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Autore: Acinorev    02/02/2015    9 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo ventitré - Reminder

 

«Devi...»
Le parole morirono nella gola di Emma, proprio nel punto in cui Harry le stava posando baci caldi ed umidi. Socchiuse gli occhi e respirò profondamente, aderendo ancora di più con la schiena al legno dietro di sé. «Devi aprire la porta», mugolò, per poi tornare in silenzio sulle sue labbra, sorde a qualsiasi richiamo razionale. 
Erano sul pianerottolo dell'appartamento di Harry da qualche minuto, ormai: avevano arrancato per le scale, provando a non cercarsi e a non toccarsi troppo, ma erano stati costretti a cedere proprio quando lui aveva recuperato le chiavi da una delle tasche del cappotto. Il solo tintinnio metallico aveva sancito un'anticipazione troppo invitante, per essere ignorata.
«Harry», lo chiamò ancora, senza interrompere quel bacio affannato né togliere le mani dai suoi capelli informi.
Lui sospirò in modo sofferto e le morse un labbro, per dispetto: tenendola ancora stretta contro di sé, si sforzò di individuare la toppa dove inserire le chiavi e fece scattare la serratura con movimenti secchi, infastiditi da procedure superflue. Quando la porta si schiuse, Emma rischiò di cadere all'indietro a causa dell'impeto con il quale il corpo di Harry le stava facendo pressione: indietreggiò goffamente di qualche passo, ancora vittima di morsi e carezze, mentre lui chiudeva la porta con un debole e distratto calcio.
«Tu devi spogliarti, invece», le sussurrò all'orecchio: una replica pronunciata in ritardo, ma irremovibile. 
Emma era sopraffatta dall'assenza di tempo e di respiro per riflettere, era asservita all'impossibilità di perdere un solo secondo in qualcosa che non comprendesse i loro corpi ed il loro desiderio. Quindi eseguì l'ordine senza alcun orgoglio a mascherarla: continuando a baciarlo con la bocca aperta ed il petto ansante, cercò alla cieca i bottoni della propria giacca e sentì lui fare lo stesso con i propri. Costretta ad aprire gli occhi per capire perché l'ultimo bottone stesse opponendo una così capricciosa resistenza, si accorse di essere ancora circondata dal buio: il salotto era riconoscibile solo grazie al bagliore delle luci in strada, con il suo arredamento più ricco dell'ultima volta, ma ancora troppo spoglio per poter essere considerato accogliente.
Harry le coprì le guance con le mani, senza smettere di torturarle le labbra, e lei si sfilò i tacchi, abbandonandoli accanto al cappotto ormai caduto a terra. Le piaceva essere rapita da una sensazione tanto opprimente da non lasciare spazio ad altro, perdere la lucidità ed affidarsi agli istinti più incontrollabili ed asfissianti.
Lasciato il ristorante – dopo aver pagato di tutta fretta, nonostante le domande stupite del cameriere e diverse pietanze ancora da assaggiare – ogni loro movimento era stato dettato dall'impazienza di un nuovo contatto: non c'era stato bisogno di specificarlo o, peggio ancora, di chiederlo, perché entrambi sapevano di non poter aspettare. Se lo erano detti con i gesti, con le mani avide e gli sguardi di preghiera.
Harry le morse una spalla. 
«Voglio vederti nuda».
Lei avvolse le braccia intorno al suo collo ed ansimò sulla sua pelle. «Cosa stai aspettando?» ribatté. Gemette silenziosamente, quando lo sentì sollevarla da terra, e gli circondò il bacino con le gambe, provocando un attrito che fece sospirare entrambi. Non riuscivano ad essere meno sfacciati e più controllati, a mettere da parte la piacevole volgarità che li stava nutrendo ed aizzando.
Harry si mosse in modo scoordinato, provando a toccare ogni centimetro del suo corpo senza farla cadere e, nel mentre, cercando di indovinare la porta giusta e di non sbattere contro le pareti del corridoio: barcollarono entrambi per un istante, mentre lui si toglieva le scarpe senza smettere di camminare. Accese la luce con una mano, dopo alcuni tentativi inconcludenti, ed Emma si ritrovò a sorridere sulle sue labbra: proprio come la prima volta, Harry non le avrebbe concesso di nascondersi nel buio, non avrebbe rinunciato al piacere di averla nuda nei propri occhi, visibile in ogni angolo. Né lei avrebbe voluto il contrario.
Piegandosi in avanti, si appoggiò con le ginocchia sul letto e le permise di sedersi su di esso: le loro gambe ancora intrecciate e le loro bocche ancora unite. Si sdraiò su di lei, compensando con il proprio calore la freschezza solitaria delle coperte blu notte. Emma appoggiò il capo sul cuscino ed inarcò la schiena per un brivido più intenso, provocato dalle mani di Harry: aveva iniziato ad accarezzarle i fianchi, ad alzarle l'orlo del vestito e ad immergerla in un'aspettativa poco tollerabile.
Lui sollevò il busto con un respiro trattenuto, come se gli costasse fatica distanziarsi dalle sue labbra anche solo per pochi secondi: sotto i suoi occhi attenti ed il suo tocco invitante, si tolse la giacca con movimenti rapidi e frementi. Emma pregustò il momento in cui avrebbe potuto finalmente osservare la sua pelle nuda e non poté che sentirsi ancora più propositiva: si tirò a sedere e cercò di sfilarsi l'abito, combattendo con il suo tessuto aderente e sbuffando per l'impazienza.
Quando riuscì a sbarazzarsi di quello che ormai era visto solo come un ostacolo, il suo respiro era più accelerato ed Harry stava ancora cercando di sbottonarsi la camicia, con gli orli fuori dai pantaloni: aveva le mani tremanti, che gli rendevano difficoltosi i movimenti più fini. Emma si soffermò sul suo petto scoperto, sulle rondini d'inchiostro, e si inumidì le labbra spontaneamente: si avvicinò per baciargli il torace, mentre lui sospirava e per un istante si irrigidiva, e si lasciò sfuggire un flebile lamento. Posare la bocca su di lui era irreale e non faceva che sconvolgere ogni suo pensiero, ogni sua intenzione.
Harry si tolse la camicia con più enfasi, forse bramando di poter tornare a toccare lei: le incastrò le mani tra i capelli e le baciò la nuca più volte, come per ringraziarla di ciò che gli stava facendo provare e per pregarla di non fermarsi. Emma non smise di accarezzarlo con le labbra e con la lingua, mentre cercava di slacciargli i pantaloni: furono istanti confusi, annebbiati da un desiderio cieco, nei quali Harry la aiutò a disfarsi di quella stoffa di troppo e nei quali lei si trovò il reggiseno sganciato e molle sul suo petto, in attesa di essere sfilato.
Emma se ne liberò senza guardare dove sarebbe finito e posò lo sguardo sul corpo che le stava di fronte: entrambi ansanti, in ginocchio sul materasso e a pochi centimetri di distanza, si osservavano come animali in gabbia che si accingono a scontrarsi, che si studiano per scoprire i punti deboli ed attaccarli, in modo da stabilire un vincitore assoluto. Harry era lì, disordinato ed esausto, anche solo per la fatica che gli costava guardarla senza fare altro: ormai completamente nudo e così bello, che Emma avrebbe potuto singhiozzare da un momento all'altro.
Erano spogli, indifesi, disarmati del loro orgoglio insolente.
Svuotata dell'impeto che l'aveva animata sino a pochi istanti prima, allungò una mano verso il suo addome: gli sfiorò la pelle spostando gli occhi dai suoi al percorso che stava tracciando con leggerezza, senza una meta e senza l'intenzione di fermarsi. Lui rabbrividì e strinse la mascella, serrò i pugni: si stava trattenendo e forse non ci sarebbe riuscito ancora per molto, ma Emma volle sfidarlo per un egoismo puro ed insaziabile. Si avvicinò impercettibilmente e con entrambe le mani gli accarezzò le spalle, scendendo sui muscoli tesi della schiena e poi tornando su quelli meno definiti delle braccia: doveva accertarsi che quello fosse il suo corpo, che fosse in grado di farla reagire allo stesso modo, nonostante i sei anni di cambiamenti invisibili ad un occhio poco attento. Le sembrava semplicemente impossibile potersi soffermare ancora una volta su un nettare mortale che per molto tempo l'aveva nutrita.
Harry le afferrò delicatamente le mani, inumidendosi le labbra per nascondere un'emozione prepotente: senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, le baciò i palmi. Una volta, due, tre. Fino ad invitarla implicitamente ad avvicinarsi e a coprirgli la bocca con la sua, per rubarle le parole che non voleva lasciarsi scappare, per carpire i significati che poche lettere avrebbero solo screditato. Si baciarono lentamente, di quei baci delicati e comprensivi che gli adolescenti si scambiano quando hanno ancora tanto da imparare sui sentimenti, quando hanno quasi paura di accelerare e perdersi qualcosa di nascosto.
Emma tornò a sdraiarsi sul letto, portandolo sopra di sé con una mano dietro il suo collo: lasciò che  i loro corpi nudi si accarezzassero solo con la pelle, lasciò che si abituassero a quel tepore che avevano rischiato di dimenticare perché non trovato in nessun altro. Fu una sensazione così forte, da farle mancare il fiato.
«Dio», disse soltanto, stringendolo a sé e serrando le palpebre per l'incapacità di arginare le proprie emozioni.
Harry appoggiò la fronte alla sua, tenendo gli occhi chiusi e posando una mano sulla sua coscia: le sue dita la sfioravano senza essere in grado di scegliere la delicatezza adatta, portando la sua resistenza all'esasperazione.
«Il pensiero che qualcun altro ti abbia toccata così, che qualcun altro ti abbia avuta...» sussurrò, tanto piano da farla tremare ancora di più. «Non lo sopporto», aggiunse dopo qualche istante, serrando la mascella e riaprendo gli occhi: incastrata nella sfumatura delle sue ridi, la rabbia per una mancanza che aveva portato a troppe conseguenze.
Harry era stato il primo. Si era impossessato della sua inesperienza e l'aveva plasmata con il proprio corpo e nel proprio letto.  Nessun altro l'aveva mai sfiorata oltre l'innocenza, nessun altro l'aveva mai avuta come a lui era stato concesso: era sempre stata sua, sua e basta. In quel momento invece, con anni di esperienze separate ed inevitabili, non poteva più vantare quel primato: come se non avesse avuto più alcun diritto su di lei, si sentiva scalzato da un ruolo privilegiato, derubato di un possesso che qualcun altro aveva macchiato. Emma glielo leggeva negli occhi lacerati da un'orgogliosa ferita.
Anche lei provava lo stesso, nonostante per lui, all'epoca, non fosse stata la prima né l'unica.
«Sono stata toccata da altri, è vero», gli confermò a bassa voce, accarezzandogli il viso: i suoi lineamenti che si tendevano per quel plurale scomodo. Si sentiva costretta alla verità, come se la sua pelle nuda la obbligasse a non sporcare tanta purezza, quindi inspirò a fondo prima di riprendere. «Ma nessuno era te».
Non le importava di risultare patetica, voleva essere sincera. Non sapeva se fosse questione di chimica o di chissà quale altra diavoleria, ma non aveva bisogno di una spiegazione per crederci: era come se fosse pervasa da qualcosa di simile alla fede, da una cieca fiducia in ciò che erano in grado di condividere e che non aveva bisogno di testimonianze per essere accettato. Qualsiasi fosse il motivo, le emozioni provate con Harry restavano prive di confronto: nemmeno con Miles – anche lui riuscito a rubarle amore – si era mai sentita così.
Miles.
Aveva temuto di essere sovrastata dai ricordi, ma le braccia di Harry, così avvolte intorno al proprio corpo, impedivano a qualsiasi pensiero estraneo di condizionarla.
«Altri?» chiese lui, muovendosi tra le sue gambe come per prometterle un dispetto. L'espressione ancora seria, imbronciata duramente.
Lei restò in silenzio e fu una risposta sufficiente.
Harry sospirò piano e chiuse una mano sul suo seno, baciandole le labbra per un solo istante. «Te li farò dimenticare tutti», annunciò, con la voce impregnata di possesso e lascivia, abbassandosi a sfiorarle il collo con il naso. «Uno alla volta», continuò, per poi morderle una clavicola. «Ti avrò così tante volte... Rimarrò dentro di te così a lungo, da farti dimenticare di essere mai stata di qualcun altro».
Emma schiuse la bocca, incapace di respirare a dovere: si sentiva frastornata da quelle parole, dalla solida volontà che trascinavano con sé e che l'avrebbe fatta soccombere. Provò a dire qualcosa, anche se la sua mente si rifiutava di articolare pensieri elaborati, ma fu costretta a mordersi un labbro per resistere alla tentazione di gemere.
Harry, infatti, stava scivolando sul suo corpo senza darle una tregua: la sua bocca si posava su ogni particolare che fosse in grado di catturare la sua attenzione, bagnandolo di aspettativa e bramosia, mentre le sue mani seguivano un percorso opposto e cieco, che si basava su puro istinto e su una necessità più basilare. 
Ad ogni tocco, una conferma di incontestabile proprietà.
Per brevi istanti restò immobile: i suoi occhi a percorrere inquieti ogni sprazzo di pelle candida, come a volersi convincere della sua esistenza. Emma si sentì logorare, ma si lasciò osservare.
«Resterei ore a guardarti», confessò lui, rivolgendosi più a se stesso. Sembravano parole spese per accontentare solo le proprie emozioni, pensieri troppo insistenti per restare segregati in un silenzio, ma che finivano inevitabilmente per colpire entrambi.
Subito dopo si soffermò sul suo seno, leccandolo e suggendolo: ne accarezzò la forma più piena, rispetto a sei anni prima, e lo strinse nei suoi palmi ampi, imprimendo su di esso l'impronta dell'anello all'anulare destro. Poi scese verso il basso, sul suo addome morbido e latteo, dai lineamenti più carnosi: lo percorse con le labbra, semplicemente sfiorandolo, e baciò la pallida cicatrice di un'operazione della quale non era stato testimone, come dandole il benvenuto. Soffiò sul suo ombelico, facendola sorridere, e respirò sul suo bacino: alzò gli occhi su di lei e le sfilò gli slip con lentezza, senza allontanarsi troppo.
Emma soffriva. Soffriva per i suoi movimenti misurati e contenuti, per il desiderio di sentirli con più intensità: e lui lo sapeva, perché la guardava con malizia. Forse anche per lui non era facile imporsi un limite, ma era evidente che torturarla fosse un buon compenso ai propri sforzi. Forte del suo viso fatto di pretese, infatti, posò le labbra sulla sua intimità: vi respirò con leggerezza, obbligandola a serrare le gambe, ma con le mani le impedì quell'azione. 
«Harry», lo rimproverò lei, con la voce rotta e priva di qualsiasi decisione: non capiva perché si fosse fermato, perché non si decidesse ad agire. Ma lui non le diede ascolto: si dedicò al suo interno coscia, mordendolo piano, e con una carezza apparentemente casuale la fece gemere di nuovo.
«Cosa vorresti?» le chiese in un sussurro, nell'incavo del suo ginocchio: la sentiva agitarsi sotto di sé, indispettita dal suo modo di tergiversare e di infliggerle una lenta agonia. E ne godeva. «Ti avevo promesso una punizione», continuò, parlando sul suo inguine, ma senza toccarlo. «Te ne sei dimenticata?»
Emma si imbronciò, con il respiro accelerato e le mani che si tenevano alle coperte: lo guardava in quella posizione, in una visione che bastava a toglierle il fiato, e doveva combattere la tentazione di obbligarlo a fare qualcosa. Non poteva accettare una tale punizione, come a lui piaceva chiamarla, e non era pronta a cedere così facilmente, non quando era il suo egoismo ad essere minacciato tanto apertamente: decise di lottare con altrettanta determinazione, sicura che avrebbe vinto.
«No», affermò, leccandosi le labbra per provocarlo. «Ma ricordo anche che c'era un ragazzo... Jimmy, si chiamava. Era dav-»
Le parole si persero in un ansito profondo, di stupore ma anche di soddisfazione: Harry si era mosso infastidito - o furioso – per quel colpo basso. Si era chinato sulla sua intimità e l'aveva baciata con impudenza, per farle un dispetto e per riscattarsi di quell'affronto. Emma chiuse gli occhi e reclinò il capo all'indietro, portando le mani tra i suoi capelli, come per paura che potesse interrompersi da un momento all'altro.
Sentiva le sue labbra giocare con i suoi punti più sensibili, forse spinte dai ricordi di ciò che l'aveva sempre fatta sorridere per il piacere, e non sapeva come poterle affrontare. Sentiva la sua lingua e desiderava solo di morire, piuttosto che saperla lontana. Non riusciva a capire se avesse fatto bene ad istigarlo fino a quel punto, perché la soglia tra il piacere e la tortura era davvero sottile e lei vi era in bilico, oscillante tra due estremi contrapposti ed in grado di disorientarla.
«Ti vieto», precisò Harry, lambendole un inguine, «di nominare qualcun altro mentre sono tra le tue gambe», continuò, sfacciato come al solito. Ad ogni parola era avanzato di pochi centimetri, fino a ritrovarsi di nuovo sul suo seno, con le mani tra i suoi capelli.
Tornaci, avrebbe voluto gridargli Emma, ma decise di mantenere un certo contegno.
«Ed io ti vieto di provocarmi, mentre sei tra le mie gambe», replicò a bassa voce, accarezzandogli il volto per invitarlo a baciarla. Colse un sorriso sulle sue labbra e lo ricambiò, affondando il capo nel cuscino soffice.
La foga che li aveva guidati in ogni gesto fino a pochi minuti prima sembrava essersi dissolta: al contrario, Emma aveva l'impressione che si fossero decisi a rallentare e a torturarsi a vicenda con una lentezza estenuante. Nessuno dei due sembrava voler terminare quel momento, né quello successivo o quello ancora dopo. Ed era terribilmente piacevole.
Harry spinse il bacino contro il suo, permettendole di sentire quanto la loro impazienza fosse simile. «Mi piaceva il vestito che avevi stasera», le sussurrò all'orecchio, mordendole il lobo, «ma non hai idea di quanto l'abbia odiato», continuò, pronunciando quelle parole con una tale decisione  da renderle semplice comprendere il perché.
«Allora ti confesso una cosa», rispose lei, premendo con le mani sul suo petto per farlo ricadere sul materasso: lui spalancò gli occhi, stupito, ma si lasciò scivolare di lato. La osservò sdraiarsi su di lui ed accettò i capelli che gli solleticavano la pelle. «Sapevo che ti sarebbe piaciuto e che l'avresti odiato: l'ho scelto di proposito», ammise, sorridendo maliziosa sulla linea della sua mandibola.
Lui sospirò, accarezzandole la schiena con le mani aperte, come fino ad allora non era riuscito a fare. «Non avevo dubbi», commentò soltanto.
Emma si dedicò al suo corpo, prendendosene cura come se fosse stato il suo bene più caro: con le dita sottili e smaltate di rosso, si divertì a contornare ogni suo confine ed ogni sua forma. Ne tracciò i limiti e li ripassò con la bocca, facendolo rabbrividire e rendendolo quasi irrequieto. Sapeva che il suo tocco potesse risultare piacevole, ma non era solo per lui che si stava muovendo con una così minuziosa attenzione: serviva anche a lei, schiava di un ricordo che doveva riconfermare e adattare alla realtà, vittima di un'adorazione che non riusciva a nascondere.
Quando arrivò alla sua eccitazione, Emma alzò lo sguardo su di lui, senza nemmeno sfiorarlo: Harry aveva chiuso gli occhi, con una mano sulla fronte ed un'espressione che rispecchiava il suo stato d'animo. L'aspettativa lo stava consumando.
Lei sorrise per vanità e soddisfazione: gli baciò prima il basso ventre, provocando in lui un grugnito di disappunto e di delusione, ma anche un invito a spostarsi. Quando prese in mano la sua intimità, cercando di essere delicata ma decisa, sentì il suo corpo tendersi: aveva sempre trovato affascinante il modo in cui dei semplici gesti erano in grado di renderlo così indifeso, privo di qualsiasi barriera si fosse mai premurato di ergere contro gli altri – contro di lei. Era disarmante percepirlo così arrendevole e perso.
«Non-»
Harry sollevò il capo per guardarla, senza terminare la frase, ma si coprì gli occhi con una mano e si abbandonò di nuovo sul cuscino, respirando intensamente. Doveva essere stata una reazione al movimento di Emma, che si era spinta un po' troppo oltre con la bocca sul suo membro: forte del piacere appena provocato, ci riprovò.
Lui imprecò a mezza voce, arpionando le coperte sotto di sé. «Non vuoi che finisca come la prima volta, vero?» la minacciò poco dopo, terrorizzato, con un tono strozzato ed incontrollato che quasi la fece ridere. Harry era così vicino all'orgasmo, da non riuscire a risultare convincente mentre la pregava di non tentarlo: eppure, lei si ritrasse e gli dedicò solo un'ultima carezza, sorridendo mentre tornava ad accoccolarsi sul suo corpo.
Per pochi istanti restarono inermi, ignorando i loro petti ansanti: come se un senso di realizzazione li avesse colpiti, come se finalmente non ci fosse nient'altro da fare, si limitarono a guardarsi, a chiedersi un tacito consenso. Volevano unirsi di nuovo, ne sentivano la necessità: e proprio come una cosa a lungo attesa, che arriva all'improvviso e lascia spaesati, entrambi si sentirono sopraffatti dall'anticipazione di ciò che stava per accadere.
Harry si sporse per baciarle le labbra lentamente, con dolcezza: le sfiorò il viso con il dorso di una mano e la guidò sotto di sé, per potersi posizionare tra le sue gambe. Nel bagno di quel ristorante, nemmeno un'ora prima, si erano avuti senza sapere aspettare e senza sapersi apprezzare davvero: si erano lasciati guidare da un impeto irrefrenabile, finendo per consumarsi senza rendersene conto. In quel momento, invece, avevano tutta l'intenzione di non perdere nemmeno il più piccolo particolare scaturente dal loro contatto.
Non c'era più spazio per le provocazioni, per i dispetti maliziosi ed i sorrisi carnali: niente avrebbe sporcato il significato che volevano sottolineare, e questa consapevolezza inflisse un duro colpo al cuore di Emma. Si agitava nel suo torace senza possibilità di darle tregua, smanioso di avere un di più che gli spettava di diritto.
Harry respirò sul suo collo, limitandosi ad accarezzarlo quasi con pudore. Aveva iniziato a muoversi contro di lei, dondolandosi sui gomiti con i quali si teneva in equilibrio sul suo corpo: involontariamente, si era incastrato in un preliminare subdolo ed incantevole, che però era in grado di esasperare.
Emma cedette quasi subito, infatti. «Harry», lo richiamò, con una certa urgenza mascherata da un tono di voce basso. Lui si riscosse, inumidendosi le labbra e deglutendo evidentemente.
«Prendo solo-»
Prima che potesse terminare la frase, il respiro corto gli impedì di continuare: si allungò oltre il bordo del letto, dove poco prima aveva lasciato cadere i pantaloni, ed Emma continuò a tracciare percorsi fantasiosi sulla sua schiena contratta, come per ricordargli ciò che entrambi bramavano di ricominciare.
Una manciata di secondi dopo, Harry era di nuovo su di lei, a sfiorarle l'intimità con le dovute precauzioni: i suoi capelli le solleticavano la fronte ed il suo profumo era ancora in grado di inebriarla. Emma era stranamente irrequieta, come se un sottile imbarazzo le stesse intorpidendo le membra: non credeva fosse dovuto all'atto in sé, quanto più a quello che avrebbe significato. Si sentiva impotente dinanzi ad una tale e disarmante importanza, una vittima pronta al sacrificio. Arresa.
«Non voglio che tu abbia paura di me», mormorò Harry sulla sua bocca, stupendola: si stava riferendo a ciò che lei aveva confessato solo il giorno prima, in una dimostrazione di debolezza della quale si era quasi vergognata. Lei l'aveva fatto oggetto dei suoi timori e lui, sul momento, non aveva commentato: si era dedicato ad altri aspetti del discorso, aspetti meno delicati.
Ma in quell'esatto istante, nelle vene di Emma scorreva solo impavido coraggio.
Gli strinse le mani tra i capelli, incapace di altro.
Lui si spinse dentro di lei, trattenendo il fiato e facendole inarcare la schiena. Restò immobile, respirando a fondo come per controllarsi. «Come fai ad aver paura di questo?» le domandò, specchiandosi nei suoi occhi e permettendole di scorgere una tenera dolcezza, dedicata solo a lei. Un tentativo di rassicurarla. Una verità schiacciante.
Emma serrò le palpebre ed accolse un nuovo movimento, poi un altro ancora. Forse lui aveva ragione: non poteva essere spaventata da qualcosa di così giusto, da qualcosa che era in grado di farla sentire bene, nel senso più banale del termine. O forse era il contrario: forse proprio perché era qualcosa di così prezioso, la paura di vederlo scomparire poteva essere altrettanto paralizzante.
«Tu come fai a non averne?» replicò quindi, con le braccia intorno al suo collo ed il suo viso sulla propria spalla. Harry non cessò di muoversi, regalandole un piacere vagamente doloroso.
«Perché non ho intenzione di perderlo», le rispose piano, accompagnandosi ad una spinta più profonda, che fece gemere e tendere entrambi.
Emma sorrise di quella promessa e cercò la sua bocca, per ringraziarlo silenziosamente con un bacio dopo l'altro: si chiedeva come sarebbe stato essere legata ad Harry in un qualcosa che non erano ancora riusciti ad ottenere, vederlo impegnato con anima e corpo in un rapporto, nel loro rapporto. E per quanto i timori fossero ben radicati in lei, almeno per quel momento si sarebbe lasciata cullare dalla consapevolezza della sua volontà.
Portò una mano sul suo volto, toccandogli le labbra umide con le dita. «Sono felice che tu sia tornato a Bradford», ammise in un sussurro, come a voler liberare il più indiscreto dei segreti: prima che il piacere la distogliesse da qualsiasi pensiero logico, doveva disfarsi di quella piccola confessione. Era quella la responsabile di gran parte dei cambiamenti che li avevano coinvolti, perché Emma non avrebbe aperto gli occhi facilmente sui propri sentimenti, se quella subdola gioia non avesse instillato in lei il sospetto.
Harry la strinse sotto di sé, tornò con la fronte sulla sua. «Ed io sono felice che tu sia tornata da me». Perché Emma ci era già stata, tra le sue braccia e contro il suo corpo. Impigliata tra i suoi difetti e trattenuta dai suoi pregi. Ed evidentemente non le era bastato.
Gli circondò i fianchi con le gambe, avvicinandolo ancora di più a sé, e gli baciò ancora una volta la bocca, mordendola ad ogni movimento che la faceva ansimare e semplicemente sfiorandola quando il respiro mancava per osare fare altro. Harry si lasciò sfuggire un verso di piacere, stringendo tra le mani le coperte ormai stropicciate e chiudendo gli occhi per trovare la forza di non cedere troppo presto.
Dopo qualche istante, Emma decise di sollevarlo da un carico così impegnativo: lo spinse di nuovo sul letto, facendolo sospirare forse per il sollievo o forse per la lascivia, e si sedette delicatamente su di lui, con le gambe ai suoi fianchi e le mani sul suo petto. Serrò le palpebre, invasa dal piacere che quella nuova profondità era in grado di darle, ed iniziò a alzarsi ed abbassarsi lentamente sul suo corpo, con movimenti regolari.
Harry le afferrò la vita, lasciandole guidare la libidine di entrambi, e subito dopo le posò le mani sul seno: non doveva nemmeno muoverle, perché era Emma stessa ad andargli incontro, a seconda dei propri intenti. Quando non si obbligava a chiudere gli occhi e a resistere, le era semplice spiare le reazioni di Harry: le sue iridi che si soffermavano sul punto in cui i loro corpi su univano, le sue labbra che si increspavano di lussuria e poi si schiudevano per gemere ad alta voce, i muscoli che gli si contraevano per piaceri più intensi.
Emma si piegò verso di lui, respirandogli sulla bocca e bloccandogli le mani sul materasso con le proprie. «Ti piace?» gli domandò, ruotando il bacino e facendogli reclinare il capo: gli baciò il mento, la mandibola, ed accettò la risposta non verbale. Qualsiasi cosa volesse sapere era scritta sul suo viso, nel ritmo del suo cuore. «Anche a me», ammise, più a se stessa: aveva assunto quella posizione per rendersi più partecipe e carnefice, ma ormai non riusciva nemmeno più a coordinare al meglio i movimenti.
Harry ansimò sonoramente e si mise a sedere, stringendola a sé, ma lasciandole la libertà di continuare ad ondeggiare su di lui. Le lambì un seno, giocandoci con la bocca aperta e volgare. «Emma», la chiamò, risalendo verso il suo collo e lasciandovi un segno violaceo. «Perché non vieni?» domandò con la voce roca, istigandola sia con quelle parole sia con una mano, che aveva spostato per accarezzarle l'intimità.
Lei gemette forte, forse per il contatto inaspettato, e per un istante si irrigidì.
«Avanti», continuò lui.
Bastava il suo timbro a sconvolgere ogni suo tentativo di prolungare il piacere: stava cercando di aspettare, di aspettarlo, ma se le sue moine riuscivano a scavare così a fondo nella sua determinazione, aveva scarse possibilità di riuscita.
Vieni.
Ogni suo gesto era un invito, una provocazione irresistibile.
Vieni.
Anche la più pudica delle carezze. Uno sguardo più languido. Un movimento involontario del suo bacino, che fremeva per andarle incontro.
Vieni.
E lei lo fece.
Il suo corpo tremò, scosso da quella cecità simile alla morte che si manifestò anche in un gemito incontrollato ed acuto. Emma si strinse ad Harry, ignorando l'accenno di un sorriso sul suo volto, e respirò contro la sua pelle, cercando di sfuggire alla sensazione di non avere un cuore abbastanza forte per battere velocemente come richiesto.
Fu lui a tentare di riportarla alla realtà: la sollevò quanto bastava per poi farla scivolare di nuovo su di sé, in un attrito umido e piacevole. Ripeté lo stesso gesto più volte, fino a quando fu Emma stessa a recuperare le energie e a muoversi senza bisogno di alcun aiuto: sentiva il suo respiro farsi sempre più difficoltoso, le sue mani farsi sempre più esigenti, e non desiderava altro che fargli provare ciò che lei aveva sperimentato, essere il movente del suo piacere.
«Sì, così», lo sentì sussurrare sulla sua spalla, in un incoraggiamento a continuare.
Le stringeva i glutei, assecondando i suoi movimenti, e le mordeva la pelle per soffocare ansiti che invece lei bramava.
«Così», ripeté un'ultima volta.
Emma dovette aspettare solo pochi secondi, prima di sentirlo irrigidirsi privo di fiato: gli baciò la mascella prima ancora che l'orgasmo finisse, continuando a sfiorarlo gentilmente mentre lui riprendeva a respirare a stento. Harry le cinse le spalle con le braccia e riposò il capo sul suo petto, serrando le palpebre e probabilmente ascoltando il battito incontrollato del suo cuore.
Come fai ad avere paura di questo?



La luce nella stanza era spenta, ma i loro occhi erano ancora ben aperti.
Emma aveva il viso sul suo torace, che si alzava e si abbassava con regolarità: la sua pelle profumava ancora dalla doccia che avevano fatto insieme – ovviamente dietro sua insistenza. Lei lo stava accarezzando con delicatezza, percorrendo confini che conosceva a memoria e che non aveva bisogno di vedere.
Lui aveva appena finito di fumare un'altra sigaretta, con un braccio intorno al suo corpo e le gambe intrecciate alle sue. Era tardi, ma non riuscivano a dormire. Non volevano.
«Ora puoi dirmelo?» domandò Harry all'improvviso, con la voce fatta di fumo, bassa.
Emma corrugò la fronte, ma non si mosse. «Cosa?»
«Cosa ti ricorda quella fotografia», spiegò lui, lento. «Quella che ti ho scattato io».
Lei sorrise nel buio, incredula: non credeva che se ne sarebbe rammentato, né era semplice pensare che fosse davvero arrivata al punto di poterlo ammettere in sua presenza. Si spostò in modo da posare il mento sul palmo della propria mano, appoggiata sul suo petto.
«Mi ricorda la ragazzina che tu vedi in me», gli rispose in un sussurro, abbassando lo sguardo nonostante l'oscurità. «Quello che con Miles avevo smesso di essere, ma che c'era».
Dopo il tradimento, ogni briciola della sua forza si era smorzata a causa del dolore, lasciando dietro di sé una fragilità da disprezzare e che finiva spesso per ostacolarla: si era privata della vitalità che l'aveva sempre caratterizzata, della determinazione che avrebbe dovuto obbligarla a lasciare Miles, dell'amore per se stessa che si era affievolito fino a condurla verso diversi errori.
Quella fotografia era il ritratto di ciò che a quindici anni non aveva timore di mostrare, di ciò che la Emma di ventidue anni le invidiava segretamente: era ciò che Harry era in grado di evidenziare senza sforzi, obbligandola ad essere tutto quello che era potenziale. Era spontaneità, irruenza e passione. Una vita ardente.
«Una specie di promemoria?» indagò Harry, tracciando il percorso della sua spina dorsale con la leggerezza dei suoi polpastrelli.
Lei inclinò le labbra in un sorriso. «Sì, una specie di promemoria», affermò flebilmente.
Harry sollevò il capo per sfiorarle la fronte con la bocca. «Allora ne voglio uno anche io», sussurrò sulla sua pelle.
«Cosa dovrebbe ricordarti?» curiosò lei, rapita dalla sua proposta. Gli baciò le labbra, quando loro glielo chiesero.
«Quello che sono con te», rispose senza alcuna esitazione, ma accarezzando ogni lettera con morbidezza. «Per te», precisò.
Emma respirò a fondo, restando immobile in balìa di quelle parole. Non rispose nemmeno alla mano di Harry, che si era chiusa sulla sua guancia.
«Un po' di tempo fa ti ho chiesto cosa avresti ritratto di me», esclamò lento, scavando in memorie lontane, e per questo quasi irreali: nella sua mente si dipinse un tavolo del McDonald's di sei anni prima e due adolescenti che dovevano ancora conoscersi, seduti l'uno di fronte all'altro con gli occhi attenti. Ripercorse i dettagli che all'epoca l'avevano stregata e che presto avrebbe amato - la linea del collo, la mascella, le mani: le linee sui suoi palmi grandi, i tratti delle dita, il piccolo tatuaggio a forma di croce, le vene sul dorso e le nocche arrossate per il freddo - e riprovò la stessa sensazione di familiarità e di curiosità.
«Sì», rispose piano: nascose il calore che percepiva, derivante dal fatto che Harry conservasse così tanti particolari del loro passato.
«Voglio che tu mi fotografi».



Avvolta da un discreto tepore, fu costretta a rabbrividire appena quando qualcosa al suo fianco si spostò, provocando un movimento nell'aria e dei brividi lungo la sua schiena.
Avvertì delle dita sfiorarle i capelli, gli zigomi.
Mugolò qualcosa, ma non alzò le palpebre.
«Emma», le fu sussurrato all'orecchio, con del fiato caldo a percorrerle la pelle. «Svegliati».
La voce di Harry era ancora più roca del solito, a causa del mattino e forse a causa di altro.
«Che ore sono?» domandò lei, continuando a tenere gli occhi chiusi: era crudele volerla strappare ad un tale benessere, obbligarla a rinunciare a quelle carezze e a quel calore umano.
Un bacio sulla spalla nuda.
«Quasi le otto».
Emma si voltò dall'altra parte, a pancia in giù.
«Ci siamo addormentati tre ore fa», si lamentò: aveva le palpebre pesanti, che reclamavano il silenzio ed una nuova incoscienza.
«Devi andare all'università».
«È domenica».
«Non vuoi fare colazione?»
«Più tardi».
«Emma».
«Harry».
Un sospiro lasciò le labbra di entrambi, anche se per motivi diversi. Lei abbracciò il cuscino sotto il proprio volto e sperò che Harry avesse un briciolo di pietà nei suoi confronti.
Ma dovette ricredersi.
Lui inspirò a fondo – lo sentì sulla pelle tra le proprie scapole – e si sporse nella sua direzione fino a sdraiarsi sul suo corpo. La fece borbottare indispettita, nonostante la loro nudità smorzasse qualsiasi protesta. Con le mani le strinse i fianchi e con la bocca tracciò il profilo del suo collo, scoprendolo dai capelli capricciosi e disordinati.
«Non riesco a respirare», esclamò Emma, incapace di trattenere un sorriso sotto il suo peso. Lo nascose nel cuscino, mentre ogni suo muscolo si rilassava al suo tocco.
Un morso leggero sul suo braccio.
«Ed io non riesco ad aspettare», le mormorò all'orecchio, con una sensuale imposizione.
Emma si mosse spontaneamente, costringendosi ad aprire gli occhi. Si voltò quanto bastava per incontrare il suo viso, le sue iridi assonnate, ma non abbastanza: la guardava malizioso, con le labbra impregnate di una dolcezza che contrastava con i suoi intenti.
«Buongiorno», la salutò a bassa voce, prima di baciarla e di ricordarle a chi appartenesse.



Emma tornò a casa verso l'ora di pranzo: la sera prima, a causa dell'improvviso cambio di programma, aveva avvertito i suoi genitori che avrebbe dormito a casa di Zayn e Melanie. Una scusa forse poco plausibile, ma in accordo con la lucidità che in quel momento le era concessa.
Constance stava spolverando il mobile del salotto, con un fazzoletto in stoffa a raccoglierle i capelli di grano: canticchiava spensierata, facendo ondeggiare in modo buffo il suo corpo ancora giovane.
«Ciao, mamma», la salutò Emma: il volto raggiante, incapace di non sorridere con tutta la solarità della quale era dotata.
La donna si spaventò appena, ma si voltò con una strana espressione sul viso. «Emma», disse soltanto, increspando le labbra come se stesse valutando quale decisione prendere.
«Che c'è?» domandò lei. Forse la sua pelle sapeva ancora di Harry. Forse sul suo viso erano ancora visibili le impronte dei suoi baci. Forse il suo cuore batteva ancora troppo forte. Forse ogni sua emozione era troppo evidente, per non poter destare sospetti. Fu tentata di nascondersi.
Constance assottigliò gli occhi e camminò guardinga nella sua direzione. «Stamattina ho fatto un salto da Melanie», spiegò, rendendo più chiare le sue intenzioni. Emma inspirò a fondo, mentre la sua innocente menzogna veniva così facilmente smentita. «Pensavo di trovarti lì, di poterti dare un passaggio a casa».
«Non vol-»
«Non mi piace che tu mi menta, signorina», la rimproverò lei. Il divano a dividerle.
«Lo so», ammise Emma, mordendosi un labbro. «È che ieri sera c'è stato un imprevisto e-»
«Hai dormito a casa di un ragazzo, giusto?» la anticipò.
Lei assunse un'espressione colpevole: il solo ricordo della notte appena trascorsa poteva rendere qualsiasi altra cosa sfocata, di debole importanza, ma era comunque un dispiacere notare la punta di delusione negli occhi cristallini di sua madre.
«Sì, be'... Non sapevo come dirlo ai miei genitori», confessò, gesticolando per l'ovvietà. Intrattenere un discorso simile non era esattamente facile. «Ho dovuto dirvi una bugia».
«Effettivamente credo sia stato meglio, almeno per tuo padre», valutò Constance, inumidendosi le labbra. «Ma non per me», aggiunse.
«Mamma, mi dispiace, n-»
«A me puoi dire se stai uscendo con qualcun altro», la interruppe, più dolcemente. «Anche se con Miles è finita ed anche se non ci hai nemmeno fatto capire perché, non voglio che ti senta in imbarazzo. Va bene ricominciare con una persona diversa».
Emma sbatté le palpebre più volte, stupita: il problema non era ammettere di provare interesse – trasporto, sentimenti – per qualcun altro, non si sentiva di certo a disagio nel doverlo svelare alla sua famiglia, o a chiunque. Più che altro le era sembrato indiscreto dover annunciare ai propri genitori la notte di sesso che le si prospettava dinanzi. Qualunque fosse la motivazione, però, la premura di Constance la commosse, così decise di non sporcarla.
«Grazie», sussurrò, stringendosi nelle spalle.
«Spero solo che sia una brava persona», commentò la madre, mentre sul suo volto si dipingevano spirito di protezione ed aspettativa, «e che possa renderti felice».
Emma accennò un sorriso, con il cuore in subbuglio.
Harry poteva renderla felice?
Forse sì. 
Forse poteva renderla qualsiasi cosa.
«Ma non credere che sia finita qui», riprese Constance, appoggiando le mani sui fianchi con aria minacciosa. «Di' un po', da quanto conosci questo ragazzo? Spero almeno da una vita! Andare a casa sua solo perché ti ha portata a cena! Insomma, Emma, cosa ti passa per la testa?»
«Mamm-»
«Non mi interessa, non voglio saperlo. Anzi sì, ma ho paura di ascoltare cose che probabilmente non mi piacerebbero».
«Se tu m-»
«Insomma, spero che almeno vi siate conosciuti un po', prima di passare subito al... Al divertimento. Tuo padre darebbe di matto se sapesse che hai passato la notte fuori. Un infarto. Gli verrebbe sicuramente un infarto».
«Papà non lo s-»
«E voglio sperare che abbiate usato le giuste precauzioni, signorina».
«Ok, questo discorso si sta facendo decisamente troppo imbarazzante».
«Meglio, così la prossima volta ci penserai due volte, prima di non tornare a casa, nel tuo letto».





 


HOLA!
Sì, sono un po' in anticipo, ma di volta in volta devo organizzarmi con i miei impegni e lo studio, quindi è un casino: spero abbiate apprezzato (premetto che forse ritarderò un po' con la prossima pubblicazione).
Alcune di voi sanno già che questo capitolo mi ha fatto dannare e che non mi soddisfa: non so quante volte l'ho modificato, ma adesso mi sono stufata hahaha Ho capito che non verrà mai come nella mia mente, quindi mi arrendo. Spero solo che a voi piaccia un po' di più ahahha
Che dire? Capitolo nuovamente dedicato solo a loro due: sapete anche voi che non riescono ad essere troppo sdolcinati, infatti hanno sempre alternato sfacciataggine e delicatezza (tolto l'imbarazzo della prima volta, non resta che passione!). Non so davvero cosa sia potuto uscirne, ma vi chiedo di commentare per poter capire se sia venuta una totale schifezza oppure no ahahah Tornando a loro: Harry è decisamente molto più deciso di lei, cerca di rassicurarla dopo quel "tu mi spaventi" che ovviamente non era passato inosservato e le garantisce di non essere disposto a perdere quello che hanno. 
Bacini e bacetti a parte, si scopre il significato che Emma dà a quella famosa fotografia e spero che sia chiaro: difatti, aveva deciso di includerla nella mostra solo all'ultimo, solo dopo la ricomparsa di Harry (che aveva evidentemente sottolineato ciò che lei era stata con lui e che non riusciva più ad essere con Miles: a lui non l'aveva detto proprio per orgoglio, per non ammettere un qualcosa di così significativo, dal momento che il loro rapporto era ancora in alto mare). Ed Harry le chiede di fotografarlo :))))))))))))))
La scena del risveglio non ha un senso particolare haha Era solo per continuare un po' il parallelismo con la loro prima volta: quella volta era stata Emma a svegliarlo, dato che era rientrato suo padre, mentre ora è lui a fare il bambino capriccioso, che cerca di svegliarla con qualsiasi scusa prima di ammettere di avere un certo bisogno.
Constance non era nemmeno prevista in questo capitolo, ma vabbé hahah Spero vi abbia fatto sorridere la sua reazione :) Harry non è mai entrato in famiglia e anche durante LG non ha mai conosciuto nessuno di loro, né Emma si è mai preoccupata di parlarne apertamente: i suoi genitori sapevano solo che aveva un ragazzo. Pensavo che stavolta le cose potessero essere leggermente diverse.
Per il resto... Be', spero che mi farete conoscere i vostri pareri!! Ne ho davvero bisogno per questo capitolo! E vorrei anche sapere cosa pensate possa accadere da qui in avanti :)
Grazie di tutto, as usual!

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

 
      
  

 
  
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