Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: Reyvateil    04/02/2015    2 recensioni
"E’ assurdo, mi sembra di aver vissuto più di cent’anni e allo stesso tempo sono ingenua come una ragazzina. Ricordando ciò che sono stata, la mia anima si carica di un peso che a malapena riesco a sopportare, ma voglio scrivere. Come se fosse il primo giorno, il momento in cui un soldato mi puntò la pistola contro, in una notte piovosa e senza Dio. Il giorno in cui venni catturata, e paradossalmente la mia allora miserabile vita cambiò."
--------------------------------------------------------------------------------------------------------
Una storia che intreccia le la vita della protagonista e degli altri personaggi a cavallo fra due Mondi; infanzia e adolescenza da una parte, età adulta dall'altra. Una storia di crescita, consapevolezza, paure e principi per cui imparare a lottare. Enjoy.
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
nda: scusate l'assenza, non vi tedio con le mie scuse. Ho un consiglio, ascoltate "Obstacles" di Syd Matters e "Santa Monica dream" di Angus & Julia Stone per questo cap. Buona lettura e commentate please!


Il sole stava tramontando su Central City. Tutto era rosato, più dolce, più tranquillo, più caldo. A partire dagli spogli palazzi fino al brusio cittadino. Sedevo a gambe incrociate sul tetto, all’ultimo piano infatti c’era uno spazio aperto dove si trovavano per lo più degli stendibiancheria. Le lenzuola dei dormitori ondeggiavano cullate dalla brezza di un autunno che ormai era giunto. Cominciava a far freddo, ma non me ne preoccupavo mai; il gelo mi faceva sentire viva, inoltre avevo delle buone difese immunitarie grazie al mio incrocio animale.
Restavo ad occhi chiusi mentre il sole salutava il mio viso, pensando che forse alla fine di tutto anche io potevo trovare la pace.
“Un giorno saremo entrambi felici.” Disse Alphonse, seduto accanto a me, scrutando l’orizzonte. Avevo una certa difficoltà a capire i suoi pensieri alle volte, per lui invece ero un libro aperto. “Sei molto espressiva” mi disse una volta “Anche quando hai quello sguardo duro e i tuoi occhi di ghiaccio minacciano l’omicidio, riesco a vedere oltre.” Solitamente rideva dopo affermazioni del genere, una di quelle risate chiare e leggere che mostravano la sua parte ancora infantile.
“Cosa ti fa pensare che un giorno saremo felici?” chiesi con un sospiro.
Lui mi guardò. Lo sapevo nonostante mantenessi gli occhi chiusi “Davvero non riesci a trovare un lieto fine?”
“Perché dovrebbe esserci proprio in questa storia un lieto fine…”
“Deve pur esserci una speranza.”
Allora mi alzai in piedi “Il giorno in cui troverò speranza” conclusi “Sarà il giorno in cui sarò libera di scegliere il mio destino.”
Rise. “Va bene, piccola ribelle. Spero che sarò lì per vedertelo fare.”
 
 
CHAPTER FOUR - SUNSET
 

“Ma quanto pesi Alphonse?”
Le mie dita davano dei colpetti inquisitori all’acciaio della sua armatura. Lo facevo spesso, lui mi lasciava sempre giocherellare con l’involucro della sua anima, a patto che fossimo soli. Nessuno doveva sentire quel cassone risuonare a vuoto o avrebbe destato sospetti. Mi sentivo spesso un cucciolo che mordicchia le cose di colui che l’ha adottato e che rimane impunito perché in fondo vuole solo giocare e scoprire il mondo.
“Non molto in effetti, ma più di te sicuramente”
“Sono così pelle e ossa?” feci un giro su me stessa per guardarmi meglio e tastai le mie cosce “Avresti dovuto vedermi tre mesi fa!”
 
Questo era uno degli innumerevoli discorsi fra me e Alphonse. Era diventato come la mia ombra lungo i corridoi dell’edificio militare, nonostante tutti si accorgessero della sua presenza. Il rumore dell’ armatura compensava il silenzio della sua anima e la calma impassibile che mostrava in alcune situazioni, al punto da darmi fastidio. Credo che la vicinanza al fratello lo avesse in qualche modo costretto nella parte del paciere, politicamente corretto in ogni situazione, nonostante mi rendessi conto di quanto anche Edward si sforzasse di apparire grande e maturo per lui.
Ero diventata più loquace, senz’altro più sorridente. E’ stato un periodo relativamente felice della mia giovinezza; Mustang non mi faceva mancare nulla, ero trattata abbastanza bene persino quando ero accerchiata da dottori e alchimisti che volevano mettere alla prova le mie capacità. Tuttavia il Colonnello non era mai venuto a farmi visita fuori dalle sessioni di test, aveva senza dubbio altro da fare.
Pensavo che anche Alphonse avesse un’agenda piena, nonostante non mi raccontasse mai nulla di ciò che facesse; ma si era messo in testa che doveva venirmi a trovare ogni pomeriggio, fosse stato anche per pochi minuti. All’inizio fu imbarazzante anche solo aprire bocca, ma lui era convinto che avessi invece bisogno di parlare per evadere dalla solitudine della mia stanza. Lo trovavo assurdo ma più mi aprivo, più magicamente ero in grado di tollerare la presenza di sconosciuti al momento dei test. Parlavamo del mondo, dei gusti personali, e più lui mi raccontava aneddoti divertenti della sua infanzia, più mi rendevo conto di quanto poco avessi vissuto la mia. Cercava sempre di farmi sorridere, tenendomi all’oscuro di tutte le cose orribili che aveva passato assieme “al fratellone” , alle volte pensavo addirittura che si inventasse delle storie per evitare quelle poche cose che gli chiedevo.
Dopo qualche settimana ero io ad aspettare l’arrivo del ragazzo che invece cominciò a saltare i nostri piccoli appuntamenti. Per farsi perdonare mi regalò una piantina grassa.
“… Ma cosa me ne faccio di questa?” chiesi piegando la testa di lato, con il piccolo vegetale fra le mani. Spesso le mie domande parevano aspre, ma il fatto era che parlavo spesso senza filtri, nonostante non volessi offendere nessuno.
“Cosa vuol dire? Niente, è una semplice piantina, Laisa! Devi prenderti cura di lei. Fortunatamente non dovrai annaffiarla molto. E’ abituata a poca acqua, mi ha ricordato i luoghi della tua infanzia di cui mi hai raccontato qualche giorno fa: voglio premiarti per avermi raccontato di Neara, la tua città, dato che non mi racconti mai questo genere di cose.”
La guardai crescere lentamente, quella cosina verde, giorno dopo giorno. Parlavo a lei quando Al non era nei paraggi, ormai i giorni in cui mi sarei mangiata pure quella pur di mettere qualcosa sotto i denti erano passati. Eppure alle volte la mia anima era ancora inquieta.
Inizialmente uscire dalla mia stanza era un parto, mi rifiutavo categoricamente di varcarne la soglia. Fuori c’era il mondo, la crudeltà dei soldati, e mi ero talmente abituata al diritto di un mio spazio che avrei voluto invecchiare lì, nonostante il mio inconscio premesse per scappare dalla finestra. Ma la paura era più grande.
 
Dopo settimane di suppliche, incoraggiamenti ed esortazioni da parte della mia guardia del corpo in metallo, un giorno sbottai. “Senti sei molto gentile Al, ma non me ne frega niente di uscire. Vai a dire a Mustang che obbedisco alle sue regole, che non do problemi e che mi comporto in modo normale, tanto non gli importa altro. Non mi interessa se me lo dici ogni giorno, non mi farai cambiare idea.”
A quelle parole lui rimase fermo in mezzo alla piccola stanza per qualche istante. Dopodiché sospirò amareggiato.
Ero troppo intenta ad innaffiare la piantina, che intanto avevo chiamato Isobel come mia madre, per rendermi conto che il gigante si trovava proprio dietro di me; con un movimento fulmineo mi prese di peso. La porta frontale della sua armatura era aperta e mi ci ficcò dentro senza dire una parola; cercai di ribellarmi in tutti i modi, ma era incredibilmente più forte di me e mi aveva preso alla sprovvista. Sapevo che per qualche motivo non ci fosse il corpo sotto quello strato di metallo, ma mi fece ugualmente un effetto incredibile.
“C-Cosa vuol dire tutto questo?!? Fammi uscire subito! Sto malissimo nei posti stretti, Al ti prego!” urlavo cercando di farmi strada almeno dall’uscita superiore, ma lui teneva saldo l’elmo con le mani; inutile dire che andai subito in iperventilazione, il buio inoltre non mi aiutava.
“L’hai voluto tu! Ora stai tranquilla e respira lentamente. Inspira… Espira… Inspira…”
Dopo qualche sospiro pesante riuscii a calmarmi, ma vidi sbigottita le mie gambe muoversi assieme a quelle di Alphonse “Cosa cavolo stai facend-“
“VUOI STARE BUONA!” la sua voce divenne minacciosa: poche volte l’avevo sentito così. Arrossii e stetti al gioco, d’altronde non mi restava molto da fare.
“Ora non fiatare, usciremo da qui. Sei al sicuro finché stai calma, quindi continua a respirare lentamente.”
Dopodiché non seppi molto; mi affidavo a quel poco che riuscivo a intravedere tra le giunture dell’armatura, per il resto mi sembrava di camminare senza meta, probabilmente facendo le scale di tanto in tanto. Mi sentivo una bambina, incapace di avere il controllo della situazione, ma mi dovetti affidare a lui senza condizioni.
 
Quando ci fermammo definitivamente, Al aprì la porticina e una folata fredda mi colpì il viso.
Davanti a me una vista mozzafiato della città dall’alto, il sole che calava all’orizzonte, un’atmosfera magica.
“Siamo sul tetto. Qui non viene quasi nessuno se non di mattina. … Io… Vengo spesso in questo posto.” Disse piano.
Ancora quella sensazione. Sentirmi cullata dalla dolcezza di quel momento, felice nelle mani di qualcuno che non mi volesse altro che bene.
“… Che succede? Non esci ora?” chiese dopo un po’.
Avevo la testa appoggiata a lato della parete di metallo, sognante. Ero al sicuro ma allo stesso tempo il mondo sembrava a portata di mano, pronto per mostrarmi il suo lato migliore. Potevo sentire gli uccellini, le foglie secche crepitare sotto i passi dei frettolosi, gli odori provenire dalle case in cui le famiglie si apprestavano a cenare, qualche campanello di bicicletta, e pensavo a quella parte dell’umanità che voleva del bene al prossimo, che viveva la sua vita in pace e semplicità, proprio come la mia famiglia di un tempo.
Quella parte che mi stavo perdendo restando chiusa nel mio mondo.
“Portami qui ogni giorno, te ne prego.”
“Non ti ci riporterò fino a quando non camminerai con le tue sole gambe.”
Accettai quel patto silenziosamente ma, indispettita, balzai fuori come un animale selvatico e con un salto gli rubai l’elmo, tenendo il suo lungo ciuffo fra i denti.
“Ma cosa..!!” inutile dire che non se l’aspettava. Gli lanciai un’occhiata di sfida scodinzolando, poi cominciai a correre in giro a quattro zampe. Era un ragazzo forte, ma non veloce quanto me e l’inseguimento durò un’ora almeno, tra risate, lotte e ruzzoloni; quando finalmente si riprese la sua testa mi accasciai a terra stremata con il più grande sorriso che potessi fare.
“Sei tenace Alphonse Elric” cercavo di riprendere fiato “dovrò ricordarmelo la prossima volta.”
“Stavo per dire lo stesso di te. Non sei un lupo, sei una gazzella!”
 
Da quel giorno, il tramonto sul tetto fu la prassi e quando Al non c’era, nonostante le incredibili difficoltà, cercavo di andarci da sola; ma non era mai la stessa cosa, mi mancava correre e giocare.
Una sera mi trovò distesa per terra mentre ululavo al cielo, sola e sfiorata dal vento. Sapevo che era arrivato ma feci finta di nulla poiché ero troppo presa dal momento di libertà, d’altra parte lui rimase in piedi alla fine delle scale, senza dire una parola, per molto tempo. Anni dopo mi disse che era rimasto come rapito da quella scena, non poteva credere che da quella ragazzina piccola ed esile potesse uscire una voce del genere, al limite tra l’umano e l’animale, pareva una triste canzone senza tempo; non aveva paura nonostante fosse la Lupa a parlare.
Ma ancora, nonostante i fiumi di parole, lui non sapeva niente di me né io di lui. Eravamo degli sconosciuti sfortunati, messi uno accanto all’altra come pedine a quel giocatore incallito che era il destino. Esitavamo entrambi ad andare oltre le solite domande; io volevo capire perché quando entravo nella sua armatura non potessi toccare quel simbolo alchemico fatto col sangue, e lui tentava timidamente di comprendere come una ragazzina si fosse cacciata in una situazione talmente paradossale. Sentivo un macigno pesarmi sullo stomaco, ed era diventato ogni giorno più grande da quando io ed Al eravamo diventati amici. Ogni giorno che passava eravamo più vicini, eppure le cose non dette lo allontanavano da me. Non avrei retto a lungo.
 
Le foglie autunnali erano ormai cadute da tempo, lasciando una malinconia che spesso ravviva i ricordi più reconditi. Ero immersa proprio in quel tipo di pensieri un pomeriggio di tanti anni fa, quando mi addormentai fra le lacrime appoggiata alla finestra della mia stanza. Sognai la lontana Neara, mia madre Isobel, la mia casetta, le giornate passate al mercato, quello sconosciuto che mi offrì un biglietto di sola andata per l’inferno… E poi… Blue…
Fui svegliata dal tocco delle sue grandi dita che cercavano di asciugarmi il viso come meglio potevano; presi quella mano nella mia e la strinsi forte.
 
“E’ arrivato il momento?” disse piano.
“Sì, è ora che tu sappia.”
 
 
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Reyvateil