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Autore: MissShinigami    08/02/2015    0 recensioni
La storia si svolge in Inghilterra, almeno all'inizio, dei Mezzosangue che non sanno la verità sui propri genitori, altri che sono stati inviati in missione, altri ancora che combinano casini.
Due ragazzi vogliono sovvertire l'ordine del mondo, facendo cadere gli dei ... almeno si pensa ... ma qualcuno gli metterà i bastoni fra le ruote!
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Selena fissava il cielo divenuto nero, ogni colore del mondo sembrava essersi spento. Non c’erano suoni, solo silenzio, il battito forsennato del suo cuore ed il rombo del sangue nelle sue orecchie.
Degli occhi grigio chiaro le si piazzarono davanti, delle mani grandi ma delicate le si posarono sulle spalle. Si sentì chiamare sopra a quel frastuono, poi tutti i rumori tornarono e lo sguardo le si allargò.
“Selena! Per gli dei! Rispondi!”
“Mason …”
“Grazie Zeus!” il ragazzo si passo una mano tra i capelli castani arruffandoli. “Tutto bene?”
La ragazza abbassò lo sguardo sui rottami ai suoi piedi. “Io …” gli occhi le si riempirono di lacrime.
“Hei … guardami.” Mason le sollevò il mento e lei tornò a fissarlo. Uno strano calore iniziò ad irradiarsi dalle mani che la toccavano: era rassicurante e calmo, colmo di una tristezza infinita ma carico di speranza. “Non sono morte. Si sono sacrificate e sono diventate altro. Capisci?”
No, non capiva, non voleva capire. Voleva solo che tornassero indietro, che tutto quello finisse …
“Selena, gli dei sono stati clementi: sono morte in battaglia e sono state ricompensate.”
La mente della ragazza si era schiarita. Capiva di essere stata stupida ad avere fiducia negli dei, era stata stupida nel credere che quella missione di salvataggio sarebbe finita bene, ed’era stata stupida ad aver coinvolto le altre in una cosa che avrebbe dovuto fare da sola fin dall’inizio e adesso aveva perso troppo … non voleva perdere anche lui.
Scansò le mani del figlio di Eros con un gesto brusco e iniziò a correre verso il carro e la Spirale, che ora sembrava circondata da un alone di fumo più che da una luminescenza lattea. Non vedeva Alec, era certamente nascosto dalla struttura, non si era esposto neanche per assistere allo scontro. Saltò sul cassone del carro e infilò su per le scalette laterali.
Mason le era dietro, aveva intuito il cambiamento in lei non appena l’aveva presa per le spalle, non era servito il suo tentativo di calmarla. Al contrario: sembrava che l’avesse fatta scattare.
Una volta in cima alle scale, proprio sopra alla cabina di guida della vettura, poterono vedere ciò che stava accadendo: Alec era in piedi dal lato opposto al loro, era bianco in volto, le occhiaie scure ancora più marcate e lo sguardo apatico, solo quando scorse Selena ci fu un piccolo cambiamento, che però fu offuscato dalla luce nera emanata da una figura dalla forma vagamente umanoide con i contorni in continuo movimento, era di un color grigio scuro quasi luminoso, ma sembrava che stesse mangiando la luce intorno a sé piuttosto che emetterne, ogni tanto sulla superficie scura, scintille di elettricità guizzavano e scoppiettavano sibilline.
Mason fece un passo indietro, verso le scale. “Ma cosa …”
L’essere si voltò, i movimenti erano lenti e lasciavano una scia brillante nell’aria, sembrava fosse sott’acqua. “Ecco che arriva la cavalleria!” la sua voce era meccanica e stridente, acuta con un chiaro e calcolato tono sardonico. “Non vedevamo l’ora! Vero, caro?” si rivolse nuovamente ad Alec.
Il ragazzo serrò la mascella e si rabbuiò. “Non dovreste essere qui.” borbottò. Poi si rivolse alla creatura: “La Spirale sta per attivarsi, mancano solo pochi minuti, dovreste andarvene Madre.”
La cosa rise metallica.
“Madre?” Selena parlava appena, l’unica cosa che voleva era raggiungere Alec ma in mezzo a loro c’era quell’essere che la terrorizzava e ad ogni sua parola quella paura diventava sempre più profonda, e lei si sentiva senza speranza. Deglutì a fatica e tentò di alzare la voce: “Che significa, Alec?”
“Senti che vocina!” schioccò la creatura. “È spaventata, piccola …” il tono era  comprensivo ed irrisorio al tempo stesso, le diede le spalle e si incamminò verso Alec. “La figlia di Zeus …” parlava con fare molto teatrale come volesse soppesare l’idea dietro le parole piuttosto che le parole stesse. “Facevo bene a dirti di lasciarla perdere, di  dimenticarla … non è niente, quello che provi passerà, non esiste niente di duraturo a questo mondo.”
“Per questo faccio quello che sto facendo.” finì il ragazzo come se stesse recitando un mantra.
La cosa accanto a lui sollevò le braccia in segno di scusa e ridacchiò.
Mason si fece più vicino a Selena. “È una dea, non possiamo combatterla, deve esserci un altro modo.”
“Ma che scortese che sono.” riprese a parlare la dea con tono lamentoso. “Non mi sono presentata … e poi questa forma è divertente solo per le entrate in scena spettacolari, per chiacchierare è … mmh … be’ …” smise di parlare e sollevò una mano verso il cielo.
Per un istante non accadde nulla poi i suoni si annullarono per esplodere improvvisamente in un fulmine nero scaturito dalla mano alzata della dea.
Un lampo di luce incredibilmente forte costrinse i presenti a chiudere gli occhi.
Quando li riaprirono i colori erano tornati e i suoni iniziavano a riecheggiare nuovamente nelle loro orecchie.
Al centro della torretta c'era una donna in abito bianco, succinto in stile greco antico con i finimenti dorati, i capelli biondi e mossi le ricadevano sulle spalle nude e le incorniciavano il volto, dai lineamenti sottili e lievemente affilati, rilassato in un mezzo sorriso soddisfatto e presuntuoso; osservava i due ragazzi con gli occhi scuri segnati da un trucco nero e pesante, molto simile al khol egizio. Era bella, innegabilmente, ma c'era qualcosa di strano in lei, più che ammaliare inquietava, così come un ragno tesse la sua tela con raffinata finezza e attende la preda, pronto a divorarla.
“Adesso va molto meglio!” sorrise raggiante. “Adoro il bianco e nero, fa tanto film romantico degli anni ‘50, ma è stancante dopo un po’.” continuò a sorridere mentre riportava la mano in basso e se la piazzava sulla vita. “Bene bene, dicevamo?” si guardò attorno con aria di finta sorpresa e interesse. “Oh! Il figlio di Eros! Mason, giusto?”
Il ragazzo rimase immobile al suo posto.
“Oh, scusatemi ancora. Piacere, il mio nome è Eris. Sono felice che finalmente ci siamo incontrati.” sorrise come se si volesse mangiare il ragazzo.
Selena si irrigidì. “Eris …”
La dea inclinò la testa di lato continuando ad osservare il figlio di Eros senza degnare la ragazza di uno sguardo. “Davvero un piacere …” ripeté con aria assorta. “Sei colui che ha giurato di restare sempre accanto ad Alec … no?”
Mason socchiuse gli occhi e le sue labbra si tirarono fino a diventare una linea, rivolse uno sguardo ad Alec, ancora fermo dall’altro lato della torretta, ma lui non li guardava neppure, sembrava più preoccupato per cosa stava accadendo sul fiume.
“Lui mi ha parlato molto di te.” intanto Eris continuava a parlare. “Diceva che ci si poteva fidare e che …” si fermò e mimò le virgolette con le dita. “ … gli volevi bene.” finì facendo una smorfia e alterando la voce per scimmiottarlo. “Però eccoti lì! Nello schieramento opposto, a combatterlo.” non era un’insinuazione, né un’accusa, solo un dato di fatto. Attese che quelle parole penetrassero nella mente del ragazzo, attese un suo segno di cedimento, un sospiro. E riprese: “Certo che non ci si può fidare più di nessuno.” disse come pensasse a voce alta iniziando a camminare elegantemente verso il parapetto dal lato del fiume. “Una sciocca ragazzina è bastata per farti dimenticare ed abbandonare tutto!” schioccò la lingua contro i denti con aria di rimprovero e gli si fece più vicino. “Ma questa volta ho sbagliato io. Devo proprio ammetterlo.” adesso era a solo un passo da lui. Abbassò la voce: “Avrei dovuto assicurarmi che il figlio di Eros fosse gay prima di affiancarlo a mio figlio.” poi si voltò finalmente verso Selena e quasi urlò: “Invece mi è capitata questa ragazzina!” la guardò con disprezzo. “Da quanto tempo è che conservi quel tenue sentimento per mio figlio? Dall’asilo? Ma forse avrei dovuto cercarti prima, forse eri il cavallo giusto su cui puntare … in fondo quel piccolo e tenero sentimento è cresciuto, è diventato sempre più grande e sempre più forte.” la guardava negli occhi senza mai distogliere lo sguardo.
Selena all’inizio si sentiva messa a nudo, come se un gigantesco riflettore fosse puntato su di lei e lei fosse accusata di chissà quale terribile errore, poi invece, mentre le parole della dea entravano nel suo cervello, la ragazza capiva: adesso c’era qualcuno che capiva cosa provava, finalmente, se capiva quello aveva capito quello che lei aveva provato da quando Alec era tornato a Brighton fino a quel momento, e avrebbe capito ciò che stava per fare. “Io lo amo.” disse fissando i suoi occhi color nocciola in quelli neri di lui, che adesso la guardava, alla fine l’aveva vista davvero.
Qualcosa in lui si incrinò, Alec assunse un’espressione dolorante, come se lo avessero colpito. “No, è impossibile, non puoi. Nessuno può amare il seme della discordia.”


Aveva tre anni quando il padre non tornò a prenderlo a scuola.
Non che non fosse mai capitato, ma solitamente arrivava un’ora o due dopo, oppure chiamava per chiedere se qualcuno poteva riportare a casa il bambino; quella volta non si fece sentire. Quando arrivarono a casa, scoprirono che era stata ripulita e lui era sparito. Quell’uomo era così, non pensava alle conseguenze, non pensava proprio, credeva che bastasse avere un bell’aspetto e la faccia di bronzo per vivere. Voleva tutto e subito, non gli importava di coloro che gli stavano intorno. Ritrovarsi un neonato sulla soglia di casa era stato come ricevere una pugnalata: a vent’anni ne aveva combinate di sciocchezze, ma persino lui quella volta riconobbe la gravità di una situazione del genere, per questo tenne con sé il bimbo. Giusto il tempo per rendersi conto che non lo voleva.

Alec fu portato in un orfanotrofio di Londra, data l’impossibilità di rintracciare entrambi i genitori.
Visse qualche anno in mezzo a pochi altri bambini come lui. Quando aveva compiuto da poco sei anni, una notte fece un incubo: ombre mostruose lo seguivano ovunque senza lasciargli scampo. Si svegliò nel cuore della notte, madido di sudore con le palpitazioni e l’affanno. La cosa si ripeté molte volte, alla fine decise di dirlo ad un’insegnate dell’istituto. L’uomo gli disse che non doveva preoccuparsi e che se avesse avuto bisogno gli avrebbero fornito tutto l’aiuto di cui aveva bisogno. Al bambino quelle parole non piacquero così origliò la conversazione che l’insegnante ebbe con il direttore dell’orfanotrofio. Li sentì parlare di lui e il direttore spiegò che aveva una storia complicata, l’abbandono e la scomparsa del padre lo avevano sicuramente segnato. Sentì parole come ‘Disturbato’, ‘Aggressivo’, ‘Instabile’, disse anche che gli avrebbero fornito uno psicologo infantile se la cosa fosse continuata.
Alec era ancora piccolo ma non stupido, non fece mai più parola dei suoi incubi.
Qualche anno più tardi iniziò ad andare a scuola insieme ai ragazzi della sua età e iniziò anche a saltare da una famiglia affidataria all’altra. La sua vita gli scorreva davanti e lui si sentiva inerme, cresceva e si spostava da una parte all’altra della città. Continuava a fare i soliti incubi: le ombre lo inseguivano e non lo abbandonavano mai, qualsiasi vita vivesse, qualunque famiglia lo accogliesse, che fosse buona o lo facesse solo per i soldi del sussidio statale, lui si isolava da tutto e da tutti, teneva un comportamento intrattabile e combinava sempre qualche guaio, dal saltare le lezioni a commettere piccoli furti. Ogni notte correva e scappava negli angoli più bui della sua mente a cercare un riparo dai mostri senza mai trovarlo e si svegliava all’improvviso, affannato, gettava via le coperte per la rabbia. Dormiva sempre di meno, tentando di evitare la paura e l’orrore che la notte portava sempre con sé, ma dopo un’altra giornata sfiancante fu facile perdere conoscenza e dormire. Esasperato, correva ancora e ancora, finché non si fermò bruscamente e si voltò per fronteggiare le ombre, era stanco di scappare. Ma quelle creature lo accerchiarono e non fecero un passo oltre. Si svegliò scattando a sedere sul letto.
Qualche giorno dopo si ritrovò in mezzo ad un litigio tra due dei ragazzi con cui conviveva in una specie di casa famiglia; bisticciavano non capì neanche per cosa, alla fin fine non gli interessava neppure. Era seduto al tavolo di cucina a leggere un libro mentre gli altri due erano nella stanza adiacente ad urlarsi addosso, poteva vederli molto bene, e rimase affascinato e divertito da ogni parola usata, per biasimare e ferire, ogni urlo era quasi musicale, i goffi gesti di rabbia divertenti. I due furono divisi dopo che uno ebbe colpito l’altro con un pugno, ma si capiva che la cosa non sarebbe finita lì. E Alec non voleva che finisse, tutta quella confusione, quel caos … era la prima cosa vera che vedeva da tempo. Ne voleva ancora.
Lasciò un biglietto di sfida sotto il cuscino di entrambi, nascondendo la sua calligrafia scrivendo con la sinistra e copiò le firme dei due. Il suo piano funzionò e durante la notte quei due ragazzi così rancorosi si ritrovarono nella sala e ripresero a litigare; Alec era appostato in cima alle scale, un posto migliore anche della cucina per osservare.  Capì che le persone sono facili da manovrare e controllare, bastava toccare i tasti giusti e fare leva sulle debolezze, il caos che ne usciva era la cosa più divertente a cui avesse mai assistito. Ma durante la lite le cose degenerarono davvero e i due finirono col picchiarsi e distruggere anche il tavolinetto basso cadendoci sopra. Alec corse a rifugiarsi in camera sua, spaventato e conscio che se lo avessero trovato lì ad osservare senza fare niente lo avrebbero punito. I due ragazzi furono portati all’ospedale, non si erano fatti niente di grave, ma avrebbero potuto.
Il ragazzino decise di confessare che era colpa sua, capiva di essere andato oltre, le sue scuse non furono accettate e dal canto suo non aveva spiegazioni plausibili: gli era piaciuto stare a vedere, gli piaceva, avrebbe potuto rifarlo, e la cosa lo spaventava a morte.
Quella sera fu liquidato e portato via dagli assistenti sociali mentre la donna che si era presa cura di lui per quasi sei mesi urlava dalla soglia di casa: “Nessuno potrà mai amare il seme della discordia!”
Così cambiò famiglia, ma fu mandato lontano questa volta. Arrivò a Brighton che stava finendo l’estate dei suoi undici anni. Dalla famiglia in cui stava non c’erano regole particolari, bastava che tornasse un’ora prima di cena in casa e che non portasse voti brutti a casa poi era libero di fare ciò che voleva.
Passava le sue mattine a scuola e i suoi pomeriggi nei giardinetti vicino a casa, se ne stava da solo, seduto sotto un albero a leggere o ad’osservare quello che avveniva intorno a lui, imparò a riconoscere i bambini che giocavano poco distanti dal suo albero anche senza sapere davvero come si chiamavano: c’era il ragazzino sbruffone, la principessina che non voleva mai sporcarsi, il patito dei robot e la tappetta. Lei attirò più degli altri la sua attenzione. Dovevano avere tutti la sua stessa età, li aveva visti anche a scuola qualche volta, ma lei sembrava avere qualche anno di meno, era più bassa e gracile degli altri.
Un pomeriggio d’autunno inoltrato, mentre le foglie ingiallite cadevano dagli alberi, lo sbruffone calciò troppo forte la palla facendola finire vicino al laghetto e spaventando le anatre che si allontanarono contrariate. Alec rise vedendole zampettare via con le ali semi-aperte. La ragazzina corse a recuperare il pallone e gli passò molto vicino, lui poté osservarla meglio: aveva i capelli lunghi color caramello ed’era davvero piccola come sembrava da lontano. Raggiunse la palla e la prese, ma non si accorse che le anatre stavano tornando arrabbiate per scacciare chi le aveva disturbate.
Alec scattò in piedi e corse verso di loro urlando. Gli animali furono terrorizzati ancora di più e si dispersero volando dall’altra parte del piccolo specchio d’acqua. La ragazzina che aveva fatto tant’occhi nel vederlo fiondarsi su di lei, adesso lo guardava come si guarda un eroe, con i suoi occhioni marroni in adorazione.
Alec arrossì vistosamente ed iniziò a balbettare qualcosa d’incomprensibile sulla stupidità delle anatre.
“Grazie!” fece lei con la sua voce squillante, stava per aggiungere qualcosa ma fu richiamata dagli altri ragazzi. “ARRIVO!!” si rivolse loro, poi si voltò nuovamente verso di lui. Fece qualche passo e calciò la palla mandandola da tutt’altra parte rispetto al gruppetto che se ne lamentò rumorosamente. “SCUSATE!” urlò ancora lei, ma li ignorò in fretta. “Come ti chiami?” chiese.
Lui si ficcò le mani nelle tasche del giubbino nero. “Alec.” bofonchiò.
“Ciao Alec. Io sono Selena! Vuoi venire a giocare?” sorrise lei.
Il ragazzino arrossì ancora e scosse la testa agitato. “Non credo che …” guardò a terra. “Forse è meglio di no.” mugolò.
Selena lo guardò imbronciata. “Bene! Allora domani torna! Okay!?” esclamò, sembrava un comando che una richiesta.
“S-sì …”
“OKAY!?”
“O-OKAY!”
Così tornò il giorno seguente, dicendosi che non aveva un altro posto dove andare che non fosse la casa puzzolente in cui viveva, e che non lo faceva per quella bambina in particolare, ma perché lo avrebbe fatto comunque. Camminava calciando un sasso trovato lungo la strada, l’ultimo colpo lo mandò più lontano, finì tra gli stivaletti marroni di qualcuno.
“Ci sei davvero!” squillò Selena.
Alec sollevò lo sguardo su di lei e annuì, in realtà avrebbe voluta dirla lui quella frase, invece disse :”Be’ che vuoi fare?” con un tono brusco.
La ragazzina gli sorrise senza farci caso. “Vieni con me!” e lo prese per mano trascinandolo via.
Qualcuno dietro di loro urlò: “Sel! Non ti allontanare troppo!”
“Sì!” rispose senza voltarsi la ragazzina.
Alec invece le fece e vide un ragazzo molto più grande di loro che si stava grattando la nuca seduto su una panchina poco distante. Selena intanto lo stava tirando verso le altalene e lo scivolo montanti insieme in una costruzione di legno completa di ponte traballante e funi annodate. Non si fermarono finché non ebbero raggiunto i cespugli color rosso autunno sotto lo scivolo. Lei si guardò attorno con fare circospetto, il volto stretto in un’espressione dubbiosa e sospetta, benché non ci fosse nessuno voleva procedere con cautela, infine si mise a quattro zampe e infilò sotto il cespuglio facendolo smuovere tutto, tanto che molte foglioline scure caddero a terra.
“Che stai facendo?” chiese sorpreso Alec.
“Avanti sbrigati! Prima che ti veda qualcuno!”
Coinvolto dal tono ansioso della bambina, si tuffò nel cespuglio: in breve i rametti appuntiti e le foglie secche lasciarono il posto ad un pavimento di legno sconnesso. Alzò la testa e vide che erano circondati da pareti dello stesso legno, capì di essere sotto lo scivolo, in un casottino completamente nascosto alla vista esterna dal cespuglio, in alto c’erano delle fessure che facevano entrare la luce ma non consentivano di vedere l’interno da fuori. Era una piccola tana nascosta agli sguardi del mondo.
“Wow.” fece Alec.
Selena ridacchiò. “Bello vero?! E sono l’unica a saperlo!” esclamò orgogliosa. Poi si mise a sedere a terra ed estrasse dal cappotto due caramelle lunghe alla liquirizia, se ne mise una in bocca e l’altra la offrì a lui. “Affaggia!”
Alec la prese e diede un piccolo morso ad una cima. Masticò poi esclamò: “Hei, è buona davvero!”
Da quel pomeriggio si incontrarono sempre, solo quando pioveva rinunciavano, perché Selena non veniva accompagnata al parco. Alec si ritrovò a maledire il tempo, seduto da solo sul pavimento di legno umido.
Quello è il periodo più felice della sua infanzia, ed’è anche quello in cui conobbe sua madre.
Era gennaio e mancava poco al suo tredicesimo compleanno, faceva freddo e lui stava andando a scuola di corsa nel tentativo di riscaldarsi un po’. Mentre sfrecciava tra le persone che già al mattino camminavano sui marciapiedi vide un’ombra dall’altro lato della strada che andava alla sua stessa velocità. Si fermò di botto ma quella proseguì indistinta tra la gente.
Era quasi impietrito di colpo: quella cosa era identica a quelle dei suoi incubi quando era piccolo.
Guardò l’ora: era in anticipo, la campanella sarebbe suonata tra almeno dieci minuti. Attraversò la strada e seguì quella strana ombra incuriosito come non mai, si sentiva strano, eccitato dalla scoperta, spaventato ma incredibilmente attratto. Corse ed inseguì quella cosa fino ad arrivare in un vicolo. Si fermò prima di imboccarlo e riprese fiato, ancora un po’ ansante iniziò ad entrare tra le ombre della strette via e guardarsi attorno. La luce arrivava dalla fessura tra i tetti dei palazzi in alto; era freddo e umido là sotto, il suo fiato si condensava in nuvolette di vapore che salivano verso il cielo per disgregarsi sopra alla sua testa.
Non c’era niente lì. Solo il freddo e lo sporco dei cassonetti. Attese un po’ ma infine dovette andarsene o avrebbe fatto davvero tardi a scuola.
Quel pomeriggio mentre stava rincasando dopo la scuola e pensava di dirigesti al parco da Selena, rivide quell’ombra. Era più grande questa volta, aveva un aspetto umanoide ma i contorni erano deformati, era ferma, era come se lo fissasse e lo aspettasse. Scattò e la seguì per la strada, ma non era come quella mattina, adesso sembrava volesse esser seguita. Corse per la città alle calcagna di quell’essere che aveva affollato i suoi incubi per anni cieco di qualsiasi altra cosa.
Arrivò fino al parco senza rendersene conto, quel pomeriggio era piuttosto affollato benché il tempo non fosse dei migliori. Alec evitò qualche suo compagno di scuola senza fermare la sua corsa, finché non raggiunse l’entrata del casotto sotto lo scivolo dove si era rintana l’ombra. Vi entrò in fretta e abbandonò lo zaino sul legno di botto. Quella creatura adesso era davanti a lui: era completamente nera, senza occhi o altra fisionomia, solo il contorno si era fatto un po’ più definito grazie all’oscurità di quel posto, e se ne stava ferma immobile.
Alec protese la mano verso la creatura che continuava a restare immobile come volesse quel contatto.
“ALEEEC! So che sei qui! Ti ho visto entrare!” era la voce di Selena che stava entrando nel piccolo rifugio.
L’ombra tremolò poi fu come risucchiata da una delle aperture in alto e scomparve alla vista, Alec urlò per la frustrazione e la rabbia.
Selena entrò proprio in quel momento e lo vide a pugni stretti ed il volto contratto.
“TU! L’hai fatta scappare!! L’ho rincorsa fino a qui e tu l’hai messa in fuga!” il ragazzino la spintonò così forte da farla sbattere contro una parete di legno e farla crollare a terra.
Lei non riuscì neanche a reagire tanto era stato improvviso quell’impeto di rabbia. Una volta a terra lo fissò qualche istante sconcertata, iniziò lentamente a piangere poi urlò, si rialzò e fuggì dal casottino.
Alec rimase qualche secondo con gli occhi incollati ai rametti del cespuglio tremando di rabbia. Poi prese coscienza di quello che aveva fatto, i suoi muscoli, tesi per la collera, si rilassarono e sul suo volto si tinse il rammarico. Scappò anche lui, ma non tornò nella casa della famiglia affidataria, se qualcuno lo avesse cercato sarebbe sicuramente andato lì e lui non voleva essere trovato. Corse e si ritrovò in una parte della cittadina che conosceva davvero poco, era una via di villette a schiera fatte nell’ultimo decennio probabilmente, alcune si esse infatti erano ancora disabitate con i cartelli vendesi appesi un po’ ovunque.
Smise di correre e prese a camminare sempre più lentamente fino a fermarsi davanti al vialetto di una di quelle supercase. Era fuggito ancora, le lacrime gli salirono agli occhi. Tirò su col naso e scosse la testa.
“Hei, piccolo … tutto bene?” una voce lo raggiunse dal porticato della casa.
Alec sollevò lo sguardo annebbiato e vide sulle seduta sulle scale una giovane donna bionda in abito bianco che lo fissava.
“Tutto bene?” ripeté la donna.
Lui rimase sulle sue, pensò anche di riprendere a correre, quando alla fine riconobbe la figura scura dietro quella giovane: era l’ombra, l’ombra che gli era sfuggita al parco.
Lei si accorse che stava fissando la creatura e sorrise lievemente. “Ti piace? È mia amica, sai?”
Il ragazzino si fece attento ma non disse niente e non si avvicinò.
La donna sembrò dispiaciuta. “Puoi stare tranquillo, non vuole farti del male e non è pericolosa.” spiegò. “Non per te, almeno.” aggiunse dopo una pausa.
Alec non capì: “Che … che intendi dire?”
“Che tu sei come me.” disse l’altra con gravità nella voce.  “Tu sei un amico delle ombre.”
Lui si irrigidì e una strana paura lo avvolse.
La donna dovette accorgersene perché si alzò in piedi e fece qualche elegante passo verso di lui. “No, non devi esserne spaventato! Non è un cosa cattiva, affatto!” si fermò a distanza di qualche passo con il volto piegato in un’espressione contrita. “Io ti sembro una persona cattiva?” chiese con voce dolce anche se triste.
Alec scosse la testa. “N-no …”
Il sorriso che si disegnò sulle labbra della donna fu per lui ciò che dissipò la paura.
C’era qualcuno come lui allora. Qualcuno che poteva capirlo e che lo avrebbe fatto.
“Tu ti chiami Alec, quindi? Che bel nome! Io mi chiamo Eris, e ho molto da raccontarti piccolo.”
Parlarono molto quel pomeriggio. Alec rincasò tardi e si prese anche una bella lavata di capo ma non gli importava, adesso aveva trovato qualcuno come lui.
Iniziò a fare visita a quella casa in vendita quasi tutti i giorni, quando attraversava la soglia ed entrava nell’atri si sentiva molto più a casa di quanto non si fosse mai sentito in qualsiasi altro posto. Ma a volte la donna non c’era, e lui restava anche ore fuori ad aspettarla che ci fosse il sole o che piovesse.
Erano oramai quasi due mesi che conduceva questa vita. Dopo quella specie di litigio nel parco con Selena non aveva il coraggio di tornarci, non voleva che lei lo vedesse, anche a scuola la evitava. Si vergognava troppo per parlarle ancora.
Un pomeriggio si diresse come suo solito alla casa di Eris, la trovò seduta sulle scale, sembrava distrutta come se avesse pianto tutto il giorno. Corse da lei.
“Hei, Alec.” la sua voce era flebile e molto più triste del solito benché sorridesse.
“Cosa è successo?!” chiese lui agitatissimo.
“Tranquillo piccolo.” gli posò una mano sulla testa. “Ho solo una cattiva notizia.” abbassò lo sguardo e sospirò.
Il ragazzino aspettò in silenzio che lei parlasse ancora.
“Alec … ti ho tenuto nascoste molte cose, su di me, su di te e su tutto il mondo che ci circonda … ma soprattutto ti ho nascosto una verità enorme.”
Lui iniziò a tremare anche se non faceva freddo.
“Voglio dirti tutto, ma non appena lo farò poi non potrò più venire qua a trovarti. Mi capisci?” sollevò lo sguardo su di lui e si fissarono: avevano gli stessi identici occhi neri come la pece. “Io ti voglio bene e voglio essere sincera con te, niente segreti, niente bugie. Ma per fare ciò dovrò lasciarti.”
“No!” finalmente lui reagì. Alec strinse i pungi e pestò i piedi. “No! Ci dev’essere un modo per non separarci! Tu sei l’unica persona al mondo che ho e che mi capisce! Che sa chi sono realmente!”
“Esatto piccolo … io so chi e cosa sei …”
Gli raccontò tutto: degli dei, dei semidei, dei mostri e che le ombre erano frutto di una magia, di un potere che loro due avevano.
“Alec noi condividiamo questo potere perché …” si fermò un attimo come fosse indecisa se parlare o meno. “Io sono una dea.” sospirò infine. “E tu sei mio figlio, Alec.”
Il ragazzo sgranò gli occhi, una miriade di sensazioni lo attraversarono in un istante: sorpresa, rabbia, rammarico, rancore, felicità e disperazione. Nonostante tutto quello che era successo, adesso che si erano ritrovati, lei avrebbe dovuto andarsene. Esplose e urlò la sua disperazione ed incredulità. Non voleva perderla adesso, non ora che sembrava che i pezzi di sé stesso si fossero ricomposti e tutto iniziava ad avere un senso.
“Sono gli altri dei! Sono loro che hanno imposto questa divisione tra i genitori e i figli! Io sono solo una divinità minore non posso oppormi al loro volere!” stava spiegando Eris nel tentativo di calmarlo.
Alec si fermò all’improvviso. “Tu non puoi … ma io sì.” sussurrò.
“Alec che stai dicendo?”
“Tu non puoi perché devi sottostare a determinate leggi ma io sono per metà mortale, posso ribellarmi! Posso trovare un modo per …”
“Distruggerli.” finì la frese per lui. “Se tu lo facessi io potrei stare per sempre con te, come una vera madre.” gli prese le spalle e lo guardò diritto negli occhi, la sua voce era decisa ora, più pacata ma imperante. “Distruggi gli dei figliolo.”
  
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