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Autore: controcorrente    05/02/2015    1 recensioni
Metà del 1800. Soledad Blanca Escobar ha solo 8 anni eppure sa già quanto sia veritiero il significato del proprio nome e, forte dell'esperienza della sua famiglia, arriva a pensare che amore e matrimonio non siano compatibili. Soledad rinnega l'amore ed ogni forma di sentimento, ritenendolo causa di ogni sua sciagura...eppure sarà proprio un matrimonio combinato a farle capire quanto sia importante...sia pure a caro prezzo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Violenza
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Altro capitolo di passaggio. Chiedo scusa per il ritardo ma ho un bell'impegno e quindi ho lasciato questo pezzo in un angolo, prima di decidermi a pubblicarlo. Spero che sia venuto bene. Il viaggio di Soledad non è finito comunque.
 
 
TOPI
 
 
La chiesa di Don Armand era di medie dimensioni. Là vivevano il parroco e la sua perpetua, unici abitanti dell'edificio, fino al nostro arrivo. Fummo i primi ospiti della foresteria della parrocchia, poiché la maggior parte dei visitatori erano concentrati nel porto e non si avventuravano quasi mai nella zona residenziale. Mio padre, dopo il primo giorno, cominciò ad entrare ed uscire da quelle mura, partendo alle luci dell'alba e tornando la sera, dopo il crepuscolo. Non lo vedevo mai.
Rimanevo spesso in compagnia della perpetua, mademoiselle Marie. Nè io né lei eravamo felici di questa situazione. La donna non aveva fatto mistero di non amare gli infanti ma non ebbe modo di lamentarsi con me.
Ero una bambina silenziosa, che non piangeva mai.
Quell'assenza di parole fu un fattore che apprezzò fin dall'inizio, anche se non mancava di dire qualche velata critica al comportamento del mio genitore...e non poteva essere diversamente. Non era sfuggito a nessuno quel colore della pelle, troppo scuro per essere semplicemente frutto del sole della Spagna ma solo Marie ebbe davvero motivi di esporre qualche lamentela. Spesso la vedevo chiudere e contracchiavare tutte le serrature e, come se non bastasse, controllava gli averi della chiesa con maggiore attenzione rispetto al solito.
Non ne capivo la ragione ma non mi piaceva.
Don Armand ci aveva ospitato nella sua parrocchia, rispettando la promessa fatta all'ambasciatore. Se fosse entusiasta del nostro arrivo o simulasse, questo non l'ho mai saputo. La sua perpetua, Marie, non aveva la stessa capacità nel dissimulare le proprie emozioni. Malgrado fossi il ritratto del silenzio, era solita seguire con lo sguardo ogni mia mossa, con un'espressione di sospetto misto a pietà. Quelle maniere divennero una triste abitudine che non aiutò a scacciare da me quell'odioso senso di oppressione che sentivo dentro e che lasciavo fluire nelle interiora, impedendogli di uscire. Ben presto, immersa in quella stasi odiosa, presi coscienza del mio nuovo stato.
Potevo vedere il cielo.
Potevo guardare la città dalle finestre della casa.
Potevo sentire il tiepido calore di quella luce lattiginosa che penetrava dalle finestre.
La diffidenza della perpetua era una fedele compagna di quelle giornate, la sua voce una melodia sgradita e inevitabile. In quel periodo, provai nostalgia per la Spagna, per i muti pomeriggi nella mia scura casa di Cordoba, quando vivevo in compagnia della mamma e di una dama di compagnia. Si chiamava Ines ed era una donna dai tratti lusitani, che non parlava mai, se non interrogata. Spesso mi chiedevo come avrebbe reagito, sapendo che ero in quella foresteria, inchiodata ad una sedia a rotelle. Avrebbe parlato? Si sarebbe arrabbiata?
Non lo avrei mai saputo.
Ines era stata congedata dal suo lavoro tre mesi prima della morte della mamma. Quel particolare mi rattristò e consolò insieme. Ricordo che, al momento della partenza, quella dama aveva pianto a lungo, mentre si avvicinava, dritta sulla schiena, alla carrozza che aveva noleggiato per tornare dalla sua famiglia.
Mentre ero in quella chiesa, la nostalgia per lei era scoppiata in modo improvviso e insopportabile. In passato, trovavo fastidiosa quella persona, per via della sua severità...ma, lì, in una terra dove sentivo una lingua molle ed estranea, quella mancanza acquistava improvvisamente un significato diverso, quasi di dolcezza, benché questa fosse una qualità assolutamente inappropriata per quella dama.
Non smettevo però di rimpiangerla, soprattutto quando sentivo addosso l'occhiata pesante, ossessivamente sospettosa della perpetua. Mi sembrava di soffocare...mentre lo stesso non poteva dirsi del mio sciagurato genitore. Non aveva mutato affatto le sue abitudini e, malgrado tutto, continuava ad uscire ed entrare dalla chiesa con la medesima sicurezza con cui era arrivato. Mi domandai come facesse.
Mi chiedevo come potesse fare una cosa simile. Aveva commesso ogni dolore possibile alle persone che gli stavano attorno...perché continuava a vivere con quell'espressione sicura stampata in volto?
Come poteva non sentire gli sguardi che scivolavano impietosi su di lui? Non lo avrei mai saputo.
Spesso sognavo Honor...ma erano visioni che non amavo ricordare. Il suo viso mi fissava vacuo, immoto nella posa della morte. Un'espressione terribile che mi lasciava addosso brividi di gelo che non riuscivo a scacciare per ore. Anche farmi toccare da Don Escobar aumentava quel freddo ma si trattava di eventi sporadici e scarni, giacché il mio genitore era restio a qualsiasi contatto fisico.
Quel pensiero era l'unica consolazione che potessi avere, malgrado la presenza costante degli incubi. Vedevo il viso di mia madre, la sua espressione immota ed il suo tentativo di ghermirmi, insieme ad una fosca risata che non aveva niente di umano.
Ogni volta che ciò accadeva, mi svegliavo di soprassalto, con un urlo stretto in gola ed il freddo fin dentro le ossa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mio padre non riposava nella mia stanza.
La perpetua non aveva gradito, sostenendo che era contrario ad ogni forma di decenza. Le fui grata di quella scelta ottusa e bigotta perché non avrei tollerato la presenza di Don Escobar ancora a lungo ma devo ammettere che mio padre non mostrò né fastidio, né interesse per questa negazione.
Le ruote della carrozzella non producevano nessun suono e quel particolare mi disorientò. Dopo aver perso il mio primo mezzo, a seguito dello sciagurato volo nelle acque marine, mio padre era riuscito a comprarne un'altra, anche se usata. La trovai poco agevole, malamente oliata, tanto da produrre un fastidioso stridio ad ogni moto...poi tutto cambiò. Una mattina smise di far rumore, senza una ragione apparente. Pensai che fosse opera del parroco, benché quella risposta rapida mi suonasse falsa e priva di fondamento.  Il prete era scarsamente interessato alle questioni pratiche, per cui una simile spiegazione finì ben presto per apparirmi insensata. Ugualmente mi rifiutai di pensare che fosse mio padre. Non riusciva a venirmi spontanea una simile relazione, anche perché Don Escobar si era sempre comportato come un perfetto gentiluogo. Immersa nel silenzio della notte, andavo lungo i corridoi della foresteria. Avevo pensato di andare nella cappella della chiesa, per trovare un po'di sollievo a quella mancanza di sonno che non se ne andava via.
-...e l'ultima volta, sapete? Ha fatto anche questo. Ha guardato nell'argenteria della sacrestia...In nome di Dio, se quella bestia prendesse i sacri oggetti...-fece una voce stridula e leggermente strisciante.
Mi fermai di botto, udendo quel tono e, nascosta in un angolo buio, mi misi in ascolto.
-Non temete. Quell'uomo è una persona per bene. Ha dato la sua parola e, finora, non ha mai avuto modo di darmi pensiero. In questi giorni, ha detto che ha preso in seria considerazione il mio suggerimento di cercare un lavoro...-disse ma la donna lo interruppe con una rozza risata.
-Ma chi sarebbe tanto folle da assumere un pezzo da forca di quella risma...un senza Dio di tal genere...-continuò,sputando veleno ad ogni sillaba.
-Vi prego di tacere. E'un uomo battezzato.-la informò il parroco.- Inoltre ha il rispetto di Louis, per cui abbiate la decenza di non proferire altre parole così ostili.-
A quelle parole, seguì un silenzio.
Io rimasi immobile, la voglia di pregare improvvisamente svanita. Quelle parole così cattive si conficcavano dentro, facendomi più male di quanto credessi. Don Escobar era pur sempre mio padre...e quella donna parlava di lui in un modo che non riuscivo a sopportare. Era strano. Avrei dovuto essere solidale nell'odio nutrito verso il mio genitore...ma non ci riuscivo.
Era una contraddizione a cui non sapevo trovare una risposta, troppo schiava dei confini netti, troppo sciocca per capire le sfumature. Sapevo solo che quella vecchia cattiva mi accusava di cose che non avevo commesso e che non conoscevo nemmeno.
Quel pensiero fu la scintilla che mi spinse a dare inizio alla mia piccola e silenziosa lotta contro quella megera...ma fu un episodio che mi fece scattare qualcosa dentro.
La vecchia non smetteva di mugugnare tutte le volte che vedeva mio padre, riservandomi sguardi colmi di pietà.
Un giorno, la vidi in cortile, intenta a tendere delle coperte.
-Oh, buongiorno, bambina.-disse, non appena mi notò.
-Buongiorno-risposi sommessamente.
La donna prese una delle stoffe. -Dove state andando?-chiese, sospettosa.
-A pregare.-feci, guardandola.
La perpetua annuì. -Una magnifica scelta cara...d'altra parte, occorre servire al meglio Nostro Signore e rendergli la giusta gratitudine.- mormorò, con un tono per nulla casuale.
-Mia madre mi ha insegnato il valore della preghiera.-risposi, studiandola.
-Allora vi ha insegnato bene.-commentò...ma la piega della bocca rimase ferma in una linea colma di disgusto e supponenza.
Quel tono non mi piacque.
-Ho pregato per lei. -aggiunsi, studiandola diffidente.
-Naturalmente, voi siete una brava bambina.-fece, mantenendo lo stesso tono di prima. -Ad ogni modo, non basta essere buoni. Purtroppo, non basta.-
Non mutai espressione ma non potei negare a me stessa quanto fossi turbata. -Perché? Padre Manuel mi ha detto che è giusto che io preghi se voglio essere una brava bambina.-risposi, irrigidendomi al ricordo del prete che era solito regalarmi biscotti di mandorle durante le feste religiose, insieme agli altri bambini che seguivano la lezione di catechesi a Cordoba, tanto tempo prima.
La vecchia rise. -La volontà non basta, bambina. I peccati sono insidiosi e non possono essere scacciati con un superficiale pentimento. L'anima sa essere molto debole.-rispose -Ci sono persone che, per quanta volontà possano avere, non riceveranno mai alcun perdono perché la loro natura è maligna.-disse, fissandomi.
Quella frase non era caduta in modo casuale ed io ero così abituata ad osservare che non fu difficile cogliervi qualcosa dietro. Le parole della vecchia mi facevano venire in mente mio padre. Mi chiesi se quello che diceva fosse vero...e le ferite sanguinarono di nuovo. Don Escobar non era un uomo affettuoso.
Non l'ho mai visto sorridere ma questo importava poco alla mamma. Mi diceva che non era nella sua natura farlo...ma non sapevo se parlasse così per rassicurarmi sull'affetto che nutriva per me, oppure per nascondermi una realtà triste e opprimente. Non l'ho mai saputo. Era un segreto che custodivano Honor e Don Ignatio...uno spazio che a me era completamente precluso.
-Voi dite?-domandò.
La perpetua annuì. -Ogni buon cristiano sa che la fede non basta per salvare la propria anima. Ci vogliono anche le opere.- continuò, con fare convinto-Ecco perché le brave persone si distinguono con azioni pie e caritatevoli. Solo un animo probo lo fa. Gli altri non sono che peccatori.- Mosse alcuni passi -Voi sapete perché gli animi corrotti alla fine vengono puniti?-
Quella domanda, posta in modo incurante, non ottenne risposta. In qualche modo, mi rifiutai di pensarlo perché temevo che potesse emergere la mia colpa. Con il mio sciocco gesto, mi ero negata la possibilità di vedere mia madre.
Avevo preso l'abitudine di frequentare assiduamente la chiesa, con la speranza di porre rimedio alla mia mancanza...ma come ero perseverante nella preghiera, altrettanto non riuscivo a trovare nei miei sogni Honor ed il suo gentile abbraccio.
A volte mi domandavo se Don Escobar vivesse nei sogni i momenti passati con lei...ma ormai è impossibile saperlo. Avevo così tanta paura da non riuscire a chiedere una cosa simile.
Così rivolsi la mia attenzione a quella vecchia dagli occhi cattivi. -Voi dite che coloro che hanno commesso una cattiva azione siano immeritevoli di perdono?-domandai, pensando alla mia condizione.
-I peccati hanno un peso enorme, specie se ripetuti con sottile compiacimento. D'altra parte, chi pecca prova un sottile piacere nel farlo.-rispose, guardandomi fisso.
Quella vista mi fece vacillare ma le gambe erano insensibili ai miei voleri e così rimasi inchiodata al mio posto. Non vi era modo di sfuggire a tutto questo.
Non c'era più un luogo per me.
La vita isolata della mia prima infanzia, ridotta al cortile del palazzo Escobar di Cordoba era diventato il mio mondo. Lo avevo trovato soffocante e tetro...ed ora mi mancava più che mai. Immediatamente il peso del mio peccato gravò di nuovo nella mia anima, tirandola giù e rendendola grave come il mio corpo.
Ero diventata anima dannata, senza possibilità di riscatto.
-E così cara- mormorò la perpetua- chi cresce nel peccato non può che commettere il peccato. Non è possibile ottenere redenzione.-
Quella verità mi colpì in pieno, facendo vacillare le poche certezze che avevo. Guardai allora gli occhi di Mademoiselle Marie e vidi un tono malevolo e pieno di supponenza. -E'così cara- disse- ma voi non avete alcuna colpa.-
La fissai a lungo.
Era molto diversa dalla Senorita Ines. La dama di mia madre era sempre silenziosa e impenetrabile ma mi trattava bene, senza eccedere con leziose parole. Mademoiselle Marie, invece, usava parole dolci e sguardi carichi di sospetto.
Non mi piaceva ma non avevo modo di andarmene. Lei mi avrebbe sempre seguita e la carrozzella rendeva i miei spostamenti piuttosto difficili, così rimanevo ad ascoltare la sua voce odiosa. -Vostro padre dove va?-chiese.
-Non lo so-risposi, guardandola fisso.
La perpetua scosse il capo. -Povera piccola.-mormorò, mentre prendeva alcuni piatti- Un padre non dovrebbe lasciare la propria figlia da sola. Io non lo farei mai.-
-Perché dite in questo modo?-chiesi, inarcando la fronte.
Il tono della donna si fece improvvisamente tagliente. -Dico semplicemente che quell'uomo ha qualcosa di losco. Dimmi, bambina, è vero quello che ha detto, ovvero che ha lasciato la Spagna perché ingiustamente accusato di un crimine non commesso?-fece, alludendo alla scusa che Don Escobar aveva raccontato al parroco.
Istintivamente mi fermai.
-Non è vero che è rimasto vedovo?-chiese di nuovo.
Nemmeno allora aprii bocca. Lasciai il cucchiaio che avevo usato per mangiare la zuppa. Era l'unico piatto che Marie ci preparava, malgrado avessi visto la dispensa piena di ogni tipo di leccornia. Mio padre non diceva nulla, del tutto ignaro o, forse, disinteressato, alle sue maniere.
Per l'ennesima volta, mi chiesi perché.
Perché aveva voluto che venissi con lui?
Non sarebbe stato meglio lasciarmi in Spagna, sola al mio destino come le mie sorelle maggiori? Forse era vero che il mio nome era carico di significati mesti, malgrado fosse legato al culto della Vergine. Mi ritrovavo completamente abbandonata ad una sorte incerta e, per quanto fosse odioso e insopportabile ammetterlo, dovevo appoggiarmi all'unico individuo che poteva permettermi di vivere con meno angosce. Provai a rispondere...ma la voce non mi arrivava alla gola e così mi limitai a muovere la testa.
-Oh-disse- che peccato. Povera piccola...lasciata da sola...in questo mondo corrotto.-
Camminò qualche istante, muovendo il corpo grasso e molle. -Pover uomo, ha dovuto sopportare molte cose...chissà quali dolori hai sofferto...-
Istintivamente, mi morsi a sangue il labbro. Non amavo quel tono insinuante, come detestavo la sua finta cortesia.
-Immagino che anche vostra madre abbia avuto molte angosce ma, dopo tutto, siete una famiglia molto sfortunata.- continuò – Iddio opera in modi strani e imperscrutabili...-
-Mia madre è morta.-feci, interrompendo quelle parole per me prive di senso.
Quella era l'unica verità a cui potevo credere. Rivedevo l'espressione di Honor irrigidita nella morsa della Morte, gli occhi rivolti verso mio padre perdere la loro luce. Non potevo dimenticare la sua colpa e la vita che aveva tolto anche a me quel giorno. Marie mi scrutò con sconcerto. Strinse le labbra in una smorfia di disgusto, salvo poi riprendere la stessa espressione accondiscendente di pochi istanti prima. -Povera piccola, mi dispiace molto che tu soffra così tanto. E'pur sempre tua madre, per quanto sventurata...ed è ovvio che la vostra condizione sia dovuta a ciò. Non può che essere così del resto.- disse, mentre mi dava le spalle.
-Mia madre non ha colpe.-replicai.
Marie si irrigidì. -Invece sì. Voi parlate con affetto ma nulla toglie che vostra madre abbia agito sconsideratamente...ed è stata punita. Altrimenti non vi avrebbe mai lasciato sola.- rispose, fissandomi.
Quelle parole mi trafissero.
Honor mi aveva lasciato.
-Nessuna madre lascerebbe la propria figlia ma posso solo immaginare la sua sofferenza...d'altra parte, sposarsi con un tipo losco porta sempre a questi risultati e quando la lussuria ha il sopravvento, è evidente che il peccato domini tutto.- disse, mentre lasciava la cucina per raggiungere la sagrestia. L'odore del cibo era denso. Tra alcune ore avremmo mangiato e Marie aveva preparato il pranzo per il parroco e per sé stessa. Guardai le pietanze. Erano diverse da quelle Don Escobar ed io mangiavamo: ricche di salse e di carni saporite, erano in dosi abbondanti...mentre a noi toccava spesso una zuppa insapore e povera, così priva di sostanza che in quel periodo sentivo i miei vestiti più larghi, tanto da farmici quasi annegare dentro. Ero dimagrita molto...e compresi ben presto perché. Anche se il parroco ci ospitava, non voleva dire che ci accogliesse con generosità.
Una delle pentole era abbassata, quel tanto che bastava per mostrare un arrosto. Mi avvicinai a quella carne.
Padre Armand e Marie mangiavano riccamente, trattandoci come ospiti sgraditi. Mio padre aveva deciso di lasciarmi da sola, in quel luogo umido e freddo, insieme alla mia ansia e alla paura di un futuro sempre meno sereno.
Mio padre, la causa delle mie disgrazie, mi aveva abbandonato.
E' evidente che il peccato domini tutto aveva detto la perpetua...un lampo d'ira mi attraversò. Come osava quella donna insinuare che mia madre fosse una persona del genere?
Fu così che sputai nella carne destinata al prete e a Marie, decretando la mia piccola guerra personale. Avevo molte colpe, lo credevo...ma, di certo, le calunnie della donna erano più di quanto potessi sopportare. Fu così che iniziò la mia piccola guerra personale contro la perpetua.
Durante tutta l'assenza di Don Escobar, mi presi l'impegno di rendere la vita di Marie il più difficile possibile. Mettevo ogni mia energia nel rovinarle il lavoro, ben sapendo che quella donna non poteva toccarmi. Ne ero convinta.
Facevo le cose più disparate.
Sputavo nei loro piatti.
Mettevo di proposito lo zucchero nelle pietanze salate, rovinando il pasto.
Aggiungevo qualche ramo verde nel focolare dove arrostivano carni e pesci, rendendo il sapore meno piacevole.
-Marie-disse un giorno Padre Armand- state bene? La vostra cucina non è più come prima.-
-Mi...mi dispiace- balbettò la donna.
-Immagino che siate stanca. Riposatevi qualche giorno.-disse.
Vidi quei rimproveri a breve distanza ma quella vista mi provocò un sottile piacere. La mia rabbia si era scagliata su quella vecchia cattiva e malevola...dandomi un sollievo momentaneo. Forse non avrei mai più rivisto Honor...ma avrei difeso il suo onore, per quanto piccole fossero le mie forze.
 
 
 
 
Tempo dopo, con il proseguire dei dispetti, Marie iniziò a dubitare di me...ed io, infine venni scoperta. -Finalmente vi siete tradita, piccola miserabile-disse, prendendomi malamente per un braccio e tirandomi. Io mi aggrappai alle maniglie e così fui trascinata via.
-Fin da quando siete venuti qui, tu e quello zingaro di tuo padre, ho capito che siete una razza maledetta. Avete portato solo guai.- continuò rabbiosa- Ma ora vi sistemo io!-
Invano feci resistenza.
Fui trascinata fino ad una stanzetta scura. Non l'avevo mai vista prima di quel momento.
-Padre Armand mi ha detto di non farvi del male...ma questo non significa che non vi punirò ugualmente. Ve ne rimarrete qui, fino a quando imparerete il valore della riconoscenza.- disse, dandomi uno spintone e chiudendo a chiave la porta.
Nemmeno badò alla forza usata...e tutto fu normale.
Fu normale il tonfo secco dell'uscio che si serrava.
Fu normale che la carrozzella su cui stavo dondolasse pericolosamente.
Fu normale che oscillasse, fino a eccedere.
Fu normale perdere l'equilibrio.
Caddi al suolo con un tonfo sordo, attutito appena dagli abiti ormai troppo larghi per me.
Un po'stordita dal brusco movimento, percepii comunque, con estrema chiarezza il dolore partire dalle gambe e raggiungere il resto del mio corpo, diretta conseguenza dell'urto..un dolore così forte da farmi urlare.
La mia voce rimbombò nella stanzetta, ritornando indietro in un suono indistinto. Aprii gli occhi. Ero in una stanzetta in penombra, con un perenne e odioso odore di salamoia e vino, un tanfo così forte da farmi avere un capogiro.
Dove sono? Mi chiesi, guardandomi incerta.
Alcuni movimenti, provenienti dagli angoli più bui di quel posto, catturarono la mia attenzione. -Chi c'è?-chiesi, mentre fissavo ogni singolo punto, per quanto fosse impossibile vedere bene tutto...ma ricordo bene una cosa.  Vidi dei puntini luminosi, poco lontani da me. Istintivamente mi rannicchiai. Il cuore martellava fusioso, mentre mi pareva di udire un passo strisciante e infido. Lì per lì, non seppi dire cosa fosse...ma quando sentii altri suoni, piccoli e striduli, non potei fare a meno di cacciare un urlo.
Erano topi.
 
 
 
Non seppi dire quanto rimasi. Il dolore della caduta non si era affievolito e, come se non bastasse, mi era sembrato che una parte del vestito si fosse macchiata, appiccicandosi alla pelle. Non seppi dire cosa fosse di preciso. Il tempo trascorso in quella cantina appariva lungo e interminabile e, all'odore stantio del posto, si era aggiunto anche quello penetrante dell'urina. Non avevo avuto modo di farmi cambiare ma la mia immobilità mi impediva di espletare i miei bisogni in un angolo. Rimasi dove ero caduta, su quel pavimento umido, sporco per natura e per i miei escrementi.
Marie non tornò più.
Sembrava essersi dimenticata di me...e quel pensiero mi gettò nella paura più profonda.
Nessuno avrebbe mai saputo dove fossi.
Nessuno sarebbe venuto a portarmi via di lì.
Nemmeno mi accorsi che avevo cominciato a singhiozzare.
 
 
 
 
 
All'epoca dei fatti, molte cose mi erano negate. Qualcosa, forse un velo di sottile premura nei confronti della mia giovane età, rendeva gli adulti restii a rivelarmelo ma anche questa involontaria gentilezza, dovuta alla presunzione che io non comprendessi, non mi risparmiava le cose spiacevoli...e forse il risultato era ancora peggiore.
Se avessi saputo, per quanto inaccettabile, mi sarei data pace per ciò che mi accadeva. Invece vivevo nell'ignoranza più tetra. C'erano silenzi che essi mi procuravano, per difendermi e silenzi che io stessa mi creavo, per tenermi lontana da una realtà sempre più orribile ai miei occhi.
Neppure ora riesco a credere a quanto ho vissuto.
Continuo a illudermi che le cose siano frutto di una fantasia deviata e perversa...ma ho ormai imparato a non retrocedere alla verità. Per quanto brutta e terribile, ella non mente.
 
 
 
 
 
Un rumore secco mi riscosse. Aprii gli occhi...ma fui costretta a richiuderli. Una lama di luce fendette il mio sguardo. Sbattei le palpebre più volte...e quando fui in grado di vedere, la nera sagoma di Don Escobar comparve davanti a me.
Lo vidi accucciarsi di fronte, rimanendo qualche istante a fissarmi. Io ricambiai, troppo debole per poter reagire. -Siamo rimasti troppo a lungo -mormorò -ora ce ne andiamo.-
Con un gesto leggero mi prese in braccio.
-Vogliate scusarmi- fece il parroco.
-Non ve ne è ragione-rispose Don Escobar- abbiamo approfittato a sufficienza della vostra generosità. Rimanere oltre sarebbe troppo.-
A passo cadenzato, raggiunse la porta. -Siamo tutti esseri umani e peccatori-disse, non appena passò accanto al religioso- ma questo non significa che approvi questo stato di cose. Per la vostra serenità, noi lasceremo subito la chiesa.-
Padre Armand sussultò.
-Ma...così presto...se è per Marie, io...- provò a spiegare.
-Non riferirò nulla a Louis. Ha già fatto troppo.-lo interruppe mio padre- Gli farò avere mie notizie ma quanto avvenuto non giungerà alle sue orecchie. Ha un animo buono e conserva un'ottima opinione di voi. Non sarò io a distruggere tutto questo. Addio.-
Ero esausta ma udii distintamente quello scambio di frasi. Tenendomi in braccio, mi condusse fuori dall'edificio e, sotto un'umida nebbia, raggiungemmo una carrozza a noleggio che se ne stava proprio di fronte. Don Escobar mi depose al suo interno, adagiandomi in un angolo. Poi si pose accanto a me. -Cocchiere, possiamo andare, come stabilito-disse, incrociando le braccia e guardando fisso di fronte a sé.
Il mezzo partì subito e, sotto quel moto oscillatorio, scivolai piano in un sonno senza sogni.
 
Scrivere questo capitolo è stata dura e ancora sono poco soddisfatta della forma. Il nome Soledad è legato ad un culto della Vergine ed è diffuso in Spagna. Il viaggio della nostra protagonista non si è ancora concluso ma scrivere questo capitolo è stato complicato, in termini di forma. 
   
 
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