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Autore: Giadavnt    05/02/2015    1 recensioni
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate di questa storia. E' formata da due soli capitoli ed è ambientata in un futuro mondo invaso dagli zombie. Jade vive nella Città, una zona circondata da alte mura in cui vivono tutti i sopravvissuti. Suo padre è il capo della Città. Quest'ultimo però muore in battaglia e tocca a lei prendere il suo posto. Vedremo la sua reazione alla morte del padre e la sua parte psicologica che cadrà lentamente insieme alla Città. Storia ispirata da uno dei miei tanti sogni strani.
Genere: Horror, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Perché ci mettono tanto? Il rientro era previsto per oggi...

Mi guardo intorno guardando ancora la Città come faccio ormai da 2 anni a questa parte. Circa da quando ha iniziato a diffondersi il “virus”. Non so se si possa chiamare proprio così. Non sappiamo come sia nato, da dove venga e perché. E' stato per volere divino o siamo noi stessi ad aver creato tutto ciò con qualche strano potere che non sappiamo d'avere? Alcune volte penso che ci stiamo prendendo in giro da soli: non possiamo continuare a vivere in questo modo, nella Città. Non dovrei farne di questi discorsi ma non riesco a frenare i miei pensieri -dopotutto quando mai ci sono riuscita?-, gli stessi che hanno contribuito a creare tutto quello che ci circonda e che attualmente ci sta salvando la vita. Fisso le altre mura e il grande cancello di ferro da cui ora riusciamo a vedere la vecchia città.

Cerco sempre di bearmi di quell'immagine e fissarla nella mente dato che, dopo il rientro della spedizione, il cancello sarà sigillato e ricoperto dalla protezione di ferro mimetizzandosi con il resto delle mura grige. Sento i bambini dietro di me che chiedono alle loro mamme perché non si possa andare li fuori e le donne che rispondono imbarazzate inventandosi qualche scusa plausibile per non rivelare la verità. Una verità che li terrorizzerebbe riempendo i loro sonni di incubi. Proprio come è successo e succede ancora a me. Ho diciassette anni e vivo questa realtà già da un po' ma gli incubi continuano a terrorizzarmi riportandomi sempre a quella notte. A quando scappammo da casa nostra per sfuggire all'attacco di quelle creature sovrannaturali e disgustose che riuscirono però a portarsi via mia madre. Da allora cominciammo a creare la Città...

Stringo gli occhi ricordando quei momenti dolorosi e strazianti. Sento una mano che stringe la mia. La riconosco ma alzo comunque lo sguardo per guardare gli occhi di mio fratello, Vick. Ha perso i genitori e mio padre lo ha adottato, dovrei chiamarlo “fratellastro” ma non mi piace questo dispregiativo. Lui mi conosce meglio di tutti, anche perché sa il dolore che ho passato e che passo ogni volta che mio padre va in missione. Da quando ci siamo conosciuti è sempre stato la mia ancora, in mio punto di appoggio. Mi stringe a sè e voltiamo di nuovo lo sguardo verso il cancello aspettando il ritorno del gruppo di uomini che si sono avventurati li fuori alla ricerca di risorse e viveri per gli abitanti della Città.

Un militare affacciato al cancello ci grida che li vede, sono tornati! Tutte le donne coi figli si avvicinano al cancello tenendosi poi a distanza di qualche metro come dicono chiaramente le regole di qui. Io e mio fratello invece ci avviciniamo completamente al cancello chiudendo le sbarre nel palmo chiuso a pugno. Un uomo grande e robusto si avvicina velocemente irritato dal nostro comportamento ma muta subito espressione non appena ci identifichiamo. Il cancello comincia ad aprirsi con uno scossone e ci allontaniamo leggermente. Il gruppo di circa 40-50 uomini ci investe e tra i tanti visi comincio a cercare quello di mio padre. Niente, non lo vedo da nessuna parte. Il cancello si richiude e sento il rumore insopportabile della copertura di ferro che ritorna al suo posto. Con un ultimo tonfo si richiude completamente. In quel momento sento una mano poggiarsi sulla mia spalla. In un attimo l'euforia si impossessa di me e mi giro col sorriso sulle labbra pronta a vedere il viso paterno. Ma il mio sorriso si spegne velocemente.

-Philip! Dov'è mio padre?!- sento il tono isterico della mia voce, mi agito ancora di più.

-Jade...mi dispiace...- il tono è basso come il suo sguardo. In un momento non capisco più niente. Mi sento la testa girare, la vista appannarsi e la forza venire meno. Cado a terra inginocchiata con lo sguardo vuoto. Non so cosa sto guardando, non so cosa sto pensando. Buio. Vuoto totale. Sento Vick vicino a me che mi sostiene e mi scuote leggermente. Philip mi si inginocchia di fronte. Prende una mia mano mettendomi qualcosa sopra e me la stringe fra le sue. Poi parla ma lo sento appena.

-Siamo stati attaccati all'improvviso e molti di noi non sono riusciti a salvarsi. Tuo padre ha combattuto instancabilmente e con una forza e volontà che non immagini. Con le sue ultime forze mi ha dato questo per consegnarlo a te e dicendomi che vuole che sia tu ora a comandare. A portare avanti tutto questo che siamo riusciti a costruire grazie a te, tuo padre e tante altre persone cui non finiremo mai di essere debitori.- gli scende una lacrima.

Mi sento presa dall'agitazione ancora più di prima.

-Come io?!- urlo -Io dovrei comandare?! Non ne sono capace! Non so come fare!- mi metto le mani nei capelli e urlo tra le lacrime non riuscendo a controllare più me stessa. Philip mi blocca le spalle in una presa forte e mi guarda negli occhi fisso.

-Jade, ascoltami! Tuo padre credeva in te! Tutti noi crediamo in te! Conosci più di tutti quanti noi la Città, sei intelligente e astuta. Tu sei... tu sei proprio come tuo padre. Ed è per questo che devi reagire!- fa una pausa e mi fissa – hai capito?-

Sento le lacrime scendere ancora di più, guardo il palmo della mia mano sinistra trovandovi l'anello di diamante nero di mio padre. Fisso il serpente argentato che si attorciglia attorno alla cerchio nero. In un momento mi sento come se quel serpente stesse stritolando me e mi manca il respiro. La vista si appanna ancora di più. L'ultima cosa che vedo è il suolo avvicinarsi sempre di più.

  
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