Fanfic su attori > Tom Hiddleston
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Autore: CinderNella    09/02/2015    3 recensioni
Inizialmente si sentiva un po’ strana per il fatto che avrebbe condiviso una casa con un uomo.
Insomma, Colette aveva detto che quel Tom era simpatico e a modo, ma lei, Colette ed Elspeth erano sempre state con delle ragazze in casa… Tranne il modello. Ma lui non stava mai a casa. Laire era l’ultima aggiunta, una matricola alla loro stessa università e si trovavano benissimo, ma erano sempre state solo ragazze.
E ora Colette le mollava per tornare al suo paese natio e le lasciava in balìa di un tipo che nemmeno conoscevano. Era un po’ ingiusto.
"Ma se Colette lo conosce in qualche modo e dice che è alla mano, gentile e ha viaggiato molto, ci si potrà fidare..." pensò lei, rincuorata.
[...] Tom uscì dal portone, tirando un sospiro di sollievo: quell’Aneira era una tipa stramba. In positivo, ma lo era.
L’aveva convinto a prendere la camera sebbene non fosse la migliore opzione, ma nel suo essere strana gli aveva già fatto sentire la casa come sua, come se ne volesse fare parte.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Passaggio superveloce e torno a studiare: il banner è sempre stato fatto da _Lith_, lo stile del titolo è sempre ispirato a FRIENDS e la foto non è mia ed è stata modificata da me. Buona lettura!







 
The Guy Who Turned Her Down


25. The One With The Kidnapping And The Arthurian Castle




La prima settimana degli esami era quasi passata – e mentre Aneira andava avanti a libri, tè e dormite molto lunghe, Tom progettava la fuga in Cornovaglia alle sue spalle, contattando Nessa Gedye in Hier per sapere di più sul tempo che faceva lì, su cosa consigliasse di far portare alla figlia e anche a lui. Non andava in Cornovaglia da quando era piccolo – o almeno, non ci andava per piacere – e non ci era mai andato con qualcuno del posto. Ed era tutto molto più difficile se la persona del posto non sapeva neanche di starci per andare, quindi doveva pianificare tutto senza che Aneira se ne accorgesse: ma era abbastanza impantanata tra esami e ripetizioni dell’ultimo minuto per accorgersi del fatto che Tom passasse tutto il suo tempo al computer in cucina – o al telefono, e quando passava lei vicino spesso abbassava la voce. L’aveva notato, ma non c’aveva fatto caso: credeva fosse per non darle fastidio, a dirla tutta.
Venerdì era arrivato e Tom tirò il suo borsone da sotto al letto: aveva messo al corrente – per forza di cose, visto che oramai occupavano la sua stanza – Eddie e Jules di quello che aveva organizzato assieme alla mamma di Aneira il giorno dopo che si erano messi d’accordo, mentre Laire ed Elspeth solo dopo: sembravano fin troppo eccitate della prospettiva di quel mini-viaggio, e non aveva ancora ben inteso il perché, se per qualche motivo personale o perché li volessero entrambi, con Mycroft al seguito, fuori dai piedi per il weekend.
«Tom, hai bisogno di una mano per identificare i vestiti di Aneira?» chiese Laire, che in compagnia di Elspeth – rigorosamente in pigiama, in versione studio matto e disperato in preparazione per il lunedì dopo – stanziava sulla porta con un sorriso imbarazzato dopo aver sentito l’ennesima creativa semi-imprecazione del ragazzo dalla sua camera.
«Temo di averne bisogno. La madre mi ha fatto una lista di quello che sicuramente si porterebbe, ma non sono sicuro di poter trovare questa roba.»
«Dai qua» disse con fare spiccio Elspeth, prendendo la lista e iniziando a spostare roba dall’armadio sul letto, mentre Laire faceva lo stesso con l’altro armadio. In nemmeno due minuti avevano trovato tutto e Tom le osservava strabiliato «Come avete fatto?»
«Tutti i mesi che tu eri a Toronto noi eravamo qui, e sappiamo dove mette le cose e come si veste.»
«Io poi lo stesso, ma da tre anni!» aggiunse Elspeth, facendo spallucce «E penso che stia già con le sue scarpe più comode, ma aggiungerei quel paio» ne indicò un paio da ginnastica «al borsone.»
«Oh... Okay. Grazie!»
«Di niente.» rispose Elspeth, sorridendogli, mentre Laire si limitò a fare un gesto con una mano; entrambe ritornarono a studiare nei loro posti preferiti – la prima in camera, l’altra in cucina.
Doveva solo prendere le cose di Mycroft e sistemarle nel suo borsone, preparargli il trasportino, preparare se stesso e andare ad aspettare – per tenderle l’agguato – Aneira fuori dall’università. Per le dodici e un quarto era puntuale e l’attendeva su Portugal Street, all’angolo con St. Clement’s Lane, dove Jules ed Eddie l’avrebbero condotta casualmente, mentre tornavano a casa – perché Eddie da bravo fidanzato era andato a prendere Jules dall’università dopo la mattinata di esami.
Mycroft era tranquillo: stava sonnecchiando nel suo trasportino, beato, come se il fatto di non avere un’intera casa a disposizione non lo disturbasse, anzi. Stava così bene a dormicchiare lì, non miagolava nemmeno un po’.
Intravide da lontano la chioma rossa – solo perché alla luce del sole – di Eddie e quella castana di Jules, che stava gesticolando animatamente parlando di qualcosa: era più che certo che riguardasse il suo esame e non lo stesse facendo per tenere Aneira occupata. Quando arrivarono di fronte alla sua auto, quelle due nemmeno se ne accorsero, e lui dovette abbassare il finestrino per richiamare l’attenzione: «Hier, sali in auto!»
Aneira saltò su, emettendo un verso quasi spaventato: che diavolo ci faceva lui qui? Eddie e Jules nel frattempo se la ridevano con tranquillità sotto i baffi.
«Che ci fai qui?! E con l’auto... E Mycroft?!»
«Aneira, non fare domande, non posso spiegarti.» rispose lui, con tono grave, ma poi sorrise. Quella incrociò le braccia e alzò un sopracciglio, mentre alcune persone – probabilmente del corso di Jules o di lei stessa, perché salutarono entrambe – si avvicinavano e li guardavano incuriositi, ma la ragazza rimaneva a guardarlo in attesa di una risposta «Finché non mi dici dove stiamo andando non ho intenzione di salire in auto!»
«D’accordo... ragazzi!» con un cenno della mano in direzione loro, Eddie e Jules iniziarono a spingere Aneira verso l’auto, fin quando non la costrinsero ad occupare il sedile del passeggero e metterle la cintura.
«Vi dovrei denunciare tutti per sequestro di persona! Con l’aggravante di esser sotto esame!» aveva finito di sbraitare quando Eddie chiuse la portiera e Tom metteva la sicura «Questo è un rapimento bello e buono!»
«Grazie mille! Ed, Jules, ci rivediamo lunedì!» salutò i piccioncini con una mano e fece retromarcia, immettendosi nuovamente nel traffico della Kingsway.
«Visto che ormai non posso più uscire di qui, mi diresti gentilmente dove mi stai portando contro la mia volontà?»
Tom sorrise – ed era un sorriso che aveva un che di sinistro, sicuramente: «No, lo scoprirai da sola tra un po’.»
«Io ho già i miei dubbi, Hiddleston. E penso anche di sapere con chi hai orchestrato il rapimento. O meglio, il mandante.» dichiarò la bionda, prendendo la borsa e cercando il porta occhiali: lasciò quelli da lettura e infilò quelli da sole, lanciando un’occhiataccia all’abile guidatore alla sua destra.
«È inutile che ti mascheri, sento il tuo sguardo ammonitorio addosso, Hier.»
«Bene, meglio.» commentò quella, iniziando a mettere mano alla radio «E visto che tu decidi la destinazione, io decido la musica. E torturerò i tuoi timpani per ben cinque ore, se ho capito dove stiamo andando.» dichiarò lei, cercando di strappare una qualsiasi dichiarazione dal coinquilino, che però si limitò solo a sorridere e a continuare a tenere lo sguardo sulla strada.


Prima ancora di uscire da Londra – e di solito ci si metteva tanto – Aneira si addormentò con la testa di lato contro il poggiatesta del sedile, quasi ronfando come Mycroft. Quando riaprì gli occhi erano in aperta campagna e il micino in questione la osservava curioso. Masticò aria – facendo un verso abbastanza imbarazzante con la bocca – e si guardò intorno «Dove siamo?»
«Vicino Wincanton, bella addormentata nel bosco.» le aveva risposto Tom, voltandosi brevemente solo per sorriderle.
«Avevo ragione, la mandante è mia madre!» esclamò dopo diversi secondi lei – o meglio, solo dopo essersi effettivamente svegliata - «Stiamo andando in Cornovaglia!»
«Beh, ormai posso affermarlo, siamo troppo lontani da Londra per tornarvi subito: sì, è tua mamma, ti ha chiamata a casa per convincerti domenica scorsa ma tu eri fuori, allora ho proposto di portarti di peso lì, visto che tua mamma voleva che ti convincessi ad andare... ed ecco tutto!»
«Lo sapevo!» esclamò la ragazza, guardandosi intorno: «Quando mi sono addormentata?» chiese subito dopo.
«Oh, dieci minuti dopo che sei entrata in auto. Ma insomma, studi e fai esami ininterrottamente da cinque giorni... anche io sarei crollato al posto tuo.»
Aneira strofinò il polsino del cardigan contro la fronte, sbuffando: «E ho ancora sonno.»
«Non mi dispiace fare il viaggio da solo, non preoccuparti.» rispose Tom, il cui sorriso birichino la infastidiva molto.
«Ah, no, nono!» ribatté quella, che si era precedentemente liberata delle scarpe per abbracciarsi le ginocchia, ma dopo decise di risedersi normalmente per iniziare a scuotere un indice da destra a sinistra e viceversa vicino all’orecchio del compagno di viaggio «Hai capito proprio male!»
Poi mise mani alla radio ed estrasse il cd che stava ascoltando «Ehi, ma che stai facendo?!»
«Ti tormento. Te lo sei meritato» rimise il disco nella sua custodia «Bon Iver, niente male.»
«Ora che ho avuto la tua approvazione possiamo ritornare ad uno dei miei cd...?»
«No!» esclamò Aneira, iniziando a macchinare con la radio, facendo zapping con l’intento di fermarsi solo quando avrebbe trovato qualcosa di davvero fastidioso per lui. Si fermò su Radio1 solo quando riconobbe le note di “Don’t Stop” dei 5 Seconds of Summer «Avrei preferito gli One Direction, sarebbero stati più una tortura per te. Ma questo va comunque benissimo.»
«Ma perché, perché...» iniziò Tom, scuotendo la testa impercettibilmente mentre superava una Mini avanti a loro.
«Don’t stoooop! ‘Cause you know that I like iiiit!»
«Lo sai che non sei proprio un usignolo, vero?»
«Ed è proprio per quello che sto cantando, Hiddleston.» aveva risposto quella, sorridendo soddisfatta mentre riprendeva a cantare e a muovere i pugni per aria, sotto lo sguardo perplesso di Mycroft che la osservava attentamente non sapendo cosa aspettarsi.
Sarebbe stato decisamente un lunghissimo viaggio.


Eddie era davvero contento di come fossero andate le cose – e non solo perché aveva casa libera, ma anche perché Tom era riuscito nel suo intento... o meglio, quello della madre di Aneira. Ma quel weekend fuori avrebbe fatto bene a entrambi. In quel momento, però, gli sovvenne qualcosa di importantissimo in mente: quei due erano in Cornovaglia nel weekend del compleanno di Aneira, e anche Sevi studiava lì. A poco meno di un’ora e mezza di treno da St. Ives, quindi ci sarebbe potuta essere anche lei. Compose il numero di telefono della ragazza – e se Jules l’avesse visto probabilmente sarebbe stata gelosa... ma tanto poi gliel’avrebbe riferito comunque – e aspettò che qualcuno rispondesse.
«Che cosa, Redmayne?»
«Ma buon pomeriggio anche a te, Sevi!» rispose gioviale lui, camminando per la camera.
«Lo sai che la tua contentezza immotivata mi insospettisce e mi irrita, vero?»
«Allora sarò breve: Tom ha rapito Aneira e per il suo compleanno, su richiesta della madre, la sta riportando in Cornovaglia. Non penso la tua cara migliore amica voglia fare qualcosa domenica, ma appena la madre la costringerà penso proprio vorrà anche te lì.»
«Non dovrebbe dirmelo lei?»
«Lei ancora non sa che le faranno la festa, probabilmente in tutti i sensi.»
«Se è a sorpresa la odierà.» dichiarò pratica Sevi, annuendo.
«Anche se non lo è. Ad ogni modo, ti ho avvisato perché ti tocca tornare a St. Ives e tenerti libera per domenica.»
«D’accordo... grazie, Redmayne.»
«Addirittura grazie!» rispose quello, portandosi una mano al petto, fingendo stupore – sebbene una puntina di stupore fosse vera sul serio.
«Non ti ci abituare. Sono partiti oggi?»
«Sì, l’abbiamo messa in auto verso le dodici e venti... ora dovrebbero perlomeno essere in Devon.»
«Dipende da quanto va Tom.»
«Nah, è coscienzioso!»
«Ma... messa in auto?» chiese Sevi, incuriosita.
«Non voleva entrare perché aveva il dubbio che c’entrasse la madre e il tornare in Cornovaglia ed è in modalità chiusone da esami. Però io e Jules l’abbiamo comunque spinta dentro l’auto appena è uscita dall’università.»
«Che associazione a delinquere, voi tre.»
«Ad un certo punto voleva denunciarci, effettivamente.»
«E non avrebbe avuto tutti i torti.» rispose Sevi «Senti, Redmayne, mi ha fatto quasi piacere sentirti, ma a breve ho un esame anche io quindi è decisamente il caso di chiudere.»
«Fammi sapere come va, buona fortuna!»
«Cià.» salutò quella prima di chiudere. “Che tipa” pensò il ragazzo, sinceramente e dal profondo del suo cuore: non avrebbe saputo esprimere meglio con altre parole quel pensiero.


Dopo un’oretta e mezza Aneira aveva smesso di fare zapping tra i canali radiofonici per cercare il peggio della musica nazionale e non al fine di tormentare Tom e quando entrarono in Devon gli aveva lasciato carta bianca sulla “musica da viaggio”, come l’aveva ribattezzata lei.
“Grazie a Dio!” era stata l’unica risposta di Tom, che aveva subito aperto lo scomparto del cruscotto per prendere il cd che stava ascoltando prima e rinfilarlo nel lettore dell’auto.
«Ti ho davvero turbato, eh?»
«Infastidito, più che altro. E no, non era la tua voce soave, quanto l’intento che la motivava a emettere suoni atti a disturbarmi.»
«Penso che questa sia la cosa più cattiva che tu mi abbia mai detto, e se non la prendessi per l’ironia che è potrebbe anche fungere da complimento. Che persona gentile ed educata che sei!»
«Colgo del sottile sarcasmo sotto la tua parvenza di complimento.»
«Forse, forse, Hiddleston. E comunque, visto che mi stai riportando a casa, direi che è il caso di fidarti di me: a Launceston prendi la A395 che ti devo far vedere un posto.»
«Non andiamo direttamente a casa?»
«No. Devi vederlo, so che l’apprezzerai.» fu il turno di Aneira di sorridere birichina, ma Tom non fece domande: per buona parte della giornata lui non aveva risposto alle sue, quindi avrebbe potuto gustarsi tranquillamente la sorpresa finale.
Oltrepassarono Exeter e tutti gli altri paesini fino ad arrivare a Launceston, dove Tom rallentò per vedere le direzioni: «Ora?»
«Prosegui dritto sull’A30. Poi troverai un cartello per la Cornovaglia del Nord... ti avviserà prima della corsia di decelerazione. Penso più o meno dopo Tregadillett. Dovrebbe darti anche Wadebridge Camelford come destinazione. E ci sarà anche scritto A395.»
«Stai riprendendo un forte accento dell’ovest anche solo varcando il tuo territorio, Hier.»
«Che ci vuoi fare, sarò patriottica!» ribatté quella, facendo spallucce.
«E sei anche meglio di un navigatore! Quante mappe hai, salvate in quel cervellino?» avvicinò un indice alla tempia della ragazza, ma tutto quello che ricevette in risposta fu un’occhiataccia perplessa.
Quando vide l’uscita per Tregadillett Tom iniziò a guardarsi intorno per le indicazioni per la Cornovaglia del Nord, ma fu abbastanza semplice e dopo qualche minuto erano sulla A395 in direzione di... non sapeva bene cosa. Iniziò a capirci qualcosa quando, circa venticinque minuti dopo, all’altezza di Hallworthy, Aneira gli fece prendere la B3262. Quando furono sulla A39 iniziavano già a comparire i cartelli pubblicitari e le direzioni per la maggiore attrazione turistica in quella zona.
«Non ci credo! Mi stai portando a Tintagel! Il Castello di Re Artù!» esclamò esaltato l’uomo, seguendo di sua spontanea iniziativa le indicazioni, senza tenere più conto delle strade della ragazza.
«Per l’esattezza si pensa sia il luogo dov’è nato Re Artù.»
«Sì, insomma... È Tintagel!»
«Non l’hai mai visto... da bambino, che so?»
«No!» era davvero esaltato.
Aneira sorrise, scuotendo la testa «Un bimbo felice.»
Parcheggiarono dopo qualche minuto su Castle Road, mentre Aneira macchinava già per liberare Mycroft dal trasportino: «Hai portato la pettorina, vero?»
«Sì, ma è nel mio borsone. Aspetta che vado a prenderla.»
«Prendi anche i suoi croccantini!» gli ricordò, coccolando il piccolo e adorabile Mycroft che esibiva le migliori fusa tutte per lei.
Tom le porse il tutto dal finestrino, mentre si schermava la vista osservando il castello e la strada che proseguiva su Tintagel Island «Mi passi gli occhiali da sole? Li ho lasciati sul sedile...»
«Sì, aspetta un attimo...» finì di sistemare la pettorina al gattino, che bramava la libertà fuori dall’auto, e passò la bestiolina adorabile a Tom, che la prese in braccio. Poi sistemò i croccantini in borsa e prese gli occhiali da sole, prima di uscire finalmente dall’auto.
Non appena mise un piede fuori si accorse dell’aria di casa – sebbene fosse ancora a più di cinquanta miglia lontana, l’aria era simile. E anche l’umidità che le entrava dritta nelle ossa – doveva ringraziare l’Atlantico per quello. Rabbrividì nella sua giacca per poi cercare Tom con lo sguardo: si trovava benissimo nel suo cardigan e non sembrava avere nessun problema con il freddo. Inoltre aveva già posato Mycroft a terra, che annusava circospetto il terreno e la zona circostante, mentre una delle sue mamme lo tratteneva per il guinzaglio.
«Allora, andiamo?» sembrava sempre più un bimbo estasiato: Aneira sorrise e poi annuì, seguendo i due uomini di casa.
Non appena pagarono il biglietto ed oltrepassarono l’entrata, Tom e Mycroft trotterellarono verso lo spazio che sembrava dare direttamente sul mare: subito dopo la costrinsero a fare mille scalini, in salita e discesa tra il giardino basso e quello più in alto, dove finalmente si fermarono per respirare a pieni polmoni mentre Aneira cercava di riprendere fiato e non morire nella dimora infantile di Re Artù facendo foto qua e là, un po’ al paesaggio e un po’ a Mycroft e Tom.
Il pezzo particolarmente difficile però – lo era sempre stato per lei – fu arrivare al cortile vero e proprio, quello sull’isola: non tanto per il fiatone o perché non ne valesse la pena, anzi... quanto perché dovevano percorrere scalini stretti e alti e ponticelli dove il vento soffiava forte. E non è che le piacesse tanto l’idea di ritrovarsi con una folata di vento sulle rocce o nell’oceano. Stanca, fece cenno a Tom di fermarsi – lui non sentiva nulla di tutto ciò, era troppo conquistato dalla visuale – che si lasciò raggiungere dalla ragazza: «Non mi fido a far camminare Mycroft da solo su quel ponte.»
«Ma è col guinzaglio.»
Aneira gli rivolse un’occhiata preoccupata, e poi si guardò la tasca. Tom scosse la testa e roteò gli occhi: «Su, piccoletto, nella tasca della mamma.» prese il piccoletto tra le braccia e lo lasciò nella tasca del cappotto di Aneira: Mycroft non sembrò troppo riluttante, anzi, non appena finì lì dentro si accoccolò e nascose completamente, fino a lasciar vedere solo la forma di sé da fuori, ma nemmeno una zampina spuntava da lì.
«Okay, andiamo.» dichiarò titubante, ricominciando a camminare.
«Sì, vieni pure qua... pisciasotto.» aggiunse Tom, lanciandole un’occhiatina soddisfatta prima di attirarla a sé e prenderla per mano. Aneira era quasi in procinto di ribattere per difendere la sua dignità, ma aveva davvero un leggero timore per quel passaggio, quindi tacque e accettò la sua mano senza pensarci un attimo in più: la strinse di risposta e lo seguì lungo il sentiero.
Camminarono così per tutta l’isola – eccetto per Mycroft, che dopo essere arrivato all’Iron Gate volle uscire dalla tasca per zampettare qua e là sotto la supervisione di Aneira e della pettorina – esplorandola in lungo e in largo fino ad arrivare alle scogliere a sud dove c’era la chiesa di St. Materiana.
Ritornarono all’entrata e fecero quasi dietrofront, pronti a tornare all’auto, quando Aneira alzò un indice, come se si fosse scordata di qualcosa: «La grotta di Merlino!»
«Come?»
«Andiamo in spiaggia, visitiamo la grotta di Merlino!» esclamò subito dopo, trascinandolo per una mano verso la spiaggia – fortunatamente c’era la bassa marea ed era visitabile, ma ce la fecero per poco: il castello avrebbe chiuso a breve.
Quando tornarono in auto erano stanchi, ma soddisfatti e anche sazi: passando per il café sulla spiaggia Aneira aveva convinto Tom a provare già da quel momento le famose paste della Cornovaglia, e sebbene lui si fosse opposto perché “era solo il bar di un centro turistico”, alla fine si era lasciato convincere ed era stato ulteriormente contento per quello quando le aveva provate.
Dopo la non tanto breve parentesi di Tintagel si rimisero sulla strada – e Mycroft fu più che contento di ritornare al suo caldo trasportino – più rilassati e meno sul piede di guerra – almeno, Aneira non lo era più, quindi la tranquillità regnava sovrana – rispetto a prima.
«Lo sai, oltre ai miti arturiani, Tintagel è famoso anche per Tristano e Isotta.»
«In realtà lo sapevo, saputella» aveva ribattuto lui, arricciando il naso «Non sono solo delle belle rovine a caso, hanno molte connessioni interessanti.»
«Ma anche se fosse vero, di Re Artù, i paesaggi rimangono la cosa più bella. E nei paesaggi ci includo anche le rovine.»
Dopo un’ora e mezza furono finalmente arrivati – o perlomeno entrati – a St. Ives, e in quell’occasione Tom dovette affidarsi completamente alle indicazioni di Aneira, fin quando non si ritrovò in una via che rispondeva al nome Carrack Dhu.
«Parcheggia pure qui.» indicò un posto libero al lato della stradina e dopo che Tom spense il motore la ragazza si catapultò fuori dall’auto, prendendo il trasportino di Mycroft, la borsa e correndo ad aprire il portabagagli.
«Sta’ ferma, Hier, prima che fai qualche casino.» l’aveva rimbeccata Tom, prima di prendere entrambi – come sempre – i borsoni e seguirla attraversando la strada: Aneira si diresse verso una delle case più grandi – o meglio, meno piccole – della via, dagli infissi bianchi e i mattoncini chiari – e un giardino in parte curato e in parte morto: non dovevano avere il pollice verde in quella famiglia... – e dopo aver oltrepassato il cancelletto con un passo senza avere nemmeno la briga di provare ad aprirlo con le mani, almeno per Tom, andò a suonare il campanello.
Le aprì la porta una donna che poteva essere sulla cinquantina, alta, bionda come lei e con gli occhi chiari: doveva essere la madre. Si abbracciarono, mentre da dietro comparve un’adolescente esile e dai capelli neri e lisci, con gli occhi chiari come quelli della madre: con quella che doveva essere la sorella si scambiarono un’occhiata diffidente prima di abbracciarsi comunque – sebbene non poté identificare chi fosse quella delle due che era rimasta meno contenta di quel contatto fisico.
E il padre?
«Oh, vieni Tom, entra, sarai stanco!» la donna gli fece strada nel piccolo corridoio che terminava con una porta sul giardino interno e gli fece lasciare i bagagli vicino al sottoscala, mentre Aneira apriva il trasportino di Mycroft, che saltò fuori immediatamente e iniziò ad osservare la casa e a nascondersi ovunque, pronto ad esplorarla. Probabilmente sarebbe stato il più soddisfatto di quella casa, tra loro.
Lasciò il trasportino vicino ai bagagli e i croccantini in cucina, tornando dalla madre e Tom che discutevano amabilmente del più e del meno – andando decisamente troppo d’accordo, quei due geni del male – vicino alla porta che dava sul giardino interno, mentre Alis si era già volatilizzata nel nulla, probabilmente in camera sua al piano superiore.
Uscì insieme alla madre e a Tom nel giardino interno, per nulla sconvolta dal fatto che suo padre stesse giocando a tennis nel loro giardino interno con un suo amico.
«Ciao Pa’, sorpresa!» salutò quella, irrompendo nel campo con tono particolarmente ironico – calcato sulla parola “sorpresa” – e fermando il gioco per il momento: abbracciò l’uomo pelato e in tenuta sportiva, che dopo qualche chiacchiera le aveva fatto capire che avrebbe dovuto liberare il campo – o meglio, il giardino – per permettergli di finire la partita.
«Avete un campo da tennis in giardino!» l’espressione meravigliata di Tom sembrava esser diventata la sua espressione di base quella giornata.
«Oh, William deve ringraziare solo me, la mia benevolenza e il mio pollice nero. A parte quell’amaca e quel dondolo laggiù, abbiamo un giardino-campo da tennis.» aveva risposto Nessa, orgogliosa.
«Ed è la cosa più spettacolare che abbia mai visto finora in una casa.» commentò l’uomo, seguendo due delle donne di casa all’interno, dopo aver interrotto ulteriormente il gioco del padre di Aneira per presentarsi.
«Oh, vero, Loki! Ecco dove t’avevo visto!» aveva commentato infine lui, prima di riprendere la partita da dove l’aveva lasciata.
Ecco da chi Aneira aveva preso a identificare i personaggi con gli attori che li interpretavano, era solo colpa del padre!

 
  
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