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Autore: pukpuk    11/02/2015    0 recensioni
Joy Emurphy, Amish irlandese, non ancora sedicenne è tenuta dai genitori all’oscuro di tutto quello che non riguarda la sua comunità, lei ha a mala pena idea di cosa sia il mondo sviluppato e quando si ritrova catapultata in esso tutto le risulta nuovo e sconcertante. Altrettanto strana è la recente scoperta fatta da lei e tenuta gelosamente segreta: di tanto in tanto le mani emettono dei leggeri bagliori e cose bizzarre le accadono intorno, in poco tempo è riuscita a imparare a controllarle e quando le sente scaldarsi le basta concentrarsi per far si che tutto passi, ma la sua innata curiosità la spinge a lavorare su questa caratteristica che forse non è poi cosi segreta come crede. Ultima ma non meno importante stramberia, il piccolo ciondolo di smeraldo che porta appeso al collo, ben nascosto sotto l’abito, agli amish è severamente proibito, ma molto tempo prima qualcuno le aveva chiesto di tenerlo, non ricorda neanche più chi, da quel momento non l’ha più tolto. Sarà un ragazzo coetaneo a guidarla in questo mondo pieno di sorprese; ma non tutto è facile come sembra, ben presto vengono a sapere che il piccolo ciondolo è portatore di un grande potere e c’e’ solo
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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io ho un problema, non riesco a farlo pubblicare con gli spazi, faccio esattamente come mi indicano le istruzioni ma mi esce cosi comunque, se qualcuno mi può spiegare come si fa poi la remetto corretta, cosi è più leggibile... -------------------------------------------------------------------------------------------- Joy apre gli occhi lentamente. I lunghi capelli ramati le ricadono sul viso disordinati. La cuffia bianca che tutti gli Amish devono portare è sparita, fa per coprirsi la testa imbarazzata ma subito si rende conto di essere sola. Si trova in un vicolo stretto e buio, con la schiena appoggiata contro il muro e il tacco di una scarpa spezzato. Improvvisamente tutto le ritorna alla mente, la colonia, Thomas, le pistole, le fiamme. Sente il panico invaderle il petto e le lacrime salirle agli occhi. Si stringe le gambe al corpo lasciandole scorrere libere. Nell’aria c’e’ un atmosfera strana, non ha mai sentito niente di simile a casa sua. Non c’e’ odore di aria pura, ma di qualcosa di sgradevole, si guarda intorno incuriosita asciugandosi gli occhi. Le case che la circondano sono a più piani con grossi finestroni coperti da tende e hanno un aria logorata dal tempo, non sembrano per niente le grandi ville bianche e pulite della campagna. Si alza lentamente barcollando per rimanere in equilibrio, poi si appoggia al muro e borbotta qualcosa. Prova a muovere qualche passo ma inciampa, una strana debolezza le invade il corpo, scivola lentamente a terra e perde i sensi. Quando si riprende tutto sembra uguale a prima, il sole si sta abbassando all’orizzonte e grossi nuvoloni avanzano pigri sulla sua testa. Si rannicchia in un angolo senza aver il coraggio di muoversi, ripensa ai suoi fratelli, quelli sopravvissuti, probabilmente ormai al sicuro lontano dalla colonia, vorrebbe aver seguito il consiglio di Thomas, se lei se ne fosse andata subito forse lui sarebbe sopravvissuto e in quel momento starebbero insieme a ridere sull’avventura appena passata come facevano ogni volta che contravvenivano alle regole, gli unici due ad aver il coraggio di farlo nella numerosa famiglia, più grazie al coraggio di lui che a quello di lei che si limitava a farsi trascinare in quelle che le parevano straordinarie avventure se paragonate alle comuni giornate che si ripetevano sempre monotone, istintivamente porta una mano all’anello sospirando. Ripensando a quei giorni, ormai finiti, le lacrime le salgono agli occhi. Non fa niente per frenarle, è sola, nessuno la può vedere. Per un tempo che le pare infinito si limita a singhiozzare raggomitolata contro la parete, non sa cos’altro fare, non conosce quel posto, l’unica cosa ovvia è che si trova lontana da casa. Solo quando le gocce iniziano a caderle sui capelli bagnandole l’abito capisce che non può più stare li in attesa di un miracolo, che deve trova un riparo se non vuole ammalarsi. Si alza lentamente passandosi una mano sugli occhi e muove qualche passo incerto, la scarpa rotta non l’aiuta di certo, si siede a terra e le sfila entrambe lanciandole lontano in un gesto pieno di rabbia e frustrazione, quando le sente rimbalzare contro il muro riprende a camminare scalza sui sampietrini bagnati, ma non le importa, vuole solo andarsene di li e trovare un posto caldo. Cammina per qualche centinaio di metri prima di trovarsi su una via più larga costeggiata da negozi la maggior parte dei quali lei non ha mai visto prima, da un lato e dall’altro riesce a intravedere due piazze, ma la pioggia ora più fitta non le lascia indovinare cos’altro vi è. Si guarda un attimo intorno indecisa poi opta per la destra. In giro non c’e’ nessuno, i negozi sono chiusi ma attraverso le sbarre di metallo può vedere la mercanzia, alcuni contengono oggetti di legno, vestiti, scarpe, tutta roba che ha già visto, altri cose invece completamente nuove , oggetti rettangolari coperti di tasti, grandi schermi di vetro nero, Joy non riesce a capire cosa possono essere, è colpa della madre realizza, era sempre stata troppo opprimente impedendo ai fratelli di raccontarle ciò che vedevano. Mentre cammina rapida ripensa a Thomas, aveva compiuto da poco 19 anni ed era risoluto a lasciare la colonia una volta che lei avesse finito il rumpringa, l’anno in cui sarebbe potuta andare nella società moderna, che avrebbe dovuto iniziato il giorno prima, sarebbe scappato se fosse stato necessario, ma non ne avrebbe più avuto bisogno, era morto proprio per difendere il posto dal quale voleva andarsene. Quando arriva alla piazza i piedi ormai le dolgono ed è completamente bagnata, non ha trovato un riparo o lo ha superato senza rendersene conto. Davanti a lei si erge un alto obelisco, sulla destra una grossa scala decorata da decine di statue candide, sulla sinistra palazzi e negozi come quelli che ha appena superato e in fondo, a una distanza che le pare fin troppo lunga, un grosso arco. Non ha mai visto niente del genere, in campagna non avevano piazze del genere. Si avvicina lenta all’obelisco e lo osserva per diversi minuti, quattro scalinate portano a un alto basamento liscio, a diversi metri da terra l’obelisco inizia restringersi e vi sono incisi sopra dei disegni geometrici indecifrabili alla ragazza che si limita a fissarli incuriosita, il suo sguardo vaga fino alla cima, un croce di metallo la fissa dall’alto. Dopo parecchio tempo finalmente si decide ad allontanarsi dal monumento, si scosta i capelli zuppi dagli occhi ignorando le gocce di pioggia che le offuscano la vista e continua a camminare verso l’arco che si innalza imponente davanti a lei. passarvi sotto è come attraversare il varco tra due mondi, improvvisamente mille rumori le invadono la testa costringendola a retrocedere di qualche passo, il rombo di centinaia di auto, di centinaia di ruote che slittano sull’asfalto bagnato, l’insano odore diffuso nell’aria che la costringe a tossire. Si piega su se stessa cercando di capire dove si trova. Davanti a lei sfila un larga strada, decine di mezzi a motore le passano davanti strombazzando, sussulta indietreggiando di qualche passo e chiude gli occhi sperando che si tratti di un sogno, che di li a qualche secondo tutto scompaia, che si ritrovi nel suo letto con un libro in grembo, ma quando li riapre tutto è come prima; evidentemente non si trova più nella campagna, non è solo la sua immaginazione. Si incammina lenta lungo il marciapiede ignorando gli sguardi curiosi della gente che le passa accanto rapida coprendosi con l’ombrello. Tutto sembra assurdo li, eppure è proprio come, nelle ore passate nascosta nel frutteto con il fratello, quest’ultimo le aveva raccontato, non ci sono cavalli, ne prati immensi, ne alberi da frutto, solo grossi palazzoni tetri e strade lastricate. Improvvisamente non riesce più a comprendere tutta quell’euforia che alimentava Thomas ogni volta che ne parlava. Cammina lungo il marciapiede scivolando di tanto in tanto con i calzini bagnati o inciampando sull’orlo del abito appesantito dalla pioggia. Cammina per un tempo che le pare infinito muovendosi lentamente e meccanicamente incuriosita da quel mondo tutto nuovo dal quale sente un forte senso di repulsione. Solo quando la stanchezza si fa troppo pesante per essere sostenuta si accascia su un piccolo prato vicino alla strada con la schiena appoggiata su un albero e la testa persa nei suoi pensieri. Tenta di rimanere sveglia più a lungo che può, non si fida ad addormentarsi in quel posto tutt’altro che rassicurante, ma alla fine la stanchezza ha la meglio, le palpebre calano lentamente e lei si lascia trasportare in un sonno pesante e privo di sogni. Quando si risveglia nulla è cambiato rispetto a prima, i nuvoloni sono ancora bassi nel cielo, la pioggia cade fina e fitta, ma di tanto in tanto riesce a intravedere un raggio di luce filtrare attraverso il grigio e il nero che si stende uniforme sopra di lei , la notte è passata. Si alza lentamente strizzando per quando le è possibile i bordi dell’abito che però si riappesantiscono subito dopo. Un brivido le percorre la schiena, si stringe nelle braccia cercando un po’ di calore. Deve assolutamente trovare un riparo. Si incammina lenta lungo la strada evitando le auto che corrono in entrambe le direzioni. Un profondo senso di vuoto le invade il petto al pensiero della casa in cui è vissuta fino a poche ore prima e che probabilmente non esiste più, vorrebbe poter tornare indietro nel tempo per salvare tutto, non sa come, ma le piacerebbe poterlo fare. Si passa una mano sul volto asciugandosi gli occhi inumiditi. Poco lontano vede le luci lampeggiarle davanti e sorride sollevata, un albergo. Cammina più veloce mentre un filo di speranza si fa strada in lei. si ferma qualche secondo davanti alle porte a vetro intimorita prima di spingerle ed entrare guardandosi intorno meravigliata. Dopo quasi due giorni passati sotto il cielo cupo la luce le ferisce gli occhi. È luce artificiale, dovuta a lampade che non funzionano grazie al fuoco ma con l’elettricità, proprio come le aveva raccontato il fratello. Comode poltrone e bassi tavolini sono sparsi ovunque, grandi specchi e quadri di ogni tipo invadono le pareti, non ha mai visto un posto con tante inutili decorazioni. “Buongiorno signorina” Una voce squillante le penetra nella testa facendola riprendere. Sulla sinistra un bancone si allunga da una parete all’altra dietro al quale sono seduti davanti a schermi luminosi, Thomas gliene aveva parlato ma non riesce a ricordarne il nome, due uomini e una donna in divisa bianca e blu. “Salve” La sua voce appare più fioca di quanto avrebbe voluto. “In cosa possiamo esserti utili?” la donna ha un tono acido e tutt’altro che simpatico. “Io starei cercando un posto dove dormire” Spiega lei sperando che le diano ascolto. “Hai i soldi?!” Si fruga nell’unica tasca del vestito e scuote la testa, li aveva tolti prima di mettersi a letto. “Chi sei?!” Chiede ancora la donna scrutandola attentamente. “Sono un Amish” “In Italia non ci sono Amish.” Joy si guarda intorno meravigliata. Non poteva essere arrivata in Italia, si trovava sicuramente in una città vicina alla colonia e la donna aveva voglia di scherzare. “Infatti non siamo in Italia.” “A no? E dove siamo allora?!” Il tono sarcastico le leva un po’ della sua sicurezza. “In Irlanda.” “Non dire stupidaggini ragazzina.” “Io non so parlare l’italiano e non ho mai viaggiato tanto da arrivare in Italia!” In quel momento una porta si apre e ne esce un uomo alto e imponente. “Cosa succede qui?!” Ha una voce bassa che metterebbe paura a chiunque. “Questa ragazzina deve essere ubriaca.” “Vattene. Non vogliamo barboni ubriachi nel nostro albergo!” “Non sono una barbona!” Il tono di Joy è convinto e inizia a sentire la rabbia montarle dentro. “A no? Allora perché sei conciata cosi?!” “Ho dormito fuori!” “Allora sei una barbona! Tutti quelli che dormono fuori sono barboni, quindi vattene!” Le guance di Joy si fanno rosse e sente le mani riscaldarsi, le chiude a pugno tentando di mantenere il controllo mentre passa lo sguardo tra i vari addetti alla reception, i due non coinvolti nella discussione hanno alzato gli occhi dagli schermi e li osservano incuriositi. “Ho solo bisogno di un posto dove dormire!” Insiste lei alzando la voce. “Vai a lavorare e torna quando hai i soldi!” “Io lavoro! Lavoro nella terra in campagna! Tutti i giorni!” “Non dire stupidaggini, non puoi fare la contadina nel centro della città! Vattene se non vuoi che chiamiamo la polizia!” Joy esita un attimo indecisa, sta per perdere il controllo e non può, deve mantenere la calma se vuole che le mani tornino fredde, perciò si limita a fulminare gli uomini con lo sguardo, poi si gira e esce quasi di corsa sbattendosi le porte alle spalle. Si rende conto del confortevole calore che c’era nella stanza solo quando si trova di nuovo all’aria aperta e freddo e pioggia le sferzano il viso. Si incammina decisa nella direzione opposta rispetto a quella dalla quale è venuta cercando di mettere più strada possibile tra se e il luogo da cui è stata appena cacciata. Mentre cammina rapida per le strade la rabbia inizia a scemare lentamente e la curiosità prende di nuovo il sopravvento. Intorno a lei tutto è uguale, larghe strade attraversate da vicoli a motore , alti palazzi a più piani e negozi illuminati da forti luci appese al soffitto. Passano ore prima che la pioggia inizi a diminuire,quando finalmente cessa Joy tira un sospiro convinta che tutto diventerà più facile, deve solo trovare un modo per asciugarsi e darsi un contegno poi sicuramente riuscirà a tornare a casa. Il sollievo si affievolisce però quasi subito, i morsi della fame le attanagliano lo stomaco sempre più forti, è troppo tempo ormai che non mangia e dopo tante ore di cammino le forze iniziano a venirle meno. Si avvicina a un passante con l’intenzione di chiedergli aiuto,ma proprio mentre lo sta per chiamare le ritorna in mente la donna dell’albergo, li la gente non è accogliente come a casa sua, pensa allontanandosi rapida e addentrandosi in un vicolo stretto e buio. La stradina sembra isolata dal resto del mondo, tutti i rumori le giungono attutiti e non ci sono veicoli in movimento, la cosa dovrebbe darle sicurezza, dovrebbe ricordarle le strette strade della sua colonia, invece le infonde solo una profonda paura, quel posto non appare tranquillo come dovrebbe, non c’e’ una bella atmosfera. Sta per uscire quando un ragazzo le si para davanti. È alto , con le spalle larghe e i capelli tagliati molto corti. “Buongiorno fanciulla, come mai da queste parti?!” Le chiede con una voce che sarebbe dovuta apparire soave ma che le fa gelare il sangue nelle vene. “Stavo andando via.” Risponde indietreggiando lentamente. “Oh, non tanto in fretta mia cara!” Mormora qualcuno dietro di lei, si gira giusto in tempo per vedere un paio di mani stringersi intorno alle sue spalle, si divincola con uno strattone e riesce a liberarsi, ma nel frattempo qualcosa è comparso nella mano dell’altro, un oggetto che brilla in maniera inquietante, un coltello si direbbe. L’arma si muove rapida verso il volto della ragazza che indietreggia ritrovandosi stretta tra due braccia possenti. “Non ti hanno forse insegnato che non si gira sola per i vicoli bui? Oh ma no, queste cose non le insegnano alle ragazze di strada , giusto, voi ci vivete in vicoli del genere!” un risata fredda le invade la testa, si agita cercando di uscire da quell’abbraccio indesiderato ma pare impossibile. “Vieni cara, ti portiamo noi fuori di qui, andremo in un bel posto!” Il tono non ha niente di rassicurante e subito Joy si accorge con terrore che anziché andare verso l’uscita si stanno addentrando sempre di più. Improvvisamente sente una rabbia montarle dentro, scrolla la testa scostando i capelli dal viso e chiude le mani a pugno. “Cosa c’e’? La bimba si sta arrabbiando?!” Il tono canzonatorio del ragazzo è evidente; lei tenta di ignorarlo mentre le mani si fanno sempre più calde. Istintivamente ripensa al corpo carbonizzato del soldato, non è stata lei, lo sa che è impossibile, eppure ha la sensazione che stia per succedere qualcosa di brutto, e non a lei. la tensione aumenta sempre di più di pari passo alla rabbia che le invade il corpo come un flusso incontrollabile, improvvisamente apre le mani e una luce bianca le si irradia intorno. Il ragazzo lascia la presa e cade all’indietro barcollando mentre l’altro rotola sulla schiena sbattendo la testa contro il muro. Joy approfitta di quel momento per sollevare la gonna e correre verso l’uscita. Il primo si riprende pochi attimi dopo e scatta in piedi gridando, lei vede il coltello partire dalla sua mano ma lo schiva con facilità, non ha proprio una buona mira. La strada principale è ormai vicina,riesce a sentire di nuovo i rumori che le invadono la testa, ancora qualche passo e sarà fuori, ma le gambe le sembrano improvvisamente pesanti, sente un innaturale debolezza invaderle il corpo, le voci dei ragazzi le risuonano come sfumate , eppure realizza che sono vicine, barcolla per un paio di passi e si accascia a terra. L’ultima cosa che sente è un rombo più forte e vicino degli altri e delle urla, non sa se di gioia o di terrore, poi perde i sensi.
  
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