Non
E’ Mai Troppo Tardi
11
In qualche modo passarono altre tre settimane.
Era crollata qualche altra barriera fra lui e
Jennifer, specie da quando aveva chiesto il suo aiuto per cercare di salvare i
suoi risultati scolastici, crollati vertiginosamente durante il rapimento di
Michael.
Da quasi due settimane, tutte le sere dopo cena,
passavano due o tre ore nel gazebo, che Jennifer sembrava adorare almeno quanto
lui, armati di caffè e degli esplosivi dolci di Susan, con la compagnia di
Lizar, Dragar, Indios, Venusia e Cocoon, per rimettere insieme come un puzzle
le materie che aveva lasciato più indietro.
Aveva scoperto le meraviglie della fisica e della
chimica.
I rapporti fra Jennifer e Lizar
miglioravano, mentre era stato amore a prima vista fra la ragazza e Cocoon…
effettivamente il più dolce di tutta la banda, l’unico che di cane da
guardia aveva solo la nomea.
Michael aveva ufficialmente adottato Dragar e non
era raro trovarli insieme.
Non era raro neanche trovare Drake con Sharon e
aveva la netta sensazione che il suo migliore amico si stesse innamorando.
Con il passaggio di proprietà dell’azienda, lui
ebbe comunque modo di godere poco di questo nuovo equilibrio, anche se il
pomeriggio lo passava a casa.
Georgie camminava a mezzo metro da terra e la sua
mente e le sue energie erano tutte proiettate al futuro.
Ignorava totalmente tutto quello che vorticava
dietro l’attività che tanto la appassionava.
La sua vita sociale era precipitata sotto lo zero
in un batter d’occhio, e Drake cominciava a lamentarsi… anche se con pochissima
convinzione, sempre merito di Sharon, ma doveva ammettere che gli unici momenti
della giornata dove si divertiva erano quelle ore passate con Jennifer sui
libri.
Probabilmente questo fatto da solo la diceva già
tutta sulla situazione.
Da qualche giorno poi, la situazione stava
degenerando: un mal di testa feroce non lo mollava un attimo, non c’era
aspirina o analgesico che tenesse, e il suo umore ne aveva risentito
vistosamente.
Quando quella mattina, poco dopo le undici, si trovò
improvvisamente a tu per tu con sua cugina, vuoi per il mal di testa, vuoi che
sarebbe voluto essere da qualsiasi altra parte che non fosse il suo ufficio, la
linea del suo stato d’animo era di parecchie tacche sotto lo zero del buon
umore.
Diciamo che era molto vicino alla definizione di asociale.
Concentrarsi su qualsiasi cosa era un’autentica
tortura.
Ringraziò il cielo di essere già seduto.
«Ciao Juna» lo salutò con un sorriso.
«Come mai Alison non mi ha avvisato del tuo
arrivo?» chiese forse un po’ troppo sulle sue.
Georgie sembrò non notarlo, «Le ho detto che
volevo farti una sorpresa.»
«Ok, cosa vuoi?»
«Questo è per te.»
Un bombolone, presumibilmente alla crema, si
materializzò completo di piattino e succo di frutta ancora sigillato sui fogli
che stava cercando di leggere.
In qualsiasi altro giorno della sua vita quella
sarebbe effettivamente stata una bella sorpresa, perché andava pazzo per i
bomboloni alla crema, ma quel giorno il suo stomaco fece una piroetta da
manuale.
Non mangiare e dormire poco e male non era il
massimo della vita. Non avrebbe retto ancora per molto in quella condizioni, ma
non sapeva cosa fare.
Non capiva il
perché stava così male.
Alla sua occhiata la cugina lo gratificò di un
nuovo sorriso e scosse graziosamente le spalle… era una sua impressione o
dietro il sorriso lo stava osservando con un’attenzione tutta nuova?
Chissà cosa avrebbe
detto se avesse saputo che erano almeno ventiquattr’ore che scansava il cibo…
«Ieri sera ti sei vergognosamente approfittato del
fatto che ero fuori e non hai cenato e già sono arrabbiata per quello, in più
da qualche giorno spesso e volentieri salti il pranzo, senza contare che non
hai fatto colazione stamani, così…» concluse il ragionamento con un’eloquente
occhiata al bombolone.
Decise che non era curioso di scoprirlo.
Appoggiò il documento che aveva fra le mani sulla
scrivania, nel farlo però si sporse in avanti e il movimento gli dette
l’impressione che il suo cervello si fosse liquefatto dentro la bacinella che
era la sua testa.
Ringraziò il cielo di avere lo stomaco vuoto,
perché se l’improvviso coniato di vomito non ebbe esito fu solo grazie a
quello.
La parte peggiore fu però la fitta che partì dalla
sua nuca trasmettendosi all’istante a tutta la testa, come se il suo cranio si
fosse trasformato in una cassa di risonanza.
Chiuse gli occhi premendo i palmi delle mani sulle
tempie e reprimendo testardamente il gemito.
Cercò di concentrarsi. «Grazie Georgie, molto
gentile da parte tua.»
«Juna, cos’hai?»
Registrò un significativo cambiamento nel tono di
sua cugina, ma era troppo occupato ad impedire alla sua testa di staccare la
spina con il resto del mondo per analizzarlo. «Nulla.»
«Nulla?? Per la miseria ho fatto bene a
venire qui: Jennie aveva ragione!»
Jennie? Cosa dannazione c’entra lei adesso?
Alzò lo sguardo su sua cugina e non la vide più
davanti alla scrivania.
Una mano fresca gli sorresse la fronte e Georgie
lo aiutò ad appoggiarsi allo schienale della poltrona.
«Juna, oh Dio, hai la febbre alta.»
«Ma no, non…»
«Juna, per favore, dammi retta: sembri una
caldaia.»
La voce di sua cugina era angosciata.
«E’ solo un forte mal di testa.»
«Accidenti ai testardi, non hai niente da
invidiare ad un mulo!» prese fuoco «Sono almeno tre giorni che Jennie vede
degli strani comportamenti in te! Mettiti la giacca, ti riporto a casa… e non
ti azzardare a fare storie o te le do di santa ragione! Nella condizioni in cui
sei non saresti neanche in grado di difenderti!»
La vide uscire dalla stanza come un ciclone.
Ma perché a lui? Cosa poteva aver fatto per
meritarsi una cosa del genere?
La porta si aprì con cautela e fece capolino
Alison. «Juna?»
«Entra Ali.» Cercò di abituarsi all’idea di
alzarsi in piedi, «Mangialo tu alla mia salute, ok?» aggiunse indicando il
bombolone.
Alison si avvicinò alla scrivania osservandolo,
«Dio che occhi lucidi hai. Come ho fatto a non accorgermi di niente?»
La domanda giusta è un’altra: perché adesso
qualcuno se n’è accorto. Perché il mio muro, la mia facciata tanto
faticosamente costruita, sta crollando completamente Alison, ecco perché.
«Sono un ottimo attore Ali, non preoccuparti.»
«Ti vengo a trovare a casa oggi» lo avvertì quasi
fosse una minaccia, «e se ti trovo fuori dal letto…»
Era una minaccia.
Fece leva con le mani sul piano della scrivania e
ordinò al suo corpo di staccarsi dalla poltrona.
Il suo corpo ubbidì.
Successe appena si separò dalla scrivania.
Ebbe l’impressione che tutto il suo sangue,
partendo dalla testa, cadesse in discesa libera fino ai piedi.
La stanza fece un violento giro su se stessa,
sentì Alison gridare il suo nome, poi un gelido buio lo avvolse.
Per chissà quanto visse come in un limbo.
Le orecchie gli ronzavano, sentiva le voci come se
provenissero da un altro pianeta… ma riconobbe bene quella concitata di sua
madre e quella calma e profonda del professor Lawrence McIntyre, colui che
quasi diciannove anni prima lo aveva aiutato a fare la sua spettacolare entrata
al mondo.
Larry con tutta probabilità sapeva anche che fine
avesse fatto suo fratello.
Avrebbe potuto chiederglielo se non avesse avuto
la certezza di innescare un casino di proporzioni mastodontiche.
I suoi genitori non si meritavano una cosa del
genere perché una cosa la sapeva per certa: se avevano deciso di nascondergli
qualcosa come la morte del fratello, alla base c’era un motivo più che valido.
«Ma cos’ha?» stava chiedendo sua madre angosciata.
«Ad occhio e croce è una brutta influenza. Fino a
quando è in stato d’incoscienza non posso azzardare altre ipotesi.»
«Ma è svenuto Larry! E’ finito disteso in terra!»
sottolineò il concetto.
«Non mi meraviglio affatto, tuo figlio ha quasi
quarantuno di febbre Manaar!» breve sospiro e la voce tornò bassa «Quel ragazzo
ha una costituzione forte, certo, ma una temperatura del genere stroncherebbe
chiunque! Mi chiedo da quanto tempo è in queste condizioni, quell’incosciente!»
«Allora che si fa?»
«Dobbiamo aspettare che riprenda conoscenza, solo
allora potrò fargli una visita accurata.»
Che nel gergo di quell’uomo significava rigirarlo
come un pedalino.
Ci fu una pausa «Usciamo adesso. Speriamo che
Howard abbia trovato il ghiaccio.»
Con un notevole sforzo aprì gli occhi e la
penombra della stanza non gli diede fastidio.
Che la febbre fosse alta era poco ma era sicuro.
Si sentiva… ovattato e bollente.
Gli occhi cominciarono a bruciargli e li richiuse
con un sospiro di rassegnazione.
Appena Manaar e il professore uscirono dalla
stanza, Justin e Georgie si staccarono dal muro come se questo scottasse,
«Allora?» chiesero ad una voce.
«E’ ancora in stato d’incoscienza» rispose il
professore del quale si stava sforzando di ricordare il nome, «per ora posso
solo ipotizzare una brutta influenza.»
«Ma la febbre…» cominciò Connor.
«Supera abbondantemente i quaranta Connor» riprese
lui, «ma fino a quando non riprende conoscenza non posso azzardare ipotesi. Adesso
la cosa più importante è far scendere la temperatura.»
«Buon Dio» disse Lennie, «siamo in tanti in questa
casa e nessuno si è accorto che stava così male.»
«Certo che il ragazzo è un incosciente» continuò
Madeline, «uscire di casa con quella febbre… non so come dirlo a Patrick quando
tornerà.»
«Nonna, pensiamo a come dirlo a Michael e Melissa»
disse Justin. «Fra meno di un’ora torneranno dall’asilo e si fionderanno al
gazebo alla ricerca di Juna.»
Calò il silenzio più assoluto.
Ovviamente Justin aveva ragione, ma nessuno aveva
voluto pensarci.
Apparve Howard, bianco come un lenzuolo, e si
rivolse al professore, «Ho trovato il ghiaccio professor McIntyre… come sta il
signorino?»
«Non si preoccupi Howard, ha una costituzione
d’acciaio quel ragazzo» rispose il professore.
«Quando gli metterò le mani addosso non si salverà
neanche fosse fatto di ferro Larry!» esplose Georgie «Ho creduto di… di morire quando l’ho visto svenuto a
terra! E’ un miracolo che non si sia spaccato la testa contro la scrivania!
Alison piangeva come una fontana, è dovuto venire a prenderla il fidanzato da
quanto era sconvolta!»
Justin cinse le spalle della sorella e Georgie
scoppiò in lacrime, sfogando finalmente lo shock che, era evidente, stava
covando da quando era tornata a casa insieme a Connor e Juna privo di sensi.
Paul e Lennie rimasero pietrificati davanti alle
lacrime della figlia, Justin cominciò a parlarle a bassa voce quasi cullandola.
Juna stava male… ma male davvero.
Quel pensiero le toglieva il respiro.
«Signora McGregory… posso entrare a sistemare il
ghiaccio?» chiese Howard.
Aveva bisogno di vederlo, era evidente.
«Certo Howard, grazie» rispose Manaar.
«Georgie» cominciò Connor, «come mai eri da Juna
stamani? Me lo sto chiedendo da quando sei piombata nel mio ufficio.»
Georgie tirò su con il naso e automaticamente
Justin prese un fazzoletto dalla tasca dei suoi pantaloni e lo passò alla
sorella che lo usò prima di rispondere.
«Ho parlato con Jennie stamani, prima che andasse
a scuola. Quando le ho chiesto dove fosse Juna mi ha detto che era uscito senza
fare colazione. E’ stata lei a mettermi la pulce nell’orecchio. Da quello che
mi ha detto mi aspettavo di non trovare Juna al massimo della forma, ma da qui
a vederlo a terra svenuto, ce ne corre!»
Si trovò al centro dell’attenzione generale.
«Di cosa ti sei accorta esattamente?» le chiese Manaar.
Quella donna sembrava sull’orlo di un baratro
senza fine.
«Da qualche settimana dopo cena io e Juna stiamo
un paio d’ore nel gazebo: mi sta aiutando a recuperare qualche materia. Da
qualche giorno ho notato come dei… vuoti in lui. A volte smetteva di
parlare, chiudeva gli occhi, perdeva colore… e se tuo figlio sbianca, ti garantisco che è evidente.
E’ anche successo che alzandosi dalla sedia barcollasse… cose del genere. Gli
ho chiesto se stava poco bene, ma lui mi ha sempre detto che era solo mal di
testa.»
«Questi dannati mal di testa» ringhiò quasi
Connor.
Howard uscì dalla stanza di Juna.
«E’ ancora privo di sensi?» chiese Madeline.
«Sì signora» rispose il maggiordomo. «Ha un respiro
così strano…» aggiunse angosciato «a volte sembra faccia fatica ad incamerare
aria, a momenti è così leggero che… che quasi sembra non respiri.»
Il professor McIntyre gli diede una pacca sulla
spalla, un gesto che strappò all’uomo un sorriso tirato.
«Jennie, per favore, staresti un po’ con Juna?»
chiese Manaar all’improvviso «Io devo assolutamente fare delle telefonate e non
voglio che resti solo.»
Il professore si rivolse a lei, «Assicurati che il
ghiaccio resti sulla sua fronte e se riprende i sensi o comincia ad agitarsi
corri ad avvertirmi.»
Annuì al professore ed entrò nella stanza dopo
aver salutato tutti con un cenno della testa.
Il suo cuore cominciò a battere più forte appena
abbassata la maniglia.
Entrò con circospezione, si guardò intorno chiudendosi
la porta alle spalle e appena gli occhi si furono abituati alla penombra
inquadrò il letto e la sedia.
Il respiro di Juna aveva un ritmo incostante,
Howard aveva ragione.
Movendosi con cautela arrivò alla sedia senza
danni e prese posto senza perdere di vista il profilo del ragazzo.
Era ancora incosciente.
Chiuse gli occhi quando l’ondata di panico che
l’aveva già assalita alla vista di Juna privo di sensi la travolse di nuovo.
Aveva cominciato a sentire qualcosa di
attanagliante al petto quando aveva visto solo Kyle all’uscita da scuola.
«Avevo intuito che tu non stessi bene» mormorò,
«ma non avevo capito fino a che punto. Spero che tu guarisca presto perché devo
picchiarti, testone che non sei altro.»
Juna trattenne a stento una risata nell’udire
quella che doveva essere una minaccia detta con voce così sommessa ed
angosciata.
La piccola Jennifer era preoccupata per lui?
Non gli conveniva ridere comunque… la sua testa
non avrebbe retto. All’interno del suo cranio si erano scatenati tutti i
tamburi del mondo.
Sentì le mani morbide e fresche della ragazza
avvolgere la sua e il contatto lo fece rabbrividire, quasi più del ghiaccio
sulla sua fronte.
«Dio come sei caldo» continuò lei, «ma lo sai che
la febbre così alta può essere pericolosa? Ho letto da qualche parte che una
temperatura troppo elevata può addirittura danneggiare le cellule celebrali…
ok, tu sei un genio e forse le tue sono a prova di bomba, ma perché sfidare
così la buona sorte? Non ti porti il rispetto che dovresti. Mi hai fatto prendere
un colpo, tua madre è sull’orlo di una crisi nervosa, Georgie piange come una
fontana e a quanto sembra Alison le fa compagnia…»
Gli piaceva starla a sentire… e gli piaceva che
fosse preoccupata per lui.
Che stesse impazzendo?
«Jennie?» mormorò.
Silenzio.
«Juna?» Non alzò la voce e di questo le fu grato,
«Finalmente… come stai?»
«Male.»
«Ti sta bene testone, cosa aspettavi ad andare dal
medico o dirlo a qualcuno?»
Fosse stato in cerca di comprensione sarebbe
davvero cascato male.
«Non credevo fosse così grave… sei arrabbiata con
me Jennie?»
«Io? Arrabbiata?» Sentì le mani allentare la presa
intorno alla sua «Vado a chiamare il professore.»
Strinse la mano bloccando le sue, «Aspetta.
Torneranno prima o poi… resta qui.»
«Ne hai di forza per essere malato.»
«Appunto: malato. Non in fin di vita.» Cominciò ad
accarezzarle una mano con il pollice come soprappensiero «Sei la seconda che
vuole menarmi oggi… è un record.»
La ragazza ci mise dieci secondi per racimolare la
voce «Non mi meraviglio affatto, faresti perdere la pazienza ad un santo.» Si
bloccò appena realizzò appieno la sua affermazione e la sentì inspirare con la
bocca, «Tu… tu non eri privo di… tu hai sentito tutto quello che ti ho…
McGregory, sei… sei un… un…»
«Abbi pietà Jennie, sono malato, ricordi?»
«Sei impossibile Juna!»
«Ho paura che stasera non potrai beneficiare della
mia compagnia.»
Altri dieci secondi di silenzio, «Non preoccuparti
di questo adesso, devi pensare a rimetterti in piedi.»
«Stammi a sentire. Non perdere il ritmo del
ripasso. Ce la puoi fare a recuperare tutto, ok? Manca poco. Ce la puoi fare.»
«Ti ho detto di non preoccuparti, ho capito il tuo
metodo… e puoi giurarci che ce la farò.»
La convinzione nella sua voce gli dette una
sensazione a metà fra il sollievo e la tenerezza.
Stava decisamente poco bene…
«Vedrai che anche Lizar ti farà compagnia anche se
non ci sono io. Le stai stranamente simpatica.»
«Se un essere vivente riesce a voler bene a te, è
potenzialmente capace di andare d’accordo con tutto il mondo.»
Il senso dell’umorismo di quella ragazza faceva
passi da gigante.
Sentì chiaramente la porta aprirsi e la sentì
anche Jennifer perché si girò.
Si rendeva conto che si tenevano per mano?
E lui si era appena reso conto che le stava ancora
accarezzando il dorso.
«Jennie?»
Sua madre.
«Entra Manaar, ha ripreso conoscenza.»
«Spiona» le bisbigliò.
«Dio ti ringrazio…» sentì quasi gemere sua madre.
«Siediti qui Manaar» aggiunse la ragazza
alzandosi, «vado a chiamare il professore.»
La sentì uscire e si rese conto di vedere solo
ombre confuse che si muovevano. «Mamma?»
«Sono qui… Dio che accidente ci hai fatto
prendere. Come stai?»
Di comprensione da sua madre ne avrebbe avuta
anche troppa.
«Sto bene, non preoccuparti.»
«Se è una battuta non è per niente divertente.»
Sospirò rassegnato, «Ok, allora preoccupati tanto,
va bene?»
Sua madre gli prese la mano, «Hai la febbre molto
alta.»
«Lo so… che ore sono?»
«Quasi le quattro ormai, sei stato privo di
conoscenza per ore. Larry si è assicurato che non avessi problemi di
respirazione o roba del genere poi ha detto di non svegliarti. Dio mio Juna,
perché hai aspettato di arrivare a questo prima di ammettere che non stavi
bene?»
«Pensavo fosse il solito mal di testa mamma.»
«Tuo padre è fuori dalla grazia di Dio, non
nominare il mal di testa davanti a lui.»
«Va bene. Ho sete.»
«Immagino, ma cerca di resistere, voglio sentire
cosa dice Larry prima di darti qualsiasi cosa.»
Un lieve bussare precedette l’entrata di Larry.
«Ho sentito che sei tornato fra di noi.»
«Ciao Larry, è sempre un piacere. Direi che mi sei
anche mancato.»
«Tuo figlio è squisito Manaar.»
«Lo sa, assomiglio a lei. Larry, ti sarei grato se
non accendessi la luce.»
«Ci credo. Manaar, saresti così gentile da
lasciarmi solo con tuo figlio?» Rimasti soli la sua voce cambiò completamente,
«Per tutti i fulmini Juna, adesso a noi due. Ti rivolterò come un guanto. Sai
da quando non ti fai visitare?»
«Mi sembra ieri.»
«Non scherzare. Il tuo respiro mi piace proprio
poco. Anche Howard si è accorto che c’è qualcosa che non va, ed è stato qui dentro
pochi minuti, renditi conto. Spero solo che almeno il tuo organismo abbia avuto
il buon senso di cedere prima del punto di non ritorno.» Vide la sua ombra
appoggiare quella che doveva essere la sua borsa sulla sedia, «Senza contare
che hai fatto perdere dieci anni di vita alla tua fidanzata.»
«Alla mia cosa?»
«Quando sono arrivato pensavo che fosse lei a
stare male. Anche tua cugina è in salone che piange. Quella ragazza però ha
carattere, finalmente hai trovato pane per i tuoi denti eh? Devo dire che fate
davvero una bella coppia… ben assortita, intendo. Credo che i bambini saranno
stupendi, a prescindere da chi assomiglieranno…»
«Larry…»
«… mi offro già da ora disponibile per il parto…
in fin dei conti ho fatto un buon lavoro con te, ti pare?»
«… cosa stai dicendo?»
«Se non ho capito male si chiama Jennifer.»
Che Dio lo aiutasse.
«Tanto per cominciare Jennifer non è la mia
fidanzata, in secondo luogo ti diffido dal fare certi discorsi davanti a
mia madre, ci siamo capiti? Tu sarai già ampiamente in pensione quando io sarò
pronto ad avere figli.»
«Certo certo…»
«Non sto scherzando.»
«Neanch’io… tirati su a sedere e alza la
maglietta. Respira profondamente quando te lo dico e stai zitto.»
Lo assecondò e si rese conto che qualcuno lo aveva
spogliato prima di metterlo a letto.
Per la prima volta si chiese chi lo avesse portato
fino al letto.
Improvvisamente sentiva una debolezza incredibile.
Alla fine il respiro profondo che fece Larry gli
piacque meno di zero.
«Ok Larry, spara.»
«Bronco-polmonite.»
«Cosa?»
«Hai capito benissimo. Fra l’altro una delle forme
peggiori che ho visto in vita mia. Dovrai stare a letto almeno per le prossime due settimane, forse anche un mese e sperare
che gli antibiotici siano sufficienti.»
«A letto per due settimane?»
«Ti prescriverò sciroppo, pasticche, bustine… e
stai attento a non sgarrare una volta o ti giuro che ti faccio ricoverare in
ospedale, mi sono spiegato?»
«Tu mi vuoi morto. A letto per due settimane forse
un mese?» ripeté.
«Ti concedo di stare a letto solo fino a quando
avrai la febbre, poi potrai girare per casa, a patto che il riscaldamento sia
acceso e funzioni bene. Prendi l’abitudine di indossare una sciarpetta o roba
del genere intorno al collo, non pretendo che sia di lana, e stai sempre ben
coperto, soprattutto il torace. Juna, mi stai ascoltando? Sgarra una volta e ti
faccio ricoverare nel giro di un’ora, intesi? Non voglio sapere da quanto stai
male, altrimenti ti strozzo adesso con le mie mani, ma una bronco-polmonite se
non presa più che seriamente ci mette un niente a diventare cronica.»
«Tappato in casa per un mese» riassunse ancora ad
alta voce la situazione.
«Preferisci l’ospedale?»
«Oh Larry, andiamo…»
Lo vide scuotere la testa, «Juna, giuro sulla
testa di mio figlio che ti ricovero in ospedale e butto via la chiave se non mi
dai retta. Voglio una promessa da te: seguirai alla lettera le mie
prescrizioni. Alla lettera. Forse così te la caverai in un mese senza
danni permanenti.»
Cristo, era così grave la situazione?
«Stai cercando di mettermi paura vero?»
«Gli incoscienti non hanno paura e tu sei un
incosciente di prima categoria. Faccio leva sulla cosa che più ti infastidisce:
limitare drasticamente la tua libertà.»
«Ok Larry, affare fatto: mi impegno a seguire alla
lettera le tue prescrizioni per il prossimo mese.»
Lo vide scuotere la testa e sentì lo sbuffo, «Se
non ti conoscessi da quando sei nato riusciresti a fregare anche me. Tu
seguirai alla lettera le mie prescrizioni fino a quando non ti dirò che sei
guarito, il che significa, come ti ho già detto, che sarà un mese se ti va
bene.»
Fregato.
«Va bene… ma ho anch’io una condizione.»
«Hai una faccia tosta senza confini ragazzo.»
«Rendi la pillola più dolce possibile per i miei:
non dirgli quello che hai detto a me.»
«Juna…»
«E’ un favore che ti chiedo Larry. In cambio sarò
un paziente modello.»
L’anziano professore rimase un attimo in silenzio,
poi sospirò, «Ok, affare fatto Juna.»
«Fai entrare i miei.»
«Devo scendere a chiamarli, sono in…»
«Sono tutti e due dietro la porta Larry, fidati.»
Lo sentì ridacchiare mentre andava ad aprire la
porta e la voce di suo padre lo accolse con un allora?
«Entrate.»
Suo padre fu il primo ad avvicinarsi, «Juna?»
«Ciao papà.»
«Ciao papà? Mi hai fatto perdere vent’anni
di vita e tutto quello che hai da dirmi è ciao papà?»
«Ok, sono pronto ad ammettere che sono stato un
irresponsabile ma ti giuro che non avrei mai pensato di arrivare a questo.»
«Pensavi fosse uno dei tuoi soliti mal di testa»
disse suo padre con un tono che era una vera poesia.
In quel momento fu chiaro che da quel giorno
doveva inventarsi un altro diversivo per sua madre.
«Come sta?» chiese sua madre a Larry.
«A parte la febbre e un principio della peggior
bronco-polmonite che abbia mai riscontrato in vita mia, tuo figlio sta da Dio»
fu la risposta.
L’etica di quell’uomo gli aveva impedito di non
dire almeno in parte la verità.
«Bronco-polmonite??» esplosero con un
sincronismo perfetto la sua mamma e il suo papà.
«Juna deve restare chiuso in casa fino a mio nuovo
ordine» continuò Larry. «Ho dietro delle pasticche che stroncano la febbre, è
quella che mi preoccupa di più adesso, ma stenderanno anche lui perché sono
molto forti e probabilmente farà tutta una tirata fino a domani mattina. Te ne
lascio due Manaar, scioglile nell’acqua e dargliele dopo avergli fatto mangiare
qualcosa perché, ti ripeto, sono pesantissime. Prescriverò anche uno sciroppo
che dovrà prendere tre volte al giorno, delle pasticche, ogni sei ore, e delle
bustine, ogni dodici ore, bisognerebbe andare a comprarle prima che chiudano le
farmacie perché deve iniziare la cura completa domani mattina.»
«Nessun problema» disse suo padre. «Oggi quindi
prende solo le due pasticche che hai portato.»
«Esatto. E mi raccomando: massimo riposo e deve
stare al caldo, specie gola e torace. Vi consiglio spassionatamente di alzare
il riscaldamento, almeno per la prima settimana… immagino che Juna avrà bisogno
di andare al bagno.»
«Grazie del pensiero Larry.»
«Fino a quando la febbre non sparisce legatelo al
letto se necessario, poi può stare anche alzato, ma in casa al caldo. Ora che
ci penso anche delle vitamine non gli farebbero male, considerato il
bombardamento di antibiotici. Preferisci le pasticche o le bustine, razza
d’incosciente che non sei altro?»
E’ questo il suo modo di indorare la
pillola, dannazione?
«Pasticche.»
«Ok. Manaar, scendi con me e preparo le ricette?
Ci vediamo domani Juna, passerò a darti un’occhiata. E ricorda che io e te
abbiamo fatto un patto.»
«Tesoro, avverti Paul che massimo fra un paio
d’ore andiamo in farmacia a prendere il tutto» disse suo padre. «Impedisci ad
Howard di andare al posto nostro.»
«Sta’ tranquillo.»
Rimasero soli e suo padre prese posto nella sedia.
«Se non fosse che sei il mio solo erede, ti
ucciderei. Georgie ha ragione: non so per quale miracolo tu non ti sia spaccato
la testa contro la scrivania o comunque sbattendola a terra.»
«Sono un ragazzo fortunato.»
«Io devo essere fuori di me quando dico che hai
ripreso il mio senso dell’umorismo.»
«Sei solo realista papà. Senti, non preoccuparti,
ok? Cerca di tenere buona la mamma perché non voglio pensare a cosa mi
aspetta.»
«Io penso a te adesso, la mamma non ha la
bronco-polmonite.»
«Un principio di bronco-polmonite»
corresse.
«Se proprio vogliamo essere pignoli, figlio mio, è
il principio della peggior
bronco-polmonite che Larry abbia mai riscontrato… e considerato che quell’uomo
fa il medico da prima che nascessi io, la precisazione non mi consola neanche
un po’. Come dannazione ho fatto a non accorgermi del perché stavi male Dio
solo lo sa!»
Anche in quelle condizioni il campanellino
d’allarme prese a suonare con insistenza. «Cosa pensavi che fosse?»
Suo padre rimase in silenzio tre secondi in più
del solito. «Io e tua madre ce lo stavamo chiedendo da quasi un mese ormai… a
volte sembravi così… così… perso. Cupo. Non lo so. Sembrava che qualcosa
ti preoccupasse a morte.»
Dio svegliami che sto sognando.
Rimase in silenzio.
Cosa dannazione stava succedendo? Non riusciva a
nascondere più niente in quella casa?
La porta si aprì e la voce di suo nonno suonò
bassa. «Connor?»
«Vieni papà, è sveglio.»
«Lo so, ho parlato con Larry, Ragazzo mio, ci hai
fatto perdere non so quanti anni di vita.»
«Nonno, tranquillizza tutti la fuori, non…»
«Una bronco-polmonite è una cosa seria. Larry era
nero.»
«Oh ti prego!» sbuffò muovendo la testa per
girarsi verso suo nonno «Per quanto andrete avanti con questa…??»
Un dolore allucinante alla nuca gli impedì di
andare avanti e si curvò su se stesso tenendosi la testa con entrambe le mani.
«Juna!» esplose suo padre.
In un attimo gli fu praticamente addosso.
«Oh Santo Dio!!» sentì gemere suo nonno.
«La mia testa…» cercò di spiegare.
Stava per riperdere i sensi?
Dio, la sua testa stava per esplodere.
Serrò gli occhi e si concentrò sulla voce di… di…
«Connor, che succede?»
… Jennifer.
«Non ne ho idea Jennie. Juna, parlami!»
«Una fitta alla testa. Sto bene, è passata.»
«Porca miseria Juna, azzardati a dire un’altra
volta che stai bene e voli fuori dalla finestra!»
Rimase di sasso… forse scioccato era il
termine che più si avvicinava.
«Oh, finalmente qualcuno che gli dice le cose come
stanno!» le fece eco Larry.
Ecco perché non sentiva più la voce di suo nonno:
era corso a chiamare di nuovo lui.
«No Jennie, non fare così…» sentì sua madre… e
subito dopo realizzò i singhiozzi.
«Su su» continuò Larry, «Jennifer, questo ragazzo
farebbe perdere la pazienza anche ad un sasso, ma non è il caso di piangere… da
quanto state insieme? Che sia un essere impossibile è la prima cosa che salta
all’occhio!»
Cominciò a pensare alle torture da infliggere a
quell’uomo: questa Larry gliela
avrebbe pagata… e molto cara.
Nel silenzio più totale, la voce di Jennifer suonò
a metà fra il risentimento di prima e la preoccupazione, «Sono ospite di
Patrick con la mia famiglia, ma questo non comporta fidanzamento con questo bel
tipo.»
«Immagino che tu te ne sia assicurata prima di
mettere piede in casa» fu il commento che uscì dalla sua bocca prima che
potesse fermarlo.
Per Dio che stava succedendogli?
Era stato lui il primo a metterla sotto quella
luce parlando con lei, Jennifer stava semplicemente ripetendo quello che le
aveva detto per tranquillizzarla!
La voce di Juna suonò più dura dell’acciaio, ebbe
la sensazione di esserne colpita.
«Sai che non è così» rispose di getto.
E quelle lacrime che non si fermavano, accidenti a
loro.
L’entrata di Georgie e Justin fu la sua salvezza.
«Ad averlo saputo avrei preparato una scorta di
fazzoletti fanciulle!» esclamò allegro quest’ultimo «Come va cugino?»
«Da Dio.»
«Vedo. Ti porto via un po’ di compagnia ok? Sembra
che tu debba stare tranquillo adesso.»
Georgie fissava Juna come a volergli fare una
radiografia.
«Sto be…» cominciò il ragazzo, poi le lanciò
un’occhiata e con un sorrisetto che non avrebbe più scordato e si corresse,
«Sto meglio Georgie.»
Le venne improvvisamente da ridere, «Juna, sei
veramente intollerabile.»
Fu allora che un ciclone entrò nella stanza.
Aveva la forma e la voce di Melissa.
«Juna! Come stai? Che è successo? Da quanto sei a
letto?»
Justin chiuse gli occhi e rovesciò la testa
indietro.
«Melissa, ti prego…» disse Juna toccandosi la
tempia.
«Signorina, abbassa la voce, tuo cugino ha mal di
testa» disse Larry. «E adesso deve restare da solo e cercare di riposare.»
«Ma sta bene?»
«Ti spiegherò per filo e per segno cosa è
successo» si offrì Larry, «ma adesso usciamo tutti di qui.»
Si voltò verso la porta e vide suo fratello
letteralmente aggrappato allo stipite della porta, gli occhi sgranati e
un’espressione di puro terrore che non avrebbe scordato per il resto della sua
vita.
«Micky…» cominciò.
«Michael?» chiamò Juna «Melissa, avvicinatevi al
letto.»
Melissa volò, suo fratello si tirò dietro i propri
piedi come se fossero di piombo.
Juna, con un certo sforzo, si voltò verso di loro
e tirò fuori dalle coperte una mano che i due bambini afferrarono come se da
quello dipendesse le loro vite. «Ascoltatemi pulcini: ho la febbre e non sono
al massimo della forma, ok? Ho bisogno di riposare un po’, ma tornerò come
nuovo. La bella notizia è che starò a casa per qualche giorno.»
«Sei sicuro?» chiese con un filo di voce Michael
«Dobbiamo avvertire Drake.»
«Ok Micky, vai con mia madre e telefona a Drake.»
«Giurami che starai bene» disse suo fratello.
Juna lo guardò un attimo, la debole luce che
passava dalla porta illuminava i due bambini e le loro ombre erano l’unica cosa
che proteggeva il ragazzo. «Tornerò come nuovo» ripeté. «Andate adesso.»
Melissa e suo fratello uscirono dalla stanza senza
ulteriori incentivi.
Corse dietro a suo fratello.
Riuscì a fermarlo all’inizio delle scale.
«Pulcino?» lo chiamò prendendolo per le bretelle «Guardami.»
Michael si voltò verso di lei osservando il
pavimento, «Ti prego Micky, guardami.»
Alzò gli occhi gonfi di lacrime… anche Melissa
piangeva.
Le si gettarono entrambi addosso mentre singhiozzi
accorati li scuotevano.
Li abbracciò entrambi e accarezzando dolcemente le
piccole schiene riuscì a farli rilassare. «Ascoltate… che ne dite di stare un
po’ in camera con me? Vi potete addormentare sul lettone mentre io studio un
po’… che ne dite?»
«Jennie?» Ryan apparve da chissà dove.
«Senti… Lissa verrebbe con me e Micky, se le va.»
«Resto con voi» disse la bimba.
Come per dare maggior enfasi all’affermazione le
due manine si allacciarono saldamente.
Ryan annuì, «D’accordo. Juna?»
«Adesso deve solo dormire.»
«Dov’è Manaar?» chiese suo fratello tirando su con
il naso «Non so il numero di Drake.»
«Sono qui Micky.» Manaar comparve accanto al
cognato e prese in collo suo fratello, «Su, andiamo.»
Lo squillo del cellulare lo riscosse dalla lettura
dell’articolo sugli sviluppi, se così si potevano definire, nelle indagini
sull’assassinio di Estrada.
Vagavano nella nebbia più fitta… cosa abbastanza
ovvia visto che Matthew sapeva fare il suo lavoro.
L’ipotesi più accreditata era che fosse stato
ucciso da un concorrente.
La cosa lo avrebbe fatto ridere se non fosse stato
cosciente che la famiglia Estrada sapesse perfettamente chi doveva ringraziare
per l’improvvisa dipartita di Carlos.
Juna casa.
Fantastico. Non avevano stabilito di ignorare il
telefono di casa?
«Ciao compare, dimmi tutto.»
«Drake, sono Michael.»
Scattò in piedi come se fosse stato colpito da una
scossa e sua madre fece un salto dallo spavento.
«Michael??»
«Juna si è sentito male Drake, è svenuto, ha la
febbre alta, per favore vieni qui» cominciò a piangere. «Ho tanta paura Drake.»
Oh santo Dio.
«Micky, arrivo subito. Stai calmo ok?» sperò che
il bambino cogliesse anche il messaggio non espresso a parole.
La schermatura del suo cellulare copriva anche le
chiamate da un telefono fisso? Dannazione, non se lo ricordava. Doveva chiamare
Matthew.
E comunque era improbabile che Michael fosse solo
accanto a quel telefono, se preso dal panico gli fosse sfuggito qualcosa…
«Ti aspetto» disse solo.
Riattaccò e improvvisamente le parole di Michael
entrarono in circolo nel suo cervello: Juna era svenuto?
«Drake?»
«Mamma, devo correre a casa di Juna. Sembra…
sembra che stia male.»
La decisione di sua madre fu immediata, «Dammi
cinque minuti per cambiarmi, vengo anch’io.»
Appena fuori dal cancello di Villa McGregory vide
ferma una macchina accostata al muro di recinzione e riconobbe subito il
professor Lawrence McIntyre, lo storico medico dei McGregory, appoggiato al
cofano.
Doveva a quell’uomo l’entrata al mondo di Juna.
Istintivamente parcheggiò subito dopo l’auto e
scese, dicendo a sua madre di aspettarlo in macchina.
«Drake, stavo aspettando te» lo accolse.
Un senso di inquietitudine lo attanagliò.
«Come sta?» chiese subito.
«Male. Sta male Drake. Mi ha fatto promettere di
indorare la pillola ai suoi, ecco perché appena ho capito che saresti arrivato
ho deciso di aspettarti qui: almeno una persona vicina a lui deve sapere come
stanno le cose.»
S’impose la calma. «La ascolto.»
Rimase in silenzio ad ascoltare l’uomo
maledicendosi per non essersi accorto di nulla.
«… Quindi, in pratica lo affido a te Drake»
concluse il professore. «Se la bronco-polmonite diventasse cronica sarebbero
guai seri: se la porterebbe dietro per il resto della sua vita.»
«Stavolta lo uccido.»
E non stava scherzando.
Il professor McIntyre sorrise, «Perfetto, proprio
la filosofia giusta da adottare con uno come Juna. E’ sufficiente che lo
costringi a seguire le mie indicazioni per ora.»
«A letto fino a quando la febbre non è passata e
tappato in casa fino a suo nuovo ordine. Lo sciroppo tre volte al giorno, le
pasticche ogni sei ore, le bustine ogni dodici e le vitamine la mattina e la
sera.»
«Adesso vado via molto più tranquillo.»
«Grazie professore.»
«Grazie a te Drake. Se hai bisogno di qualsiasi
cosa…» tirò fuori un biglietto da visita e ci scrisse dietro qualcosa, «qui ci
sono anche i miei numeri di casa e di cellulare. Non esitare ad alzare il
telefono, dirò a mia moglie e alla mia segretaria chi sei e che mi passino
comunque le tue telefonate. Basterà il tuo nome.»
Prese il biglietto e lo mise in tasca. «Stia
tranquillo professore, e grazie ancora.»
Rientrò in macchina e sua madre contò fino a tre
prima di cominciare a fargli domande, «Non era il professor McIntyre quello?»
«Il professore che ha in cura la famiglia
McGregory da secoli, proprio lui.»
«E cosa voleva?»
«Mamma, sei incapace di nascondere qualcosa a Manaar,
non posso dirti niente.»
Si sarebbe morso la lingua: aveva appena detto a
sua madre che esisteva qualcosa da nascondere!
«Stai pur certo che se Juna è grave non sarà certo
sfuggito a sua madre.»
Evitò di guardarla in faccia: a lei e a Manaar
sfuggiva da anni che i loro pargoli fossero killers dell’F.B.I.… ed era
abbastanza grave, no?
«Mamma, te lo chiedo per favore: scordati di
averlo visto. La situazione sarà già difficile da gestire, non complicarmi
ulteriormente le cose.»
Il pesante cancello in ferro cominciò ad aprirsi.
Jessica Tyler alzò gli occhi al cielo, «Tutto tuo
padre.»
Nella fattispecie era tutto meno che un
complimento, ma poteva anche andargli peggio.
In casa c’era un perfetto delirio.
Addirittura Howard inciampò per prendere i
soprabiti suo e di sua madre.
Lo sorresse prendendolo per le spalle, «Howard,
stai tranquillo, sono sicuro che Juna tornerà come nuovo» gli disse.
«Spero tu abbia ragione Drake. Sono così contento
che tu sia qui.»
Rimase a bocca aperta.
La fine del mondo era vicina.
Apparve Manaar che li abbracciò tutti e due
insieme, «Mi sembra di vivere in un incubo. Grazie per essere corsi subito
qui.»
«Non dirlo neanche per scherzo tesoro» disse sua
madre. «Come sta Juna?»
Manaar spiegò loro cosa era successo nelle ultime
ore, «Connor e Paul sono andati in farmacia. Juna dovrà prendere un intero
arsenale di medicine e so già che mi farà impazzire per questo. Melissa e
Michael sono in camera con Jennie adesso… hanno avuto una reazione spaventosa.
Michael in particolare mi ha fatto paura… e non me l’aspettavo. Melissa sì, ma
lui… si è calmato solo quando ha saputo che arrivavi» concluse rivolgendosi a
lui.
«Posso vedere Juna?»
Manaar sorrise, forse per la prima volta nelle
ultime otto ore, «Se ti dicessi di no fa qualche differenza? Ho aspettato a
dargli le pasticche apposta. Lo stroncheranno, Larry è stato chiaro: dormirà
fino a domani mattina.»
«Vado da lui, poi da Michael. Dammi queste
pasticche, gliele farò prendere io.»
Appena ebbe il bicchiere pronto, sua madre prese
in consegna Manaar e lui non perse neanche tempo a salutare chi era in casa:
andò diretto nella stanza del suo migliore amico.
Entrò senza bussare.
«Ti aspettavo.»
Chiuse la porta alle sue spalle, appoggiò il
bicchiere sul comodino, poi prese posto nella sedia accanto al letto, dopo di
che si sentì abbastanza controllato per parlare senza sbranarlo. «Sei un
incosciente.»
«Non pensavo di arrivare a svenire Drake, ma non
preoccuparti, non…»
«Non cercare di raccontarmi puttanate Juna: il
professor McIntyre mi ha aspettato al cancello e so tutto quello che non sanno
i tuoi.»
Solo Dio sapeva come faceva a rimanere così calmo
e controllato, forse doveva ringraziare gli addestramenti ai quali erano stati
sottoposti da Matthew e Richard.
Era arrivato il momento di fare una scelta ben
precisa.
Juna rimase in silenzio, probabilmente stava
maledicendo McIntyre.
«Ascoltami bene» riprese senza alzare la voce.
«Direi che siamo più o meno pari adesso: voglio pensare che tu mi abbia reso il
favore di non averti parlato subito del pericolo che corriamo. Da adesso
ripartiamo da zero, intesi? Voglio sapere cosa pensi ancora prima che il
pensiero venga concluso a livello mentale, mi sono spiegato? Da parte mia farò
lo stesso, è una promessa. Meno di un mese fa ho detto ad alta voce che non ti
avrei perdonato se solo non mi avessi detto che stavi male, sembra quasi che mi
stessi a sentire.»
«Pensavo che fosse il solito mal di testa Drake,
non ti nasconderei mai qualcosa che…»
«Anche verso questi mal di testa devi cambiare
atteggiamento. Da quanto sono tornati alla carica? Da quanto non fai più quegli
esercizi con George? Qui è anche colpa mia, perché è evidente che a volte non
sei in grado di badare a te stesso e io non sono migliore di te. Ci sta
sfuggendo tutto di mano Juna, te ne rendi conto?»
«Non dire cretinate: non è colpa tua.»
«Io e te daremo le dimissioni a Richard e
Matthew.»
«Cosa?»
«Ci tiriamo fuori da questa storia Juna, adesso.
Telefonerò oggi stesso a Matthew e gli dirò che Darkness e Falcon spariranno
come sono apparsi. Sei come e più di un fratello per me, stai male, e il mio
primo pensiero è come fare con Michael e questa storia che ci danno la caccia,
invece di occuparmi di te. E’ ora di
finirla. E’ stato bello finché è durato, ok? E’ stata una bella avventura e non
rinnego niente, ma è ora di finirla. Siamo due ragazzi di diciannove e ventuno
anni e cominceremo a vivere come tali.»
«Sharon non c’entra niente con questa decisione
vero?»
Uno dei lati negativi di avere accanto uno come Juna,
era che puntualmente capiva anche quello che lui non arrivava neanche a
pensare.
Quel ragazzo lo conosceva troppo bene, ecco la
triste verità.
«Stai cercando di dirmi che rimarresti agli ordini
di Richard e Matthew anche senza di me?» cercò di riportare il discorso dove
gli interessava.
Juna, ovviamente, non aveva alcuna intenzione di
collaborare. «Vuoi, per una volta in vita tua, rispondere ad una mia domanda
senza una domanda?»
«Credo di essere innamorato di Sharon, e se tu ne
avessi un po’ meno a cui star dietro, probabilmente ti saresti accorto che la
tua voce cambia quando ti rivolgi a Jennifer. Ricordo perfettamente il patto
che abbiamo fatto quando decidemmo di diventare agenti segreti… devo
ricordartelo punto per punto?»
Regola numero uno: insieme o niente. Ognuno di
loro teneva troppo all’altro per fidarsi di un’altra persona. Regola numero
due: se uno solo di loro si fosse stancato di quella vita, avrebbero mollato
entrambi. Regola numero tre: niente casini sentimentali. Dovevano mantenere
intatta la loro indipendenza e il loro lato cattivo.
I punti salienti erano tutti qui.
«No, basta ricordarsi i primi tre.»
«Non saremo mai completamente fuori da questa
storia fino a quando la situazione creatasi con il ritrovamento di Michael non
sarà sistemata, non pensare che non me ne renda conto, ma questa sarà la nostra
ultima missione Juna.»
Aspettò la risposta dell’amico, era pronto a
dargli battaglia senza il minimo rimorso per le sue attuali condizioni di
salute.
«D’accordo. Chiama Matthew e avvisalo di quello
che abbiamo deciso.»
Si rilassò.
«Adesso parlerò con Michael. Tu prendi queste
pasticche, sono già sciolte nell’acqua, dovrebbero buttarti giù la febbre.
Tornando un attimo al professor McIntyre, dimmelo subito: collaborerai anche in
questo o devo trasferirmi in questa stanza?»
«Ti ha detto che se sgarro mi interna in ospedale
e butta via la chiave?»
«No, ma lo prendo come un tuo tacito assenso alla
collaborazione.»
Juna si alzò su un avambraccio, «Dammi quella
porcheria.»
Nel passargli il bicchiere gli toccò la mano e si
trattenne a stento dal bestemmiare: era bollente.
«A quanto hai la febbre?»
«Quando sono arrivato a casa era abbondantemente
sopra i quaranta.» Buttò giù tutto il bicchiere in un fiato, «Che schifo, ma
cosa è?»
«Appena ti rimetti in piedi te le suono di santa
ragione Juna.»
«Bisogna vedere se io starò fermo a prenderle.»
«Saranno almeno in dodici a darmi man forte.»
«Tredici con Alison, mi sa.»
«Quattordici con Sharon, appena saprà cosa hai
fatto passare a Jennifer.»
«Togliti quell’espressione soddisfatta dalla
faccia Drake.»
«Rimettiti sotto le coperte, e non cercare di
rimanere sveglio adesso: queste pasticche sono autentiche bombe. Torno a
trovarti domani.»
«Va bene…» rimase in silenzio il tempo di farlo
alzare dalla sedia, poi… «Drake?»
«Cosa?»
«C’è una… una cosa di cui non ti ho mai parlato.
Riguarda la mia nascita. Non farne parola con anima viva, i miei vivono
tranquilli perché convinti che io non sappia niente. Prometto che appena mi
rimetto in piedi affronteremo il discorso.»
Rimase un attimo senza parole, poi capì tutto «Me
ne hai accennato adesso per costringermi ad impedirti di cambiare idea e
rimandare ancora, vero?»
«Dovresti fare anche tu un test di intelligenza,
Drake… i risultati potrebbero sorprenderti.»
Aprì bocca per dirgli esattamente cosa pensava di
lui in quel momento, ma Juna riprese «Quando chiederai a Sharon di diventare la
tua ragazza?»
«Prima ho un paio di cosette da sistemare.»
«Credo che sia la ragazza giusta per te sai?
Peccato è mora.»
Non riuscì a trattenere un sorriso, «Caso vuole
che Jennifer sia bionda.»
«Ah, se n’è accorto anche Justin.»
«Mettiti a dormire, accidenti a te.»
Juna non rispose neanche.
Il giorno che avrebbero smesso di affrontare anche
la situazione più disperata in modo scanzonato, avrebbe veramente cominciato a preoccuparsi.
Il leggero bussare alla porta le diede la scusa
che cercava per staccarsi dai libri. «Avanti» disse sottovoce.
Fece capolino Drake. «Ciao.»
Istintivamente guardò i due bambini sul letto, si
erano addormentati.
Drake entrò nella stanza e le fece segno di non
svegliarli.
Prese la sedia davanti al tavolino da trucco e la
spostò accanto alla sua, «Come stai?» le chiese sedendosi.
Drake era davvero bello. Poco da dire o da fare,
poteva capire Sharon.
«Come una sopravvissuta ad un uragano. Hai visto Juna?»
Drake annuì, «Si è addormento adesso.»
«Come sta?»
«Adesso sta splendidamente, in confronto a quando
gli metterò le mani addosso.»
Il colpo per Drake doveva essere stato brutto: non
sorrideva.
«Lo hai detto meno di un mese fa, ricordi?»
Drake la guardò sorpreso, «Te lo ricordi anche te
eh? Lasciamo perdere guarda. Se non l’ammazzo io, arriva ai cent’anni volando.»
Sorrise, «Sharon la pensa allo stesso modo su di
me.»
Anche il ragazzo sorrise, «Non è un complimento
sai Jennie? Non sorriderei così soddisfatta. L’hai già avvisata di questo nuovo
cataclisma?»
«No. So che vi sentite stasera, ci pensi tu?»
«Sarà un piacere» disse rassegnato. Guardò suo
fratello e Melissa, «I due puffi?»
«Melissa… beh, ha avuto una reazione nella norma…
per così dire. Michael mi ha completamente spiazzata.»
«Il fascino di Juna non perdona, è proprio vero.»
Stava cercando di scherzare, ma si vedeva che era
preoccupato.
Scoprì che le faceva tenerezza.
Lo vide alzarsi e sedersi sul letto accanto ai due
bambini.
Sfiorò il braccio di Michael che si svegliò
subito.
«Drake!» esclamò subito sveglio e lucido
gettandosi fra le sue braccia… seguito a ruota da Melissa.
«Oh Drake è successa una cosa terribile!» esclamò
la bambina.
«So già tutto, ho visto Juna poco fa e finalmente
si è addormentato.»
«Come sta?» chiese suo fratello.
«Adesso non molto bene, ha la febbre alta… ma
tornerà come nuovo.»
«Resti qui con lui?»
Rimase spiazzata dalla domanda, Drake invece
sembrava averla messa in preventivo come la cosa più ovvia.
Il legame che esisteva fra Juna e Drake andava oltre
la logica umana, realizzò all’improvviso.
«Se farà ammattire Manaar per prendere le
medicine, puoi star certo che verrò di persona a fargliele ingoiare.»
Melissa asserì con la testa.
L’istinto della chioccia che quella bambina aveva
verso Juna sembrava escludere Drake: lui era libero di fare quello che voleva,
anche batterlo contro un muro.
«C’è anche la tua mamma?» chiese Melissa «Mi
piacerebbe salutarla.»
«Certo che c’è, è con Manaar adesso. Sono sicuro
che le farà piacere vederti.»
«Possiamo venire anche io e Jennie?» chiese suo
fratello.
«Ma Micky…»
«Ma certo! Nessun problema!»
Quindi scesero in gruppo.
Drake era la fotocopia al maschile di sua madre,
una bellissima donna al pari di Manaar.
Fatte le presentazioni, Jessica si rivolse a
Melissa «Cerca di non farmi impazzire Manaar adesso, intese signorina?»
Melissa sorrise appena, «Tanto ci pensa tuo figlio
adesso.»
Drake alzò lo sguardo al cielo, «Capito mamma?
Puoi stare tranquilla!»
«Rimanete a cena vero?» chiese Manaar «Brian è già
partito?»
«Aveva l’aereo alle dieci stamani» rispose
Jessica. «Non vedeva l’ora di partire dopo quello che mi ha combinato.»
Drake ridacchiò, «Dai mamma, è naturale per un
figlio andare a vivere da solo.»
Manaar sgranò gli occhi, «Cos’è questa novità?»
chiese.
«Ancora non glielo hai detto?»
Jessica alzò lo sguardo al cielo, pari pari suo
figlio «Aspettavo un momento tranquillo.»
«Come sta Juna?» chiese Manaar a Drake.
«Dorme come un angioletto.»
Esempio meno calzante non poteva trovarlo.
Manaar prese a braccetto Jessica e la riportò in
salone, «Abbiamo tutto il tempo del mondo, dimmi cosa ha combinato il tuo
consorte.»
«E’ per l’attico vero?» chiese al ragazzo quando
le due donne furono ragionevolmente lontane.
«Ne hai dubitato anche per un solo istante?»
Aveva l’impressione di aver svaligiato la
farmacia, e la cosa non gli piaceva affatto.
«Come stai?» gli chiese improvvisamente suo
fratello.
Erano almeno vent’anni che Paul non gli rivolgeva una
domanda del genere.
«Credo che sotto shock sia la definizione
che più si avvicina.»
«Juna ha una fibra forte, supererà anche questa,
vedrai.»
«Avrebbe potuto spaccarsi la testa in ufficio, tua
figlia non ha esagerato. Se avesse preso lo spigolo della scrivania invece che
a casa avrei dovuto portarlo direttamente all’obitorio. Ho un monumento
all’incoscienza a grandezza naturale come erede.»
Sentì il fratello ridacchiare, «Ho sempre
apprezzato il tuo senso dell’umorismo Connor.»
Le sue labbra si piegarono contro il suo volere e
di lì a poco ridevano tutti e due.
«Ora va meglio» continuò Paul. «Non è nello stile
McGregory affrontare le situazioni, anche le più preoccupanti, con il broncio.»
«Grazie per avermelo ricordato.»
«Credo che a casa troveremo anche Drake.»
«E’ poco ma è sicuro. Probabilmente anche Jessie.
Per come si sono delineate le cose mi aspettavo di dover mettere a letto anche Manaar.
E’ stata una mazzata per lei.»
«Connor… hai notato Michael?»
Gli lanciò un’occhiata.
L’aveva notato e come. Melissa era quasi nel
panico… Michael addirittura terrorizzato.
«Sì.»
«Sto ringraziando il Signore di avere dei figli
già grandi, ti giuro. Nei panni di Ryan o Jeremy non saprei dove sbattere la
testa. Ci deve essere una spiegazione.»
«Sto pensando di andare a parlare con questa
dottoressa Horgan» ammise per la prima volta ad alta voce. «Magari farle
incontrare Juna, anche casualmente. Manaar mi staccherebbe la testa se solo
immaginasse quali pensieri mi affollano la mente, quindi se non vuoi diventare
il presidente della compagnia tienitelo per te.»
Paul sbuffò, «Non ci tengo minimamente» lo
tranquillizzò.
«A volte mi sembra di non conoscere affatto mio
figlio, Paul. Prendi questi mal di testa… sto veramente iniziando a chiedermi
se ho davvero avuto cura di lui fino ad oggi.»
«Sai Connor… pensavo… ho sentito Juna nominare il
professor Cowley poco tempo fa, ma non riesco a ricordare quando è stata
l’ultima volta che gli ho sentito dire vado da George a fare gli esercizi.»
Ci mise qualche secondo a fare mente locale. «Sai
che hai ragione?»
«E se Juna avesse smesso di farli?»
Per poco inchiodò sul posto.
Con uno sforzo enorme si costrinse a non frenare
né accelerare… ma le nocche gli divennero bianche intorno al volante.
Dio che pezzo di idiota.
«Devo… devo parlarne con Manaar. Dannazione Paul,
potresti avere ragione.»
«Me lo ha fatto notare Just. Ho realizzato che mio
figlio sta più attento a suo cugino di quanto abbia mai lontanamente
immaginato.»
Certo stava più attento di suo zio.
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NOTE:
giunigiu95: ;) Sì sono una
femminuccia! XD Hai evitato la figuraccia! Grazie per i complimenti,
apprezzatissimi!