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Autore: coffee girl    11/02/2015    2 recensioni
E se Charles ed Erik fossero solo due adolescenti con in comune la passione per gli scacchi?
Dal testo: «Charles, questa non è una novità. Cominci a diventare noioso.» Rispose lei, rivolgendogli un sorrisetto sghembo. «Magneto.» Lesse poi, a voce alta, «Che diavolo di nickname sarebbe Magneto?»
«Non so, è solo un nome come un altro.»
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Con un grazie immenso alla mia beta Nykyo, ecco il secondo capitolo.


Erik, quella mattina non aveva sentito la sveglia e il mal di testa era tale che credette che gli sarebbe esploso il cervello. Le tempie gli pulsavano forte lungo il tragitto infinito che lo separava da scuola. Abitava maledettamente lontano in un quartiere così ai margini della città, della vita stessa che, la maggior parte dei suoi compagni non avrebbe mai immaginato potesse esistere un luogo del genere.  Lungo la strada, si ritrovò a pensare, per l’ennesima volta, che sarebbe stato meglio se l’intero Istituto Scolastico avesse continuato a ignorare dove abitasse.
La sera precedente aveva tirato parecchio tardi. Il suo capo al lavoro l’aveva chiamato poco dopo la fine della partita a scacchi per chiedergli se sarebbe stato disponibile per l’ennesimo turno di notte e lui aveva accettato, come faceva sempre del resto.
Consegnare pizze, e per giunta in un locale aperto 24 ore su 24, non era proprio il massimo ma, Erik sapeva di non avere altra scelta. Da quando il padre li aveva abbandonati senza denaro e, per giunta, in un mare di debiti, i soldi non bastavano mai, nonostante sua madre si rompesse la schiena da sempre. Così Erik aveva iniziato a dare una mano: consegnava giornali, pizze o faceva qualsiasi lavoro gli riuscisse di trovare.
Erik si accollava sempre i turni che nessuno sceglieva perchè sapeva bene che gli straordinari erano pagati qualcosa in più. Non troppo certo ma, per poco che fosse era pur sempre qualcosa.
Da quando aveva ottenuto una borsa di studio per meriti sportivi presso il prestigioso Istituto Superiore Genosha*, lui e la madre, avevano potuto tirare un sospiro di sollievo, e le loro condizioni di vita si erano fatte più dignitose, ma aveva comunque preferito non lasciare il lavoro. La vita, del resto, gli aveva insegnato a non adagiarsi mai, neppure quando le cose sembravano andare per il verso giusto. Soprattutto quando andavano per il verso giusto.
Erik si comportava come se trascorresse la sua esistenza in attesa del colpo di grazia, si sentiva come un funambolo per il quale ogni passo poteva essere l’ultimo e, nonostante avesse questa consapevolezza, continuava a camminare, un piede dopo l’altro, con una rabbia che lo consumava giorno dopo giorno.
La vita privata di Erik e la sua situazione famigliare erano un segreto che il ragazzo aveva imparato a tenere ben custodito negli anni, costruendosi una facciata che non gli apparteneva. Erik il duro, quello con gli occhi di ghiaccio e il sorriso da squalo. Erik il capitano della squadra di Football, quello che tutti temevano. Erik che poteva avere chiunque volesse, perché qualsiasi ragazza sarebbe stata disposta a uccidere per uscire con lui anche una sera soltanto. Ma tutto questo aveva un prezzo: il non permettere a nessuno di avvicinarsi abbastanza, di diventare tanto intimo da scoprire il suo segreto. Lunghi anni di solitudine e di isolamento, questo era stato il prezzo da pagare. Un costo troppo alto per un ragazzo che non aveva ancora raggiunto la maggiore età.
Il suo obbiettivo era quello di finire la scuola e un giorno, forse, avrebbe avuto un lavoro, una posizione ma, non sarebbe stato quello il giorno.
Eppure, quella mattina qualcosa lo fece sorridere, ed era il pensiero della partita a scacchi con quel tipo misterioso da cui, era certo, quella sera stessa avrebbe ottenuto la rivincita.
Quando arrivò a scuola percorse veloce il corridoio, tutti gli altri alunni erano già nelle rispettive classi. Erik realizzò che, se il sorvegliante l’avesse beccato a quell’ora, gli avrebbero rifilato la quarta nota di ritardo in venti giorni, cosa che doveva assolutamente evitare. La sua borsa di studio e, di conseguenza il suo futuro, dipendevano anche da episodi come quello. Sentì alcuni passi alle sue spalle e accelerò. Si voltò indietro ma non vide nessuno e proseguì. Poi, di nuovo, quel rumore di passi. Quando pensò che non ci fosse via d’uscita, una porta si aprì alle sue spalle.
«Sbrigati, entra.»
Erik non se lo fece ripetere due volte e si lasciò afferrare per un braccio e tirare dentro quello che, in seguito, avrebbe riconosciuto essere una sorta di stanzino, impolverato, pieno di scope e vecchi cancellini ormai abbandonati.
All’interno era buio e non riusciva a mettere a fuoco il suo salvatore.
«M-ma dove?» Era disorientato e, per giunta, gli spazi stretti gli toglievano il respiro. Si sforzò di rimanere calmo, non poteva permettersi di fare la figura di quello che impazziva dentro ad uno sgabuzzino.
«Shhhh.» Poco più di un sussurro.
 «Chi sei?» domandò con un tono di voce un po’ troppo alto ma, l’altro gli mise prontamente il palmo della mano sulla bocca, chiudendogliela prima che si facessero scoprire. Quel gesto non migliorò la situazione. A Erik mancava l’aria ma rimase immobile. Ebbe l’impressione che l’estraneo, in qualche modo, si fosse reso conto del suo stato perché, lentamente, lo sentì scostare la mano liberandogli la bocca.
Dopo un tempo che gli sembrò infinito, all’esterno tornò il silenzio e l’altro ragazzo rispose alla sua domanda rimasta in sospeso.
«Charles Xavier. Tutto bene?»
Xavier. Erik conosceva bene il nome. A scuola girava voce che Charles Xavier fosse un fottuto piccolo genio.
«Erik Lensherr.» rispose, ignorando del tutto la domanda sul suo stato emotivo. «Io e te, non ci conosciamo, perché diavolo l’hai fatto?» Il suo tono ora era freddo e carico di sospetto. Non gli risultava che le persone agissero senza un tornaconto personale o, quantomeno, nessuno si era mai comportato in quel modo con lui, prima di allora.
«Avevi bisogno d’aiuto.» Gli rispose Charles. Quelle poche parole dirette, pronunciate con un candore che non aveva mai udito, ebbero la capacità di toccare Erik nel profondo. La voce dell’altro studente era calda e rassicurante e gli lasciò un senso di stordimento.
«Credo che ora dovremmo uscire.» Fu Charles ad interrompere il silenzio, risvegliandolo dal torpore.
Erik annuì debolmente. «Aspetta, cosa ci facevi qui dentro?»
«Diciamo che ho scoperto questo posto grazie a Shaw e alla sua banda.» Gli rispose, semplicemente, con quel tono di voce che era in grado di trasmettere serenità.
 
Sebastian Shaw e gli altri erano dei fottuti stronzi, ma erano nella squadra di football e, anche se Erik non aveva mai approvato i loro comportamenti, non aveva mai voluto mettersi apertamente contro di loro. Impassibile e menefreghista, questo era scritto sulla maschera che era costretto ad indossare ogni giorno.  Ricordava ancora il suo primo giorno in quella scuola, quando Sebastian Shaw e Azazel, un tipo niente affatto raccomandabile e dall’aria mefistofelica, si erano avvicinati a lui per fargli capire subito chi fosse a comandare ma, non avevano fatto i conti con il fatto che Erik ne aveva passate davvero troppe per fasi spaventare da due ragazzini, viziati e fin troppo presuntuosi.
Così, li aveva messi al loro posto, assestando loro un paio di cazzotti nei punti giusti e, a partire da  quel momento, i due erano diventati come cagnolini, fedeli e pronti a scodinzolare ad ogni cenno di Erik. Lui li aveva lasciati fare, infatti, finché lo avessero temuto, non si sarebbero azzardati a ficcare il naso nella sua vita.
«Xavier, grazie per prima.» Si limitò a dire Erik, accostando appena la porta alle proprie spalle per poi allontanarsi con circospezione.
 
 
 
 
 
 Note
*Nome derivato dal comicverse.
   
 
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