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Autore: Hoel    05/02/2015    4 recensioni
"Tutto accadde sei anni fa, quando ancora frequentavo il penultimo anno di università."
Così incomincia la testimonianza di Naruko Namikaze, trascritta da Tobirama Senju, celebre horror writer. Una storia taciuta da molto, molto, forse troppo tempo e che tuttavia continua tuttora a tormentare la sua protagonista. Una confessione per poter finalmente scrivere il tanto agognato "The End".
Tutto incominciò sei anni addietro. Con un appuntamento. Cui Naruko non andrà mai.
Perché cosa - o chi - può averla persuasa a disdirlo?
***
[SasukexFem!Naruto; altre coppie ...]
Genere: Horror, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Itachi, Menma Uzumaki, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Tobirama Senju | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Gender Bender, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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B'soir!

No, avevo affatto abbandonato questa fic! Diciamo che avevo postato il capitolo in un momento di frenesia creativa, ma non avevo un'idea ben precisa di come strutturare la storia. Inoltre, dovevo informarmi bene su alcuni aspetti presenti in questa fic e raccogliere del materiale. Adesso che tutto è pronto, potrò pubblicarla se non regolarmente, perlomeno senza secoli di distanza!

Infatti, alternerò gli aggiornamenti di questa con "Stigma", perché un po' per uno non fa male a nessuno (tranne all'autrice che deve scriverle ...)

Avvertimenti!

1) In questo capitolo verranno trattati temi ancora molto attuali per il Giappone, quali emancipazione femminile e parità dei sessi. Le opinioni dei personaggi non corrispondono a quelle dell'autrice, come sempre sono esseri a sé che si muovono in un dato contesto e reagiscono di conseguenza. Anche le idee religiose qui espresse non sono mie, bensì del personaggio.

2) Il cognome "Uchiha" è stato riportato come apposta "Uchiwa", la sua variante "originale" per così dire, nonché presente nella traduzione francese del manga di "Naruto." C'è un significato dietro, promesso!

3) Mi scuso in anticipo per eventuali occidentalismi e inesattezze! Ho provato ad essere quanto più possibile coerente con l'ambientazione, ma, da povera gaijin che sono, su qualcosa ho sicuramente toppato! T^T

Infine, un sentito ringraziamento a tutti i miei lettori e recensori, in particolare a Imoto e Angel_Darl_Light. Grazie anche a coloro che hanno messo questa storia tra le seguite, ricordate e preferite.

Vi auguro una buona lettura,

 

 

 

 

 

H.

**************************************************************************************

 

 

 

 

 

Non era stato facile convincere Tobirama ad abbandonare la reclusione nella quale si costringeva, ogniqualvolta incominciava la stesura di un suo romanzo, o novella o sceneggiatura. A onor del vero, causa il tipo d'educazione ricevuta durante l'infanzia, l'horror writer aveva sempre avuto una certa tendenza a rintanarsi in casa, uscendo lo stretto necessario e non perché appartenesse al genere "otaku", bensì per abitudine. Del resto, l'albinismo non aveva giovato le sue capacità d'inserirsi, né di stringere grandi amicizie. I suoi genitori avevano infatti preferito nascondere piuttosto che aiutare ad accettare la sua condizione.

Perciò Izuna non aveva più di tanto obiettato  l'unica condizione impostagli da Tobirama per uscire assieme e camminare fino al parco. In altre parole: indossare un largo cappello di paglia e degli spessi occhiali da sole, così da mimetizzarsi quanto possibile tra la folla. Il caldo umido dell'estate giocava poi a suo favore, poiché nessuno avrebbe trovato eccessivo quel suo impacciato tentativo di camuffamento. Inoltre, avevano scelto un'ora fortunata per la loro innocente scampagnata: un placido silenzio da tardo pomeriggio coccolava l'ambrato degli alberi, intanto che un vento tiepido ne scuoteva indolente le fronde, associandosi al ritmico scorrere della fontana a forma di scala, dalla cui cima zampillava più gagliarda per poi zittirsi man mano che raggiungeva il sottostante laghetto artificiale. Là i due "viandanti" s'erano appostati, sedendosi sulla metà esatta della pomposamente stilizzata fontana, lasciandosi distrarre dagli occasionali rumori di sandali sulla ghiaia, dai complici bisbigli, dall'eco degli schiamazzi dei bambini ingaggiati in una guerra all'ultimo spruzzo d'acqua. L'aria era pregna di un'insolita attesa per qualcosa d'indefinibile, eppure desiderato al punto di rimpiangerlo prima ancora d'averlo perduto.

"Ti recavi spesso al parco a quest'ora, sedendoti in compagnia di tuo fratello sul bordo della vasca della fontana. E ricordo che immergevi i piedi e le mani fino ai polsi, quando il caldo diveniva insopportabile."

"Ottima memoria. E tu, ritornando dal tirocinio, ti fermavi e ti appoggiavi alla ringhiera, osservandomi timidamente indiscreto, senza avere mai il coraggio di parlarmi."

"Non volevo apparirti insolente. D'altronde, tutti coloro che t'avvicinavano lo facevano allo scopo di dileggiarti."

"Probabile. Anche se mi piacevi già allora", sentenziò Tobirama con malcelata mestizia, alzandosi onde stiracchiarsi le gambe indolenzite. Dopodiché, levati i sandali, avanzò dentro le strette vasche della scala-fontana. E forse avrei dovuto avere anch'io più coraggio e sceglierti per primo, invece di lasciarmi abbindolare dalle false promesse di chi voleva solo giocare con la mia ingenuità.

Alle sue spalle, Izuna l'osservava pensoso. Percepiva, infatti, che Tobirama aveva intenzione di comunicargli qualcosa: di norma, iniziava sempre con un poco attinente preambolo, per arrivare in seguito ad un discorso totalmente diverso.

"Ho intenzione di concedere un'intervista", disse infine l'horror writer, continuando a fissare i bambini che giocavano qualche gradino più in basso.

Appunto.

"Ti hanno fatto ancora pressioni?"

Tobirama scosse il capo, liberando inconsapevolmente dal capello delle arruffate ciocche nivee, le quali si arricciarono vezzosamente sulle tempie inumidite da un lieve velo di sudore. "No, è una mia idea. Ma questo solo dopo che avrò pubblicato la storia su cui sto lavorando."

"Allora, smetti di scriverla", fu il consiglio d'Izuna, genuinamente preoccupato sugli effetti che quel racconto avrebbe potuto avere sull'horror writer. "Non ti lasceranno in pace finché non sapranno tutti i riferimenti!"

Tobirama si voltò, sorridendogli con affetto. "Sei premuroso e te ne ringrazio. Tuttavia, devo farlo. Questa storia ... Voglio dire, l'ho promesso a Naruko ... e a me."

"Naruko?", colmò la distanza Izuna, afferrando Tobirama per la vita e appoggiando la guancia sulla sua spalla destra. "Si chiama così?"

Le dita alabastrine dell'horror writer si confusero colla pece dei capelli d'Izuna.

"Come avresti preferito che si chiamasse?"

 

 

***

 

L'Appuntamento

dalla testimonianza di Naruko Namikaze

(segue)

 

 

Giovedì, 22 gennaio 1998

- mancano 15 giorni all'Appuntamento -

 

 

"Perché siete vestiti di nero? State andando ad un funerale?"

Mia madre Kushina, appena ritornata dal supermercato, ci aveva pizzicati proprio nel momento in cui ci stavamo infilando le scarpe per uscire.  

"Sì", rispose mio padre, Namikaze Minato. "Siamo stati invitati al funerale di Fugaku-san."

"Il commissario Uchiwa-san?"

"Esatto. Fugaku-san è venuto a mancare la settimana scorsa. Essendo Itachi-kun molto amico di Menma-kun e in qualità di sindaco di Konoha, ho pensato adeguata la nostra presenza al suo funerale", le spiegò brevemente Otōsan e in quel momento lodai la sua diplomazia (senza dubbio acquisita facendo politica) per aver abilmente glissato sul fatto che sussistevano altri legami con la famiglia di Sasuke, al di là della mera amicizia.

Che frequentassi un Uchiwa lo sapevamo soltanto Menma, lui ed io.

Perché, sebbene amorevole di natura, non ci fidavamo troppo dell'apertura mentale di mia madre. L'essere divenuta stranamente conservatrice dopo una gioventù piuttosto scapestrata pareva quasi un contrappasso dantesco e di fatti,  lei aveva subito preso a guardarci sospettosa, avidamente alla ricerca di una falla nel nostro alibi."Dovete proprio andare?", disse infine, sibilando quasi.

"Perché no? Fugaku-san era una brava persona, gran lavoratore ed esemplare padre di famiglia. E' stato lui a finanziarci la campagna elettorale, in caso avessi dimenticato."

"Tutto quello che vuoi. Tuttavia lui è - era -  un Kirisutokyouto [1] e sai quanto l'atteggiamento ... anticonformista suo e soprattutto della sua famiglia abbia spesso creato disagio tra gli altri abitanti di Konoha."

Ancora quella storia.

"Beh, se si sono abituati ad avere per sindaco il figlio di una Pan-Pan Girl, allora sopravvivranno all'idea di convivere con una piccola comunità cristiana!", replicò stranamente bellicoso mio padre, sistemandosi il cappotto e facendoci cenno di seguirlo.

"Era una Only, non denigrare tua madre più del necessario!" [2]

Che se ne scopasse uno o cento, sempre puttana degli yankee rimaneva, avrebbe voluto rispondere Otōsan, il quale aveva subìto più lui della genitrice (la quale s'era convenientemente suicidata nel '52, alla fine de facto dell'occupazione militare americana) l'umiliazione d'essere un ainoko, un bastardo sangue misto. Non esistono giapponesi di sangue puro con capelli biondi e occhi azzurri. Se non fosse stato per la buonanima di quel filantropo riccone di Namikaze Jiraiya-ojii, che lo aveva adottato ed educato allo scopo di riscattare le sue dubbie origini, di certo mio padre non avrebbe tardato a seguire sua madre in fondo al fiume Naka con le tasche piene di pietre. C'erano voluti molti anni, indubbiamente, ma infine aveva ripulito la sua reputazione agli occhi di Konoha, divenendo un brillante avvocato. Tutti adoravano Namikaze Minato-shi, dimenticando come in passato l'avessero additato coi peggiori dei nomignoli, ainoko! bastardo! parassita! vattene da tuo padre in America! Perfino quando li aveva scioccati sposandosi con quella teppista di mia madre Kushina continuarono ad osannarlo, eleggendolo a simbolo di un Giappone rinato. Non fiatarono sullo stile di vita poco consono ai valori tradizionali dei suoi figli. Non smisero di amarlo neppure quando permise ai Kirisutokyouto di costruirsi una chiesa su di un terreno destinato invece ad essere occupato dal solito centro commerciale. Konoha ignorava infatti come mio padre la stesse costantemente sfidando, sbeffeggiandola della sua ipocrisia e al contempo la adulasse con false promesse di un "progresso conservatore". Dietro i suoi sorrisi si nascondeva molto rancore e amarezza, che mi lasciò in eredità assieme ai suoi tratti somatici. Ridendo, Menma soleva appellarmi maschiaccio perché a quindici anni avevo deciso di recidere quelle infamanti trecce bionde, ma bionde naturali, che mi facevano passare per una diversa, una delinquente. In particolare, oltre che per il taglio corto e arruffato, si burlava dolcemente di me per la mia attitudine rissosa. Picchiavo forte, eggià, e mi rimproverava per questo! Come no, e lui elargiva caramelle agli omofobi che lo chiamavano "vecchio troione succhiacazzi"!

Ancora oggi non gli ho mai confidato che se menavo le mani, era soltanto per difendermi. Gli ho confessato molte cose, ma con questa ho sempre fallito. Come può d'altronde capirlo uno che ha avuto la fortuna di nascere fisicamente giapponese in tutto per tutto? Meglio gay che gaijin, come si suol dire.

Mah.

Forse per questi disparati motivi avevo deciso di mettermi con Sasuke.

Tra diversi non ci si sente fuoriposto.

 

~~~

 

 

La morte di Fugaku-san aveva colto tutti di sorpresa: ricoverato d'emergenza la notte di Capodanno, era rimasto in ospedale fino a metà gennaio, quando un secondo attacco di cuore lo divise per sempre dai suoi disperati congiunti.

Seppi della sua dipartita solo il giorno dopo, sabato 17 gennaio, tramite Itachi-san e al momento ammetto che m'ero sentita piuttosto delusa, se non offesa, nei confronti di Sasuke per questa "ambasciata" da parte di suo fratello. Solo al funerale compresi quanto il decesso del padre avesse sconvolto il mio povero fidanzato (segreto).

 Dopo esserci congedati da nostra madre, Menma,  Otōsan  ed io ci eravamo diretti verso il quartiere dove abitavano gli Uchiwa.

Facemmo appena in tempo a raggiungere l'entrata principale della loro casa addobbata a lutto, che la trovammo bloccata da una piccola folla di amici, parenti e curiosi, impedendo al corteo funebre di uscire. In mezzo, fissandosi vicendevolmente in cagnesco, la vedova Mikoto-san discuteva animatamente con l'altrettanto alterato sacerdote del Tempio Nakano. Dai frammenti della loro concitata discussione, apprendemmo che alla base di quel diverbio teologico si trovava la testarda insistenza del bonzo e dei vicini acciocché si celebrasse il rito funebre shinto-buddista, imposizione tenacemente contestata dalla madre di Sasuke e, pian piano, anche dai suoi correligionari. Malgrado la Restaurazione Meiji avesse introdotto e garantito la libertà di professione di qualsiasi fede, il sospetto verso coloro che non praticavano i riti tradizionali non era affatto svanito, anzi, i cristiani sotto sotto venivano ancora considerati persone "bizzarre", se non proprio egoiste e ottuse per loro intransigenza nel fregarsene altamente dell'altrui opinione se non quella di seguire i dettami del loro Iesu Kirisuto-sama, per il Quale erano capaci "di rinnegare se stessi e i loro genitori e parenti". Non solo: essi condannavano severamente il suicidio (anche per onore) e l'aborto, nonché si rifiutavano categoricamente di associare ai riti cristiani i precetti shinto-buddisti su cui si scandiva la vita del tipico giapponese. Gli appassionati delle teorie del complotto sostenevano che i Kirisutokyouto fossero addirittura spie degli Occidentali. (Anch'io confesso una mia gaffe dettata dalla mia iniziale ignoranza in materia, quando chiesi a Sasuke se allora i cristiani si considerassero una sorta di semidei, visto che si dicevano "figli di Dio". Ancora arrossisco al ricordo della sua faccia contorta nel tentativo di non sganasciarsi dalle risate). Se nelle grandi città si sorvolava tranquillamente su queste controversie religiose e morali, nella più pettegola provincia al contrario scuoteva molte lingue, le quali alludevano a sventure, a maledizioni e a persecuzioni di spiriti offesi che prima o poi si sarebbero scatenate sulle dure cervici di quei mariuoli semi-occidentalizzati. Non che i Kirisutokyouto fossero meno tenaci: piuttosto che venire ad un compromesso, preferivano rinunciare al loro quieto vivere, pronti a qualsiasi conseguenza.  Non erano sopravvissuti a quasi duecento anni di persecuzioni per lasciarsi influenzare da chicchessia. Come adesso con gli Uchiwa e il sacerdote del Tempio Nakano. Temendo quindi che l'affare terminasse con uno scontro fisico tra i due credo, Itachi-san decise allora d'intromettersi e, condotta delicatamente la madre verso Shisui-san, tentò con molta pazienza di far ragionare il bonzo, ringraziandolo per il disturbo ma sostenendo che loro stavano aspettando il loro prete cattolico per celebrare il funerale secondo la loro dottrina. Il bonzo e i vicini, insensibili a questo spirito conciliatorio, presero a tuonare che dovevano invece seguire le antiche usanze, al massimo fare due cerimonie, altrimenti lo spirito di Fugaku-san  non avrebbe mai trovato pace.  

"Inoltre", aggiunse l'uomo, sventolando un dito premonitore sotto lo scettico naso d'Itachi-san, "la vostra casa e la vostra famiglia saranno maledette dalla sua anima tormentata!"

Fu allora che comparve Sasuke.

"Vecchio rincitrullito infarcito di merda!", ululò, facendosi violentemente strada tra gli astanti. Con la forza di un toro inferocito si scagliò contro il bonzo, pigliandolo per le vesti e scaraventandolo in mezzo alla strada, urlando come un forsennato di non insultare l'anima del defunto padre con le bugie dei kami shintoisti e del Buddha.  "Da morto ti permetterò di dissacrare uno dei nostri sacramenti con simili fesserie da superstiziosi!" e soltanto il provvidenziale placcaggio di Itachi-san gli impedì di prendere a calci il bonzo fino al cimitero.

Inutile dire come rimanemmo tutti scioccati dalla sua furia.

Non riconobbi in lui l'uomo un po' scorbutico e tuttavia buono, del quale m'ero innamorata. Dinanzi a me s'era manifestata una persona completamente diversa, feroce e inflessibile.

E disperata.

Con una scusa, mi allontanai discretamente dal corteo funebre, dopo aver salutato velocemente Mikoto-san.  Non osai prender parte alla cerimonia: per la prima volta dall'inizio della nostra relazione, percepii come la diversità di Sasuke, anche solo teologica, avesse creato un divario tra noi due. Avevo infatti sperato di trovare in lui consiglio, di sottoporgli un problema che da tempo m'angustiava per decidere assieme il da farsi.

Dopo quella scenata, già mi potevo immaginare la sua risposta che io, stupida, non volevo per nulla al mondo condividere.

 

 

Domenica,  25 gennaio 1998

-  mancano 12 giorni all'Appuntamento-

 

 

 

 

Avevo appena cerchiato sulla mia agenda la data "venerdì, 6 febbraio" che il mio cellulare prese a squillare di nuovo. Dieci minuti più tardi, Sasuke m'aspettava sottocasa.

"Sono venuto per scusarmi", mi comunicò, prima ancora di salutarci. Era la prima volta che lo rivedevo dal funerale di suo padre e i segni del lutto ancora indugiavano sul volto del mio fidanzato,  pallore e occhi cerchiati di rosso esasperati dall'abito nero che avrebbe indossato, secondo le usanze dei Kirisutokyouto, fino alla prima Messa di suffragio per l'anima del padre. Strascicava inoltre le parole, neanche si fosse ubriacato di lacrime, il capo chino e concentrato sulla neve fangosa sotto i suoi stivali. Mi parve molto vecchio e spossato.

"E per quale motivo?", giocai alla nesci, malgrado sapessimo benissimo entrambi a cosa si riferisse.

"Giovedì, al funerale. Ti ho turbata col mio atteggiamento. Ti ho deluso. Per questo te ne sei andata così presto, senza neppure salutarmi."

D'un colpo trovai molto interessante la festa di compleanno di mio padre, che avevo momentaneamente abbandonato per conferire con Sasuke.

"Non fa niente. Succede."

"Non mentirmi." La voce del mio partner suonava angosciata. "Io ... io spero che la tua freddezza nei miei confronti sia dettata dalla figuraccia che ho fatto giovedì. Altrimenti, sul serio non riesco a comprendere perché m'hai evitato così a lungo!"

"Non ci sentiamo da tre giorni, paranoico d'un melodrammatico!"

"A me? Dico, ti fingevi la segreteria telefonica!"

"Adesso mi fai il terzo grado? Mi controlli?", protestai simulando indignazione, più che altro allo scopo di dirottarlo dal vero motivo del mio effettivo allontanamento. Non potevo rivelarglielo.

Non avrebbe compreso.

"Va bene, va bene, non ti scaldare! In ogni modo, stasera parto: m'assenterò da Konoha per un po' di tempo", mi comunicò Sasuke tutto d'un fiato e sussurrando, quasi mi stesse confessando un chissà quale segreto obbrobrioso. Di certo, non poteva competere col mio.

"Dove vai?"

"Ad Akita, al Santuario di Maria-sama [3]. Mia madre vorrebbe trascorrervi un periodo di ritiro spirituale per trovare conforto e forza, onde affrontare la vedovanza."

"E tu?"

"Io?", sorrise amaramente il mio compagno, sistemandosi nervosamente una ciocca dietro l'orecchio. "Io rimarrò lì qualche giorno. Per meditare sul mio gesto. Dopodiché mi recherò a Nagasaki per un congresso e starò lì fino al 6 febbraio, per la commemorazione del martirio di Pauro Miki-sama e degli onorevoli martiri [4]. Pensavo di cenare assieme quella sera, al mio ritorno ben inteso, ti andrebbe? Nel frattempo, dovessi aver bisogno di qualsiasi cosa, sai che la mia famiglia è la tua."

Mi massaggiai pensosa la radice del naso, incerta se sentirmi sollevata o meno per quell'improvviso allontanamento. "Te ne vai in un santuario ... Per fare penitenza?"

"Non proprio, direi piuttosto una riflessione sul fatto che non devo cedere alla violenza, neanche quando dettata dalla sofferenza", mi rivelò a malincuore e dal livore delle sue nocche, intuii quanto quella decisione fosse costata a Sasuke, di solito sempre così irruento e appassionato nelle sue convinzioni, anche sotto la facciata di granitico stoicismo. "Vedi ... non trovo le parole adatte per spiegarti cosa mi sia preso in quel momento. Non riesco ad elaborare neppure io un motivo esatto. Mio padre ... malgrado le nostre divergenze, gli volevo molto bene, era sempre stato il mio punto di riferimento. Alla sua morte mi sono sentito crollare il mondo addosso, Naruko, non ... Ho smesso di ragionare lucidamente. Non accettavo la sua morte. Neanche quando Itachi-nii mi confortava dicendomi che lui si trovava al cospetto di Kami-sama, dove ci avrebbe aspettati per ricongiungerci. Ma ... ma come poteva aspettarci, visto che era lì, rigido e freddo in una bara di legno? Ho ... ho vacillato ... ho dubitato ... Quando poi quel vecchio pazzo ha paventato che l'anima di mio padre, invece di trovare la beatitudine ultraterrena, sarebbe stata maledetta come quella d'un malfattore soltanto per non aver recitato degli incantesimi da superstiziosi ... Che Kami-sama mi perdoni per il mio gesto, perché l'idea di domandare scusa al bonzo mi riesce difficile ...", dichiarò in un sommesso borbottio, grato che il freddo gli stesse arrossando le pallide gote, così da non dover giustificare quel rossore generato invece da quella (secondo lui) imbarazzante confessione.

Contro ogni sua aspettativa, l'essersi sbottonato con me, nonché l'avermi chiarito il perché dietro quell'atto violento, mi suscitò un'onda di travolgente affetto nei suoi confronti, rendendomelo ancora più caro e spronandomi ad afferrargli il braccio, serrandomi a lui. 

Le nostre dita s'intrecciarono automaticamente tra di loro.

"Di certo hai dimostrato, di non essere il tipico Kirisutokyouto che porge l'altra guancia!", commentai giocosamente, affinché non si fustigasse troppo per quell'attimo di crisi spirituale. Considerati i miei numerosi scetticismi in materia religiosa, ero l'ultima persona cui Sasuke poteva chiedere conforto e ciononostante non desideravo spargere sale sulle sue ferite.  Lui non mi aveva mai criticato per le mie convinzioni né aveva tentato di convertirmi, rispondendo alle mie domande come se stesse soddisfacendo più una curiosità intellettuale che religiosa. Ed io lo rispettavo per questo, apprezzavo la sua delicatezza. Sarei passata per una vera bastarda se ne avessi approfittato per farlo dubitare della sua fede. Sasuke non si sarebbe mai permesso tale vigliaccata. Io neppure. Anche se, a sua insaputa, gliene stavo preparando una ... una che non riuscivo a ...

"E ti pare che ne debba andare fiero? Insomma, non vorrai mica un rissoso per marito, spero?", scherzò Sasuke, fingendosi dapprima accigliato per poi sciogliersi in uno di quei rari sorrisi pieni di fossette, che provocavano innumerevoli batticuori nelle altre ragazze. Il mio compreso e ne era a conoscenza, il delinquente.

Avrei dovuto ridere alla battuta.

Avrei dovuto rispondere all'abbraccio in cui mi avviluppò, riscaldandomi.

Invece, mi venne una gran voglia di piangere.

 

 

Lunedì, 26 gennaio 1998

- mancano 11 giorni all'Appuntamento-

 

 

Era strano prendere il treno per Tokyo senza vedere Sasuke salutarmi dal binario: mentre il veicolo acquistava man mano velocità fino a scomparire alla prima curva; mi sembrava d'aver abbandonato l'ultimo nostro rituale di coppia. In altre circostanze, avrei razionalmente contestualizzato quell'assenza dicendomi che il mio fidanzato aveva preso assieme a sua madre il superveloce per Akita. Invece, la mia parte più emotiva piangeva un lutto ch'io per prima trovavo illogico, eppure preponderante nella mia mente confusa. La mia decisione era presa e ciononostante non riuscivo a trovare alcun conforto in essa. Anzi, più ci rimuginavo sopra, più i dubbi m'assalivano.

Sospirai di sollievo quando finalmente raggiunsi accompagnata da Menma la quiete del mio bilocale. Hinata-chan, la mia coinquilina, m'aveva lasciato un post-it, spiegandomi come quella sera avrebbe pernottato  da Sakura-chan ed Ino-chan, due nostre compagne di facoltà. Prima ancora che avessi il tempo d'obiettare, mio fratello acchiappò immediatamente il telefono, invitando Gaara a pranzare da noi. Non che nutrissi alcuna contrarietà, tuttavia mi pareva scorretto organizzare pranzi senza aver prima consultato Hinata-chan. Nondimeno, alla vista della zazzera rossa (tinta) del meco di Menma, accantonai ogni remora per godermi invece i siparietti di quei due matti, sperando di distrarmi un poco. Mi piaceva talvolta immaginare come sarebbe stata la mia relazione con Sasuke in caso avessimo adottato la medesima complicità spensierata di Gaara e Menma, arrivando sempre alla conclusione che sarebbe stato impossibile. Del resto, malgrado il nostro burrascoso inizio, noi due non ci eravamo di certo innamorati scambiandoci simili complimenti (Ma quanto tamarro e rincoglionito sei da vestirti da  Mika-chan di "Angel Sanctuary"? "Ha parlato il provincialotto di merda!" ) col risultato d'amour extrêmement fou. In ogni senso.

Meno male che Menma s'era trasferito a Tokyo in via definitiva. Dubito che Gaara sarebbe sopravvissuto alla statica vita provinciale offerta da Konoha, né che quest'ultima lo avrebbe accolto a braccia aperte: il mio presunto cognato appariva troppo ... eccentrico per passare inosservato e perfino mio padre aveva lasciato intendere che, per una cittadina come la nostra, noi in primis le bastavamo già per fregiarsi dell'aggettivo "tollerante." Meglio non tendere oltre la corda dello shamisen.

Un vero peccato perché mi sarebbe piaciuto avere mio fratello più vicino. L'idea di rimanere a Tokyo non m'attirava più di tanto, avevo sempre preferito ambienti più semplici e circoscritti rispetto alle confusionarie metropoli. Ma del resto, che ci potevo fare? Non avevo alcun diritto d'immischiarmi nella vita di Menma, non quando s'atteggiava in maniera così rilassata e felice.

Spiandoli di sottecchi mentre indugiavano nei loro soliti battibecchi ("Stamattina al lavoro c'era la fiera della luna storta: chiedo ad un mio collega di passarmi alcun prospetti e quello mi dice: "Ti vesti come una puttana!" "E secondo me ha pure ragione: passi per i capelli tinti, ma dovevi pure metterti l'eyeliner ora?" "E' kajal, idiota! Perché non mi difendi? Stronzo!") non riuscii a trattenere un brivido d'invidia.

No, decisamente Sasuke ed io non saremmo stati così l'uno con l'altra. Ecco la nostra verità: non avremmo mai vissuto il nostro rapporto in maniera semplice, diretta. Non fintanto che non ci saremmo venuti incontro. Ma come?

"E così ti ha chiesto di sposarlo?", cambiò Gaara improvvisamente discorso, masticando vivacemente l'ennesimo gyoza e facendomi sobbalzare dalla sorpresa. "Non ti preoccupa che tua madre crepi d'infarto alla notizia?", aggiunse, sghignazzando assieme a Menma. Quanto a me, rivolsi ad entrambi una pepata occhiataccia, specie a mio fratello, sulla cui omertà avevo molto puntato.

"Io non la definirei proprio una proposta di matrimonio, Gaara", replicai acidamente, preferendo riempirmi la bocca di ravioli pur di non rispondere ad ulteriori domande indiscrete.

"Ah, no? La mia famiglia è la tua e Non vorrai mica un rissoso per marito, spero? Scusami tanto, Nacchan, ma a me suona moltissimo come una dichiarazione bella e buona! Posso farti da testimone? Alla fine della fiera, resto pur sempre il ragazzo di tuo fratello! Oh no, a quelli là non piacciono i gay. Uhm, vabbè, mi limiterò a presentarmi come il tuo migliore amico e basta!"

"Frena i cavalli, amichetto, e ficcati in quella zucca vuota che non sono cristiana. Eppoi questa tua diceria non corrisponde interamente al vero: guarda ad esempio Menma e Itachi-san, che sono così amici da far venire la carie!"

"E allora?", s'intromise Menma, stappando una seconda bottiglia di birra, che prontamente rifiutai. "Non sei cristiana? No problem, oggigiorno molti si sposano alla maniera dei Kirisutokyouto, eppure non lo sono. Fa, come dire, romantico e fashion! La chiesetta ... l'abito bianco e vaporoso ... il bouquet ..."

"Ti ci metti anche tu, brutto ramarro? Questo funziona solo se la coppia è shintoista, buddista, quel che vuoi! Ma Sasuke è un vero Kirisutokyouto e dubito che la prenda alla leggera, come fa la maggior parte delle coppie!", ribattei fumante, perché, gira che ti rigira, era quello il nodo gordiano di tutto quest'allegro bordello.

"Pfui, d'accordo ... che polemica ..."

"Esatto, così come dovete ammettere che Sasuke non può avermi chiesto di sposarlo!"

"No, su quel punto non ritratto!", ci tenne a precisare Gaara, fissandomi battagliero. "Che poi, non comprendo dove stia l'inghippo! Insomma, se lui ti sposasse, risolveresti tutti i tuoi problemi, non ti pare?"

Un incomodo silenzio s'impose tra di noi, perché sapevamo d'aver toccato un nervo scoperto. Molto scoperto. Sensibilissimo. Era però confortante apprendere come, malgrado tutto, entrambi si preoccupassero per me, sostenendomi e prodigandosi per trovare insieme una soluzione. Mi faceva sentire ancora degna di rispetto. Non mi giudicavano e di questo gliene ero grata. Difficilmente avrei ricevuto un simile trattamento dalle mie cosiddette "amiche". Chissà perché, ma talvolta le donne possono essere più crudeli e intransigenti degli uomini.

"Ma la sua famiglia ...", tentai d'argomentare, cercando di far comprendere il mio punto di vista a quei due testoni.

"... ti adora, inutile negarlo! E hai avuto un bel signor culo, sai? Visto che quelli si sposano esclusivamente tra di loro!"

Su quel punto non avevo nulla contro cui ribattere. Effettivamente, gli Uchiwa mi avevano accolta come una figlia, sebbene non mi fosse sfuggita l'implicita ansia concernente la mia professione religiosa. Anzi, stando ai racconti di famiglia, ero la prima "gentile" che un loro membro frequentava da quasi duecento anni. Conoscendo la vita piena di paranoia da Kakure Kirishitan durante il Periodo Edo [5], non ne ero rimasta tanto sorpresa. Mi sentii al contrario onorata. Anche se ... "Resto comunque una non-credente", dichiarai lapidaria, sorseggiando poco elegantemente il latte dalla bottiglia.

"Embé, convertiti!"

"Sarebbe ipocrita da parte mia. Non ... non nutro alcuna fede nei confronti del loro Iesu-sama ..."

"Secondo me, ci andresti invece a nozze!"

"E perché?"

"Perché i Kirisutokyouto sono gli unici che non ti abbiano dato della "freak" per il tuo aspetto da massaia del Kansas!", puntualizzò inclemente Menma, prontamente spalleggiato dal grave annuire di Gaara.

Razza d'impenitenti levantini, consiglieri fraudolenti.

Quanto li odiavo, quei due, quando avevano dannatamente ragione.

 

 

 

Mercoledì,  28 gennaio 1998

-  mancano 9 giorni all'Appuntamento-

 

 

"[...] Eppure quest'esperienza insegnò qualcosa a Yuan Hsaio. Aveva realizzato che fintanto che continuava a sussistere un desiderio conscio, esso avrebbe permesso ad ogni forma di distinzione di esistere. Ma qualora ne avesse soppressa una, tutte queste distinzioni si sarebbero dissolte e ci si potrebbe accontentare di bere da un teschio così come da una ciotola. Tuttavia è questo ciò che più mi preme: una volta che Yuan Hsaio è stato illuminato, potrebbe egli bere ancora dalla stessa acqua, sicuro del fatto che sia pura e deliziosa? E non pensate che lo stesso potrebbe essere vero anche per quel che concerne la castità? Se un ragazzo è ingenuo, certamente può adorare una prostituta con la sincerità dell'innocenza. Ma una volta realizzato che la sua donna è una sgualdrina e che ha vissuto in un'illusione finalizzata a servire soltanto l'immagine della sua stessa purezza, sarà egli capace di amare questa donna come prima, con la medesima passione? Se ci riuscisse, non pensate che sarebbe meraviglioso? Prendere i vostri ideali e su di essi modellarvi il mondo. Non corrisponderebbe a un incredibile potere? Sarebbe come tenere in mano la chiave segreta della vita stessa, non vi pare? [...]" [6]

Un indemoniato vagito di neonato interruppe la lettura del romanzo su cui dovevo preparare un essay, così come pose fine allo studio di Hinata-chan e delle nostre due amiche, le quali s'erano fermate da noi dopo le lezioni pomeridiane.

Mué! Mué! Mué!

"Oh, per la misericordia della divina Kannon-sama, quanta pazienza!", sbottò Sakura-chan, tappandosi le orecchie e continuando ostinatamente a leggere i suoi appunti. "Quand'è stata l'ultima volta che avete avuto un po' di silenzio in 'sta casa?"

"La vicina ...", provò Hinata-chan a difendere la madre di quel piccolo Oni, prontamente zittita dagli strilli di quest'ultimo. "Non dà molto fastidio ... Basta far finta di niente ... Vero, Nacchan?"

Mué! Mué! Mué!

"Suppongo di sì", bofonchiai, accarezzandomi lo stomaco gorgogliante. Mi servii spudoratamente dei biscotti portatici da Ino-chan. "Alla fine ti ci abitui ... credo."

Mué! Mué! Mué!

"Sì, sì, come no! Non c'è bisogno di far finta di niente! Si vede lontano un miglio che il mostriccio vi sta rubando il sonno!", affermò sardonica Sakura-chan, chiudendo con enfasi il libro, segno che, cause acustiche, il suo ripasso era stato definitivamente rimandato a più tardi.

"Tu cosa suggeriresti? Ne abbiamo parlato cogli altri condomini: sebbene tutti d'accordo, mica possiamo sbatterla fuori a calci! E' una madre single, poverina, s'arrangia come può ..."

Sakura-chan non si commosse molto per quella debole giustificazione. "Beh, lo stesso dovrebbe traslocare altrove! Questo condominio non è fatto per i bambini piccoli: i muri sono troppo sottili! Non è rispettoso infastidire così gli altri, quando ci sono tanti quartieri più idonei per crescere  marmocchi!"

Mué! Mué! Mué!

"Si è poi mai scusata, la tipa?", inquisì Ino-chan, ritornando dall'angolo cottura con una teiera ricolma di fumante tea verde. "Sarebbe il minimo da parte sua. Altrimenti, è davvero un'irriconoscente!"

"Mi sa che hai ragione, purtroppo ..."

Mué! Mué! Mué!

"Lei non ne ha colpa", m'intromisi, sentendo una leggera nausea serrarmi la gola. "Il bébé piange perché quello è il suo unico modo per comunicare. Anche noi, da piccini, strillavamo dimenandoci nella culla, svegliando i nostri genitori nel cuore della notte!", e sorrisi, stupita io stessa della mia appassionata arringa. Da quando in qua mi stavo trasformando in una sentimentalista? Colpa degli ormoni impazziti? O del senso di colpa? E quale poi? Non avevo mai fatto nulla di male, io!

Mué! Mué! Mué!

"Ah, è la futura signora Uchiwa che sta parlando? Tu e il baciapile avete già in mente il numero di pupetti da sfornare?"

Alzai la testa di scatto, decisamente piccata per quella frecciatina che io sapevo benissimo provenire da una tacita invidia, che Sakura-chan provava nei miei confronti: ancora vibravo di gelosia al solo ricordo delle occhiatine languide e piene di promesse, che lei aveva osato lanciare a Sasuke alla sua prima visita qui a Tokyo. Fortunatamente per me, avevo accalappiato un uomo cresciuto con l'orrore per l'adulterio e per le corna in generale. In ogni modo, non mi fidavo di lasciare quella disgraziata troppo tempo da sola col mio meco.

"Se davvero Sasuke fosse un baciapile", sibilai velenosa, "a quest'ora avrebbe già impalmato una sua correligionaria, invece di frequentare la sottoscritta!"

Mué! Mué! Mué!

"Oh, ti vanti dunque di averlo indotto in tentazione? Proprio te?", ridacchiò Sakura-chan, gli occhi che le brillavano di sarcasmo e malizia. "Senti un po', ma allora è vero che i Kirisutokyouto non usano mai il preservativo?"

Mué! Mué! Mué!

Meno male che ignorava le mie attuali condizioni e i miei principi morali, altrimenti l'avrei assassinata sul posto.

Mué! Mué! Mué!

"Ma certo che mette il preservativo quando lo facciamo! Le malattie veneree non sono un'opinione!", digrignai i denti, trattenendomi all'ultimo dall'aggiungere un bell'idiota alla fine.

"Addirittura? E io che credevo che dovessero arrivare vergini all'altare!"

"Sono cristiani, mica degli alieni! Eppoi, si tratta di una leggenda metropolitana: infatti, guarda i loro correligionari occidentali, ti pare che pratichino l'astinenza?"

"Uno a zero per Nacchan! Del resto, Sakura-chan, è risaputo come gli uomini, qualsiasi sia il loro credo o nazionalità, ragionino sempre e solo col loro amichetto ... ", si sentì Hinata-chan in dovere d'intervenire e porre fine a questo nostro accapigliarci verbalmente, pena le cervella di Sakura-chan sul tavolino appena comprato nuovo e sul tatami color crema, ovviamente. "Ino-chan, dimmi, ti piacerebbe avere in futuro dei figli?"

Grata per quell'interruzione, la ragazza scosse energicamente il capo. "E neanche ho in progetto di sposarmi! Voglio fare carriera, io! Mica spadellare dalla mattina alla sera per dei mocciosi e un ingrato che si crede mio marito e padrone! Col cavolo!"

"Hai intenzione di divenire quindi una di quelle, che il sociologo Yamada-san definisce single parassita?", la provocai sghignazzando.

Ino-chan rise di gusto a quel tipico caso d'anxiété masculine. "Esatto! Altro che andare in giro cogli elmetti rosa! La mia anima femminista troverà soddisfazione nel divenire senior manager di una grande impresa e far conseguentemente mangiar merda a quei bastardi maschilisti dei tuoi datori di lavoro! E magari mi candiderò pure per il Parlamento!"

"Dai, non esagerare!", sogghignammo complici.

"Un corno! Per trovare lavoro e vincere i concorsi bisogna essere doppiamente più brave e sveglie dei nostri coetanei maschi! E se abbiamo abbastanza culo che c'assumano in una posizione di prestigio dobbiamo sudare sette camicie per non finire spodestate: per un uomo, quando questi sgarra, potrebbero anche chiudere un occhio. Noi, al contrario, siamo del gatto! E se non ci va bene, ci ritroviamo sottopagate e costrette a mansioni davvero ridicole, manco fossimo intellettualmente inferiori rispetto agli uomini. Beh, a mio parere siamo stupide a non assassinarli in culla, ecco! Anzi, dovrebbero sottrarli da piccoli dalle famiglie e rieducarli al rispetto per noi donne! Invece, ci sfruttano e ci privano di una qualsiasi forma di parità sociale! Provate voi a rimanere incinte: fine della vostra carriera e Good night Vienna! Ho letto di una tipa che ha avuto due aborti naturali, causa lo stress per l'eccessiva mole di lavoro. Comunque, sapete come ha reagito il suo capo? Quando questa poveraccia era ancora convalescente, le ha telefonato dicendole se poteva evitare di tentare una terza gravidanza, perché la sua assenza stava mettendo a disagio i suoi colleghi. Capito? Doveva vergognarsi della sua natura e rinunciare ad avere figli per compiacere gli altri!"

"Mostruoso!"

"A questo punto", terminò Ino-chan la sua focosa orazione, "se devo proprio ingoiare rospi e farmi chiamare parassita, che io sia almeno libera di vivere la mia vita come mi garba, senza doverla sacrificare in nome di una famiglia-carcere. Si risparmiano un sacco di soldi restando a casa dei propri genitori e non si deve rendere conto di niente a nessuno Perché, poi, mi devo per forza sposare se un tipo mi piace? Dove sta scritto? Insomma, il matrimonio è soltanto un pezzo di carta, che valore ha? Nessuno, tranne quello d'assoggettarti ad un bischero rincitrullito pieno di sé!"

In seguito a queste valide argomentazioni, se prima nutrivo delle remore alla prospettiva di sposare Sasuke, adesso non solo l'avrei rifiutato, ma anche preso a ceffoni.

"Hé, Ino-chan, se vuoi sfogarti contro il matrimonio, chiedi consulenza alla qui presente Hinata-chan: lei sì che ne sa qualcosa in materia!", appoggiò solidale Sakura-chan una mano sulla spalla della mia coinquilina.

"Davvero? Come mai?", le domandò a bruciapelo Ino-chan, per nulla avvezza a rimanere fuori da una conversazione per più di due minuti.

Mué! Mué! Mué!

"Ecco ... stando ad una soffiata di mia sorella Hanabi ... Mio padre avrebbe  ... avrebbe trovato un candidato ..."

"No!"

"Bastardo!"

"E' orribile!"

D'accordo che la famiglia Hyuuga fosse all'antica, ma parlare ancora di matrimoni combinati alla fine del ventesimo secolo? Ridicolo! A cos'erano servite le proteste del movimento femminista, allora?

Hinata-chan sorrise timidamente, scuotendo rassegnata le spalle. "Immagino che ci fidanzeranno non appena terminerò l'università. Perlomeno mi risparmierò la seccatura di redigere curriculum vitae, no?", la buttò sul ridere, nonostante le costasse un notevole sforzo. Dal canto nostro, non accennammo a piegare neppure gli angoli della bocca. Se la mia coinquilina era al settimo cielo alla prospettiva di sposarsi con uno sconosciuto, hé, ebbene io avevo ogni chance di divenire il prossimo Primo Ministro.

Senza contare, che il breve riferimento alla famiglia d'Hinata-chan aveva rinfocolato un mio antico dubbio: gli Uchiwa acconsentivano alla mia relazione con Sasuke appunto in quanto non vincolante? Avrebbero tenuto lo stesso la bocca chiusa, qualora il mio meco si fosse ufficialmente dichiarato? Oppure ci avrebbero ostacolato? O preteso la mia conversione? Mia madre sarebbe esplosa di rabbia, mio padre se ne sarebbe fregato altamente, Menma si sarebbe fatto una bella risata, ma ... cosa avrebbero detto gli Uchiwa su di un matrimonio misto? Mi avrebbero accettata comunque? E Sasuke? Chi dei due avrebbe scelto? A chi avrebbe dato la precedenza? E io? Sarei davvero stata così meschina da costringerlo ad una scelta per lui assolutamente atroce? Così come gli stavo nascondendo ...?

Mi ritrovai incapace di trovare una soluzione. Il mio attuale stato non m'aiutava per niente a decidere saggiamente.

Mué! Mué! Mué!

"Oh, e finiscila, piattola!", sbuffò Sakura-chan al limite di una crisi di nervi, sbattendo ritmicamente il pugno contro il muro. "Fallo tacere una buona volta!"

Soltanto dopo una trentina di minuti, dall'altra parte della parete il neonato smise di piangere.

 

 

 

Giovedì,  29 gennaio 1998

-  mancano 8 giorni all'Appuntamento-

 

 

"Moshi moshi?"

A giudicare dal tono gracchiante - seguito da uno verso strano, forse un ibrido tra un Ouf! e un Itai! - dovevo aver buttato giù Sasuke dal letto. Testualmente.

"Stavi .. stavi dormendo?", cercai di rimanere seria, immaginandomelo mentre, seduto, si massaggiava la fronte dolorante, dove magari stava crescendo un bel bernoccolo.

"No, guardavo il soffitto e, guarda caso, mi trovavo in pigiama. Sai che sono quasi le tre del mattino, vero?"

Sasuke quando faceva del sarcasmo sbadigliando non lo si poteva proprio prendere sul serio. "Oh, scusa, allora riattacco!", dissimulai dispiacere, staccando l'orecchio dal cellulare.

"Lascia perdere: se mi devi svegliare, sentiamone dunque il motivo. Dimmi tutto."

"Ecco ... No, niente. Avevo semplicemente voglia di sentirti." Il che corrispondeva al vero: in seguito alla chiacchierata di ieri con le mie amiche, sebbene assolutamente d'accordo con le loro idee non riuscivo a togliermi dalla mente il desiderio di riascoltare la voce del mio meco, giusto che capire che genere di reazione m'avrebbe suscitato, se gioia o ribrezzo. Stranamente, né l'uno né l'altro, solo una grande malinconia.

"Lo vedo. Altro?"

"Perché stai sussurrando? Sei ancora al santuario?", aggrottai la fronte, incuriosita da quel tono da cospiratore. Beh, non che io stessi cantando a squarciagola: mi rendevo infatti conto d'aver scelto un'ora infelice - se non proprio tabù - per una telefonata, però Sasuke bisbigliava talmente piano che faticavo ad isolare le sue parole.

"No, sono in una cabina della carrozza letto. Ma lo stesso potrebbero aver sentito qualcosa e non chiedo lavate di capo  notturne!"

O beghe notturne, conoscendo il suo carattere polemico.

"Hai strillato peggio di una donnicciola cadendo?", curvai le labbra, sforzandomi di rimanere seria e fallendo miseramente, tant'era vero che Sasuke non c'impiegò molto ad accorgersene, replicando umiliato e offeso:

"Mi rifiuto di rispondere a questa domanda impertinente."

"Allora sei in treno?"

"Sì, fino a prova contraria."

"Non avevi detto che ti fermavi al santuario fino a stasera?"

Dall'altra parte, udii uno strofinio di lenzuola: evidentemente, il mio fidanzato doveva esseri rinfilato sotto le coperte, causa il freddo della cabina. A gennaio non nevicava per sport e la temperatura, anche se mitigata dal riscaldamento, non doveva offrire un gran livello di comfort. "Sono riuscito a soggiornarci soltanto una notte, per rincasare subito dopo: il povero Tenmaku-kun è stato ricoverato d'emergenza all'ospedale per via d'una appendicite acuta. Non vorrei essere stato lì quando Itachi-nii gli ha eseguito la manovra di Blumberg per la conferma, temo che i suoi ululati siano alla base dei capelli bianchi di Shisui-nee. In ogni modo, mentre erano entrambi in ospedale per assisterlo dopo l'operazione, qualcuno doveva pur badare alle pesti almeno per qualche notte. Meno male che il congresso non inizia prima di domani, sennò apriti cielo ..."

"Ma sul serio non potevano rivolgersi a nessun altro? Ai loro amici, o parrocchiani ... Ci tenevi molto a quel ritiro!", obiettai, non comprendendo quel gesto così altruista nella sua impulsività. Insomma, va bene che Sasuke fosse il parente più stretto, però arrivare ad interrompe un'attività per lui molto importante? Non consideravano che anche lui avesse la sua vita? Talvolta avevo l'impressione che dietro alla richiesta di generosità si nascondesse solo una giustificazione per piegare gli altri alle proprie esigenze.

"Nah, se non altro mi sono reso utile. Itachi-nii avrebbe agito allo stesso modo,  fossero stati i ruoli invertiti. Tra fratelli ci si sostiene, no? Anche quando ci si rompe le scatole! Se non si può contare neppure sulla tua famiglia, che ci resta? Però ammetto che i piccoli delinquenti mi hanno piuttosto tartassato! Specie Saeko-chan: ha rubato il sorriso di Mefistofele, giuro!"

Effettivamente,  l'unica nipote femmina di Sasuke metteva a dura prova la pazienza di chiunque incrociasse: dai parenti agli insegnanti, tutti convenivano che possedesse un cervello programmato all'unico scopo d'inventarsi burle e dispetti ai danni del malcapitato di turno. Se non fosse stato per la sua faccia d'agnellino e la battuta pronta, Saeko-chan non se la sarebbe cavata soltanto con qualche rimbrotto, come finiva ogni sua impresa di briccona in erba. Avere poi il suo fratellino Kiyoaki-kun in veste di suo fidatissimo complice non l'aiutava certo né a migliorare il suo caratterino, né gli altri a beccarla in fallo. Ciononostante, era impossibile non amare le due carognette.

"Poverino, chissà perché ma do ragione ai tuoi nipoti!"

 Infatti, io ero la terza complice, alla faccia delle esasperate accuse d'infantilismo da parte del mio moroso.

"Lo sapevo, traditrice!", si lagnò melodrammatico, unendosi tuttavia alla mia risata, forzatamente tenuta di molti hertz più bassa, affinché non svegliasse nessuno, Hinata-chan in primis.

"Davvero non ti ha scomodato quel favore?"

"Aspetta, non è che speravi che mi facessi prete lì al santuario?"

"Ovvio che no! Hai delle responsabilità nei miei confronti!", eruppi con eccessiva veemenza, decisamente troppa per passare inosservata. L'idea che Sasuke m'abbandonasse mi pareva ... malsana, impossibile, mostruosa! Non doveva minimamente osare una tale porcata nei miei confronti, non dopo quello ch'era successo, che stava ancora succedendo. Non glielo avrei permesso! Io forse stavo commettendo un errore, però ... però lo stesso non mi meritavo quell'ulteriore stilettata al cuore!  

Sobbalzai alla replica lenta, circospetta e mortalmente grave di Sasuke: "Ah, sì? E quali?", inquisì ambiguo, impedendomi di capire se mi stesse dileggiando o se avesse preso sul serio le mie parole. Cosa non avrei dato per avergli potuto parlare a quattr'occhi, uno di fronte all'altra, così da studiare le sue espressione e realizzare dove lui volesse andare a parare!

Resami conto d'aver gelato la previa atmosfera d'intima connivenza, mi risolsi immediatamente a rifilargli una rapida frottola, sperando che se la bevesse senza tante storie. "Ehm ... No, ecco ... ciò che intendevo dirti è  ... è che mi avevi promesso di uscire a cena il 6 febbraio ... Non immaginavo tu fossi il tipo da disdire un appuntamento!", dichiarai a voce un po' più alta,  neanche avessi voluto auto-convincermi delle mie medesime parole.

"Casomai l'incontrario."

"Cosa?! Teme, io non ti ho mai dato bu- ..."

Dling-dlong.

"...-ca! Argh, visto?! Per colpa tua ho urlato e adesso i vicini sono venuti per il mio scalpo!"

"Col nido d'uccello che ti ritrovi in testa, dovranno accontentarsi di poco!"

"Teme ... ! Teme ...!", digrignai i denti, appoggiando il cellulare da cui si sentivano le risate convulse di Sasuke e procedendo imbufalita verso la porta, nel frattanto che elaboravo mille e più insulti per quel disgraziato che si permetteva di burlarsi delle mie figuracce. Tzé, aspetta di vedermi all'appuntamento! Vedi come sentirai le tue, brutto macaco!, schiumai peggio d'un sifone di seltz, togliendo il catenaccio e girando la chiave dalla parte opposta. Dopodiché spalancai di malagrazia la porta, assumendo velocemente l'espressione più contrita del mio repertorio facciale.

"Mi scusi, Reiko-san, per averla disturbata, ma sa, il mio fidanzato ..."

M'interruppi, gelata e non per il freddo inverale di fine gennaio. M'occorsero alcuni secondi per realizzare che mi stavo scusando col vuoto: davanti a me non si trovava la figura tarchiata della mia vicina Reiko-san, né di qualsiasi altro condomino disturbato alle tre del mattino. Il corridoio esterno era deserto, ricoperto da un lieve strano di neve immacolata, senza alcuna traccia d'impronte rivelatrici del passaggio di chicchessia. 

Allungai il collo, mi guardai attentamente a destra e a sinistra. Niente. Non c'era nessuno.

Chi aveva dunque suonato? Che me lo fossi immaginato?

Ma sì, si trattava dell'unica soluzione logica: a causa della mia coscienza sporca per la mia impertinente violazione del regolamento del condominio, m'ero autosuggestionata, figurandomi l'ovvia reazione del vicinato, in caso m'avessero scoperta.

Beh, tutto bene quel che finisce bene, giudicai, rientrando e massaggiandomi le braccia onde riacquistare un po' di calore: nella mia fretta di rispondere, m'ero infatti dimenticata d'indossare almeno una coperta di lana e ne stavo conseguentemente pagando le gelide conseguenze.

"Ma tu guarda se devo avere anche le allucinazioni acust- ..."

Dling-dlong.

Adesso me l'ero davvero immaginato? Si trattava davvero di una colpevole proiezione della mia mente?

Strinsi i pugni, girandomi lentamente verso la porta.

Dling-dlong.

Sobbalzai all'indietro, impaurita e indecisa sul da farsi. Avrei dovuto aprire? Che stavolta fossero davvero i vicini?

Dling-dlong.

E se invece si trattasse di un malintenzionato? Se ne sentivano ogni giorno di attacchi nelle case dove vivevano delle ragazze sole!

Dling-dlong.

Col cuore in gola, corsi alla porta, la chiusi velocemente a chiave. No, dietro ad essa poteva aspettarmi l'imperatore stesso, ma non l'avrei aperta neppure sotto tortura!

E nell'esatto momento in cui, con mano tremanti, sistemavo il chiavistello, la maniglia si piegò all'ingiù in un sordo schiocco, presto seguito da un rumore altrettanto secco e profondo. 

Qualcuno dall'altra parte stava tirando, cercando d'entrare con la forza.

Gridai e presi d'istinto a trattenere la maniglia nel disperato tentativo d'impedire, che essa cedesse il passo a questo visitatore notturno.

Invano.

Malgrado i miei sforzi, gli gelidi spifferi mi rivelarono crudelmente come la serratura avesse già ceduto, lasciandomi a mo' d'ultimo difensore il catenaccio.

"Hinata-chan! Hinata-chan!", ululai disperata, pregando qualunque divinità a me nota, che la mia coinquilina non si trovasse in una fase rem troppo profonda da non sentirmi, seguitando a dormire.

La catena scricchiolava, tesa come una corda di shamisen per l'immane sforzo di rimanere attaccata ...

"Perché non mi fai entrare?", mi domandò una voce petulante ... di chi? di che cosa? da dietro la porta.

 Urlai di nuovo, fuori di me dalla paura, e senza accorgermene abbandonai la presa alla maniglia, indietreggiando disordinatamente fino ad inciampare sulle nostre scarpe.

E sarei molto probabilmente caduta di schiena, ferendomi, se Hinata-chan non m'avesse afferrata al volo, sostenendomi. 

"Nacchan! Che ci fai qui sola al buio? Cosa sta succedendo?", m'interrogò sconcertata la ragazza, guardando sconclusionatamente dal mio viso al minuscolo ingresso giacente nel caos più assoluto. "Stai bene? Sei pallida come lenzuolo ..."

Staccandomi energicamente da lei, barcollai fino alla porta, aprendola con la medesima fermezza di uno sull'orlo di una crisi di nervi.

Vuoto.

Non c'era alcun segno d'anima viva sul corridoio. Niente vicini, niente malvivente, niente, niente, nessuno! Neppure delle impronte!

Ma io avevo sentito suonare quel dannato campanello! Avevo visto la maniglia piegarsi e la serratura forzata, avevo udito benissimo quella frase appena appena coperta dal brusio del traffico: Perché non mi fai entrare?

Tutto questo non poteva appartenere alle chimere d'una mente agitata! Non poteva!

"Nacchan ...?"

"Scusami, m-mi ... mi sono sbagliata. Devo ... devo aver ... devo aver fatto un ... un incubo ... Scusa, ancora ...", scivolai via da lei a capo chino, afferrando il cellulare e filando nella mia cameretta.

Una volta dentro al sicuro, mi nascosi sotto le coperte.

"Naruko, cos'è successo? Perché gridavi?"

Merda m'ero dimenticata di chiudere la conversazione con Sasuke!

"Niente ... niente ... un cane randagio s'era intrufolato in casa ... che spavento! ..."

"Eh? Un randagio?"

"Lascia perdere! ... Mi sono sbagliata! ... Ti richiamo domani! ... Buonanotte! ...", ansimai in fretta, premendo ansiosamente il tasto rosso e appoggiando celere il telefonino sul tatami. Infine, mi raggomitolai in posizione fetale sotto il mio morbido e caldo rifugio.

Perché non mi fai entrare?

Quanto accadutomi era il frutto della mia immaginazione.

Perché non mi fai entrare?

E basta.

Perché mi rifiuti?

Non era successo niente.

Perché non mi fai entrare?

Assolutamente niente.

"Nacchan? Tutto a posto?"

Moué! Moué! Moué!

"Oh no, l'hai svegliato! E adesso come si fa? Un'altra notte in bianco, no!"

Moué! Moué! Moué!

I colpi al muro da parte dei vicini non tardarono ad accodarsi ai vagiti del piccino.

"Fallo tacere!"

Moué! Moué! Moué!

"Silenzio!"

Moué! Moué! Moué!

"Non se ne può più!"

Moué! Moué! Moué!

"Domani devo andare al lavoro, io!"

Moué! Moué! Moué!

Che m'importava, ormai?

Dopo un'esperienza simile, non avrei più potuto lo stesso addormentarmi.

Perché?

 

 

 

Venerdì,  30 gennaio 1998

-  mancano 7 giorni all'Appuntamento-

 

 

 

Causa un portentoso mal di testa, per poco non mi dimenticai di firmare l'attestato di presenza a fine lezione e solo grazie al tempestivo intervento d'Hinata-chan mi vennero risparmiati un sacco di disturbi burocratici, primo fra tutti la caccia al  professore.

"Sei molto pallida, Nacchan. Sii sincera, stai sul serio bene?", s'informò preoccupata la ragazza, reggendomi delicatamente per il braccio, onde contenere il mio barcollare. "Vuoi andare in infermeria?"

No, quella no.

"E' un po' di stanchezza, Hinata-chan, niente di che. Qualche ora in letto e torno come nuova ...", mormorai, chiudendo gli occhi feriti dalla fredda e tagliente luce invernale filtrata dalle ampie finestre del corridoio. Necessitavo di buio e quiete.

Avevo infatti dormito male quella notte, tormentata da una caotica e spaventevole sequenza di incubi nei quali tiranneggiava la presenza di un bambino avvolto in un mantello blu. Il cappuccio, ben calato sul viso ancora paffuto, glielo nascondeva, impedendomi di decretarne il sesso. Tuttavia, questo non l'ostacolava dal ripetere in un'ossessiva cantilena: Perché non mi fai entrare? E quando tentavo d'obbligare quell'onirica creatura a lasciarmi in pace o perlomeno di rivelarmi che accidenti volesse da me, essa si liquefava in una pozza d'acqua, la quale si trasformava in un'onda gigantesca che s'abbatteva con inaudita ferocia su di me, trascinandomi via con sé fino ad annegarmi.

Non riuscivo a togliermi quelle immagini dalla testa. Più forzavo il mio cervello a dimenticare, più questi mi riproponeva l'incubo con inquietante nitidezza, associandolo crudelmente agli avvenimenti di ieri. Secondo il mio strambo cervello, i due fatti erano legati da una loro misteriosa e perversa logica.

A me pareva assurdo. Anzi, non sussisteva proprio alcun collegamento. Perché doveva? Quello del 29 gennaio doveva essere stato uno scherzo di cattivo gusto da parte di qualche buontempone d'un condomino. Altrimenti, chi diamine poteva essere stato? I ladri non entrano di certo dalla porta ...

Non mi accorsi, tanto le mie speculazioni m'annebbiavano la mente, d'aver camminato in stato pressoché sonnambolico fino all'uscita dell'università. Mi sentivo infatti rallentata, come se mi avessero presa pesantemente a ceffoni. La testa mi girava e anche la mia visuale si riempiva di puntini neri e figure traballanti. Una vampata di calore m'accese le gote, mentre una gelida mi scuoteva i muscoli e le gambe, costringendomi a sedere sulla prima panchina disponibile.

Lentamente, estrassi dalla borsa una bottiglietta d'acqua, agognando a rinfrescarmi. Sennonché, vuoi la stanchezza vuoi un'oscura agitazione, essa mi scivolò dalle dita, rotolando via. Nella caduta il tappo, per metà aperto, cedette completamente, riversando il contenuto della bottiglia in una languida pozza sul pavimento immacolato.

Merda!, imprecai mentalmente, estraendo un fazzoletto e adoperandomi subitaneamente ad asciugare quel liquido macello. Sperando che nessuno s'avvicinasse nel frattempo ...

Tutt'ad un tratto m'irrigidii.

Non so spiegare cosa percepii in quel momento, ma il mio corpo si bloccò come fulminato. Uno strano ronzio mi pulsava nelle orecchie, accompagnato dal battito impazzito del mio cuore. La gola mi si seccò, i denti presero a cozzare tra di loro.

Venni pervasa dal terrore più assoluto, quando, osando levare perlomeno lo sguardo, notai poco distante dalla mia mano asciugatrice due piedi.

Ma non di studenti. O di professori. O comunque d'un individuo adulto.

No.

Dalle dimensioni ridotte e soprattutto dalle scarpette, realizzai d'avere un bambino davanti a me, il quale se ne stava lì, in mezzo alla pozza d'acqua, senza curarsi delle calzature bagnate né accennare di volersi spostare da essa. Per quanto avessi gli occhi inchiodati per terra, potevo percepire il suo sguardo indagatore sulla mia nuca.

Perché non mi fai entrare?

Reagisci.

Perché non mi fai entrare?

Reagisci!

Perché non mi fai entrare?

Alzati!

Alzati! Ora!

Balzai in piedi di scatto, mulinando scompostamente le braccia per mantenere l'equilibrio.

Un singhiozzo isterico mi scappò dalle labbra.

Il bambino era svanito. Sempre che ci fosse mai stato.

La pozza d'acqua giaceva ancora lì, grassa e intatta, priva delle scie e sbavature di chi può averla calpestata.

Raccolsi tutto in fretta e me ne andai senza voltarmi.

 

 

~~~

 

 

 

Tale era il mio stato d'agitazione, che rinunciai a servirmi dei mezzi pubblici per ritornare al mio appartamento, preferendo invece camminare. Una sorta d'istinto segreto mi sussurrava, infatti, d'evitare luoghi chiusi, là dove sarei stata "vulnerabile". Da cosa, da chi, ancora non lo avevo ben definito, sebbene nutrissi già qualche teoria a riguardo, scartandola subito dopo più per principio che per non crederci di per sé.

Dovevo riposarmi: l'unica spiegazione logica del mio comportamento assolutamente isterico e irrazionale risiedeva sulla mancanza di un adeguato riposo. I miei nervi a pezzi avevano poi aggiunto quel tocco di cubismo perfetto per lasciarmi suggestionare da eventi risibili. Da mere coincidenze.

L'incidente di ieri mattina? Uno scherzo.

I piedi del bambino misteriosamente scomparso? Un'illusione ottica.

E basta.

Molto probabilmente avrei fatto meglio a ritornare a casa per il weekend, conclusi mentre salivo per la scala esterna, così da meglio prepararmi per l'appuntamento e presentarmi di conseguenza più calma e padrona di me. Sarebbe stato increscioso da parte mia d'offrire un patetico spettacolino di me.

"Fallo tacere!", lessi casualmente, o piuttosto calpestai.

Levando il piede sul foglio di carta su cui poggiavo, mi chinai per raccoglierlo.

Scritte a caratteri grossi e snervati su fogli spiegazzati e inumiditi dalla neve, numerose repliche di quel Fallo tacere! giacevano come d'autunno le foglie sui marciapiedi lungo l'intero corridoio esterno del mio pianerottolo, creando una scia cartacea che terminava sulla porta della vicina.

"T'incoraggiano a sfornar figli e dopo si lamentano se si comportano come i neonati che sono ...", udii una voce roca alle mie spalle. Il piagnucolio di sottofondo dissolse ogni mio dubbio sulla sua proprietaria: si trattava di Tenten-san, l'elusiva vicina nubile. Una madre molto giovane e al contempo vecchia, come rimarcai dal viso estremamente infantile per quanto sciupato da un intimo sfinimento e affanno.  Venticinque anni dimostrati soltanto sul passaporto.

"Tenten-san ...", la salutai incerta.

I suoi occhi scuri e cerchiati da profonde occhiaie si posarono sul foglio che tenevo in mano.

"Ah! Non è mio! Non ... non sono stata io!", protestai immediatamente la mia innocenza. "I vicini ..."

Ma la giovane donna non diede cenno d'avermi ascoltata; al contrario, mi s'avvicinò trasognata, strappandomi di mano il pezzo di carta con la rigidità d'un automa. Similmente, lacerò i suoi doppioni appiccicati sulla porta.

"Senta ... Posso immaginare che non sia facile per lei, viste ... viste le sue attuali condizioni di madre e single, però ...  però dovrebbe far visitare il suo bambino da un pediatra; insomma, non è normale che pianga così ..."

Le labbra della vicina si piegarono in una smorfia mista di fierezza e disdegno. "E' solo un neonato! Cosa vuoi che faccia? Che lo ammazzi per compiacervi? Per qualche notte di riposo in più?", strillò nevrotica, abbracciando convulsamente il piccino, che gorgogliò qualcosa contro il suo petto. "Bisogna eliminare qualsiasi essere vi dia fastidio, allora?", aggiunse, sbattendo la porta.

Rimasi lì inebetita e sbigottita sul corridoio, le dita ancora piegate come se stessero stringendo quel dannato foglio. Quando finalmente mi decisi a muovermi, squillò il cellulare.

Sasuke.

Rifiutai di riflesso la chiamata, chiudendo a chiave la porta e appoggiandomi sfinita ad essa.

Era questo il mio destino donna  (per lo più giapponese)? Sposarmi, rinunciare ad una carriera e avere figli che si dovevano comportare peggio dei robot, giacché disturbavano? Sarei stata l'ennesima Hinata-chan o Tenten-san?

No, scossi il capo dinanzi allo specchio sull'ingresso. Non mi sarei ridotta così.

Fatti forza, Naruko.

All'appuntamento risolverai tutto.

Decisi dunque di estrarre dalla tasca il cellulare per telefonare a Menma, confermandogli di venirmi a prendere per rientrare assieme a Konoha.

"Perfetto! Ci vediamo alle quattro e mezza alla stazio- ... Naruko?"

La voce mi morì in gola.

Mi mancò il respiro.

Dallo specchio, inspiegabilmente, aveva iniziato a colare acqua, la quale simil fontana scivolava lenta ma inesorabile lungo la superficie liscia, raggiungendo i miei piedi in serpentini rivoletti.

Ricordo che la testa prese a girarmi vorticosamente.

Poi, il buio.

Perché non mi fai entrare?

"Naruko!!"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued ...

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 E finalmente, eccoci qua!

Dopo un inizio soft,  terminiamo col botto! XD

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se avete domande, perplessità e curiosità, fatemi sapere!

E magari un po' di feedback, ch'è sempre cosa buona e giusta e gradita dall'autrice!

Alla prossima, ciao!

 

Un po' di noticine:

 

[1] Kirisutokyouto = cristiano.

[2] Pan-Pan Girl; Only = Onde evitare stupri di massa - specie nei confronti delle donne di ceto medio-alto - il governo giapponese instituì, durante l'occupazione americana, la RAA ovvero Recreation Amusement Association. Sennonché, in seguito all'altissima diffusione di malattie veneree nei bordelli, questi vennero chiusi nel 1946. Molte donne rimasero così senza lavoro e finirono per prostituirsi per le strade assumendo il soprannome di Pan-Pan Girls, riconoscibili dallo smaccato rossetto scarlatto, l'eterna sigaretta, calze di nylon e tacchi altissimi. Le Only, invece, erano quelle prostitute più fortunate che riuscivano a farsi mantenere da un solo cliente, spesso militari di un rango più alto. Molti storici identificano le "Pan-Pan Girls" e le "Only" come simbolo dell'umiliante liberazione americana del secondo dopoguerra. 

[3] Santuario di Nostra Signora di Akita = Akita è il luogo della serie di apparizioni mariane e lacrimazioni della statua raffigurante la Vergine dal 1973 al 1981. La veggente era Suor Agnese Katsuko Sasagawa, dell'ordine delle "Serve dell'Eucarestia", destinataria inoltre di tre messaggi da parte della Madonna. Ad accertarsi della veridicità degli eventi ad Akita fu proprio Joseph Ratzinger, allora cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

[4] San Pauro Miki e i Martiri di Nagasaki = San Pauro (o Paolo) Miki fu il primo gesuita e predicatore giapponese. A causa della persecuzione anticristiana in Giappone indetta dallo shogun Hideyoshi, venne arrestato e crocifisso assieme a venticinque compagni sulla collina di Tateyama presso Nagasaki, il 5 febbraio 1597. Proclamati santi da Papa Pio IX nel 1862, la loro memoria liturgica si celebra il 6 febbraio.

[5] Kakure Kirishitan del Periodo Edo = per sfuggire alle feroci persecuzioni, i cristiani giapponesi adottarono metodi di camuffamento per praticare lo stesso la loro religione, come ad esempio incidere una croce dietro la statua del Buddha. Per questo motivo, vennero chiamati "Kakure Kirishitan" ovvero "Cristiani Nascosti".

[6] Brano tratto dal romanzo "Haru no Yuki" (La neve di primavera) di Yukio Mishima, 1968, il primo libro della tetralogia "Il mare della fertilità". 

  
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