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Autore: fastingpylades    07/02/2015    0 recensioni
Davide si trasferisce a Venezia in un appartamento ereditato dal nonno, all'apparenza disabitato.
Il ragazzo avrà a che fare con un 'coinquilino' abbastanza particolare.
Genere: Angst, Fluff, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era sul pavimento della propria stanza ed era stata la sveglia a farlo tornare alla realtà, oltre al raggio di sole che gli illuminava il volto.  Il ragazzo non ricordava nulla della sera precedente.
Si guardò attorno e si chiese come fosse finito lì visto che l'ultima cosa che ricordava era la scena finale del film che era stato trasmesso in televisione. Dopo un quarto d'ora di ragionamenti su possibili teorie decretò che doveva essere così stanco da essersi buttato sul pavimento invece che sul letto causando anche il vuoto di memoria e l'atroce mal di testa che curò con un medicinale.
Osservò l'orologio e notò che era in ritardo per il lavoro, così in fretta e furia si vestì e uscì dalla casa non notando che la porta della stanza accanto era aperta e qualcuno lo stava osservando.

Giacinto ci aveva messo un po' all'abituarsi all'idea di essere un fantasma, faceva schifo nello spostare gli oggetti e nella capacità di non farsi vedere dalla gente.
Non aveva mai trovato pace in quella casa; i suoi abitanti si erano sempre dimostrati ostili nei suoi confronti e spesso veniva anche cacciato, anche se tornava sempre ogni volta che cambiava il proprietario.
Un po' di pace e tranquillità la trovò quando la casa la prese il nonno di Davide, il signor Marco.
Si era dimostrato gentile nei suoi riguardi e non lo aveva cacciato quando lo aveva visto per la prima volta: era autunno, il fantasma era nel vecchio studio a osservare alcuni libri che l’abitante aveva appena comprato. In vita non apprezzava la lettura, o meglio, non riusciva a trovare i testi del suo tempo interessanti rispetto a quelli che aveva conosciuto tramite i coinquilini che avevano abitato quella casa; aveva letto le opere di Goldoni perché il primo coinquilino era un attore e assisteva alle prove di quest’ultimo quando invitava gli altri attori per provare, aveva letto tutta la letteratura del Settecento e dell’Ottocento grazie a un ricco signore, non si poteva dire lo stesso di quella del Novecento visto che era perennemente cacciato di casa.
 
Sfogliava pigramente quelle pagine, seduto sullo sgabello e incurante del fatto che il signor Marco era lì che l’osservava tra il curioso e lo spaventato, insomma era la prima volta che incontrava un’entità che non faceva parte di quel mondo.
Il fantasma se ne accorse dopo aver finito di sfogliare il secondo libro, si guardarono per un po’ e Marco aprì la bocca per parlare, ma Giacinto, che era sbalordito per il fatto che non aveva urlato e non era svenuto, alzò una mano per fermarlo.
“Ho capito, me ne vado— vediamo, con te siamo al decimo padrone di casa che mi caccia dalla mia vecchia casa dove sono nato, cresciuto e morto e—”.
Marco ridacchiò e mise le mani dietro la schiena prima di guardare il fantasma che era sempre più sorpreso dalla piega che stava prendendo la situazione. Si avvicinò curioso iniziando a girargli attorno. Non aveva mai visto un fantasma e di certo non li immaginava tutti grigi e con tratti abbastanza nitidi, nei racconti li descrivevano come anime bianche dall’aspetto spesso spaventoso.
Dopo qualche minuto si fermò davanti a lui dedicandogli un sorriso dolce e incrociando le braccia al petto, Giacinto era confuso da quella situazione nuova per lui e non sapeva come reagire.
“Puoi rimanere, in fondo sono solo e avere un po’ di compagnia non fa male”.
Cosa?, pensò il fantasma che lo guardava incredulo.
“Rispetterò i tuoi spazi e non ti disturberò, in fondo sei tu il vero proprietario di questa casa!”.
Un sorriso comparve sul volto grigio e trasparente di Giacinto che finalmente aveva trovato qualcuno con cui condividere la casa senza la paura di essere cacciato via.
“Perfetto”, concordò il fantasma. “Giacinto”.
“Marco”.
 
Gli anni passarono piacevoli con lui, spesso Giacinto si prendeva cura di Marco e gli parlava un po’ di sé. In quella casa si era sempre sentito solo, ma quella sensazione di solitudine era sparita quando aveva conosciuto quel signore. Inutile dirlo, stette male per molto tempo quando morì per quel maledetto male che da tempo lo attanagliava.
Dopo quel momento, rimase nell’ombra finché non arrivò Davide. 
 
Già, Davide, il nuovo inquilino o meglio problema.
 
Doveva trovare una soluzione al più presto perché non voleva riaffrontare quel problema, non voleva essere cacciato ancora fuori di casa. Era la sua reggia, il suo palazzo e avrebbe cacciato fuori chiunque.
 
━━
 
 
Era in ritardo.
Per la prima volta in due anni, Davide era in ritardo per il lavoro,  pensò Niccolò seduto sul vecchio sgabello messo dietro la cassa.
 
Niccolò era un ragazzo di ventisei anni, capelli rossi e mossi, lavorava in quella libreria da più tempo di Davide e sapeva dove il proprietario nascondeva la roba che valeva la pena leggere almeno una volta nella vita oppure dove nascondeva il cibo da mangiare durante le ore noiose del pomeriggio.
Era stato il suo primo amico lì a Venezia e lo aveva aiutato nell’abituarsi alla vita veneziana, era stato anche grazie a lui se aveva trovato lavoro in quella libreria.
Insomma Davide gli doveva quasi la vita, ma il più grande si rifaceva ripagare con serate nella vecchia casa del nonno a parlare di libri oppure criticare vecchi film che appartenevano al signor Marco trovati su uno scaffale della libreria. Stavano bene assieme tanto che alcune persone li scambiavano per fidanzati a causa di tutte quelle parole dolci e nomignoli che si davano, ma entrambi negavano dicendo che erano solo amici, anzi, migliori amici.
 
Niccolò conosceva così bene Davide tanto da decretare che era successo qualcosa di grave se il ragazzo non si presentava, lanciò un’occhiata al telefono che spuntava fuori vicino i vari registri della quantità dei libri presenti nel locale e niente, non squillava.
Di solito, quando si ammalava, il migliore amico lo avvisava e lo tranquillizzava prima di invitarlo casa sua per  tenergli compagnia.
Si guardava attorno il rosso cercando di calmarsi, un modo per distrarsi, un modo per non pensare a qualcosa di brutto.
Non è successo niente, si ripeteva mentalmente Niccolò, che si alzò dallo sgabello per girovagare tra gli scaffali prima di sedersi per terra e appoggiarsi a uno di essi chiudendo lentamente gli occhi, magari sono venuti i suoi genitori e non può muoversi.
Annuì lentamente a occhi chiusi convinto di quel pensiero prima di alzarsi di scatto facendo cadere un libro gigante che sporgeva sulla sua testa perché qualcuno era appena entrato nella libreria con una certa fretta.
Si massaggiò la testa prima di notare che quel qualcuno era proprio Davide che stava riprendendo fiato.
“Ehi— che ci facevi a terra?”, mormorò lanciandogli un’occhiata prima di appoggiarsi al bancone e mettendosi una mano sul petto per calmarsi un po’.
“Dormivo—”, borbottò massaggiandosi la testa. Quel volume di fisica del settecento era troppo pesante per i gusti del veneziano che tornò al proprio posto e poggiò i gomiti sul bancone. “—piuttosto, perché così in ritardo? Mi stavo preoccupando, dolcezza”.
Allungò una mano verso i capelli castani del ragazzo, che si era voltato verso di lui, accarezzandogli dolcemente.
“Ho dormito troppo—”.
“Mhn, dormito troppo? Hai passato /di nuovo/ la notte in bianco?”.
“No, questa volta no!”, rispose il castano che si passò una mano sul viso prima di riprendere a parlare. “Solo che pensavo di essermi addormentato sul divano e invece mi sono risvegliato sul pavimento della mia stanza”.
“Sei sonnambulo?”
“No, ma è stran—”.
“Magari è stato un fantasma, tesoro! Molte case veneziane sono vecchissime e ci sono tanti racconti sui fantasmi legati ad alcune”.
 
Davide lo guardò confuso, per lui quelle leggende erano solo storie che il nonno gli raccontava. Da piccolo lo aiutavano a spiegare quegli strani rumori che sentiva quando rimaneva a dormire in quella vecchia casa, l’anziano signore gli raccontava di un fantasma di nome Giacinto che girovagava spesso e che amava leggere i libri che comprava.
Per un periodo aveva creduto alla presenza di quel fantasma vecchio di secoli e sperava d’incontrarlo, ma ci aveva perso la speranza quando era cresciuto.
“Nah, non credo—”, mormorò scuotendo la testa e stringendo le spalle prima di allontanarsi dal bancone dirigendosi verso il piano superiore. “E ora mettiamoci al lavoro, questi libri non si puliranno da soli”.
Niccolò scosse la testa prima di raggiungerlo al piano superiore.
“Agli ordini, dolcezza!”.
 
━━
 
Lavorarono fino alle sette di sera e la giornata passò tra un libro e qualche racconto legato ai fantasmi, quella volta Niccolò aveva alcune cose da fare a casa per questo aveva declinato l’invito di Davide che non disse nulla. Ogni tanto il rosso aveva dei piccoli impegni che riguardavano dei libri lasciati in eredità dalla sua bis-bis-bisnonna, ma non aveva voluto chiedere cosa c’era scritto in quei testi che il migliore amico aveva definito quasi indecifrabili, però erano importanti a detta della madre.
Si erano salutati con un abbraccio prima di separarsi, per Davide fu strano andare a casa da solo visto che accadeva raramente. Entrò nella casa apparentemente vuota e posò il cappotto sull’attaccapanni prima di togliersi le scarpe.
“Eh?? Il finale di questa storia è fin troppo chiaro già dai primi capitoli”.
Davide quasi saltò quando sentì quella voce provenire dal piano superiore; le opzioni erano due: o erano  ladri di opere letterarie o era un vicino che aveva urlato così forte da sembrare che fosse dentro casa. Salì lentamente le scale e raggiunse silenziosamente lo studio dove si bloccò all’entrata.
Seduta sulla scrivania stava una figura grigia familiare, vestiva abiti del Duecento/Trecento, aveva i capelli lunghi fino alle spalle e boccolosi e leggeva i primi capitoli della sua opera.
“E si capisce che l’assassino è il fratello e—”, borbottò la figura che leggeva l’ultimo paragrafo e alzava lo sguardo su Davide che lo guardava sorpreso.
“Giacinto?”.
  
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