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Autore: emychan    09/02/2015    3 recensioni
"In principio il giardino apparteneva all'uomo e alla donna"
Così si apre la storia narrata in Yggdrasil, ma questa è una storia diversa.
Questa è la storia di Lilith, delle sua scelta e della sua caduta.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Per le note sulla storia in generale, vi rimando al primo capitolo.
 
4. D. *
 
Il Giardino dell’Eden era circondato da un imponente cancello d’oro, che lo separava dal resto della Terra. I primi umani non sapevano cosa ci fosse oltre le sue sbarre, né se lo chiedevano.
Almeno agli inizi.
Ma venne un tempo in cui le creature celesti iniziarono ad alternarsi al loro cospetto, con racconti e domande, innanzi alle quali i mortali rimanevano privi di risposte e parole, affascinati dalle bestie selvagge descritte dall’esuberante Michael, o dagli alberi e dalla natura selvaggia, esistente oltre i confini del loro piccolo mondo, di cui parlava la mite e dolce Gabriel.
Nessuna di quelle cose esisteva nel loro ordinato e pacifico giardino, dove i due uomini avevano un solo lago dall’acqua ferma, che ospitava pesci colorati e nutriva le gigantesche radici d’oro dell’albero della vita. Dove i filari di alberi, dalla foglie grandi come i palmi delle loro mani, si alternavano all’erba sempre fresca di rugiada. Dove gli unici animali vivevano in pace e armonia, cantando tra i rami, strisciando nel sottobosco, ronzando tra fiori e frutti portando loro nuova vita.
Dove, a volte, capitava che una luce ancor più calda di quella del sole, e più bianca di quella riflessa dal cielo, decidesse di far loro visita svegliando l’intero Eden dal suo pacifico torpore e conducendolo a nuove altezze di gioia e celebrazione.
In quei giorni, ogni foglia di ogni pianta sembrava voler intonare la propria personale melodia. Perché, in quei giorni, il Signore veniva a camminare al  fianco dell’uomo.
Tuttavia, al contrario dell’Eden, che li circondava, quel giorno l’Ish non sembrava affatto felice. Qualcosa si agitava nella sua mente, un pensiero, un tarlo, che ne agitava l’animo e ne consumava la mente.
Il Creatore lo percepiva eppure parlava della Terra, del cielo, fingendosi ignaro delle preoccupazioni del suo interlocutore, attendendo con pazienza che fosse lui a parlarne per primo, ma all’ennesima domanda rimasta senza risposta, dovette arrendersi alla propria curiosità.
«A che cosa pensi con tanto vigore?» gli chiese fermando i propri passi lì, dove l’ombra dei rami di un albero d’acero si intrecciava a quella del tronco successivo.
L’uomo continuò ad avanzare, quasi non lo avesse sentito. Si fermò più avanti, sotto alla luce del sole, le spalle curve e il capo chino. Gli occhi azzurri fissi sull’erba tra i suoi piedi.
«Ish?» ne richiamò l’attenzione il Padre, temendo di averlo nuovamente perduto in chissà quale angolo della sua mente frastornata.
L’uomo alzò il capo, ma continuò a dargli le spalle.
Se una qualsiasi delle sue creature celesti avesse assistito a quel comportamento, a quella totale assenza di timore nei Suoi riguardi, sarebbe stata stupefatta e inorridita, ma il Creatore non provò rabbia, né Si sentì offeso. Anzi, un grande orgoglio sbocciò dentro di Lui, per quell’essere così forte e fragile allo stesso tempo.
«Si tratta della mia compagna.»
Le parole vennero a malapena bisbigliate, un suono talmente lieve, che a malapena lo percepì.
Il Signore si mostrò sinceramente confuso da quelle parole. «Cosa non va nella tua compagna?» gli chiese stupefatto. Erano stati creati per essere parti di un tutt’uno. Come potevano non andare d’accordo?
«Io- non credo che sia adatta a me» balbettò l’uomo rifiutandosi ancora di guardarlo. Il Padre ne studiò la schiena con rammarico, poteva percepirne l’insicurezza, il lieve timore di contrariarlo, di sembrargli ingrato. Credeva di averlo offeso mancandogli di rispetto.
E, se non avesse percepito quell’insicurezza, forse si sarebbe davvero adirato per quelle parole. Perché, come poteva pensarlo? Come poteva affermare che avesse errato in qualcosa? Proprio Lui, che gli aveva dato la vita? Invece, sentì solo la punta di un’offesa, che avrebbe potuto rivelarsi ben più profonda.
«Sciocchezze-» disse lapidario. Non aveva altre parole per etichettare una frase tanto sciocca.
La Sua luce rifletté il repentino cambio d’atmosfera divenendo più scura e fredda, una carezza quasi gelida sfiorò la pelle dell’Ish facendolo rabbrividire. «Vi ho creato dalla stessa terra, dalla stessa polvere. Siete uguali e divisi, non possono esistere due creature più complementari di voi» affermò con sicurezza, certo della verità delle proprie parole.
L’uomo sospirò e, se possibile, chinò ancor di più il capo, apparendo sconfitto come doveva sentirsi in quel momento. Il suono della sua tristezza toccò qualcosa di profondo nel Creatore.
Qualcosa che catturò ogni traccia del suo orgoglio ferito trasformandolo in un amore puro e irrazionale. Profondo come mai l’aveva provato, se non per i Suoi angeli.
«Perché questo pensiero? Questa infelicità? La donna non ti aggrada, non provi amore per lei?»
«Temo che sia il contrario-» mormorò l’Ish, con voce colma di rammarico. «E, per quanto lo desideri, non credo sia possibile rimediare all’enorme distanza che ci separa, ormai.»
 Il Signore rimase in silenzio innanzi a quella profonda malinconia.
Dunque è questa la strada che percorrerete. Dolore e morte. Tradimento e sofferenza.
Una parte di Lui provava una terribile angoscia, perché già sapeva il terribile epilogo di quella vicenda. Lo aveva visto, lo aveva vissuto. Eppure, lo aveva ritenuto irrealizzabile. Lo aveva creduto un futuro impossibile.
Era quello più intricato, il più difficile. La strada della menzogna e dell’oscurità.
Quando aveva osservato per la prima volta quel possibile cammino, lo aveva scartato immediatamente. D’altronde, si era detto, perché mai una creatura nata nella luce e per la luce, avrebbe mai voluto addentrarsi in un’oscurità tanto profonda?
«Pensavo sareste stati felici insieme. Capostipiti della vostra razza» si limitò a rispondere tenendo per sé i propri timori; rivelarli, non avrebbe giovato a nessuno.
Ancora, non era accaduto nulla, dopotutto. E le cose potevano sempre cambiare. I fiumi del destino erano infiniti e mutevoli.
«Il problema è che lei non è come me» disse l’uomo voltandosi, finalmente, verso il suo Creatore. C’era un tono esasperato nella sua voce, che supplicava solo di essere compreso. E c’erano lacrime nei suoi occhi. Occhi che Lui stesso aveva ritagliato dal cielo per adornare quel viso innocente.
«Lei è piena di ambizioni, di desideri, mentre io- sono semplice. Non mi pongo le domande che si pone lei, né mi nutro di sogni come fa lei. Non aspiro a più di quel che ho e questo la irrita, la annoia. Tutto ciò che faccio, o che dico, non fa che innervosirla e accrescerne lo sdegno nei miei riguardi.»
«Ed è stata lei a confidarti queste cose?»
L’Ish scosse le spalle. «Non ne ha avuto bisogno, ogni volta che le parlo la sua espressione è abbastanza chiara» gli confidò con amarezza.
«Qualsiasi cosa credi di aver visto nell’Ishà, sono certo che sia un malinteso e che tutto possa essere risolto con pazienza e sincerità» tentò di placare l’angoscia, che vedeva dipinta sul volto dell’uomo. In realtà, Lui stesso si sentiva rattristato da quell’inaspettato sviluppo. Eppure, non tutto era perduto.
Il destino aveva innumerevoli strade, infiniti fiumi, che conducevano ad una moltitudine di futuri. Tutti diversi e misteriosi, per tutti, tranne che per Lui. Ai Suoi occhi, ognuno di quei cammini era chiaro e ben definito, portatore di conseguenze buone e cattive.  
I destini di quei due umani non facevano eccezione. Certo, erano più complicati di quelli di ogni altra creatura, più tortuosi e- in alcune manifestazioni- addirittura drammatici, ma ancora non era convinto che si sarebbe giunti a tanto.
Le cose che vedeva erano orribili, erano disastrose e, per quanto complesse e contraddittorie potessero essere le anime degli umani, di una cosa era più che sicuro: erano intrinsecamente buone.
Qualsiasi strada avessero scelto, alla fine, sarebbe stato l’amore a guidarli. E nient’altro.
Ma avrebbero sofferto per trovare la strada giusta, si sarebbero dibattuti e perduti, sarebbero caduti nell’oscurità più profonda e questo, sfortunatamente, iniziava a sembrargli inevitabile.
«Lei non vuole stare con me. Non credo neppure, che voglia stare nell’Eden.»
Il Signore rimase stupefatto da quelle parole. «E dove vorrebbe andare, allora?»
L’uomo apparve indeciso. «Ci sono posti, di cui il sommo Michael racconta. Posti lontani e selvaggi, dove animali feroci combattono per la sopravvivenza-» mormorò incerto.
«Ed è questo che volete? Sapete, almeno, cosa state chiedendo? Il resto della Terra non vi è proibita per capriccio, ma per difesa. Oltre il cancello fatichereste per ogni cosa. Il cibo, l’acqua, perfino la vostra vita sarebbe a rischio, poiché le creature di cui parla Michael non esiterebbero a cibarsi di voi. E tu dici che questo vi renderebbe più felici? Più felici di una vita in questo giardino?»
Non pose la domanda con rabbia, ma con pura e semplice sorpresa. Perché, per la prima volta, si sentiva davvero così: meravigliato.
Quell’anima che aveva estratto dal fango, quella misteriosa creatura, che aveva creato quasi per gioco, era andata aldilà di ogni sua immaginazione e continuava a crescere e ad evolversi, a creare credenze e concetti estranei perfino ai suoi angeli. Non accettava più i confini che Lui gli aveva imposto, si ribellava alle sue leggi e chiedeva di essere libero.
Oh, era orribile e avrebbe dovuto annientarla, prima che divenisse un pericolo per l’intero Regno. Perché dove avrebbe mai potuto giungere una simile arroganza?   
«Io no, mio Signore-» rispose, in evidente imbarazzo, l’uomo. «Ma l’Ishà, lei- credo che questa vita la faccia sentire priva di scopo.»
«Quindi vorresti che la lasciassi andare? E, ovviamente, vorresti seguirla.»
«Io- no. Non intendevo-» disse con voce tremante, ma era proprio ciò che intendeva dire ed entrambi lo sapevano.
E, sì, era orribile. Quella creatura che, seppur intimorita, mostrava più fedeltà a chi la tradiva senza un secondo pensiero, a chi la ricopriva di sdegno e menzogne, piuttosto che a Lui, Suo Padre.
Ma era altrettanto deliziosa, per la stessa temibile ragione. Perché, chissà, dove poteva arrivare? Poteva davvero, un giorno, sfidare il Cielo? Sfidare Lui? Oppure, avrebbe capito. Sarebbe giunta all’unica giusta conclusione? Alla consapevolezza dell’amore, che univa ogni cosa?
Oh, la tremenda curiosità. Se Lucifiel avesse visto, avesse sentito. Se uno qualsiasi dei suoi angeli avesse sospettato, non aveva dubbi che i suoi poveri umani sarebbero stati annientati senza un secondo pensiero. E non era per questo, in fondo, che li aveva tenuti nascosti tanto a lungo?
Il loro cammino proseguì in silenzio, il lento frusciare dell’erba, sotto i piedi dell’Ish, il loro unico compagno, finché- nella radura più vicina al cancello ovest del Giardino- in piedi sotto ai raggi del sole, non incontrarono la donna.
Con curiosità il Padre ne studiò l’espressione, i minimi dettagli del volto e delle reazioni.
Guardò il suo viso arrossato farsi pallido e impaurito innanzi al Suo cospetto, vide i suoi occhi farsi meno radiosi, meno brillanti, mentre tutto il suo corpo pareva curvarsi in se stesso, pronto a difendersi da chissà quale nemico.
«Non ci vediamo da qualche tempo, Ishà» la salutò con l’usuale calore. «Il tuo compagno mi dice che sei rimasta impressionata dai racconti dei miei angeli.»
Al suo fianco, l’uomo si fece teso, quasi imbarazzato. Avrebbe voluto parlare, cambiare argomento forse, ma non osava farlo.
La donna, invece, non mostrò alcuna particolare emozione, anche se le sue labbra si strinsero in un falso sorriso. «Sono racconti piuttosto affascinanti. La terra sembra un luogo ricco di- opportunità» rispose dopo una breve esitazione.
«Credo ne rimarresti delusa, in realtà. La vita è piuttosto difficile, oltre i cancelli dell’Eden.»
«Qualsiasi vita sarebbe più difficile fuori dall’Eden» mormorò lei in risposta. «D’altronde, non potremmo essere felici in nessun altro posto che quello da Voi scelto per noi.»
Una bugia a denti stretti. Il Signore finse di non averla percepita. «Di questo sono convinto» rispose in tono cordiale, ma avrebbe voluto dire molto di più. Chiedere, indagare, interrogare.
Perché scegliere la strada più tortuosa? Perché soffrire inutilmente? Cos’è questo desiderio incontrollabile, che sento crescere dentro di te? E da cosa nasce?
Sarebbe potuto restare lì, a parlare, per l’eternità. Di ogni cosa. Di ogni minimo mutamento dei loro pensieri e delle loro emozioni. Di quei sentimenti, che sembravano provare con un’intensità sconosciuta alle sue creature celesti.
Ma non poteva restare e non poteva nemmeno porre le domande che Lo affliggevano, perché avrebbe finito con lo svelare troppo. Avrebbe spinto dove non voleva farlo. E non voleva farlo, perché voleva sapere. Aveva bisogno di sapere.
Quale destino avrebbero seguito? Potevano scegliere senza la sua guida? Senza il suo consiglio?
La donna alzò il viso e i suoi occhi grigi sembrarono riflettere il conflitto che Egli provava.
Occhi incandescenti e indomabili, come il suo spirito, pensò con muto orgoglio.
«Non vi ringrazierò mai abbastanza per avermi dato questa vita» gli disse, ma non c’erano gioia, né tantomeno gratitudine nella sua voce. «Vorrei potervi ripagare, in qualche modo.»
No, non c’era gratitudine, ma qualcos’altro. Qualcosa di sottile e quasi malevolo, che lo lasciò- ancora una volta- assolutamente stupefatto.
Lo stava minacciando? Oh, l’uomo non l’aveva neppure notato, ma Lui sì.
Gli stava promettendo- qualcosa. Ma non avrebbe saputo dire cosa.
Oh, avrebbe potuto distruggerla. In quell’istante. Un solo pensiero, anche meno di quello, e lei sarebbe tornata polvere. Non se ne rendeva conto? O non le importava?
«La vostra felicità e il vostro amore sono l’unica ricompensa che desidero e che mi è cara» rispose, quasi ridendo di quell’assurda conversazione. Di quell’astuto gioco di doppi sensi e falsità, che l’uomo neppure aveva compreso.
E com’era possibile una tale differenza tra quelle due creature? Una tale distanza tra le loro menti?
Sentì il bisogno di tornare al suo Trono. Di rimanere solo a riflettere, a osservare e studiare come mai prima di allora aveva fatto.
Voleva porsi in disparte e rivivere quella conversazione ancora e ancora, finché non ne avesse colto ogni minima sfumatura.
«È tempo che rientri,» disse «Lucifiel mi sta cercando.»  
«Tornerete presto a trovarci?» chiese l’uomo, il viso aperto e gentile.
Il Signore non rispose, perché non lo sapeva.
Presto, tardi, oggi, domani, per lui non significavano niente. Il tempo era una creazione per la Terra, non per Lui.
Lui non aveva tempo, se non il presente. Non aveva passato o futuro, ma solo l’adesso.
Perciò, sparì in silenzio, così come era arrivato, senza dare alcuna risposta.
La Sua luce tornò ad illuminare la sala del Trono più in fretta del battito di ciglia dell’Ish.
Il coro Lo accolse con un gioioso canto di benvenuto e la voce di Lucifiel tuonò adirata nella stanza.
Lo rimproverava per essersi allontanato senza consultarlo, senza dire a nessuno dove andava.
Non aveva bisogno di ascoltarlo, per conoscere il contenuto delle sue parole o dei suoi sentimenti, li sentiva vibrare dentro di sé, come parte della sua stessa energia.
Ma adesso non poteva pensare a Lucifiel e alle sue preoccupazioni, né poteva prestare attenzione al coro e al suo nuovo inno.
Adesso, doveva riflettere. Doveva vedere e decidere cosa fare.
 



*Il capitolo doveva essere dal punto di vista di Adam, ma alla fine non è stato così. Visto che non è mai stato in progetto scrivere dal punto di vista di D., perché il pensiero mi ha sempre lasciato a disagio, vorrei premettere che si tratta, come ovvio, di mera fantasia. Spero che nessuno si senta offeso da ciò che scrivo.
 
**Avrei dovuto spiegarlo prima, ma Ish e Ishà sono i due termini ebraici (o così ho letto) che indicano l’uomo e la donna.
   
 
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