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Autore: LindaBaggins    08/02/2015    3 recensioni
Fu sorpreso del lucchichío di determinazione nei suoi occhi, e ancora di più della fermezza della sua voce quando parlò:
«Hai in casa tredici nani esausti, bagnati fradici e, con molta probabilità, affamati. Mi sembra che tu abbia bisogno di aiuto.»
[...] Bard sospirò e non riuscì a fare altro che fissarla senza dire nulla. Ana lo guardava con il più rassicurante dei sorrisi, e il primo, bizzarro pensiero che gli attraversò la mente fu che quel giorno, con il naso arrossato dal freddo e quel piccolo ciuffo di capelli castani che spuntava dal berretto, era particolarmente bella.

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Ana e Bard si conoscono da sempre, ma tra loro non c'è mai stato altro che amicizia. Ma l'arrivo in città della compagnia di Thorin Scudodiquercia porterà un certo scompiglio, e molte cose non saranno più come prima ...
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bard, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima di iniziare, una piccola premessa. Innanzitutto vorrei scusarmi per il ritardo con cui ho aggiornato, ma queste due settimane sono state davvero molto impegnative. In secondo luogo, questo è solo metà del capitolo che avevo intenzione di pubblicare: stava venendo troppo lungo, e i tempi di pubblicazione si sarebbero allungati eccessivamente, così ho deciso di dividerlo in due. I colpi di scena non sono molti, è più che altro un capitolo di passaggio, ma spero che vi piaccia lo stesso … farò in modo di rimediare nel prossimo ;) :P
Non voglio tediarvi oltre, perciò … buona lettura!

 
 
 


V.


Ana non avrebbe mai creduto di poter pensare una cosa del genere, ma quando vide Oswyn venirle incontro con espressione stupita le sembrò di sentire il cuore esplodere nel petto per il sollievo. In qualsiasi altra circostanza avrebbe cercato di evitare quell’incontro, ma in quel momento il suo arrivo le apparve provvidenziale.
Il ragazzo li raggiunse e si parò loro davanti, bloccando la strada a Braga, che guidava il drappello.
«Ana!» esclamò di nuovo, fissando allibito le loro braccia bloccate dietro la schiena e le guardie armate che li accompagnavano. «Cosa significa tutto questo?»
Ana aveva già aperto la bocca per rispondere, ma il capitano delle guardie la precedette. «Li abbiamo trovati a girovagare in modo sospetto per la città» disse in tono pedante. «Li stiamo portando dal Governatore perché valuti il da farsi.»
Oswyn sbatté un paio di volte le palpebre, fissandolo attonito, poi scoppiò a ridere come se Braga avesse appena raccontato una barzelletta molto divertente. «Dal Governatore?» ripeté. «Ma … è assurdo! Sono sicuro che Ana non stava facendo nulla di male!»
«Certo che non facevamo nulla di male!» intervenne Ana in tono acido, fissando Braga con sguardo omicida. «Stavamo camminando
«Silenzio! Mastro Oswyn, vi prego di notare con chi si accompagnava la ragazza!» replicò Braga, indicando Bard con uno sprezzante cenno del capo. «Certamente saprete che Bard il chiattaiolo ha fama di essere un pericoloso e infido sovversivo!»
Alla sua sinistra, Ana scorse con la coda dell’occhio Bard ridacchiare tra sé sommessamente, scuotendo la testa. Una delle guardie che gli teneva ferme le braccia provvide subito ad assestargli una potente spallata, e lui si affrettò subito a riassumere un’espressione seria, anche se ad un angolo della bocca ad Ana parve ancora di scorgere l’ombra di un sorriso.
«Conosco la fama di quest’uomo, mastro Braga,» stava dicendo nel frattempo Oswyn «ma conosco altrettanto bene Ana, e sono sicuro che, qualunque fosse il motivo per cui si stava accompagnando a lui, fosse del tutto innocente.»
Ana, per un momento, aveva visto il volto di Oswyn sbiancare e gli occhi accendersi d’ira alla notizia che era stata trovata a camminare da sola con Bard a quell’ora della sera. Gli fu immensamente grata, perciò, quando lo vide mettere da parte la gelosia per cercare di difenderla. Avevano un disperato bisogno che qualcuno li tirasse fuori da quella situazione, e Oswyn, per quanto Ana odiasse il pensiero di doversi sentire in debito nei suoi confronti, era proprio la persona adatta per riuscirci.
Braga, tuttavia, nonostante la sua stazza notevolmente inferiore, fissò il giovanotto dal’alto in basso e disse con aria di superiorità: «Forse non siete ancora stato messo al corrente degli eventi di questa sera, signore. Poco fa un gruppo di nani, arrivati in città nessuno sa come, si è introdotto nel quartier generale delle guardie per rubare delle armi, e questi due sono stati trovati nei dintorni soltanto pochi minuti dopo! Sono pronto a scommettere le braghe che c’entrano qualcosa con quello che è successo!»
 «Ana non c’entra nulla con questa storia!» scattò Bard, con un ringhio vibrante di collera. «Lasciatela in pace!»
Braga si voltò verso di lui, uno sgradevole sorriso che iniziava ad allargarsi sulle sue labbra sottili. «Oh, quindi ammetti che tu, invece, hai qualcosa a che fare con questa faccenda?» domandò compiaciuto. «Il Governatore sarà felice di sentirlo!»
Fu la volta di Ana di reagire istintivamente. Le sue labbra si mossero da sole, sputando fuori le parole con disperazione quasi implorante. «No, che non c’entra niente!»
«Silenzio, ho detto
«Lasciatela parlare, mastro Braga, se non vi dispiace!» intervenne Oswyn in tono deciso. Il capitano delle guardie lo squadrò con astio, ma il modo in cui aveva parlato era stato così autoritario che Braga non poté fare altro che tacere.
Ana, dominando l’impulso di assestargli un calcio tra le gambe per sfogare la rabbia, inspirò profondamente e si impose di parlare in modo controllato, anche se, come scoprì un istante dopo, non era affatto facile. «Bard è venuto a chiamarmi a casa poco dopo il calar della sera per chiedermi di sistemare un vestito che avevo confezionato per sua figlia. Potete chiedere a mio padre, se non credete a me» aggiunse freddamente, vedendo che Braga alzava gli occhi al cielo con aria scettica. «Stavamo andando a casa sua, quando abbiamo sentito del trambusto provenire dalle parti dell’armeria e abbiamo deciso di andare a vedere. Ci è arrivata voce della cattura di alcuni nani, così abbiamo deciso che era meglio non immischiarsi e siamo tornati indietro. Non c’entriamo nulla con questa storia, dovete credermi!»
Aveva pronunciato le ultime parole in tono quasi supplichevole, rivolta direttamente a Oswyn. Sapeva che, in quanto amico personale del Governatore, poteva avere una certa influenza su Braga, perciò era soprattutto lui che doveva cercare di convincere.
«L’avete sentita?» chiese Oswyn a Braga, allargando le braccia e inarcando le sopracciglia. «Questo sistema tutto, mi sembra!»
«Non sistema un bel niente!» replicò Braga alzando la voce, senza riuscire a nascondere una nota di isteria. «Il capitano delle guardie sono io, e sono io che decido chi arrestare! Se io sospetto di questa sgualdrinella, ho il dovere di portarla dal Governatore, e posso assicurarvi che Sua Eccellenza si fida ciecamente del mio giudizio!»
Ad Ana non sfuggì il modo in cui le vene del collo di Bard si ingrossarono e i suoi pugni si strinsero fino a far sbiancare le nocche, nell’udire l’appellativo che Braga le aveva rivolto, e pregò intensamente che non reagisse in alcun modo. Anche nello sguardo di Oswyn era passato un evidente guizzo di rabbia, ma il ragazzo riuscì a mantenere la sua freddezza.
«Forse vi sopravvalutate un po’ troppo, mastro Braga» replicò gelido. «Dimenticate che anch’io, in quanto figlio di mio padre, ho una certa influenza sul Governatore, probabilmente molto superiore alla vostra. Si dà il caso che la libertà di questa ragazza mi stia molto a cuore, e potreste scoprire che una mia parola a suo favore, nonché a sfavore di chi l’ha fatta arrestare, potrebbe essere molto … efficace.»
Gli scialbi occhi crudeli di Braga si strinsero, e ad Ana parve quasi di sentire il suo piccolo cervello lavorare alacremente, valutando la sua posizione. Braga era perfettamente a conoscenza dei rapporti di amicizia tra la famiglia di Oswyn e il Governatore, e sapeva bene che, se si fosse esplicitamente messo contro di lui, la sua carriera avrebbe potuto anche risentirne. E se fosse caduto in disgrazia, si ritrovò a pensare Ana con feroce sarcasmo, chi avrebbe comprato a sua moglie quei bei vestiti, e quei bei gioielli che nessun’altra donna di Pontelagolungo (eccetto forse le mogli di alcuni mercanti) si sarebbe mai potuta permettere?
Come Ana aveva previsto, la decisione fu presa in un paio di secondi.
«Liberatela» ringhiò Braga, sputando fuori quell’unica parola come se fosse un boccone di cibo marcio.
Dopo un secondo di esitazione, la stretta dei sue soldati si allentò, e Ana si affrettò ad allontanarsi da loro, massaggiandosi i polsi con mani tremanti.
«Venite, Ana» disse gentilmente Oswyn, circondandole le spalle con un braccio. «Vi riaccompagno a casa.»
Cercò di voltarla e portarla via, ma Ana puntò i piedi e rimase ferma nel punto in cui si trovava. «Ma Bard … Bard non ha fatto nulla di male! Dovete lasciarlo andare!» esclamò facendo scorrere il suo sguardo disorientato dal volto di Oswyn a quello di Braga.
Il capitano delle guardie gettò indietro la testa e scoppiò in una risata raschiante, simile al raglio di un asino. «Questa poi è buona!»
Ana desiderò intensamente avere a portata di mano un bastone per potergli rompere uno ad uno quegli schifosi denti gialli.
«Ana, non vi basta essere libera?» le sibilò Oswyn nell’orecchio con una certa irritazione. « Volete mettervi nei guai per lui? Andiamo, ho detto!»
«No!» si ribellò Ana, sottraendosi alla sua stretta. «Non lo lascio qui! Non ho intenzione di muovermi finché non metteranno giù le mani da lui!»
«Ana» intervenne una voce sommessa. Si voltò, rendendosi conto che questa volta era stato Bard a parlare. I suoi occhi la fissavano intensamente, cercando di sembrare rassicuranti. «Ana, dagli ascolto. Vattene a casa, io me la caverò.»
Per tutta risposta, Ana si piantò con decisione davanti ad Oswyn e afferrò i lembi del suo cappotto. Se per salvare Bard da un’incarcerazione certa avrebbe dovuto implorare, beh, l’avrebbe fatto! «Oswyn, vi prego!» lo supplicò, fissandolo dritto negli occhi. «Lui non c’entra niente con tutta questa storia, era soltanto venuto a chiedermi di sistemare un abito! Garantisco io per lui, vi assicuro che ha fatto nulla di male! Volete mandare in prigione un uomo innocente?»
Non seppe dire se Oswyn fosse più frastornato dalla sua improvvisa vicinanza o dalla veemenza della sua implorazione, ma vide i suoi occhi vagare sul suo viso con sguardo confuso, esitante. Sembrarono passare ore, prima che Ana sentisse fuoriuscire dalla sue labbra semiaperte un soffio quasi impercettibile.
«D’accordo.»
Chiuse gli occhi e sospirò profondamente, lasciando la presa sul cappotto, mentre Oswyn aggiungeva a voce più alta e decisa: «Braga, dite ai vostri uomini di lasciarlo.»
Il viso di Braga parve trasfigurarsi in una maschera di collera.  «Che cosa?» latrò.
«Mi avete sentito.»
Il capitano mosse qualche passo in avanti, come se avesse intenzione di fronteggiare Oswyn. «Voi non avete l’autorità per darmi ordini!» berciò sputacchiando. «Il Governatore sta tenendo d’occhio questo chiattaiolo piantagrane da mesi! Come credete che reagirebbe sapendo che ce l’avevo in pugno e l’ho lasciato andare per assecondare i capricci di una ragazzina?»
«Me la vedrò io con il Governatore, se sarà necessario. Mi assumo tutta la responsabilità» replicò Oswyn con fermezza, senza lasciarsi impressionare dalla sua ira sguaiata. «E se la mia parola non dovesse bastare a convincervi, credo che potremo raggiungere un ragionevole accordo.»
Frugò per qualche secondo nelle tasche interne del cappotto, e Ana intravide un luccichìo argentato baluginare fulmineo nella penombra della sera. Braga, con la faccia livida e il respiro ancora leggermente ansante, rimase per qualche secondo a fissare il denaro che Oswyn gli porgeva, ma all’odio nei suoi occhi, adesso, si era aggiunto anche qualcos’altro: avidità. Sembrava impaziente di allungare la mano sulle monete d’argento – l’equivalente di un paio di settimane di paga, probabilmente - ma allo stesso tempo non voleva darla vinta a nessuno di loro. Ci fu un terribile istante in cui Ana temette che sarebbe andato avanti nel suo proposito, nonostante tutto, ma alla fine Braga afferrò le monete e le fece sparire velocemente in una tasca.
«Lasciatelo andare» ringhiò, rivolto ai suoi. Le due guardie che tenevano fermo Bard si scambiarono un’occhiata incerta, e uno di loro azzardò un timido “Ma signore …”, prima di venire bruscamente zittito dal suo capitano. «Lasciatelo andare, ho detto
Il respiro di Ana ritrovò finalmente un ritmo normale, quando vide le guardie lasciare la presa su Bard. Braga gli si avvicinò e, fissandolo con gli occhi ridotti a due fessure, gli sibilò nell’orecchio: «Ci rivedremo.»
Poi rivolse un secco cenno ai suoi uomini e si allontanò lungo la strada che costeggiava un lato della sede della corporazione dei mercanti, seguito a pochi passi dalle guardie. Non appena furono spariti dietro l’angolo, Bard raggiunse Ana massaggiandosi i polsi, le narici ancora dilatate per la tensione. Le rivolse un piccolo sorriso – forse di sollievo, forse di ringraziamento – e Ana sentì il nodo che le serrava lo stomaco allentarsi sensibilmente.
Bard si avvicinò a Oswyn.  «Grazie, mastro Oswyn» disse, tendendogli la mano. «Sono in debito con voi. Spero di riuscire a ripagarvi, un giorno.»
Oswyn ignorò la sua mano tesa. «Non ringraziate me» rispose freddamente. «Ringraziate Ana. E’ merito suo se siete libero.» Poi si rivolse ad Ana ed aggiunse in tono più caldo, ma sempre con una certa rigidità: «Vorrei parlarvi, Ana, se non vi dispiace. Da solo.»
Ana, annuì, a disagio, e scoccò a Bard un’occhiata di scuse. Avrebbe dato qualsiasi cosa per andarsene: nonostante quello che Oswyn aveva fatto per loro (o, forse, proprio a causa di quello che aveva fatto), restare da sola con lui continuava a metterla a disagio. Ma li aveva appena salvati da un arresto praticamente certo, mettendo a disposizione il suo denaro per farlo, e Ana immaginò che concedergli una conversazione a quattr’occhi sarebbe stato il minimo che avrebbe potuto fare per ringraziarlo. Bard, fortunatamente, sembrò comprendere la situazione. «Credo che abbiano portato i nani nella piazza del municipio» disse mettendole una mano sulla spalla. «Andrò a dare un’occhiata.»
«Certo. Ti raggiungo lì.»
Lo guardò allontanarsi nella stessa direzione in cui se ne erano andato poco prima Braga con le sue guardie, e per un attimo, prima che svoltasse l’angolo, i loro sguardi si incontrarono. Un piccolo sorriso le increspò le labbra, prima che l’intensità dello sguardo di Oswyn sulla sua nuca la riportasse alla realtà.
«Oswyn, io … non so come ringraziarvi» disse impacciata, andandogli vicino.
«Lasciate perdere» tagliò corto Oswyn. «L’ho fatto solo per voi, e sono stato felice di farlo. Quello che non capisco, però, è perché vi trovavate in giro con Bard a quest’ora.»
«Ve l’ho detto, stavamo andando …»
«So quello che avete detto» la interruppe il ragazzo «e francamente, sapere se è o meno la verità mi importa poco. A me importa di voi, della vostra incolumità e della vostra reputazione.»
Ana gli rivolse un sorriso disorientato. «Non credo di capire.»
«Sicuramente conoscete la sua fama presso le autorità di Pontelagolungo. Bard non è ben visto dal Governatore e da coloro che gli sono vicini.»
Il sorriso di Ana di spense lentamente, il disagio che iniziava a tramutarsi in irritazione. Cominciava a capire dove Oswyn voleva andare a parare, e la cosa non le piaceva per niente. «La famiglia di Bard e la mia si conoscono da sempre» gli fece presente in tono freddo. «Lui è mio amico, praticamente parte della mia famiglia, e non mi interessa che fama abbia presso il Governatore o chiunque altro.»
Oswyn sospirò, spazientito, e la fissò dritto negli occhi. «Sarò molto chiaro con voi, Ana. Non mi piace che frequentiate quel chiattaiolo piantagrane, e non mi piace che vi facciate vedere in giro con lui. Preferirei che non lo faceste.»
Ana non credeva alle sue orecchie. L’irritazione, tutt’a un tratto, era degenerata in una violenta  vampata di collera che le aveva incendiato il viso e le orecchie. Boccheggiò per qualche secondo, cercando di impedire alla sua indignazione di esplodere. «Se pensate» disse lentamente, con voce tremante di rabbia «che avermi salvato dall’arresto possa darvi il diritto di parlarmi così, sappiate che non posso accettarlo!» Vide le sue guance imporporarsi per l’imbarazzo, e un’ombra di collera attraversargli lo sguardo, ma lo ignorò. Le parole le fuoriuscirono dalle labbra quasi senza che se ne rendesse conto, guidate solo dall’accecante rabbia che provava: «Voi non siete mio marito, Oswyn, non siete nemmeno il mio promesso sposo! Non avete nessun diritto di dirmi chi devo frequentare!»
Oswyn non rispose subito. Rimase a fissarla a lungo, la mascella contratta e le narici frementi. Non sembrava in collera con lei, ma soltanto ferito. Deglutì, mentre Ana sosteneva il suo sguardo con fermezza. «Forse intendevate che non sono il vostro promesso sposo … ancora» disse lentamente, calcando la voce su ogni sillaba che pronunciava. Era chiaramente un modo per rammentarle il fatto che non gli aveva dato ancora una risposta. Ana scorse nella sua voce un’impercettibile vena di apprensione, come se volesse indagare quali fossero i suoi sentimenti di lui. Ana, da parte sua, non aveva alcun dubbio: sapeva che, se avesse dovuto dare una risposta in quel preciso momento, sarebbe stato un sonoro ed inequivocabile “no”, ma era anche consapevole del fatto che era accecata dalla rabbia e incapace di pensare lucidamente. Trasse dei profondi respiri, cercando di calmarsi.
«Di certo con questo atteggiamento non siete sulla buona strada per diventarlo» rispose in tono più controllato, ma non meno freddo. «E adesso scusatemi, ma credo che la nostra conversazione sia finita. Vi ringrazio ancora per quello che avete fatto per noi.»
Con suo grande sollievo, Oswyn non cercò di fermarla in nessun modo quando si voltò per andarsene e lo piantò da solo in mezzo alla piazza. Sentiva ancora il suo sguardo formicolarle sulla nuca, ma cercò di non farci caso e di allontanarsi il più velocemente possibile. Solo adesso si accorse di quanto ancora le tremassero le gambe e di quanto il cuore le martellasse nel petto. Era la paura e il sollievo per lo scampato pericolo, certo, ma quello che era appena successo non aveva certo contribuito a migliorare la situazione.  Ana strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche. Oswyn non aveva mai nascosto il suo atteggiamento geloso e possessivo nei suoi confronti, ma non si era mai spinto fino al punto di proibirle esplicitamente qualcosa. Era un bravo ragazzo, in fondo, gentile e generoso. Gli avvenimenti di quella sera l’avevano dimostrato in modo lampante. Perché, penso con rabbia, perché aveva dovuto rovinare tutto e comportarsi in quel modo? Non sapeva con chi sentirsi più in collera: se con Oswyn, per averle detto quelle cose sgradevoli riguardo a Bard, o se con se stessa, per averlo trattato duramente nonostante la generosità che aveva dimostrato nei suoi confronti. Si sentiva un’ingrata, e allo stesso tempo fremeva per la collera repressa.
Respirò profondamente, imponendosi di calmarsi e recuperare il dominio di se stessa. Doveva ritrovare la lucidità, a tutti i costi. A breve avrebbe dovuto dare a Oswyn una risposta riguardo alla sua proposta di matrimonio, e nessuno di quei sentimenti l’avrebbe aiutata a decidere con razionalità e compiere la scelta giusta. Qualunque essa fosse …
Si rese conto che molte persone stavano confluendo alla spicciolata in direzione della piazza del municipio, bisbigliando tra loro e affrettando il passo come se temessero di perdersi qualcosa.
I nani, pensò nervosamente, ricordandosi solo in quel momento del motivo per cui si trovava in giro per la città a quell’ora della sera, con i polsi doloranti e un mancato arresto alle spalle. Si chiese che ore fossero. Probabilmente suo padre si stava chiedendo dove fosse finita, e la stava aspettando a casa per poter uscire e cominciare il suo turno di guardia alla dogana senza lasciare sola sua madre. Ana esitò per qualche secondo, incerta sul da farsi, e poi si diresse a passo svelto verso il palazzo del Governatore, seguendo gli sparuti gruppetti di persone che brulicavano come formiche verso il municipio.
Quando raggiunse la stretta via costeggiata da ammassi di case che sfociava nella piazza, si era ormai formata una numerosa folla di curiosi, tanto che Ana dovette faticare per farsi avanti e raggiungere un punto dove potesse vedere con chiarezza quello che stava accadendo. Nell’aria fredda turbinavano già minuscoli fiocchi di neve, e il respiro di centinaia di bocche impegnate a parlottare e sussurrare si condensava in tante nuvolette. Sembrava che tutta la popolazione di Pontelagolungo fosse accorsa per assistere allo spettacolo, pensò Ana sgomitando e insinuandosi in qualsiasi spazio libero riuscisse a trovare. Dal centro della piazza, parzialmente coperta dal brusio dei presenti, le arrivava il suono di una voce dal timbro deciso e potente, una voce che parlava con energico trasporto dei giorni lontani della grandezza di quella città, che ne evocava la ricchezza e i floridi commerci. Una voce che ad Ana parve di riconoscere, sebbene non potesse vederne il proprietario. La gente intorno a lei cominciava ad agitarsi visibilmente. La tensione nell’aria era palpabile, l’eccitazione poteva quasi essere avvertita sulla pelle. Finalmente, dopo essere sgusciata sotto il braccio di un omone corpulento ed essersi letteralmente schiacciata tra due anziane signore che sembravano avere intenzione di bloccare il passaggio a chicchessia, Ana riuscì ad avvicinarsi abbastanza da avere una buona visuale sulla piazza.
Quello che vide le strinse lo stomaco in una morsa di nervosismo.  Al centro dello spiazzo, le gambe divaricate piantate sul terreno e una luce di cupa determinazione negli ombrosi occhi scuri, c’era Thorin. Parlava alla folla a voce alta e appassionata, guardando negli occhi una a una le persone che aveva davanti, come se stesse parlando direttamente a ciascuna di esse; dall’alto della scalinata del municipio, il Governatore di Pontelagolungo e Alfrid, il suo viscido tirapiedi dai denti giallastri, seguivano ogni suo movimento con freddi sguardi calcolatori, mentre il resto della compagnia, trattenuto ai margini della folla da guardie armate, lo osservava con muto rispetto.
«Un tempo questa non era una città abbandonata su un lago!» gridò Thorin volgendo lo sguardo intorno a sé. «Un tempo questo era il cuore pulsante di tutto il commercio del Nord!»
Ana si accorse che la maggior parte delle persone presenti lo fissava in silenzio, rapita, con la bocca semiaperta. Se il merito fosse di quello che diceva oppure del suo innegabile carisma, Ana non avrebbe saputo dirlo.
Quel nano è un leader nato, si ritrovò a pensare istintivamente. Benché fosse più basso della maggior parte della gente che gli stava intorno, riusciva ad emanare una regalità e una maestosità che lo innalzavano al di sopra di tutti, persino del Governatore. Certo, non che ci volesse poi molto, rifletté Ana guardando con disgusto i lunghi, radi capelli unticci e il ventre sporgente del primo cittadino. Ma dove diamine si era cacciato Bard? Si alzò in punta di piedi per scrutare la folla intorno a lei, ma non riuscì a scorgerlo da nessuna parte.
«Ehi, ragazza! Falla finita di agitarti come un’anguilla! Stiamo cercando di vedere, qui dietro!» la apostrofò la burbera voce catarrosa dell’omone a cui era passata sotto il braccio. Ana mormorò distrattamente delle scuse e tornò a concentrarsi su quello che accadeva nella piazza.
«Io vi garantirei il ritorno di quei giorni felici!» stava dicendo in quel momento Thorin, strappando alla folla mormorii eccitati. «Rimetterei in funzione le grandi fornaci dei Nani, e dalle sale di Erebor arriverebbero di nuovo benessere e ricchezza per Pontelagolungo!»
Ana lo vide voltarsi verso la scalinata di legno, in attesa di un cenno di approvazione o di benevolenza; ci fu un breve istante in cui il Governatore sembrò sul punto di dire qualcosa, ma proprio in quel momento una voce che Ana conosceva fin troppo bene si levò al di sopra del brusio dei presenti.
«E del fuoco del drago che cosa ci dici, mastro nano?» lo interpellò con rabbia. «Morte e rovina! Ecco l’unica cosa che ci porterai!»
Ana si voltò di scatto. Alla sua destra, proprio di fronte alla scalinata, Bard si fece largo tra la folla e andò a piantarsi davanti a Thorin con aria di sfida, il viso contratto dalla collera.
«Andare a cercare quella bestia non porterà niente di buono» disse in tono di avvertimento, fissandolo dritto negli occhi. «Se la risveglierete, questa città non avrà scampo! Ci distruggerà tutti!»
Thorin sostenne il suo sguardo con fermezza, per nulla intimorito dalla sua collera, e fu in quel preciso momento che Ana capì che la battaglia di Bard era già persa in partenza. Quel nano e i suoi compagni erano troppo determinati, e la gente di Pontelagolungo era troppo desiderosa di sollevarsi dallo squallore in cui viveva, per dare ascolto a qualsiasi obiezione sensata. Anche se quell’obiezione veniva dall’uomo più benvoluto, amato e rispettato di tutta la città. I suoi sospetti furono confermati, perché solo pochi secondi dopo Thorin fece esattamente quello che Ana temeva: riprese la parola e, ignorando quello che Bard aveva appena detto a proposito del drago, promise esplicitamente al popolo di Pontelagolungo di condividere con loro una parte del tesoro di Erebor.
Fu come se la Montagna Solitaria fosse già stata conquistata e il drago, sconfitto, giacesse già morto lì davanti a loro: il brusio eccitato della folla si innalzò fino a trasformarsi in grida di giubilo e di esultanza. Le fiaccole vennero agitate nell’aria, mentre tutti si scambiavano sguardi increduli e pieni di gioia. La miseria rende disperati, pensò Ana con tristezza, guardandosi intorno. Non poteva biasimarli del tutto, ma si rendeva conto che le parole di Bard avevano senso. Sarebbe stato da folli ignorare il tremendo rischio a cui andavano incontro, anche se non potevano ancora esserne del tutto certi …
Nemmeno i dubbi avanzati da Alfrid sulla buona fede dei nani, pochi secondi dopo, riuscirono a spegnere del tutto l’entusiasmo della folla. Alla domanda, posta con tono di insinuante perfidia, su chi potesse garantire per Thorin, seguì qualche lungo istante di imbarazzato silenzio, finché un dito alzato emerse timidamente dalla selva di teste e una voce sottile si levò al di sopra dei mormorii perplessi.
«Lo … lo farò io. Garantirò io per lui.»
Ana si alzò di nuovo in punta di piedi, ignorando le proteste di chi stava dietro di lei. A parlare era stato Bilbo Baggins, lo hobbit che aveva conosciuto a casa di Bard insieme ai nani.
«Ho lasciato la mia casa nella Contea e ho seguito questi Nani attraverso innumerevoli pericoli» continuò, e, a dispetto del tremolio della sua voce, Ana fu colpita di scorgere sul suo viso un’espressione tanto determinata «e posso garantirvi che se Thorin Scudodiquercia dà la sua parola … ebbene, la manterrà!»
Era chiaramente quello che tutti volevano sentirsi dire. Ci furono nuove grida di approvazione e nuove acclamazioni di assenso, mentre anche gli ultimi dubbi sull’identità e sulle intenzioni di Thorin venivano dissipati e la speranza riaccendeva di nuovo gli sguardi di tutti. Bard era l’unico a non partecipare alla gioia collettiva: Ana lo vide guardarsi intorno furente, consapevole che i suoi ragionevoli dubbi su quell’impresa stavano per venire definitivamente messi in ombra dall’allettante prospettiva di una ricchezza imminente.
«Tutti voi, ascoltatemi!» gridò, e questa volta ad Ana parve di scorgere nella sua voce, oltre alla rabbia, una nota di disperazione. «Dovete ascoltarmi, per la miseria! Avete già dimenticato le storie che ci hanno raccontato fin da bambini? Avete già dimenticato quello che successe a Dale l’ultima volta che il drago arrivò su queste terre? La tempesta di fuoco, i morti, la distruzione! E quale fu il motivo di tutta quella rovina? L’avidità di un Re dei Nani, così accecato dall’ambizione e dal desiderio di ricchezze da non riuscire a vedere la catastrofe che stava attirando sulle teste di tutti!»
«Oh, suvvia, suvvia!» intervenne ad interromperlo una voce dall’alto della scalinata del Municipio. «Ritengo che nessuno di noi debba essere troppo frettoloso nel dare la colpa gli altri!»
Per l’ennesima volta nel corso di quella surreale serata, il silenzio calò sulla piazza. Tutti volsero gli sguardi verso l’alto, in direzione del Governatore. Era la prima volta che faceva sentire la sua voce da quando era iniziata quella contesa verbale, e Ana sospettava, dal modo in cui aveva continuato a scrutare con freddo sguardo calcolatore quello che stava accadendo, che avesse le sue buone ragioni per farlo proprio adesso. Non sbagliò. L’uomo fissò su Bard  i suoi piccoli occhi scialbi, accesi adesso di piacere maligno. «Di certo ricordiamo tutti il ruolo che ebbe Girion, signore di Dale, nei tragici avvenimenti di quel giorno!» lo apostrofò puntandogli contro il dito tozzo e inanellato. «Di certo ricordiamo tutti che fu proprio lui, il tuo antenato, a fallire nell’uccidere quella bestia!»
Non aveva neppure cercato di nascondere la soddisfazione, pensò Ana, osservandolo con disprezzo. Sentì la collera montarle alla testa, facendole dimenticare il freddo che le intirizziva le membra, e nello stesso momento vide un’espressione di sgomenta, quasi colpevole, attraversare per un momento il volto di Bard.
«Una giusta osservazione, signore!» intervenne Alfrid a rincarare la dose. Era chiaro che non vedeva l’ora di vendicarsi della magra figura che Bard gli aveva fatto fare quella mattina con il pesce. «Tutti gli abitanti di questa città conoscono la storia. Sappiamo tutti come Girion scoccò frecce su frecce dal punto più alto di Dale, e come ognuna di esse mancò miseramente il bersaglio.»
La gente aveva ricominciato a mormorare. Chi, come Ana, era a conoscenza delle nobili origini di Bard – origini che lui non aveva mai fatto nulla per rivendicare e che, anzi, sembrava preferire tenere nascoste – borbottava mezze frasi di disapprovazione nei suoi confronti; chi invece ne era all’oscuro, scambiava sguardi ed esclamazioni stupite con i vicini, fissandolo con aria incredula. Quello del Governatore era stato un vero e proprio colpo basso: non potendo permettersi di arrestare Bard senza un valido motivo davanti a tutta quella gente, cercava di screditarlo ai loro occhi, insinuando che fosse partecipe del fallimento del suo antenato per il solo motivo che condividevano lo stesso sangue. Questo Bard sembrò averlo compreso perfettamente, perché si guardò intorno a disagio, le narici dilatate per la collera impotente. Sembrava che stesse per reagire violentemente a quelle provocazioni, e Ana capì che era il momento di intervenire. Non avrebbe lasciato che rimanesse un secondo di più a farsi umiliare davanti a tutti.
Si fece strada tra la folla, cercando di ingoiare il magone che le serrava la gola e odiando coloro che le stavano intorno per la facilità con cui abbandonavano un uomo che fino a poche ore prima ammiravano e rispettavano. Non fu facile spostarsi verso il centro della piazza, perché la gente si accalcava il più possibile per poter vedere e sentire al meglio quello che accadeva, ma a forza di gomitate riuscì in qualche modo a farsi largo.  Emerse dalla folla proprio nel momento in cui Thorin Scudodiquercia, voltate le spalle a Bard, si rivolgeva direttamente al Governatore per chiedere la collaborazione di Pontelagolungo nella sua impresa. Ana sgusciò oltre il cordone di guardie armate e raggiunse Bard, mettendosi al suo fianco. Se il chiattaiolo si accorse della sua presenza, tuttavia, non lo dette a vedere: era ancora impegnato a fissare il nano con rabbia, i pugni talmente contratti che le nocche erano del tutto sbiancate.
«Cosa rispondi, signore?» chiese Thorin, in tono solenne e persuasivo insieme. «Tu e il tuo popolo volete condividere la grande ricchezza del tesoro dei Nani? Volete vedere la profezia finalmente realizzata?»
Il silenzio che seguì fu pressoché totale, e sembrò durare ore. Nella piazza del municipio, nessuno osava emettere un fiato, nessuno sembrava azzardarsi a fare il minimo movimento. Ad Ana parve quasi di sentire i respiri pesanti dei presenti e i loro nervosi battiti di ciglia, persino i fiochi di neve frusciare lievemente nell’aria. Con il cuore che le martellava nel petto, vide gli occhi stretti del Governatore scrutare, calcolare, valutare, finché la tensione nell’aria divenne talmente densa da poterla quasi vedere.
«Tu vuoi la mia risposta, Thorin Scudodiquercia» disse lentamente il primo cittadino, «e io te la darò.» Ci furono altri lungi secondi di silenzio, prima che le sue labbra sottili si aprissero in uno sgradevole sorriso e le sue braccia si spalancassero. «Pontelagolungo ti saluta e ti dà il benvenuto, Re sotto la Montagna!»
Nella piazza ci fu una tale esplosione di gioia, che le ultime parole del Governatore furono soffocate dalle urla e dalle acclamazioni. Tutti, nessuno escluso, presero ad esultare e ad abbracciarsi, alcuni piangendo per la commozione, altri levando al cielo lodi per Thorin Scudodiquercia, il nuovo salvatore di Pontelagolungo. Anche i nani e lo hobbit si abbracciavano e agitavano i pugni in aria, increduli e quasi colti di sorpresa dall’inaspettata piega che aveva preso la vicenda, mentre Thorin, in piedi sulla scalinata, accoglieva la sua vittoria con il petto gonfio di orgoglio.
Ana, che soltanto da pochi secondi si era ricordata come si facesse a respirare, lanciò uno sguardo preoccupato a Bard, in piedi accanto a lei. L’uomo non si era mosso dal punto in cui si trovava, e il suo sguardo pieno di collera non aveva ancora abbandonato Thorin, che, da parte sua, lo fissava con trionfante aria di sfida. Ana vide Bard contrarre i pugni allargando con rabbia le narici, e, temendo che potesse scagliarsi contro il nano, gli mise istintivamente una mano sul braccio.
«Bard …» bisbigliò nervosamente. «Bard, ti prego … andiamocene via!»
Bard non rispose. Si scrollò di dosso il suo braccio con un gesto stizzito e poi, dopo aver lanciato un ultimo sguardo ostile a Thorin, si allontanò a grandi passi.
Ana deglutì e chiuse gli occhi. Sapeva che Bard non ce l’aveva con lei, e tuttavia capì che era meglio non seguirlo. Quella giornata l’aveva messo a dura prova, e sicuramente avrebbe preferito rimanere per un po’ da solo con i suoi pensieri. Rimase a guardarlo scomparire tra la confusione della folla, con il magone che le serrava la gola, rendendosi improvvisamente conto che mancava da casa da troppo tempo. I volti di sua madre e di suo padre le balenarono davanti agli occhi tra i turbinanti fiocchi di neve e il bagliore delle fiaccole. Percy e Miriel non sapevano nulla di quello che era successo nelle ultime ore, ed era meglio che andasse ad avvertirli.
Sospirò e, con uno strano vuoto alla bocca dello stomaco, mosse qualche passo verso l’uscita della piazza.

 
 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE

Quello che dovevo dire riguardo a questo capitolo l’ho già detto all’inizio, quindi mi limito a ringraziare, come al solito, tutti coloro che stanno ancora seguendo questa storia, lasciando pareri o aggiungendola semplicemente tra le seguite/ricordate! E a proposito di pareri, colgo l’occasione per ricordare che sono sempre ben accetti ;)
Non so quando potrò aggiornare di nuovo, perché a breve dovrò iniziare un tirocinio e il mio tempo per scrivere si ridurrà un po’, ma ho già scritto parte del prossimo capitolo e spero non ci voglia troppo a terminarlo.
Alla prossima, speriamo il più presto possibile!

MrsBlack90

 
   
 
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