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Autore: Acinorev    07/02/2015    12 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo ventiquattro - Broken

 

Quel pomeriggio, Emma costrinse Pete e Nikole ad incontrarla a casa di quest'ultima: li aveva caldamente invitati a rimandare qualsiasi impegno, in modo da concederle una valvola di sfogo. Non riusciva a trovare pace, ad attenuare le emozioni che continuavano a farle fremere le mani e ad incresparle le labbra in un sorriso costante: aveva bisogno di parlare con qualcuno del fuoco che le ardeva dentro, della notte appena trascorsa e delle sensazioni che ne aveva ricavato.
Come una bambina estasiata.
Fu Pete ad aprirle la porta, infagottato in una sciarpa in lana nera ed in un maglione sformato, che cadeva morbido sui pantaloni neri ed aderenti. «Il giorno che arriverai in orario, ti darò un bacio in bocca. Con la lingua», la salutò, alzando un sopracciglio con sufficienza: aveva le guance arrossate ed i capelli spettinati, la voce nasale a storpiare il suo solito stoicismo.
«Ci conto», ribatté Emma, sorridendo per il raffreddore che lo rendeva più irritabile del solito. «Sai? Sei carino quando stai male», aggiunse, seguendolo in casa e lasciando la porta a chiudersi alle proprie spalle.
«Gliel'ho detto anche io: è così tenero, con quel nasino rosso», esordì Nikole, comparendo dal corridoio che portava alle altre stanze: il volto finalmente più sereno, anche se solo in apparenza. «Ho anche provato a coccolarlo un po', ma è peggio di una donna mestruata», scherzò subito dopo, baciando l'amica su una guancia, mentre Pete si sdraiava stancamente sul divano del piccolo salotto, grugnendo qualcosa.
«Pensa quando va a letto con qualcuno», le confidò Emma all'orecchio, sicura che le sue parole fossero udibili anche a distanza. «Come farà?» domandò con divertimento, togliendosi la giacca ed avvicinandosi a lui.
«Giusto», esclamò Nikole, assumendo un'espressione pensierosa. «Insomma, in occasioni del genere dovrai pur farti toccare. Sai- »
«Piantala», la interruppe Pete, con il viso nascosto in uno dei cuscini del divano.
«Come funziona, esattamente, quando sei un caso sociopatico?» riprese lei, con sincero interesse. «Voglio dire, hai dei limiti? Del-»
«Vuoi smettere di dire stronzate?» sbottò lui nuovamente, stavolta lanciandole il cuscino.
Emma rise di gusto, mentre Nikole sbuffava allegra: i capelli corvini erano raccolti in una coda disordinata, alla quale sfuggivano ciocche indisciplinate.
«A proposito, com'è andato l'appuntamento con quella ragazza?» gli domandò, ricordandosi all'improvviso di quel particolare: ovviamente lui non ne aveva parlato, tenendo fede alla propria riservatezza, ed ovviamente lei si sentiva in dovere di indagare.
Pete trattenne uno starnuto, ma non si mosse per guardarla negli occhi. «Bene», borbottò.
«Solo bene?»
«Solo bene».
«Nient'altro?»
«Cos'altro vorresti sapere?»
Nikole intervenne, sedendosi ai piedi del divano. «Sei proprio un maschio».
«Andiamo, non puoi essere così apatico», commentò Emma, accarezzandogli la schiena e dandogli un pizzicotto.
Lui sospirò sonoramente e si mise a sedere, solo per impedirle di infastidirlo ancora. «Non sono apatico, è solo che non ho voglia di confidare i miei piccoli segreti sbrilluccicanti di arcobaleni con le mie amichette del cuore», esclamò, con il tono irreprensibile a contrastare con l'evidente ironia delle sue parole.
Entrambe sorrisero, scuotendo la testa. «Be', almeno ha ammesso che siamo le sue amichette del cuore», sottolineò Nikole, rivolgendosi ad Emma con un occhiolino soddisfatto.
«Piuttosto, non ci hai chiesto di vederci per un motivo?» domandò Pete, passandosi una mano dietro al collo ed incrociando le gambe.
Emma sobbalzò come se qualcosa l'avesse punta sul vivo ed increspò le labbra per nascondere l'ennesima espressione eccessivamente felice.
«Oh, mio Dio. Guardala! È arrossita», constatò Nikole, sbattendo le palpebre con stupore.
«Non è vero, smettila», la contraddisse la diretta interessata, distogliendo lo sguardo per un solo istante.
«Sì che è vero!»
Pete abbandonò il capo contro lo schienale del divano e chiuse gli occhi: era difficile dire se si stesse preparando ad ascoltare discorsi alle sue orecchie poco stimolanti, o se il raffreddore gli stesse dando del filo da torcere.
«Cos'è successo?» domandò Nikole, facendosi più vicina e mordendosi un labbro. «Si tratta di Harry, vero? Sicuramente, sì».
«Fammi almeno rispondere», precisò Emma, abbozzando una risata imbarazzata: nonostante i suoi ventidue anni, tutta la sua sicurezza era facilmente intaccabile da un nome e da emozioni che le impedivano di non reagire come una ragazzina alle prime armi. Quel contatto ritrovato, intimo, le aveva inflitto il colpo di grazia.
«Avanti, racconta».
«Be'», cominciò quindi, stringendosi nelle spalle, «ieri sera mi ha portata a mangiare fuori: non pensavo avrebbe scelto un posto così romantico, sul serio. Eravamo tesi: giuro che persino parlare normalmente sembrava difficile». La sua voce sfumò in un ricordo tiepido, che la riportava alle sensazioni di nemmeno ventiquattro ore prima: raccontarle era riduttivo, non poteva rappresentare la loro intensità.
«Ok, ma ora passa al momento in cui ti porta a casa sua e fate sesso tutta la notte», la incitò l'amica, annuendo come per sottolineare l'invito.
Emma corrugò la fronte, reprimendo una risata. «Cosa ti fa pensare che sia andata così?» le domandò, fingendosi offesa per quell'insinuazione.
«Perché non dovrebbe essere andata così?»
Pete si intromise, aprendo gli occhi solo per poterle rivolgerle uno sguardo apparentemente annoiato. «È ovvio che un ragazzo che ti porta a cena fuori, per di più in un ristorante tanto romantico, abbia intenzione di portarti anche a letto».
«Mi dispiace deluderti, allora, ma la tua ampia esperienza nel campo ha dei punti deboli», decretò Emma, assumendo un'espressione altera e raddrizzando la schiena, come a conferirsi maggiore credibilità.
«Vuoi dire che ti ha riaccompagnata a casa senza nemmeno sfiorarti?» domandò Nikole, quasi delusa da quell'eventualità.
Le labbra dell'amica si tesero in un sorriso malizioso. «No, voglio dire che non siamo riusciti ad aspettare di arrivare a casa».
Pete sospirò.
L'altra spalancò la bocca. «L'avete fatto sul tavolo, davanti a tutti? Tra le ostriche ed il vino?» chiese, ovviamente fantasticando su possibilità poco probabili.
Emma rise piano. «In bagno», la corresse a bassa voce, mentre otteneva in risposta un gridolino soddisfatto ed un applauso rapido di trepidazione.
Pete mugolò qualcosa, infastidito. Gli occhi di nuovo chiusi.
«E poi siamo andati a casa sua».
E quello fu troppo.
«Che diavolo, Kent, è mai possibile che ogni volta che vai a letto con Harry Styles tu mi costringa ad ascoltare i tuoi resoconti?» sbottò lui, con la voce nasale ad accompagnare e smorzare la sua irritazione. La sua gelosia fraterna. «Non è che mi interessi particolarmente sapere quando, dove e quante volte il suo aggeggio si sia incastrato nel tuo», aggiunse gesticolando, mentre un ricordo si insinuava nella memoria di entrambi: anche quando Emma aveva perso la verginità si era svolta una scena simile.
«Sei un bugiardo», lo rimproverò bonariamente lei, rivolgendogli un sorriso affettuoso. «Anche perché, se ti desse così terribilmente fastidio, non rimarresti ogni volta ad ascoltarmi».
«Ecco, allora facciamo in modo che non ci siano molti atri racconti del genere, hm?» propose lui, starnutendo subito dopo.
«Così tenero», ripeté Nikole in un sospiro incantato, osservandolo in viso con l'intento di punzecchiarlo.
«Se la mia faccia raffreddata ti piace così tanto, posso presentarti mio fratello: tanto è in città», esclamò Pete, arrestandosi immediatamente nell'accorgersi di aver parlato troppo.
Emma indietreggiò impercettibilmente, quasi a volersi allontanare da quella novità inaspettata. Non era certamente la prima volta che Dallas tornava a Bradford – città che negli ultimi tempi era interessata da troppe partenze e da troppi ritorni - eppure la notizia aveva incrinato il suo equilibrio per un solo, ma significativo istante.
«Da quanto?» domandò soltanto, fingendo indifferenza.
«Due giorni», rispose lui, stringendosi nelle spalle e tirando su con il naso. Si era prima accertato di non aver causato una reazione eccessivamente negativa.
«Quando se ne va?»
«Non lo so».
Nikole si accorse del clima teso e, essendo al corrente dei loro trascorsi, si sentì in dovere di smorzare l'atmosfera. «Bene, allora cosa aspetti a darmi il suo numero?»
«È fidanzato, Nik», rispose Emma, alzando entrambe lo sopracciglia: era un particolare noto a tutti, ma era la sua amarezza a parlare. «E la ragazza è piuttosto gelosa, non te la consiglio affatto», precisò con stizza, ricordando i danni che aveva contribuito ad apportare.
Per una manciata di secondi il salotto restò in un placido silenzio.
«Ok, cambiamo discorso», esordì nuovamente Nikole, inumidendosi le labbra. «Non stavamo parlando del tuo focoso appuntamento?»
Un debole sorriso tornò sulle labbra di Emma: Pete nemmeno protestò – almeno non ad alta voce.
«Com'è andata? Non che io sia un'esperta in materia, dato che al massimo mi intendo degli orgasmi fasulli dei siti porno, ma so che è necessario ci sia una certa chimica, e dopo sei anni non sempre è la stessa cosa».
«Forse sarebbe meglio se davvero non fosse la stessa cosa», sospirò, abbassando lo sguardo.
Avrebbe davvero voluto che fosse tutto riducibile ad un simile concetto. Che le mani non tremassero al solo pensiero di essere lontane dalla sua pelle. Che il suo cuore non accelerasse nel ritmo nel ricordare momenti troppo intensi.
«Ti stai innamorando di nuovo di lui?»
Le domande di Pete non erano mai discrete, né prevedibili: troppo sincere nella loro semplicità, erano in grado di travolgere qualsiasi muro di protezione fosse stato alzato contro di loro.
Emma lo guardò con gli occhi sbarrati, allarmati da una possibilità che non era affatto estranea o improbabile. «È... Possibile?» sussurrò, in un'affermazione dubbiosa.
Pete alzò gli occhi al cielo, lasciando apparire un mite sorriso sulle sue labbra sottili, ed abbandonò di nuovo il capo contro il divano.
 
 
 
Lea le stava di fronte, a suo agio nel mezzo dell'attenzione di qualsiasi persona le passasse casualmente accanto: chiunque nel pub si era sentito obbligato a soffermarsi anche solo per un istante sulle sue gambe nude sotto il tavolo, sul suo viso truccato con naturalezza e sui suoi capelli mossi in onde morbide. Emma, dal canto suo, si divertiva nel tenere il conto di quanti ragazzi ed uomini avessero bofonchiato qualche silenziosa imprecazione nel ritrovarsi dinanzi al corpo di Lea.
«Sono davvero felice, sai?» esclamò lei, bevendo l'ultimo sorso di un coktail colorato. Avevano entrambe la gola secca per l'ora e mezza trascorsa a raccontarsi ininterrottamente.«È bello sapere di poter parlare nonostante quello che è successo con mio fratello».
Emma annuì con un vago sorriso. «Sì, è bello anche per me», confermò: quel pomeriggio, aveva accolto con piacevole sorpresa l'invito di Lea ad incontrarsi per qualcosa da bere e per quattro chiacchiere. Non la vedeva dalla mostra d'arte, né si erano sentite nel frattempo, e le sarebbe dispiaciuto veder sfumare il loro rapporto solo per i problemi con Miles.
«Devo ammetterlo: è anche merito suo se ti ho chiesto di vederci», continuò lei, inumidendosi le labbra ed osservandola con cautela.
«In che senso?» indagò Emma, curiosa.
«Abbiamo parlato di te, l'altro giorno: ovviamente non voglio farti impietosire raccontandoti i vari stati depressivi di mio fratello, anche perché credo che stia un po' meglio ormai. In ogni caso, mi ha detto una cosa che mi ha fatto pensare».
Emma corrugò la fronte: non le piaceva sapere della sofferenza di Miles, per quanto in via di recupero, e non riusciva a capire dove il discorso l'avrebbe portata. «Una... Cosa?» domandò infatti, sperando in ulteriori spiegazioni. Lea era una perfetta oratrice, ma le sue pause ad effetto riuscivano a risultare snervanti, quando troppo personali.
«Mi ha detto che tu sei già andata avanti con un'altra persona, o almeno che ci stai provando». Un respiro lento. «E che questa persona è Harry».
Lei trattenne un respiro, improvvisamente più a disagio: Miles non si era mai premurato di mettere la sorella al corrente di questioni che pensava non la riguardassero, soprattutto perché non era mai venuto a sapere del suo flirt passeggero con Harry. Evidentemente, però, il momento della verità era arrivato.
«Mi dispiace non averti detto di me e lui», esclamò quindi: più di una volta l'aveva ascoltata parlare di lui, ma mai aveva accennato al loro passato o al loro presente.
Lea scosse la testa con un sorriso mite. «No, non preoccuparti: capisco che non erano affari miei», la rassicurò: le sembrò un discorso vagamente superficiale, ma non la interruppe. «E mi fa piacere che tu non ce l'abbia con me, nonostante quello che è successo con Harry».
Stavolta fu Emma a scuotere il capo, stringendosi nelle spalle. «Non sono quel tipo di persona», le ricordò, forse mentendo in minima parte: sapeva essere terribilmente gelosa, e non poteva negare di aver sentito un forte risentimento nei confronti di Lea, ogni volta che pensava alle sue attenzioni per Harry, ma non le avrebbe sicuramente portato rancore. «E poi, tu stessa hai detto che tra voi è durata pochissimo: non ti ha scaricata subito, per citarti?»
E lui stesso aveva chiarito come l'avesse usata per avere una reazione da Emma.
Lea si accigliò appena, ma le sue labbra continuarono a formare un sorriso esitante. «Sì, diciamo che ci siamo visti solo un paio di volte», confermò. «Però non ero certa che per te fosse indifferente il fatto che siamo andati a letto insieme: per questo mi ha fatto piacere sapere che... Be', che va tutto bene».
L'ambiente che le circondava svanì in un silenzio surreale: Emma restò con lo sguardo sul suo viso, le mani abbandonate sul tavolo in legno ed il respiro immobile. Rielaborò le parole appena udite, ripercorrendole mentalmente più e più volte solo per accertarsi di non star vivendo una brutta illusione, uno scherzo di cattivo gusto.
«Come?» riuscì solo a sussurrare, senza nemmeno sbattere le palpebre.
Lea la osservò con confusione, ma capì immediatamente: si appoggiò allo schienale della sedia e schiuse le labbra. «Io... Pensavo che tu lo sapessi. L'ho dato per scontato, voglio dire... Non so nemmeno perché, è solo-»
Emma non ebbe bisogno di interrompere verbalmente le sue scuse, perché fu il suo volto a parlare al suo posto: strinse i pugni sul tavolo, per cercare di contenere l'inferno che si agitava a livello del suo stomaco in quel momento. Non poteva credere che Harry fosse stato con Lea, che le avesse mentito a riguardo – facendole intendere di esser stata solo una provocazione – e che avesse osato disprezzare il comportamento di Miles, quando il suo si era rivelato così simile.
«Quando è successo?» domandò meccanicamente, serrando la mascella.
Lea si mostrò dispiaciuta. «Emma, mi dispiace davvero: non volevo fartelo sapere in questo modo».
Stava pregando che lei le dicesse che era successo solo all'inizio, prima di tutto.
«Va bene, non fa niente», la rassicurò, con una freddezza glaciale: non ce l'aveva con lei, non voleva incolparla, ma le era impossibile trattenere la delusione. Arginarla. «Quando è successo?» ripeté.
«Più o meno una settimana prima della mostra al Rogers Museum», rispose Lea. «Prima che mi scaricasse».
Cercò di aggrapparsi a quella briciola di sollievo derivante dalla consapevolezza di un episodio lontano, non in grado di macchiare i loro recenti passi avanti. Ma non fu sufficiente.
Harry aveva goduto nel presentarsi a paladino della giustizia e della sincerità, accusando Miles di essere un vile per il suo tradimento e lei di avere sospetti infondati: a quella stessa mostra – e dopo essersi riavvicinato in mille modi, dopo essere andato a letto con Lea – le aveva rimproverato di essere troppo cieca, di aver frainteso le sue intenzioni nel chiedere proprio a Lea informazioni sull'evento. Aveva indossato una maschera ben progettata, in modo da risultare la vittima, ma aveva taciuto su ciò che effettivamente avrebbe dovuto confessare.
Lo disprezzava per questo.
Poteva accettare il fatto che fosse stato con un'altra, dal momento che la loro storia in quel periodo non era nemmeno ricominciata, ma non poteva accettare la sua disonestà. Non con lei, non nel sospetto di tutte le sue paure. Non un'altra volta.
Era la menzogna a farle male, la lucida volontà di nasconderle la verità, anche quando lei lo rimproverava ed anche quando si esponeva nel dichiararsi spaventata da ulteriori ferite. Non era facile sentirsi presa in giro per l'ennesima volta: era solo terribile.
«È meglio che io vada, adesso», si congedò, alzandosi lentamente dalla sedia ed infilandosi la giacca.
Lea la imitò nei movimenti, allarmata. «Mi dispiace davvero tanto», ripeté di nuovo.
«Non sono arrabbiata con te, Lea: tu non potevi saperlo e, in fondo, in quel periodo tra me ed Harry non c'era nulla di certo», disse a bassa voce. Nemmeno in quel momento poteva più essere sicura della solidità del loro rapporto. «Non hai nessuna colpa, davvero», cercò di rassicurarla: la verità era che non voleva sfogare la propria rabbia in sua presenza, perché sentiva di averle ceduto anche troppo, inconsapevolmente. Voleva solo andarsene.
«Ok, m-»
Emma si allontanò, senza nemmeno lasciarle terminare la frase.
 
 
 
Un nuovo messaggio: ore 22.56
Da: Harry
“Perché continui a staccarmi le chiamate?”
 
Un nuovo messaggio: ore 23.14
Da: Harry
“Che sta succedendo?”
 
Un nuovo messaggio: ore 23.23
Da: Harry
“Mi sono stancato di chiamarti: quando hai voglia, fatti sentire”
 
 
 
Emma percorse le scale velocemente, con la mascella serrata con tanta rabbia da provare dolore: suonò il campanello, poi bussò alla porta ed infine suonò un'altra volta. Temeva che il proprio viso potesse sgretolarsi da un momento all'altro, data la tensione che lo stava plasmando fino all'inverosimile: sapeva che quella momentanea assenza di espressività fosse sul punto di lasciare il posto alle sue reali emozioni, ma non voleva che accadesse mentre era sola.
Udì Pete borbottare un «Arrivo» infastidito, e l'istante successivo la porta era aperta: per pochi istanti non fecero altro che osservarsi. Emma aveva le braccia rigide lungo i fianchi e gli occhi sicuramente in grado di allarmare chiunque li avesse conosciuti un po' più a fondo. Difatti, il suo amico corrugò la fronte, con le labbra ancora schiuse per l'intenzione di maledire chiunque l'avesse disturbato con così tanta insistenza. La osservò attentamente, comprese.
«Aspetta un attimo», mormorò serio, prima di chiudere di nuovo la porta e lasciarla sul pianerottolo: Emma abbassò le palpebre e si trattenne, cercò di resistere alla confusione ed alla necessità di rompersi. Non capiva il perché di quell'attesa, ma si decise a contarne ogni secondo solo per restare aggrappata alla realtà.
Dopo settantré secondi esatti, la porta si spalancò di nuovo, ma sulla sua soglia comparve una ragazza minuta e dai lineamenti paffuti: un viso dolce e roseo a studiarla con curiosità, forse compassione, e due occhi castani a riprendere il colore dei capelli ricci, voluminosi.
Emma capì di aver interrotto qualcosa, ma non riuscì a sentire il peso di quella responsabilità: la ragazza la superò velocemente, stringendo a sé una borsa forse recuperata in fretta, sotto sollecitazione di Pete.
Pete.
Aspettò che non ci fosse più nessun'altro oltre loro, su quel pianerottolo, ed aspettò che i passi sulle scale si facessero sempre più deboli: subito dopo, fece un passo avanti e si tirò Emma contro il petto, stringendola tra le braccia con così tanta energia da impedirle un'inspirazione. Lei singhiozzò sul suo torace, aggrappandosi alla sua t-shirt smessa, e cercò di godere del suo calore, del suo profumo familiare. Cercò di sentire la fiducia che poteva riporre in quella stretta asfissiante, sicura. Cercò di compensare tutto ciò che percepiva come una mancanza.
«Sei qui», le sussurrò Pete all'orecchio, accarezzandole i capelli con movimenti fermi, ma delicati. «Sei con me», continuò.
Emma nascose il viso contro il suo collo, continuando a piangere.
 
Strinse tra le mani la tazza di thé ancora caldo, inspirandone il profumo aromatico. Raggomitolata su una delle sedie intorno al tavolo, si ostinava a tenere gli occhi fissi sul liquido ambrato.
Pete, dall'altra parte del tavolo, la osservava senza alcuna insistenza: non cercava di scavare nei suoi pensieri, né stava aspettando che gli venissero illustrati. La stava semplicemente controllando.
L'aveva accolta in casa sua senza alcuna esitazione, persino cacciando più o meno delicatamente la ragazza che probabilmente aveva invitato con modi di fare più o meno delicati: l'aveva stretta e le aveva asciugato le lacrime, ma non aveva parlato, se non per ricordarle di respirare piano e per offrirle quel dannato thé.
Emma si sentiva in dovere di dargli almeno una spiegazione, ma dire qualcosa avrebbe significato ammetterne la reale esistenza. E lei non era pronta a prendere reale coscienza della propria debolezza, della patetica ferita che si ostinava a non rimarginarsi: in altri periodi della sua vita non avrebbe reagito così, sarebbe stata forte e decisa, avrebbe urlato e si sarebbe fatta rispettare sin dal principio. Mentre ormai, dal tradimento di Miles, sembrava aver perso qualsiasi forma di resilienza: non riusciva ad affrontare le cose al modo giusto, permetteva loro di spaventarla a tal punto da renderla inerme. Inutile.
«Quella era la ragazza dell'appuntamento?» domandò flebilmente, come per mettere alla prova la propria voce. Se la schiarì, quando la percepì troppo spezzata.
Pete probabilmente annuì. «Si chiama Mandy».
«È carina», si complimentò, alzando lo sguardo su di lui.
«È brava a letto», scherzò lui, forse sperando di spezzare la tensione: dovette pentirsene subito dopo, però, quando il viso di Emma si incupì di nuovo. «Cosa è successo?» le domandò quindi, insospettito da una reazione tanto sensibile: il suo tono di voce era intriso di minaccioso sospetto, come se l'ipotesi che si era appena formulata nella sua mente si fosse rivelata semplicemente intollerabile.
Non voleva raccontarlo.
I suoi occhi si specchiarono nuovamente nella tazza ancora piena.
«Non mi piace quello che sono diventata», sussurrò, così piano da chiedersi se fosse stato solo un proprio pensiero. «E non riesco... Non so come fare a tornare quella di prima», aggiunse: le mancava il suo essere combattiva in ogni aspetto della vita, ma se ultimamente aveva sentito di poter riacquistare la stessa forza, con la delusione appena subita – ed ingigantita dai suoi timori – sentiva di esser tornata al punto di partenza.
«Non puoi decidere di cambiare da un momento all'altro», le ricordò Pete, lentamente. «Sarebbe troppo semplice, non credi?»
Emma sospirò. «Vorrei solo che fosse un po' meno difficile».
«Lo so».
Le piaceva come Pete fosse in grado di ascoltarla senza essere indiscreto, né di parte: sapeva come affrontarla anche nei momenti più duri – ne aveva dato prova in seguito al tradimento con Miles, quando l'aveva accompagnata in ogni istante di debolezza con costante tenacia – e sapeva quando parlare, quando stare in silenzio e quando aspettare.
Passarono diversi minuti in silenzio, nei quali lui non le chiese di nuovo cosa fosse accaduto: non avendo ricevuto una risposta la prima volta, sapeva che non l'avrebbe ricevuta nemmeno in seguito, a meno che lei non avesse deciso di confidarsi spontaneamente.
«Vuoi restare qui, stanotte?» le domandò invece, alzandosi dalla sedia e togliendole di mano la tazza di thé: non ne aveva bevuto nemmeno un sorso.
Emma scosse la testa. «No, grazie».
«Vuoi che ti riaccompagni a casa?»
«No».
Pete la osservò per qualche istante. «Sai? Mandy è un'appassionata di cinema», esordì poi, tossicchiando fintamente. «Il suo film preferito è Notting Hill e be', diciamo che mi ha lasciato il compito di vederlo. Le ho anche detto che partiamo già male, se pensa di rifilarmi ogni straccio di film da diabete, ma... Il fatto è che l'idea di chiudermi in stanza con Hugh Grant e Julia Roberts che amoreggiano a ritmo di canzoni sdolcinate mi fa venire la nausea, quindi se tu mi facessi compagnia, magari sarebbe tutto meno deprimente».
Lei sorrise a labbra chiuse. «Streaming o DVD?» domandò soltanto, accettando la proposta.
«Streaming, ovviamente. Non ci tengo ad avere le prove materiali di una cosa tanto patetica».
 
 
 
Un nuovo messaggio: ore 01.02
Da: Harry
“Emma cazzo rispondi”




 


Sono di un'incostanza allucinante, me ne rendo conto ahahahha Nello scorso spazio autrice avevo detto che avrei ritardato nell'aggiornamento, ieri stesso ho rieptuto che avrei aggiornato la prossima settimana, ed invece eccomi qua, due giorni in anticipo.... Vi avverto: se andrete all'università, mettete in conto di perdere il potere decisionale sull'organizzazione della vostra vita. E se ci siete già, siate comprensive hahaha
Detto questo:
- Pete/Nikole/Emma: mi era mancato scrivere di un'atmosfera così leggera, quinsi spero vi abbia fatto sorridere almeno un po' :) Dopo la notte trascorsa, Emma è davvero tornata uan ragazzina che ha bisogno di confidarsi con i suoi migliori amici: ed ammette anche che forse stanno nascendo dei sentimenti per Harry (Pete stesso lo sospetta). Dallas è in città: secondo voi si incontreranno?
- Lea: TA DAAAAAAAAAN! Piccola novità, ma non per questo di scarsa importanza: dopo aver scoperto di Emma ed Harry, si sente in dovere di assicurarsi che tra loro vada tutto bene. Svela addirittura di essere andata a letto con Harry (sinceramente, conoscendo Emma, anche io avrei cercato di capire se davvero a lei stesse bene hahaha), particolare che lui non ha mai confessato: ogni volta che si è parlato di lui e Lea, infatti, Harry ha sempre fatto l'enigmatico, lasciando intendere ad Emma che fosse solo un modo per indispettirla (ma non ha mai negato nulla, attenzione: eheheh si sa che lui non mente, al massimo omette). Preciso anche qui che Emma non è sconvolta dal fatto che tra loro ci sia stato qualcosa, ma dalla presa in giro e dalla mancanza di onestà: la sua fiducia è terribilmente precaria al momento (indebolita dal tradimento di Miles e dalla paura di essere ferita di nuovo), quindi reagisce davvero male. E si odia per questo, il che peggiora ancora di più il suo stato d'animo.
- Harry/Emma: Emma lo ignora completamente, ovviamente. Secondo voi chi andrà da chi?
- Pete/Emma: CUORE DELLA MIA VITA, voi non avete idea di quanto io ami Pete hahahah Sarà anche un orso brontolone e scorbutico, ma nel momento del bisogno sa esserci (ha anche mandato via la sua bella ragazzuola, non appena ha visto lo stato in cui era Emma). Gli voglio un sacco bene <333333333333333333333333333
E niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto :) Sono curiosa di sapere quali sono le vostre congetture riguardo ciò che accadrà ed i vostri parei su ciò che si è scoperto!
Il numero delle recensioni è un po' incostante ultimamente (ahimé, sono comunque un parametro fondamentale per capire le reazioni ai capitoli), quindi non sono sicura che vada proprio tutto bene, ma ringrazio chiunque si sia fatto vivo (anche su Ask e su Facebook), perché siete dei cuori giganteschi!!! :)

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

 
     
  

 
  
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