contro Pitch è meglio se c'è uno di noi. Giuro che intervengo solo in caso di bisogno, altrimenti me ne rimango da una parte in silenzio ad osservarti” promisi. La vidi lottare con sé stessa per un po', poi Nord si inserì.

“Elsa, noi lo diciamo per tuo bene: sei senza poteri, ora, e finché l'Uomo sulla Luna non si decide di farti vedere cosa sai fare, sei un bersaglio facile. Jack viene con te solo per tuo bene” le disse.

Lei sospirò, poi si accarezzò la treccia, come se fosse un'ancora di salvezza.

“D'accordo. Jack puoi venire con me” acconsentì.

Quasi non ci credevo.

“Oh. Beh, ehm, intendevo dire che, certo che posso venire con te! Mi sembra logico!” commentai.

Nord ridacchiò, divertito, e lo fissai male.

“Allora andate, forza. Arendelle ha bisogno di guardiani” ci spronò.

Elsa si voltò verso la porta di uscita e si avviò verso di essa. Io mi trattenni un secondo di più, il tempo di scatenare contro di Nord una nuvola piena di neve.

“JACK!” gridò infuriato. Feci spallucce, come se non fosse colpa mia.

“Scusa Nord, ma lo sai come funziona: le tempeste possono sorprenderti in ogni momento” gli dissi, per poi librarmi in aria e prendere Elsa tra le braccia.

 

Atterrammo nella pizza della fontana, di fronte al castello, dove avevamo deciso di metterci ad osservare che andasse tutto bene.

Elsa si sedette sulla piattaforma di pietra e si mise a guardare i passanti, in silenzio. Io non sapevo che fare, così l'affiancai senza dire niente.

Rimanemmo a guardare i passanti senza proferire parola per non so nemmeno quanto tempo; so solo che dopo un po', annoiandomi, mi misi a fare piccole palle di neve che lanciavo tra la folla per distrarmi un po' e divertirmi.

Alla quarta palla lanciata a un signore che aveva dato la colpa ai bambini, Elsa ridacchiò.

“Certo che tu ti diverti con poco” fu il suo commento. Io mi strinsi nelle spalle.

“Be', diciamo piuttosto che mi piace far confusione. Troppo ordine mi fa venire il mal di testa, ho bisogno di caos per vivere” risposi.

“Ah, scusami. Caos. E un po' di pace e tranquillità non è meglio?” mi chiese. Feci comparire una palla di neve nella mia mano e la feci galleggiare in aria un paio di secondi. La guardai divertito.

“Affatto. Senza divertimento perché mi avrebbero dato questo potere? Perché l'Uomo sulla Luna mi avrebbe fatto diventare un guardiano, altrimenti?” risposi.

Stava per aprire bocca ma le lanciai dritto per dritto la palla di neve addosso. Rimase con la bocca spalancata, in una frase mai detta, i capelli pieni di neve e il viso coperto di ghiaccio.

Scoppiai a ridere senza riuscire a trattenermi.

“Oddio, scusami!” dissi continuando a ridere “Ma vederti conciata così è troppo divertente! Dovresti vederti!” esclamai.

Elsa si tolse dal volto la neve, poi mi fulminò.

“Malefico ragazzino” sussurrò, per poi prendere della neve da terra e lanciarmela contro. La bloccai con il bastone e saltai in cima alla fontana.

“Tanto non mi prendi!” la sfottei.

“Sta' fermo, Signore del Ghiaccio! Vieni qui se hai coraggio!” mi richiamò ridendo.

Mi lanciò un'altra palla e un'altra ancora, ma riuscii a fermare entrambe.

“È tutto qui quello che sai fare, Regina delle Nevi? Guarda che...” non riuscii a finire la frase che una palla di neve grossa quanto il pugno di un bambino mi arrivò dritta dritta in faccia. Ne ingoiai più di metà, iniziando a tossire come un matto.

Elsa scoppiò a ridere.

“Cosa stavi dicendo, Signore del Ghiaccio? Anche io so farmi valere, sai?” mi prese in giro, facendo la linguaccia.

“Brutta smorfiosa. Ora sei morta!” esclamai lanciandomi verso di lei.

Con un gridolino Elsa si lanciò da un lato, scansando per un pelo le mie mani.

“Forse, raggiungimi!” mi sfidò, correndo via.

Divertito, le andai dietro, stando attento a non essere troppo veloce o troppo brusco, volando a slalom in mezzo alla folla.

Era divertente giocare così, non mi divertivo così tanto da quando ero venuto via da casa mia e mi ero trasferito da Nord.

Senza bambini non era la stessa cosa.

Elsa si lanciò in mezzo a due signori che stavano parlando dell'aumento del prezzo delle patate e io mi destreggiai passando sopra di loro, girandogli intorno e raggiungendola dall'altra parte, dove fece un gridolino sorpreso quando la bloccai per le spalle.

“Presa!” esclamai.

Dalla sorpresa lei scivolò in terra, dove trascinò anche me. Mi misi a ridere a crepapelle mentre rotolavamo tra la neve, fino a tornare ai piedi della fontana. Perfino lei rideva divertita.

“Ti... ti odio!” disse alla fine tra una risata e un'altra. Aveva le lacrime agli occhi e anche io.

“Sei uno spasso! Rifacciamolo!” esclamai affamato di divertimento.

Elsa aprì le braccia in mezzo alla neve e sorrise beata.

“Dio, quanto mi manca il mio potere! Ricordo che una volta imbiancai il salone da ballo di neve e iniziai a giocarci dentro, rotolandomi qua e là e facendo pupazzi di neve!” mi raccontò muovendo le braccia e le gambe in su e giù.

Si alzò e a terra lasciò l'impronta di un angelo.

“Io e Anna avevamo fatto tanti angeli, all'epoca! Ti sarebbero piaciuti, avresti dovuto vederli!” mi disse estasiata.

Mi appoggiai al bastone a fissarla e mi ritrovai a pensare che fosse davvero bella. Era meglio di qualsiasi altra ragazza io avessi mai conosciuto.

“E poi fu allora che creammo Olaf! Oddio, il piccolo Olaf! Ti sarebbe piaciuto pure lui, era alto un metro ed era un concentrato di dolcezza e amore!” mi raccontò.

Si voltò verso di me e il suo sorriso ebbe un attimo di incertezza.

“Che c'è? Perché mi guardi?” mi domandò sempre ridendo. Sobbalzai preso in contropiede e mi schiarii la voce.

“Oh, ehm, niente. Non ti stavo guardando” risposi.

Elsa ebbe per un secondo un'espressione strana in viso, come se volesse dirmi qualcosa e poi ci avesse ripensato.

“Sei sicuro? Avevi un'aria strana” commentò.

“Sicurissimo. Pensavo solo che avrei voluto conoscere questo Olaf di cui parli tanto” spiegai.

Elsa guardò verso il castello.

“Era il nostro pupazzo di neve! Ci salutava sempre dicendo Ciao io sono Olaf e amo i caldi abbracci!, e la sua stagione preferita era l'estate! Amava i fiori, come Anna, e le persone, come

me!” mi raccontò.

Si sedette di nuovo sulla fontana, ora più tranquilla.

“E pensare che l'avevo perfino creato per sbaglio!” aggiunse ridendo. Poi il suo viso tornò serio e una lacrima scese dai suoi occhi.

“Che scema... senza neanche accorgermene!” disse. Subito dopo scoppiò a piangere e nascose il viso tra le mani.

Mi trovai in difficoltà, non essendo abituato a dare aiuti e consigli, così le detti una piccola pacca sulla spalla.

“Su, non è niente” le assicurai impacciato.

Mi guardavo intorno nervosissimo, senza sapere che fare, mentre Elsa continuava a piangere.

“Ricordo che Anna mi aveva chiesto per mesi di fare insieme un pupazzo di neve ma non volevo esporla a nessun pericolo, così la ignoravo e rimanevo da sola, chiusa in camera, mentre lei usciva a giocare in solitudine. Ogni volta la osservavo dalla mia camera e lei faceva sempre un pupazzo di neve e lo vestiva e truccava come Olaf, lo riconoscevo anche da lontano” mi raccontò mentre io continuavo a darle pacche imbarazzate sulla spalla.

“Sono stata così stupida a credere di poterla salvare sempre, e ora che l'avevo appena ritrovata io... io... sono morta” concluse disperata.

Mi guardai intorno, poi sospirai e mi avvicinai a lei.

Strinsi Elsa tra le mie braccia, un'Elsa piccola e singhiozzante come una bambina. Le passai una mano tra i capelli ghiacciati.

“Su, su. Stai tranquilla. Ci sono io con te” le sussurrai in un orecchio mentre lei continuava a piangere.

Si aggrappò alla mia felpa come se non ci fosse altro appiglio.

“Sc-scusa per vedermi sempre così. Giuro che... che non sono solo questo” balbettò disperata.

“Lo so. Davvero lo so, so che sei una ragazza forte e indipendente. In questo momento hai solo bisogno di un amico che ti stia accanto e io sono qui, per qualsiasi cosa” le assicurai.

Elsa tirò su con il naso, poi alzò leggermente il viso.

Mi guardò con i suoi occhi blu come il ghiaccio.

“Grazie” sussurrò timidamente.

Era così bella.

Le sorrisi.

“Non c'è di che” risposi.

Rimanemmo a fissarci per un tempo che non saprei contare, rapiti in qualcosa che non ammetteva estranei. Sarei potuto rimanere a fissarla per sempre, se ne avessi avuta la possibilità. Con lei sembrava che le cose andassero nel verso giusto, nonostante tutto quel casino in cui eravamo finiti ero sicuro che niente sarebbe mai andato storto.

Mi sentivo vivo, mi sentivo libero con lei.

Le accarezzai una guancia, forse sfiorandola più del necessario.

“Elsa...” sussurrai incantato.

  
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