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Autore: Yavannah    28/01/2015    7 recensioni
«Certo che mi piacciono! Sono una donna», rispose quella quasi stizzita; Bilbo non aveva mai pensato che i fiori potessero piacere solo alle donne, dato che dalle sue parti la floricultura era ampiamente praticata.
«Io ne ho … di bellissimi, nel mio giardino», raccontò allora sognante Bilbo. « E sai, noi chiamiamo le bambine con i nomi dei fiori, nella Contea»
Elyn aveva raccolto i ciclamini tra le mani e inconsciamente li aveva portati al viso, come se si aspettasse di sentirne il profumo; anche se sapeva che si trattava di fiori invernali e che non profumavano.
Rivolse quindi l’attenzione all’amico, che notò i suoi occhi luccicare di contentezza. Bilbo sapeva che la piccola lite di Elyn con Fili avrebbe avuto breve durata, e, grazie ai Valar, pareva proprio che il ragazzo sapesse come farsi perdonare; tuttavia, emise un sospiro triste e stanco , e riprese a raccontare.
«Stiamo molto attenti ai significati, sai», le rivelò nostalgico, incrociando le mani dietro la nuca e stiracchiandosi davanti ai tizzoni ardenti.« E non so ancora che cosa saltò in testa a mio nonno quando diede a mia madre il nome di una pianta velenosa!»
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Bilbo, Fili, Kili, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elyn e Fili'
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«Avreste dovuto ospitare tutti i feriti, e non solo i più gravi!» inveì Legolas verso Dain, il signore dei Colli Ferrosi : dopotutto, era stato dal nano che era partito l’ordine, ma il guerriero non pareva pentito della scelta.

«Non discuterò oltre con te, principe», asserì Dain in modo annoiato : quella conversazione cominciava a tediarlo. «La decisione oramai è presa»

 

Il sorrisetto del nano stizzì, se possibile, ancora di più il giovane Elda, che era salito su alla Montagna per contestare quell’ordine assurdo e crudele : elfi e uomini con ferite meno gravi erano stati rimandati indietro all’accampamento sulle rive del lago, proprio mentre  i nuvoloni presagivano una tempesta di neve imminente.

 

Balin,intanto, che stava in piedi accanto al cugino, spostava il peso del corpo da una gamba all’altra, in evidente imbarazzo.

«Comprendo benissimo … le tue ragioni, e non ti biasimo», affermò scoccandogli di sotto in su uno sguardo accondiscendente, «ma la cosa è stata ben ponderata. Non abbiamo scorte sufficienti a nutrire così tanti convalescenti, tanto vale concentrarci solo sui più gravi. Sono sicuro che … tuo padre Thranduil non avrà difficoltà a far giungere vettovaglie dal Palazzo all’accampamento»

 

Il tono dolce e pacato di Balin spianò un poco il cipiglio di Legolas, che si limitò ad annuire, ma Dain gli riservò la stoccata finale.

«Proprio così», ammise con veemenza, annuendo di rimando anche lui. «Non possiamo certo assottigliare ulteriormente le nostre scorte per dar da mangiare a degli stupidi orecchie a punta!», la frase seguita da una volgare risata.

 

Questo fu troppo per Legolas: Balin alzò gli occhi al cielo, costernato, e il biondo principe li superò, urtando di proposito Dain, che si ritrovò a ghignare compiaciuto.

«Ha un bel caratterino, il figlio di Thranduil, non c’è che dire», commentò versandosi un po’ di quel vino che veniva usato per annebbiare la mente dei feriti affinché sentissero meno dolore. «Sembra quasi di parlare con Thorin»

Quella frase, detta senza evidente malizia, rese subito lucidi gli occhi di Balin : il corpo del re giaceva in una delle sale  insieme ad altri guerrieri caduti, in attesa della sepoltura che sarebbe avvenuta nei prossimi giorni. Dis non avrebbe mai fatto in tempo ad arrivare, e questo pensiero , ancora una volta, fece si che una lacrima luccicante cadesse nella barba candida del vecchio guerriero.

 

 

L’elfo adesso avanzava a passo spedito nei corridoi di pietra , ed il suo cipiglio non presagiva nulla di buono.

Era stato già ad Erebor , molti decenni prima e prima della venuta del drago : assomigliava al suo palazzo del Reame Boscoso, con i suoi parapetti e immensi aloni, ma la differenza tra le due culture era innegabile.

I Nani tendevano a prediligere le figure squadrate, che venivano richiamate nei portali e nelle sculture; gli Elfi, d’alto canto, soprattutto i Silvani, erano più ispirati dagli alberi e dagli animali che abitavano la foresta, i quali  venivano spesso usati come temi ricorrenti.

 

Intendeva raggiungere sire Elrond, che su richiesta di suo padre era giunto da Granburrone a curare i feriti- dato che era notoriamente il miglior guaritore di tutta la Terra di Mezzo- per salutarlo e prendere congedo.

Sapeva che il signore di Imladris si stava prendendo cura personalmente di alcuni feriti particolari, e uno di questi era l’erede di Thorin – sembrava grave, e non si poteva rischiare di perdere i futuro re di Erebor all’indomani della battaglia – così si diresse nei livelli inferiori, che erano più caldi e quindi più adatti allo scopo. Uno o due nani dalle barbe rossicce gli passarono davanti, parlottando concitati in nanesco e scoccandogli uno sguardo di rimprovero; indossavano ancora abiti laceri e sporchi, ma probabilmente non c’era stato tempo, per loro, di cambiarsi con qualcosa di più pratico e adatto.

Legolas, dal canto suo, al pari di suo padre, aveva cambiato gli abiti da battaglia e aveva fatto un bagno, ma quello era un privilegio concesso a pochi; immaginava che le terme di Erebor , a quell’ora, dovessero brulicare di nani in cerca di sollievo per il corpo e per lo spirito.

 

Voltò l’angolo , e notò che quella zona della Montagna era un po’ più affollata e immaginò che dovesse trattarsi dei quartieri dei guaritori. Qualche nana , evidentemente con velleità da guaritrice, si affaccendava tra le varie stanze, scarmigliata e con le braccia cariche di pezzuole, il grembiule macchiato di rosso; e qualche elfo di tanto in tanto faceva la sua comparsa, destreggiandosi tra le lettighe di elfi, uomini e nani. Legolas aguzzò la vista per scorgere dove potesse trovarsi sire Elrond, ma vide solo decine di brande di fortuna;  i lamenti dei moribondi, che si levavano di tanto in tanto,  spezzavano il cuore. Osservò una delle nane imboccare pazientemente un elfo con un cucchiaio ; la donna teneva sollevato il viso del ferito, e di tanto in tanto lo ripuliva con una pezzuola candida.

Legolas riconobbe l’elfo come un giovane soldato di suo padre, e si avvicinò.

«Ci sono tanti della tua stessa stirpe», commentò Legolas rivolto alla donna, che continuava a imboccare il soldato pazientemente, come fosse un bambino. «Perché nutri prima un elfo?»

 

La donna sospirò stancamente e posò gli occhi per un attimo su di lui, dando segno di averlo riconosciuto.

«Mio signore, in tempo di guerra i guaritori aiutano prima chi più ne ha bisogno», e pulì ancora una volta il mento del suo paziente, sporco di minestra. «Questo giovane elfo ha perso una gamba ed è molto debole. Noi nani, di contro, siamo fatti per resistere. Come la roccia dalla quale Mahal ci ha forgiati», spiegò orgogliosa. La nana, che aveva dei fili d’argento nei capelli e il viso rugoso, ripose il piatto e controllò le bende macchiate di sangue sotto la coperta ruvida, per poi dedicarsi al ferito successivo, che era della stirpe degli Uomini.

Legolas chinò il capo, in segno di rispetto, e sussurrò “Hannon le” prima di uscire dalla stanza, quando la sua attenzione fu attirata da qualcuno che conosceva. Allungò il passo e raggiunse la porta della stanza più lontana, decisamente più grande e meno affollata delle altre. Riconobbe sire Elrond chino su qualcuno, e Legolas stava per entrare a  chiamarlo, quando un giovane nano, uscendo dalla stanza, andò a sbattergli contro.

Il giovane , che aveva gli occhi cerchiati e rossi dal pianto , sollevò il proprio sguardo disperato sull’elfo, che immediatamente assunse un’espressione granitica.

 

«Tu», sibilò Legolas, e l’altro strinse i pugni, lasciandosi sfuggire un gemito di fastidio; una delle mani era fasciata. L’elfo notò che si era cambiato ed indossava una camicia blu pulita, anche se gli stivali erano ancora infangati; i motivi sulla fibbia lasciavano intuire la sua nobile nascita, ma i capelli neri, così tenuti in considerazione dai nani, ora ricadevano ribelli e sporchi sulle spalle, anche se lui non sembrava curarsene. Se fosse stata qualunque altra persona, Legolas sapeva che avrebbe potuto avere pietà di lui: i suoi occhi erano colmi di un dolore antico e mai provato, quello a cui erano destinato ai mortali; il nano stava per ribattere qualcosa, quando lo sguardo di Legolas cadde sulla sua cintura , gli occhi azzurri ridotti a due fessure.

 

«Non hai il diritto di portarlo», sussurrò furente Legolas, fissando torvo il pugnale elfico alla cintura di Kili, che tirò su col naso ed assunse un’espressione combattiva, mentre le dita tozze corsero  automaticamente al manico intarsiato, come a volerlo proteggere. «Restituiscimelo immediatamente»

Il giovane nano non mosse un muscolo.

«Me lo ha dato lei», disse soltanto, mentre le dita scorrevano lente sull’elsa.«E dirmi queste cose non la riporterà indietro», affermò scuotendo la testa, il dolore che affiorava di nuovo sul suo viso stanco.

 

«Tauriel non tornerà, ma sarà fatta giustizia. Quel pugnale era un dono di mio padre», alzò ancora la voce Legolas, che non comprendeva il motivo di tanta ostinazione.

«E lei lo ha dato a me. In punto di morte», scandì Kili con enfasi, parandosi davanti all’elda. Nella stanza doveva trovarsi suo fratello morente, perché Legolas carpì la sua disperazione. «Voi elfi vi ritenete  talmente superiori a tutto che non riuscite nemmeno a rispettare le volontà di una persona che se ne è appena andata?»

 

Legolas lo fissò di rimando, non sapendo cosa ribattere. La perdita di Tauriel lo aveva come svuotato, e la cosa che lo addolorava di più, anzi lo infuriava, era che lei fosse morta per difendere un nano.

Il nano che ora era in piedi davanti a lui.

Kili si passò nervosamente una mano nei capelli, spostando una ciocca di capelli ai lati del viso, o forse per asciugare di nascosto una lacrima.

«Lei non era come te», disse all’elfo, e senza aggiungere altro si allontanò, le spalle cascanti, in cerca di un posto in cui  sfogare finalmente il suo dolore.

 

 

Camminava, mentre lacrime di impotenza e frustrazione gli offuscavano la vista; incontrò sul suo percorso diversi nani e qualche elfo, ma nessuno di loro, impegnati com’erano, gli badò.

Nella sua seppur giovane vita di nano, prima nei Monti Azzurri e poi nel rocambolesco viaggio intrapreso con l’adorato zio, Kili non si era mai sentito così.

Addolorato, annientato, perduto.

 

Si, perduto era la parola giusta.

Thorin, l’unica figura paterna che avesse mai conosciuto, era andato via per sempre; e Fili, il suo fratello maggiore, la sua guida, il compagno di giochi di una vita, sembrava voler raggiungere il loro zio nelle Aule di Mandos. Un destino crudele aveva strappato a Kili anche l’unica donna di cui aveva provato qualcosa molto simile all’amore, e che , malgrado le differenze, avrebbe potuto coltivare, e poi, chissà …

Un dolore folle, misto a un cieco terrore lo invase: di perdere Fili, di non essere all’altezza, di … se Fili non fosse sopravvissuto, Kili sarebbe stato incoronato futuro re di Erebor e lui non voleva, non poteva; quello era il posto di suo zio, non il suo.

 

Lui non era nato per fare il re.

 

Si accorse di aver preso a correre, mentre altre lacrime gli rigavano le guance e scorrevano sulla barbetta appena accennata.

La stessa barbetta per cui suo fratello lo prendeva in giro da una vita.

Fili era stato sempre il migliore di loro due: forte, gentile. Non poteva andarsene così.

 

Non morire, fratello, non morire.

 

Kili si accorse che i polmoni gli bruciavano, e si fermò davanti a una stanza che conosceva. Sospirò, osservando il piccolo barattolo di vetro abbandonato sul pavimento e sorrise, di un sorriso nostalgico e triste. Raccolse l’oggetto e si sedette sul freddo pavimento di pietra, le braccia attorno alle ginocchia mentre l’indice percorreva ininterrottamente il bordo del barattolo. Presto qualcosa di appiccicoso e scuro gli macchiò il polpastrello, e fu così che, vinto dalla tristezza e dall’angoscia, Kili si abbandonò finalmente al sonno, in completa solitudine.

 

 

***

 

 

«Bene bene bene … cosa abbiamo, qui?», domandò Kili, sollevando un sopracciglio mentre gli angoli della sua bocca si piegavano in una smorfia divertita. Aveva appena sorpreso il loro scassinatore ufficiale, letteralmente con le mani nel sacco.

 

Bilbo da qualche ora appariva  guardingo e strano, e lo si vedeva sgattaiolar via più spesso del solito; ecco dov’ era che andava! La stanzetta era piccola e disadorna, ma adattissima allo scopo, se uno aveva intenzione di nascondersi.

«No, Kili, po … posso spiegarti», balbettò il piccolo Mezziomo, gesticolando come sempre quando era in imbarazzo.«Me l’ha dato Beorn … quando sono andato ad avvisare gli altri a Collecorvo»

 

Un silenzio attonito scese tra i due, e Bilbo posò lo sguardo sulla propria mano destra che stringeva ancora il barattolo, arrossendo; quando Kili si lasciò andare a una risatina incredula, anche lo hobbit sorrise. Kili non avrebbe fatto la spia, ne era sicuro, ma la situazione risultava comunque notevolmente imbarazzante.

Il ragazzo indicò il recipiente di vetro, appoggiandosi allo stipite della porta.

«E te lo mangi tutto tu?», chiese in tono casuale, cosa che fece vergognare alquanto Bilbo.

 

«Si. Beh! Quando ho firmato quel contratto era previsto vitto e alloggio a vostro carico, e non mi pare che stiate adempiendo granché, ecco …», rispose tutto d’un fiato il Mezzuomo; era irritato perché per mesi aveva dovuto condividere tutto con i suoi amici, e benché adesso per lui la cosa risultasse normale, era pur sempre una persona riservata  e … beh, desiderava, almeno ogni tanto, di passare qualche ora in completa  solitudine.

«Giusto» fu il commento laconico del nano, che stupì alquanto Bilbo; Kili era sempre stato un giocherellone e come minimo si era aspettato che quello gli strappasse dalle mani il barattolo per andare a papparsi il contenuto  in santa pace.

 

Lo hobbit sospirò. Il peso che gli era sceso sul cuore si dissipò un poco, e si sforzò di sorridere.

«Che … che vuoi dire? », fece rivolto al ragazzo, arcuando le sopracciglia; qualcosa sarebbe andato storto anche stavolta,  lo sapeva. E infatti la risposta dell’altro non si fece attendere.

«Che me ne starò zitto e buono con gli altri, se tu mi cederai l’altro barattolo», fece Kili dandogli una pacca affettuosa sulla spalla; evidentemente aveva adocchiato l’altro contenitore posato sul tavolino.

«Ma … Kili, insomma!», protestò Bilbo, camminando avanti e indietro e lanciando occhiate torve all’altro barattolo pieno di miele ; se solo lo avesse tenuto nascosto nello zaino, insieme all’Archengemma! Ma ormai era fatta, e Bilbo si piazzò davanti a Kili, guardandolo di sbieco.

 

Da quando Thorin aveva mostrato i primi segni della malattia del drago, tutto sembrava andare storto, nella Montagna: Elyn e Fili non si parlavano, Bombur piagnucolava notte e giorno per la fame (e ne aveva ben donde), e c’era l’imminente  minaccia di un attacco degli elfi. Quando Beorn lo aveva salvato dall’orco, lungo la strada per Collecorvo, gli aveva regalato quel miele che Bilbo lo aveva conservato come una reliquia:  ed ora, quando la fame e lo scoramento si erano fatti pressanti, era venuto il momento di farne uso.

 

Si accorse che Kili lo fissava comprensivo, e aspettò cosa avesse ancora da dirgli.

«C’è bisogno di dolcezza in questa Montagna», disse il nano con noncuranza, facendo una smorfia buffa che voleva essere di cameratismo. «Se capisci cosa intendo»

 

Bilbo invece non capì proprio nulla, ma le sue spalle si afflosciarono per la rassegnazione.

«E va bene», si arrese con un sospiro, anche se un attimo dopo tornò subito combattivo, sguardo torvo e indice in aria. «Ma io mi tengo l’altro pieno, tu ti prendi questo a metà. Siamo intesi?»

 

Kili non stette lì a discutere, troppo felice per aver strappato quel trofeo di guerra, e con un sorriso che andava da orecchio a orecchio, strappò di mano il barattolo al signor Baggins.

«Intesi, Scassinatore», rise contento; in un batter d’occhio il contenitore era sparito in una delle tasche della giubba, mentre lui, gambe in spalla, scappava soddisfatto verso una nuova meta.

 

 

***

 

 

 

Bilbo trascinava i piedi sulla pietra polverosa del quartier generale: al momento era quasi vuota, a eccezione della giovane nana; gli altri, suppose, dovevano essere tutti a cercare l’Archengemma, come era stato loro ordinato da Thorin. Era pensieroso e ancora infastidito per come si era fatto fregare buona parte della sua scorta di miele, quando ricadde con un tonfo sordo su suo pagliericcio, lanciando occhiate alla ragazza.

La nana era alle prese con un pettine di legno e cercava di districarsi i capelli; dall’aspetto sembrava li avesse lavati di recente. Tutti erano rimasti scioccati quando lei aveva tagliato buona parte della chioma per poterli meglio gestire, ma si sa, i capelli possono sempre ricrescere, e la cosa era finita lì.

 

«Elyn, che … cosa stai facendo?», chiese il Mezzuomo, notando che la nana riponeva il pettine intarsiato , dono di Bofur, nella sua bisaccia , e subito cominciava a tirar fuori biancheria e vestiti e ad ammonticchiarli sul pavimento.

«Credo che andrò a lavarmi la mia roba. Sai, l’acqua è calda, e anche le coperte stanno cominciando a puzzare»

 

Bilbo deglutì.

Arrossì un poco: da quando viveva con la compagnia il suo concetto di igiene  e pulizia si era notevolmente modificato : non poteva più permettersi una vasca calda ogni sera, così un po’ alla volta si era adattato. Ma Elyn, a quanto pareva, rimaneva fissata con la pulizia.

«Non credo sia una buona idea, sai», la rimbrottò vedendola ripiegare altri indumenti ,cercando di farla ragionare. «Siamo in pieno inverno! Sai quanto ci impiega ad asciugare , una coperta di lana, in pieno inverno?»

 

Il suo tono stridulo risuonò nella sala, ma la ragazza non vi badò. Anzi, gettò un altro legnetto nel fuoco, fingendo che l’amico non avesse fatto commenti al riguardo. Elyn si pulì i pantaloni sulle ginocchia e fece per raccogliere la coperta di lana, quand’ecco che  sgranò gli occhi e la coperta ricadde con un tonfo.

«Oh»,si lasciò uscire un sospiro agitato, e arrossì; la cosa attirò subito l’attenzione di Bilbo.

«Che cos …? Ah »

Gli occhi del signor Baggins  navigarono fra le coperte spiegazzate, e in mezzo ad esse scorse qualcosa che prima non c’era.

 

Un mazzolino di ciclamini.

 

«Beh, posso supporre chi li abbia nascosti  … lì dentro» , disse per rompere il ghiaccio, vedendo che la nana fissava ancora i piccoli fiori lilla con la bocca spalancata. «Ti piacciono i fiori?», chiese a bruciapelo.

«Certo che mi piacciono! Sono una donna», rispose quella quasi stizzita; Bilbo non aveva mai pensato che i fiori potessero piacere solo alle donne, dato che dalle sue parti la floricultura era ampiamente praticata.

 

«Io ne ho … di bellissimi, nel mio giardino», raccontò allora sognante Bilbo. « E sai, noi chiamiamo le bambine con i nomi dei fiori, nella Contea»

Elyn aveva raccolto i ciclamini tra le mani e inconsciamente li aveva portati al viso, come se si aspettasse di sentirne il profumo; anche se sapeva che si trattava di  fiori invernali e che non profumavano.

Rivolse quindi l’attenzione all’amico, che notò i suoi occhi luccicare di contentezza. Bilbo sapeva che la piccola lite di Elyn con Fili avrebbe avuto breve durata, e, grazie ai Valar, pareva proprio che il ragazzo sapesse come farsi perdonare; tuttavia, emise un sospiro triste e stanco, e riprese a raccontare.

 

«Stiamo molto attenti ai significati, sai», le rivelò nostalgico, incrociando le mani dietro la nuca e stiracchiandosi davanti ai tizzoni ardenti.« E non so ancora che cosa saltò in testa a mio nonno quando diede a mia madre il nome di una pianta velenosa!»

Elyn lo osservò di lato, preparando la domanda; Bilbo la sentiva frullare nella sua testa.

E alla fine, la domanda attesa venne.

«Bilbo, tu … conosci il significato dei fiori?», chiese lei con una vocina piccola piccola, e lo hobbit fece uno sguardo crucciato.

 

«Mi pareva di averti appena detto che noi hobbit siamo i massimi esperti, in materia», ma  mentre lo diceva la fronte corrugata si distendeva per far spazio a un sorriso complice. «Chiedi quello che vuoi»

La nana accarezzò un petalo delicato col polpastrello, notando , nonostante il freddo, quanto quei fiori fossero perfetti.

 

Chissà quanto deve averli cercati …

 

«Sai, i ragazzi hanno studiato le buone maniere e tutto il resto», cominciò lei , alludendo a Fili e Kili, ma anche ad Ori, che pur non essendo di sangue reale leggeva tutti i libri che gli capitavano a tiro. «Ma i nani comuni, in genere, non si interessano granché ai fiori», ammise lei con rimprovero, «né al loro significato. Loro preferiscono vedere la bellezza in altre cose, sai»

Mentre la ragazza parlava, Bilbo si trovò ad annuire: vivendo con i nani per così tanto tempo era arrivato a capire i loro punti di vista e il loro modo di vivere, ma trovava alcuni aspetti della loro cultura un po’ grotteschi.

 

 

«Immagino che trovare fiori fatti di pietra sia un po’ difficile, ecco», commentò Bilbo sarcastico, alludendo al fatto che i nani amassero la roccia, mentre gli hobbit provano amore per  tutte le cose che crescono, soprattutto le piante. «Allora , vuoi … che ti spieghi  il significato del ciclamino?»

 La giovane nana sorrise e annuì, gettando un altro legnetto sul fuoco che sprigionò decine di scintille rossastre, e si volse col busto verso di lui. Bilbo allora assunse un tono serio e composto, prima di cominciare a parlare.

 

«Significa che sei diffidente e che hai esitazione … riguardo a voi due» , raccontò Bilbo, un pochino a disagio.« Ma è anche un amuleto. Sai, per proteggerti, ed è … un simbolo di fertilità»

Elyn fece finta di non aver notato che era arrossito; d’altronde, quando si parlava di certe cose, Bilbo era sempre molto chiuso e riservato, ed Elyn credeva anche di sapere perché.

 

«Lo hai … visto?», chiese la nana a bruciapelo; Fili le mancava terribilmente, e ormai tra ordini di Thorin e cose varie, lo incrociava davvero di rado.

«Oh, è da qualche parte con suo fratello», rispose sbrigativo lo hobbit, gesticolando come al solito.  «Stanno esplorando stanze e cose del genere. Ehi, hai ancora intenzione di lavare quella roba?», chiese quando la vide mettere i fiori al sicuro e caricarsi una bracciata di panni in spalla.

 

Elyn adesso aveva le guance rosee e gli occhi che le brillavano.

«Certo», ridacchiò, avviandosi spedita. «La pietra è bollente lì dentro: asciugheranno in un attimo, e nel frattempo mi farò un bel bagno come si deve»

 

Avrebbe potuto studiare quel che c’era da sapere sui libri, ma Bilbo le donne non le avrebbe mai capite.

«E ti pareva», bofonchiò scocciato, annusando le sue coperte e fingendo per un attimo che non puzzassero come quelle dei nani, prima di cadere sbuffando sul giaciglio e ritrovarsi a fissare il soffitto.

 

 

EHILA’ GENTE!

LO SO, SONO SPARITA , MA SAPETE COME VANNO QUESTE COSE! ESCE IL FILM, NATALE, LE FESTE FINISCONO … E LA PIGRIZIA TI ASSALE. DA COME AVETE POTUTO LEGGERE TAURIEL NON È SOPRAVVISSUTA ALLA BATTAGLIA ; PRIMA MI PIACEVA, MA AVEVO PRESO QUESTA DECISIONE ANCOR PRIMA DEL FILM , DATO CHE LA STORIA DI KILI PRENDERÀ TUTTA UN'ALTRA PIEGA. NEL FLASHBACK, IL MIELE È QUELLO CHE BEORN REGALA A BILBO QUANDO QUESTI VA A COLLECORVO (IN "LA QUIETE, PRIMA DI SMAUG") E L'ALTRO FLASHBACK RIGUARDA I TENTATIVI DI FILI DI RICONQUISTARE ELYN. A PROPOSITO, SONO FELICE CHE LA MIA VECCHIA STORIA (COLLEGATA A QUESTA) CONTINUI A RICEVERE MOLTI CONSENSI: LA SEGUONO BEN 94 UTENTI! INTENDO RINGRAZIARE TAMORA FELIX PER LE ULTIME RECENSIONI CHE MI HA LASCIATO ALL’ALTRA E SOPRATTUTTO ARDESIAA, IDRILCELEBRINDAL , JENNY BURTON E EMOUEL CHE MI HANNO LASCIATO BELLE RECENSIONI ANCHE QUI.

PER CHI VOLESSE FARSI UNA RISATA, C’E’ ANCHE LA MIA ONESHOT “BILBO E IL PORTA A PORTA” SCRITTA IN UN MOMENTO DI FOLLIA … SPERO CHE IL CAPITOLO NON SIA TROPPO NOIOSO.

DETTO QUESTO, ALLA PROSSIMA!

   
 
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