Mi
chiama.
Lei,
mi chiama.
Un
tono amorevole e divertito, avvolgente e protettivo. La sua voce
è
musica, musica che scandisce il mio nome.
Lei
mi chiama.
“Vieni
qui” sussurra dolcemente, tendendomi le mani.
E
io mi sento attirare da lei, come una falena verso il fuoco.
Lei
è il mio centro, la mia gravità, il mio nucleo.
E
le sue braccia, quando infine mi stringono, sanno di
felicità, di
morbido calore, così esili eppure così
protettive. Sembrano fatte
apposta per accogliermi e ripararmi.
“Il mio ometto” bisbiglia contro la mia fronte, e io riesco a sentire le vibrazioni dolci della sua voce contro la mia pelle.
Inizia a cantare una tenera ninna nanna, con tono soave, in quella lingua che so di non avere mai imparato, ma che nonostante tutto conosco. Ascolto ogni respiro, rapito e assorto, ogni immagine che le sue parole suscitano nella mia mente, ogni vibrato della sua voce gentile e amorevole, mentre la sua mano esile e aggraziata danza davanti al mio viso, librandosi in forme e leggeri voli che seguono e accompagnano la canzone.
Ogni
cosa, in lei, è eleganza e delicatezza; il modo in cui
sorride, in
cui inclina il capo tenuemente, le sue mani cortesi dalle pose
leggiadre, l'intensità del suo sguardo quando mi guarda.
Lei
mi ama. Il suo amore traspare in ogni gesto, in ogni occhiata, in
ogni tocco, nel battito calmo e rassicurante del suo cuore, che mi
culla assieme alla ninna nanna.
Sento
che sto per addormentarmi, ma combatto contro il sonno,
perché
voglio guardarla ancora, voglio ascoltarla, non voglio che se ne
vada.
Lei
si accorge della mia impazienza e sorride con indulgenza. E
canticchiando ancora la melodia, mi sfiora la guancia con la mano, i
suoi occhi sembrano carezzarmi.
“Sarò
ancora qui quando ti sveglierai” mormora rassicurante, mentre
continua a cullarmi.
E
io non posso contrastare ancora questo benessere primordiale, questa
pace ancestrale che stare nelle sue braccia mi trasmette.
Gli
occhi si chiudono, la sua voce continua a vezzeggiarmi, al successivo
battito di ciglia lei è ancora lì che mi sorride,
poi le palpebre
si fanno troppo pesanti e la dolce ninna nanna mi porta infine in un
mondo di sogno.
Ma
lei, lei non c'è.
“Okaasan!”1
chiamo spaventato.
Ma
lei non risponde, la sua voce soave è sparita, il tepore del
suo
abbraccio è scomparso, mi rimane un nulla freddo e spento.
E
lo so, con gelida rassegnazione, che lei non sarà qui quando
mi
sveglierò.
Okaasan.
Leonardo
si svegliò e aprì gli occhi, confuso. La testa
era insolitamente
pesante, la mente ingombra di frammenti ingarbugliati di sogno e
sensazioni.
Sentiva
che stava dimenticando qualcosa, qualcosa di molto importante, ma
più
cercava di focalizzarlo, più gli sfuggiva dalla mente, come
acqua
tra le mani.
Si
sentiva stanco e stranamente smarrito. E solo.
Solo
quando passò le mani sul viso per cercare di strofinare via
la
stanchezza, si accorse delle lacrime calde che gli inumidivano gli
occhi e le guardò splendere sulla punta delle dita,
sconvolto.
Qualcosa
lo aveva turbato nel sonno, ma non riusciva a ricordare cosa avesse
sognato, se non stralci confusi, brandelli caotici che non riusciva a
mettere assieme, a far combaciare.
La
voce del sensei lo chiamò gentilmente, per l'allenamento
mattutino,
e lui si sbrigò a rispondere, detergendo le lacrime con il
dorso
della mano.
E
mentre correva verso l'anziano padre, con una rinnovata energia e il
desiderio di dare il meglio di sé anche quel giorno,
sentì una
dolce melodia solleticargli la mente, anche se non sapeva da dove
venisse.
Mormorando tra sé quel motivetto che sapeva quasi di ninna nanna, uscì dalla sua stanza, con un ignaro sorriso in viso.
1:
Okaasan significa madre, in giapponese. Nella traduzione in italiano,
nel volume 6, Leo la chiama mamma, ma dall'immagine in inglese che
son riuscita a trovare della stessa scena, c'era scritto mother,
madre.
In
fondo chiamava Yoshi padre, perciò ci si aspetta lo stesso
rispetto
per la madre, soprattutto da una persona del Giappone antico.
Quindi
la chiama Madre, non mamma.
Note:
Buonasera!
Dunque, questa OS nasce dal sesto volume, quando Leo inizia un po' a ricordare sua madre e alcuni momenti con lei di quando era un umano, prima che si reincarnasse. Mi ha colpito moltissimo, soprattutto le scene con solo loro due e questa storia è venuta fuori di getto.
Non ho mai usato la prima persona, mai prima d'ora, né il presente. Ma sentivo che nel ricordo/sogno era giusto metterli come forma di narrazione, spero di non aver fatto male.
Grazie per leggere e seguire la raccolta. Grazie ai preferiti, grazie ai vostri commenti.
Un sincero abbraccio