Sono un indicibile dell’ufficio misteri. E sono qui per un
motivo preciso. Sono qui per dare giustizia ad alcune persone del mondo magico
che sono state screditate o credute volgari, malvagie o insignificanti. Anche
loro hanno una storia da raccontare, anche loro hanno vissuto una vita, non
sempre degna di essere chiamata tale. Anche loro hanno subito violenze, hanno
provato amore, hanno sentito il desiderio di volere qualcosa di più dalla loro
vita.
Sono un indicibile dell’ufficio misteri. E sono qui per permettervi
di entrare nei loro pensieri, nei loro ricordi.
Sono un indicibile dell’ufficio misteri. E sono un Ladro di
Attimi. Questo è il mio ruolo. Quando la gente sta per morire a me vengono
affidati i loro ricordi più cari.
Era una fredda giornata invernale. Non ricordo di preciso se
fosse capodanno o il primo gennaio. Fatto sta che fuori faceva molto freddo.
Imbacuccato nel mio cappotto e avvolto in una calda sciarpa me ne andai verso
quello che era un orfanotrofio. Bussai sette volte al portone prima che
venissero ad aprirmi. Una giovane ragazza mi si parò davanti: era scarna e
sembrava ci fosse qualcosa che la distraesse, quando il suo viso affilato mi
fissò, però, sapevo di avere tutta la sua attenzione.
“Prego” disse “Desidera qualcosa?”
“Sto cercando una ragazza, dovrebbe essere incinta, anzi
precisamente dovrebbe partorire ora” dissi e da una porta li vicino si
sentirono delle urla di una donna a confermare ciò che avevo appena detto.
“Ma-ma lei come…”
“Come faccio a saperlo?” affermai “semplice, l’ho vista
entrare qui”. La ragazza sembrò credere alle mie parole e mi fece entrare in un
ingresso con il pavimento bianco e nero.
“Mi chiamo Editt Piaf, vorrei parlare con la donna appena
possibile. Sono un parente lontano”
“Piacere di conoscerla, sono la signorina Cole. Vedrò di
fare il possibile ma dovrei sentire la direttrice. La ragazza si è presentata
qui sola e non so se sia il caso di… si insomma, ha capito” e si avviò verso la
stanza dalla quale venivano le urla.
Dopo circa una mezz’ora di attesa la signorina Cole si
ripresentò con il consenso di farmi entrare nella stanza della giovane. La
vidi. Era sporca, trasandata: una poveraccia. Era sfinita dal parto e guardava
il suo bambino con uno sguardo strano: un misto tra amore e disgusto.
Evidentemente era rimasta molto scottata dall’uomo che l’aveva lasciata, ma
questo ve lo mostrerà lei stessa. Perché giusto quella notte lei mi ha
consegnato il suo pensiero più caro.
La giovine non oppose resistenza. Anzi, sorrise, come se
sapesse chi fossi, come se sapesse cos’ero venuto a fare, come se sapesse di
stare per morire.
“Merope Gaunt, è lei?” dissi sfoderando la bacchetta.
“Perché me lo domanda, se sa già la risposta? Io so chi è
lei. L’ho già vista” mi disse “lei è venuto poco prima che mia madre morisse”
Non poteva ricordarselo, le avevo obliviato la memoria. Ne
sono sicuro.
“Non può ricordarsi di me” le dissi “non è possibile” ma ora
credo di aver capito il perché di tutto questo: i lividi che aveva, i tagli e
le tumefazioni potevano provenire solo da crociatus, botte e schiaffi continui.
Un incantesimo di memoria può vacillare sotto tutta questa violenza.
“Lei chi è?” continuò la donna “Vorrei sapere il suo nome.
Lei sa il mio!”
“Editt Piaf. Ladro di attimi, Ufficio Misteri”
“E di preciso, signor Piaf, cosa vorrebbe da me? L’unica
cosa preziosa che avevo era un medaglione, ma l’ho venduto”
“Non mi interessano quei ninnoli, quegli oggetti inutili. Io
signorina Gaunt..”
“Signora Riddle” mi interruppe “sono sposata ormai” disse
con un velo di tristezza nella voce.
“Dicevo, signora Riddle [un brivido le percorse la schiena]
che io ho bisogno di lei. Anzi della sua memoria. Io ho bisogno del suo ricordo
più caro.”
A queste parole la giovine parve perdere la lucidità: iniziò
a dimenarsi e ad urlare di una voce diversa, strana, roca. Il suo animo
selvaggio prese il sopravvento e la donna diventò violenta. Non mi feci
prendere dal panico, scagliai un muffliato, in modo che il personale
dell’orfanotrofio non sentisse tutto il rumore o, comunque, non sospettasse niente,
e le scagliai contro un incarceramus: una moltitudine di corde la avvolse e,
d’un tratto, la rabbia primitiva della donna si placò.
“Signora Riddle,” dissi con voce ferma “con le buone o con
le cattive devo avere quel ricordo”.
…
Attimi di silenzio
…
interrotti da una voce tornata dolce
…
“D’accordo. Ma voglio raccontarle personalmente la mia
storia, il mio ricordo, cosicché venga compreso al meglio”
<
Fu facile somministrargliela… gliela versai in un bicchiere
che gli offrii, naturalmente, assetato, lo bevve… e lì iniziò l’idillio…
[brividi lungo il suo corpo] e l’amarezza. Perché in ogni suo gesto, in ogni
sua carezza, in ogni suo sguardo c’era un retrogusto amarognolo, come di
sbagliato… come se tutto quello non fosse giusto.
Me ne resi conto quando facemmo l’amore, se così si può
chiamare. Ci accarezzammo… ci baciammo, ma la sua dolcezza andava a momenti, in
alcuni attimi sembrava rendersi conto di ciò che non ero, ovvero il suo vero
amore. Decisi di far scegliere a lui, se mi poteva amare. Smisi di
somministrargli il filtro e, una notte, se ne andò, conscio di non essere
innamorato, conscia di non meritarmi il suo amore. È patetico vero? Il fatto
che la mia gioia più grande fosse una finzione.” Disse con voce tremante.
“No, patetico è il fatto che lei sta decidendo di morire e
di abbandonare il frutto di quest’amore che, pur fittizio, è comunque stato
amore”.
Le mie parole la colpirono come uno schiaffo. Il suo sguardo
si fece duro. “Esca,” disse “evidentemente lei non sa cosa vuol dire amare”
“O è lei a non saperlo?! Ad ogni modo, suo figlio dubito lo
saprà. La sua debolezza, miss Riddle, avrà conseguenze…si fidi”
Dicendo ciò presi la boccetta dove avevo racchiuso il
ricordo e me ne uscii, esattamente quando spirò. Obliviai la memoria del
personale dell’orfanotrofio e me ne uscii con l’amaro in bocca.