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Autore: Ella Rogers    12/02/2015    7 recensioni
La giovane si sporse sul corpo del biondo, in modo da proteggere il suo bel viso dalla debole pioggia incessante.
"Steve, non farmi questo, ti prego."
Gli carezzò la fronte. La pelle del ragazzo era fredda, gelida.
"Apri gli occhi, Steve, avanti" pregò con voce tremante, sotto lo sguardo indecifrabile di Stark.
Cercò di trasferire la propria forza vitale in lui, ma ormai era tardi.
"È colpa mia. È soltanto colpa mia. Se solo fossi stata più forte, invece di crollare in quel modo. Ti ho lasciato da solo, non ti ho protetto e adesso … adesso …"
Prese a scuoterlo per le spalle, disperata.
"Steve, svegliati, ti scongiuro."
Lo baciò e le labbra erano fredde, non più calde e morbide.
Posò la fronte sul suo torace e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
"Mi assicurerò che continui a battere, te lo prometto, a qualsiasi costo."
Era stata la muta promessa fatta a lui e a sé stessa, dopo averlo amato, dopo aver sperimentato con lui cosa significasse essere una cosa sola sia nell'anima sia nella carne.
E lei lo aveva tradito. Perché quel cuore aveva smesso di battere.
Lo aveva ucciso.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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“Sei certo della decisione presa, Capitano?”

Steve si addossò alla parete del corridoio, alleggerendo alle gambe il fardello di sostenere il peso del corpo provato dalla battaglia conclusasi appena qualche ora prima.
L’adrenalina era scemata del tutto, mentre la stanchezza e il dolore delle ferite si erano riaccesi, rendendogli difficile rimanere lucido e vigile.
Sospirò, incrociando la braccia al petto.
Le tempie pulsavano dolorosamente e ciuffi di capelli biondi si erano appiccicati alla fronte cosparsa di tagli rossi e freschi.

“Stark ha insistito perché ci spostassimo e sono d’accordo con lui. È inutile nascondersi, ci troverebbero comunque.”

Il cipiglio severo disegnato sul volto di Fury si sciolse, trasformandosi in un’espressione di rassegnazione e arrendevolezza.
Il direttore non poteva avere ragione sui Vendicatori e doveva accettare tale verità, perché non c’era possibilità di combatterla.

“Vi scorteremo noi, assieme al prigioniero.”

Rogers si limitò ad annuire, anche se il movimento parve più un abbandonare il capo in avanti.
Costrinse il corpo a muoversi e diede le spalle a Fury, incamminandosi.

“Fate attenzione, Rogers.”

Il Capitano alzò la mano destra, senza voltarsi, in segno di saluto.
Poi voltò l’angolo, sparendo dalla vista dell’uomo dall’impermeabile nero.




Raggiunse i dormitori e poi la stanza che gli era stata assegnata.
Il peso dello scudo sulle spalle gravava più del normale, perciò se ne liberò subito, abbandonandolo a terra malamente.
La partenza era prevista per l’alba. I Vendicatori avrebbero raggiunto la Stark Tower l’indomani, consapevoli di avere poco tempo a disposizione per poter organizzare un piano adatto a sconfiggere il nemico.
Si chiese se ce l’avrebbero fatta anche questa volta, ma scacciò immediatamente il pensiero, dandosi dello stupido. Era lui quello che avrebbe dovuto incoraggiare e sostenere i suoi compagni, da buon Capitano, ma la parte più umana di sé pretendeva di dubitare, di avere paura, di sentirsi debole.
Sfilò la divisa sbrindellata dalle spalle, con movimenti lenti ed attenti. La tirò verso il basso, ma si bloccò una volta giunto all’altezza dei fianchi.
Nel punto in cui Wade aveva affondato il coltello, il tessuto si era appiccicato alla ferita, a causa del sangue ormai rappreso.

“Questo farà male” sussurrò tra i denti.

Con uno strappo deciso abbassò ancora la divisa, lasciando che un gemito di dolore gli vibrasse in gola. Osservò disgustato lo strato di pelle rimasto attaccato alla stoffa e il sangue che riprendeva a scorrere dal taglio riaperto. Vi premette sopra la mano, che si tinse immediatamente di rosso.

“Te ne starai lì ancora per molto, aspettando di morire dissanguato?”

Steve sussultò, voltandosi verso la porta d’ingresso.
“Dovresti imparare a bussare.”
Nella sua voce non c’era traccia di rimprovero e le labbra si piegarono in un fievole e dolce sorriso, arma perfetta per arrivare dritto al cuore della ragazza, che percepì le ginocchia divenire tremule.
Ma Steve questo non poteva immaginarlo, troppo ingenuo e inconsapevole dell’effetto che aveva sulle persone, soprattutto se queste appartenevano al gentil sesso.
Anthea sorrise a sua volta, sussurrando un “Mi dispiace” a fior di labbra.

“Come sta?”
“Si sveglierà a momenti.”
La ragazza era passata a controllare le condizioni di Natasha, prima di raggiungere Rogers.
La rossa era immersa nell’oscurità dell’incoscienza, ma si stava riprendendo velocemente sotto il meticoloso controllo di Bruce e la costante vigilanza di Clint, il quale - Anthea non aveva potuto ignorarlo - stava affogando in un mare di ansia malcelata.
La giovane capiva l’arciere, poiché le bastava immaginare Steve sul quel letto per sentire lo stomaco rivoltarsi.

Ti distruggerò dentro.

Ecco riaccendersi il pungente dolore nel petto.
Aveva improvvisamente voglia di urlare, ma riacciuffò la stabilità per tornare coi piedi per terra e rendersi conto che Steve stava bene, nonostante le diverse ferite riportate dallo scontro.
Un baluginio si accese nelle iridi buie della giovane, nel momento in cui ella prese a studiare la figura del Capitano.
I corti capelli biondi erano scompigliati, il viso cosparso di tagli, il labbro inferiore spaccato, la gola contornata da lividi violacei.
Gli occhi cobalto scesero più in basso, sull’addome nudo e scolpito, scivolando poi sulla ferita al fianco, sotto la quale era arrotolata la parte superiore della divisa.
Le labbra di Anthea fremettero.
Si avvicinò a lui con cautela, guardandolo negli occhi azzurrissimi.
Gli occhi più belli che avesse mai visto.
Le dita affusolate toccarono incerte la pelle calda del torace e Steve ebbe un tremito, nel sentirle scendere in basso e percorrere la linea degli addominali, lentamente e delicatamente.
Ma quando la mano della ragazza giunse in prossimità della ferita, Rogers le afferrò prontamente il polso e la costrinse ad alzare gli occhi per guardarla in viso.
La giovane aveva la bocca leggermente aperta e i grandi occhi sbarrati, mentre cercava di riprendersi dalla brusca interruzione da parte del ragazzo.

“Non pensarci nemmeno.”

La osservò mordersi il labbro inferiore, colpevole.

“Voglio solo guarire le tue ferite e-”
“Prendere il mio dolore? Non posso permettere che tu faccia una cosa del genere.”
Lo hai già fatto troppe volte.
Adesso nella voce del super soldato c’era rimprovero, così come nella sua espressione corrucciata.

Steve non riusciva a capire come la ragazza avesse potuto inglobare tutto quel dolore, subito dopo l’attacco di Thanatos.
Aveva guarito la spalla rotta di Clint, la schiena squarciata di Tony ed infine, come se non bastasse, aveva strappato lui dall’abbraccio della morte.
Aveva fatto finta di stare bene, mentre aveva cercato dentro di sé la forza per gestire e far tacere tutta la sofferenza estratta dai loro corpi.
E poi aveva salvato Natasha.

Anthea sbuffò e scosse il capo.
“Tu non capisci. Quando ti guardo e vedo queste” la ragazza si liberò dalla presa sul polso, fattasi più morbida, e gli accarezzò il viso, seguendo la linea della mascella contratta e arrivando a tastare i segni scuri sulla gola, punto in cui si fermò, lasciando che un’ombra le oscurasse le iridi “io sto male. Provo una tale rabbia da-”

“Dovrai farci l’abitudine, Anthea. Sono un soldato, dopotutto.”

La giovane rimase immobile, le braccia crollate lungo i fianchi e lo sguardo perso.
Quante verità e implicazioni in quelle poche parole.
Forse nemmeno Steve aveva colto il reale senso della frase da lui stesso pronunciata, ma Anthea non poteva ignorare quel dovrai farci l’abitudine.
Significava quindi che lei sarebbe rimasta con quel ragazzo che le aveva stravolto l’esistenza?
Un sogno, ecco cos’era. Qualcosa di irrealizzabile.
Il Padrone incombeva su di loro e la sua presenza era quasi tangibile.
Ma la sola idea di poter vivere impregnata della presenza di Steve Rogers le fece palpitare il cuore talmente forte, da farle temere che sarebbe esploso a momenti.

Gli posò una mano dietro il collo e, aiutata dalla forza fuori dal comune che possedeva, lo costrinse a curvare la schiena, permettendo alle loro labbra di toccarsi e unirsi in un bacio dettato dall’urgenza che lei aveva di sentirlo più vicino, più intimamente.
Steve le afferrò i fianchi, tirandola contro di sé, e schiuse la bocca permettendole di approfondire il bacio. Si assaggiarono con febbrile bramosia, arrendendosi al desiderio di colmare ogni più piccolo spazio tra i loro corpi.
Il sapore ferroso del sangue si insinuò tra le loro lingue, ma lo ignorarono.
Anthea gli infilò le dita nei corti capelli biondi, sollevandosi sulla punta dei piedi, mentre il giovane soldato le carezzava la schiena, provocandole piacevoli brividi.
Si staccarono solo quando la richiesta di ossigeno divenne insopportabile. Le guance arrossate, gli occhi liquidi, le labbra gonfie, il respiro affannoso e l’assurda voglia di sentirsi pelle contro pelle.

Anthea scivolò via dalla delicata stretta di Steve e mosse qualche passo indietro, ristabilendo le distanze di sicurezza.
Non poteva lasciarsi andare o non avrebbe avuto la forza di fermarsi.
E Steve non era lucido in quel momento.

“Fai una doccia e disinfetta le ferite. Io andrò a togliermi di dosso l’odore del sangue e poi mi metterò alla ricerca di un cambio da indossare.”
Il ragazzo non accennò nemmeno a dire qualcosa, così lei sorrise teneramente.
“Fa’ il bravo, Steve.”

La giovane uscì dalla stanza, lasciando Rogers ancora confuso ed intontito.

“Okay” balbettò lui, con lo sguardo ancora perso chissà dove e il sapore di Anthea sulla lingua.



                                                         ***



La fievole luce le ferì gli occhi, che si richiusero con uno scatto.
Si mosse nervosa, percependo la costrizione delle lenzuola che le avvolgevano il corpo privato della divisa e coperto solo dall’intimo nero.

“Piano.”

La voce dolce di Bruce pareva un’eco giunta da lontano.
Si fece forza e permise alle iridi verdi di venire alla luce, adesso non più così fastidiosa.
Alla destra del letto, accasciato su una sedia pieghevole di plastica nera, Banner la osservava. Aveva i riccioli scuri completamente in disordine, gli occhi stanchi, indossava una maglia bianca troppo grande per lui - sicuramente un prestito di Rogers - e i pantaloni sbrindellati che Hulk aveva reso inutilizzabili. Il dottore aiutò la rossa a mettersi seduta, sistemando il cuscino tra la testata del letto e la sua schiena nuda. Natasha tirò su il lenzuolo e lo bloccò sotto le ascelle, lasciando scoperte le spalle nude.
“Cosa è successo?”
La voce le venne fuori roca, grattandole la gola secca.
Bruce le accarezzò i capelli, gesto che alla donna parve quasi paterno.
“Per fortuna niente di irrimediabile, ma lascerò a qualcun’altro il dovere di aggiornarti.”
Il dottore le scoccò un sorrisetto complice e poi le diede le spalle, con l’intento di uscire.

“Grazie, Bruce.”
Gli occhi di Natasha saettarono sulla figura rimasta all’ombra, nascosta nell’angolo della stanza vicino la porta. Banner scosse il capo e sorrise ancora.
“Non serve, Clint. Ora va’ da lei.”
E lasciò li lasciò soli.

Barton prese posto sulla sedia scadente raccattata chissà dove da Fury.
Natasha era lì, davanti a lui, viva. Era ancora pallida e le labbra rosse come le fragole, ora erano rosee. Aveva le mani raccolte in grembo e lo osservava da sotto le lunghe ciglia, mentre le spalle candide come la neve si alzavano ed abbassavano ad ogni respiro.
Bellissima, sempre e comunque, fu il pensiero dell’arciere.

Stettero in silenzio, a guardarsi negli occhi, come per cercare di leggere l’una i pensieri dell’altro.

“Allora?”
La voce tremula di Natasha era intaccata da un groppo formatosi improvvisamente nella gola.

“Ti avevo detto di non farlo.”
“Clint, non ho bisogno della paternale. Ho fatto una scelta, accettandone i rischi.”
“Hai rischiato di morire, lo sai questo?”
“Non è una novità per quelli come noi.”

La risata di Clint risuonò cristallina, ma alterata da una lieve nota d'isterismo.
“Hai dannatamente ragione. Sono sempre stato abituato a questa idea, almeno prima di incontrare te.”

Perché se Clint Barton un giorno di tanti anni prima non aveva rispettato l’ordine ricevuto, risparmiando una creatura tanto bella quanto letale, l’aveva fatto solo per un motivo che all’inizio aveva faticato a comprendere, ma poi tutto era divenuto talmente chiaro da far paura.
Quel fatidico giorno, il cuore aveva vinto sulla ragione.
Poi il senno l’aveva perso completamente nella stanza del suo appartamento a New York, quando Natasha, per la prima volta, si era donata a lui, ricambiandolo. Barton non avrebbe mai dimenticato quella notte, i sospiri e i gemiti di lei, i baci roventi, le curve armoniose di quel corpo caldo e morbido. Da lì era cominciato un esplorarsi a vicenda, un conoscersi sempre più in profondità, un raggiungere assieme l’apice del piacere, contro il dolore del passato e del presente.
Clint aveva imparato a distinguere l’amore dal sesso, anche se la loro non poteva definirsi una vera e propria relazione, dato il lavoro che facevano e le personalità inadatte a un qualcosa che li avrebbe resi dipendenti l’uno all’altra. Le cose, infatti, erano poi degenerate, provocando un continuo allontanamento.

Non sapevano cosa fosse davvero un legame, ma erano consapevoli che il suo spezzarsi avrebbe portato un dolore inguaribile.
Ed erano pronti ad affrontarlo?

“Clint, ti prego non …”

L’uomo le afferrò una mano, stringendola tra le sue.
“Non posso fare a meno di te, Nat, lo capisci questo?”
La osservò mordersi il labbro inferiore.
“Lo capisco fin troppo bene. È per questo che dovremmo tenerci a distanza. Per evitare di rimanere distrutti in caso …”
Non riuscì a continuare.
“Natasha, guardami.”
Le iridi verdi si tuffarono in quelle chiare dell’uomo, in cerca di un appiglio e di certezze.

“Stare con te e amarti varrebbe la pena di ogni singola goccia di dolore che proverei nel perderti.”

Successe tutto troppo in fretta.
Clint avvertì le labbra di Natasha sulle sue e schiuse la bocca per accoglierla. Il bacio si trasformò in una danza rovente di lingue, che si cercano, si stuzzicano, si riassaporano dopo troppo tempo, tempo passato ad evitarsi per non dover soffrire, quando invece il dolore della distanza li aveva comunque distrutti.
Si separarono con il fiato corto e gli occhi liquidi.

“Allora amami.”

Clint si premurò di bloccare la porta, cosicché nessuno avrebbe potuto interroperli. Tornò da lei. Il lenzuolo le era scivolato via e Barton prese ad ammirare la curve del seno sorretto da pizzo nero e quelle sinuose dei fianchi, mentre il sangue andava ad animare il basso ventre. Si liberò dei vestiti, rimanendo in boxer, e la Vedova si umettò le labbra a quella vista.

Poi Clint fu su di lei e dentro di lei, amandola.



                                                ***



La nebbiolina si stava diradando, scoprendo la città che aveva celato nel suo abbraccio umido durante la notte.
Il sole sorgeva placidamente e da esso la pallida luce si irradiava in cielo e sulla terra, inaugurando l’alba di un nuovo giorno.
Una leggera e fresca brezza le accarezzò il viso, arrossandole le guance. Si strinse nelle spalle, ma nonostante sentisse freddo, rimase immobile ad osservare quello spettacolo mozzafiato.
La luce che trionfava sulle tenebre.
La rinascita del mondo, rimasto assopito per lunghe ore.

Rinascita.

Per alcuni istanti, ogni cosa intorno a lei scomparve. Le iridi buie brillarono della luce emanata dalla Stella nascente e le pupille si contrassero, diventando puntini neri immersi in un mare abissale.

Rinascere.

Un tocco, una voce.
Il vetro intorno a lei si infranse e la realtà tornò a pungerle la pelle.
Si voltò, incontrando gli occhi chiari di Thor, la cui mano sicura stringeva ancora delicatamente la sua spalla.
“Cos’è che rende assente il tuo sguardo?”
“I pensieri. Sono troppi e ognuno di essi reclama la mia attenzione. Non riesco a gestirli.”
Il dio le sorrise. Un sorriso sincero, che sapeva di sicurezza.
“Concentrati sul presente, prima che diventi passato, o ti volterai indietro esternando rimpianto. Lascia scivolare via questi tuoi pensieri ostici e vivi.”

Anthea sbatté ripetutamente le palpebre, confusa, ma subito dopo lasciò che quelle parole le sgombrassero la mente e in un impeto di gioia abbracciò Thor, sussurrandogli un “Grazie” carico di luminosi sentimenti.
L’asgardiano le regalò una pacca sulla schiena e raggiunse i compagni, i quali erano intenti a scortare Wade fuori dal jet, atterrato qualche tempo prima sul tetto della Stark Tower.

Tony aveva asserito di possedere una cella di detenzione ai piani alti della Torre. Sul motivo nessuno aveva posto domande e lui non si era prolungato in spiegazioni, stranamente.
La ragazza osservò il moro scendere dal velivolo, affiancato da Iron Man e Occhio di Falco. Quest’ultimo emanava una luce nuova ed il sorriso gli piegava le labbra con estrema facilità.
Natasha possedeva gli stessi sintomi, anche se cercava di celarli dietro una facciata di professionalità e noncuranza.
Anthea aveva la straordinaria capacità di leggerti dentro, superando qualsiasi barriera costruita a scopo di difendere l’intimità delle emozioni, perciò sorrise, quando comprese cosa facesse risplendere le due spie.
Amore.

Thor raggiunse la rossa, seguita da un Loki tranquillo e completamente a suo agio tra coloro che avevano mandato a benedire i suoi piani di conquista.
I polsi non erano costretti da catene. Era libero.
Sembrava avesse stretto un muto accordo con i Vendicatori: niente colpi di testa in cambio di uno stereotipo di libertà. E la cosa funzionava, o almeno pareva funzionare.

Si mossero tutti verso l’accesso a vetri del piano più alto, ma Anthea si trattenne, in attesa di vedere il Capitano scendere dal jet.
Ed eccolo, scudo in spalla e solita divisa messa a disposizione dallo SHIELD.
Dietro di lui, il velivolo si sollevò, roteò lentamente su sé stesso e, azionati i propulsori, ripartì, sorvolando New York e sparendo all’orizzonte.
Rogers la raggiunse con passi ampi e cadenzati.

“Ti congelerai” fu il dolce ammonimento del biondo.
Anthea si mosse a disagio, sistemando il bordo della maglia prestatale da Clint, in modo che coprisse meglio le cosce fasciate dai pantaloncini neri.
“Ho sopportato di peggio.”
Steve sentì il cuore accartocciarsi, a causa dell’ineluttabile verità di quelle parole pronunciate con falsa noncuranza.
“Sai cosa ti aspetta, adesso?”
Si incamminarono in direzione dell’ingresso alla Torre.
“Avrei dovuto farlo fin dall’inizio, Steve.”
Ma avrebbe voluto evitarlo per sempre.
Avrebbe dovuto tirare fuori tutti quei segreti che teneva gelosamente nascosti nel suo cuore.





La Sala Comune era diverse cose assieme.
Luogo dove trovare tranquillità e compagnia. Stanza per le maratone notturne di film horror - espediente perfetto, secondo Stark, per osservare le espressioni di orrore di Rogers e quelle confuse di Thor - e per mangiare tutti seduti intorno allo stesso tavolo, ridendo tra un battuta e l’altra. Essa diveniva però, in caso di emergenza, centro per le riunioni strategiche.
Adesso stava svolgendo proprio quest’ultima funzione, anche se i Vendicatori non sembravano molto propensi ad intavolare un discorso basato sulla loro possibile disfatta.
Tony e Clint fecero il loro ingresso nell’esatto momento in cui Bruce decise di passare in camera per indossare qualcosa di decente, ma sfortunatamente fu costretto a rinunciare, sbuffando afflitto.

“Allora?”
“Lo abbiamo rinchiuso nella cella super tecnologica - costruita per chissà quali scopi, Capitano.”
Barton mimò un saluto militare, beccandosi un paio di occhiatacce.

“Ci sono proposte?”
Tony alzò la mano e prese la parola, senza attendere alcun permesso.
“Mangiamo qualcosa?”
“Stark, la mia era una domanda seria.”
“E la mia era una proposta altrettanto seria, Capsicle. Ho fame.”
“Io ho sonno” si intromise Clint.
“Insulsi mortali. Non posso credere che mi abbiano battuto.”
“Nessuno ha chiesto il tuo parere, piccolo cervo.”
“Cerchiamo di mantenere la calma” fu l’ammonimento della Vedova.
“Dobbiamo progettare una strategia. Non c’è tempo per lagnarsi come bambini petulanti."
“E dai Rogie. Abbiamo tre giorni. Rimandiamo a più tardi, quando tutti saremo abbastanza lucidi da avanzare proposte sensate. Siamo appena usciti vivi da un inferno, dopotutto.”

Erano spossati, confusi, sporchi e affamati.
Erano eroi sì, ma pur sempre umani.

“Okay. Ci rivediamo qui tra qualche ora, dopo che ci saremo dati una sistemata.”

Sospiri di sollievo.

Ognuno raggiunse il proprio appartamento, situato ad uno specifico piano della Torre. Natasha invitò Anthea a seguirla e la ragazza accettò senza pensarci due volte, mentre Loki veniva trascinato via da un Thor raggiante.

Alla fine era passata più di qualche ora ed infatti, su invito di JARVIS, i Vendicatori si erano ritrovati nella Sala Comune soltanto a mezzodì, con indosso abiti puliti ed appartenenti al guardaroba della normalità, niente divise, costumi o armature.
Tony aveva avuto la premura di ordinare qualcosa al takeaway, perciò erano tutti seduti intorno all’ampia tavola di legno scuro posta nell’angolo dedicato alla piccola cucina, intenti a riempirsi lo stomaco.
Ad Anthea, seduta tra Natasha e Loki, era bastato qualche boccone per sentirsi sazia ed appagata, dato che era stata abituata a vivere con pochissimo.

La luce calda e accecante del Sole penetrava l’ampia vetrata che offriva una vista spettacolare su New York ed illuminava l’intera stanza, rendendo più vivido ogni colore. Il chiacchiericcio vivace, decorato da sorrisi sorprendentemente naturali e sguardi rilassati, non rispecchiava affatto la situazione di pericolo in cui erano ormai affondati fino al collo.
Era tutto così ... bello.
Anthea faticava a dare un nome alle emozioni che avevano preso a danzarle dentro per la prima volta. Le labbra si piegavano troppo facilmente a formare sorrisi, i quali coinvolgevano gli occhi stessi.
Il blu oscuro pareva essere più limpido e meno profondo, come se l’anima stesse riemergendo dagli abissi per mostrarsi nella sua interezza, rimasta celata per lunghissimo tempo da un pesante velo tessuto con la paura, la tristezza, la vergogna e la sfiducia.
Un giorno le sarebbe piaciuto chiamare casa un qualsiasi posto dove avesse trovato la felicità.
Eppure, in fondo, possedeva già la sensazione di trovarsi nel luogo giusto. Non era tanto importante il dove fosse esattamente, ma con chi fosse.
Era circondata da persone specialmente uniche e ciò la faceva sentire euforica a tal punto da renderla dimentica di questioni prioritarie.
Come poteva anche solo pensare a un qualcosa che fosse diverso dal ragazzo che le stava proprio di fronte?
Quegli occhi così dannatamente azzurri avevano colorato i suoi sogni durante la lunga prigionia e avevano evitato di farla impazzire del tutto.

“Hai intenzione di dirglielo?”
Un languido sussurrò la costrinse a voltarsi in direzione di Loki, che la osservava con un certo interesse.
“Cosa?”
Anche Anthea parlò piano, in modo da non attirare l’attenzione degli altri, intenti a discutere su chi fosse il più degno - secondo la filosofia di Thor per ogni piccola stupida cosa bisognava essere degni - che avrebbe dovuto mangiare l’ultima disgraziata ala di pollo inerte al centro del tavolo.

“Parlo del fatto che non sei umana, o almeno non del tutto.”
Anthea ebbe l’impressione che tutto intorno a lei vorticasse e che la spina conficcata nel petto solo un giorno prima da Loki, stesse adesso penetrando più a fondo, puntando dritta al cuore.
Non era umana.
Cos’era allora?
Chi era?
E cosa voleva essere?

Le mani, poggiate sulle gambe, si erano serrate a formare due pugni e le nocche erano diventate pallide, tanto quanto il volto.
Mantieni la calma.
“Allora?” la incalzò Loki.
Anthea affondò i denti nel labbro inferiore, abbassando lo sguardo e concentrando l’attenzione su una piccola venatura della superficie lignea del tavolo.
Mantieni la calma.
Era panico ciò che sentiva arrovellarsi nelle viscere, a causa della fredda e pungente paura di veder scomparire quel piccolo spiraglio di felicità, nato da troppo poco per venire stroncato così prematuramente.
Ringraziò l’arringa di Stark - stava esponendo le motivazioni per le quali si sarebbe aggiudicato la famosa ala di pollo -, che aveva monopolizzato l’attenzione.

“Sta’ zitto” sibilò astiosa, ma il tono divenne più flebile e incerto nel pronunciare le parole successive.
“Parlerò loro, ma prima tu dovrai essere più chiaro con me. Devo sapere, ti prego.”
Era arrivata a supplicarlo, alla fine, mostrandosi in tutta la sua debolezza e vulnerabilità.
“Come vuoi.”
La giovane sbatté ripetutamente le palpebre, confusa, e rivolse lo sguardo verso Loki.
“Davvero?”
Scorse un sinistro luccichio negli occhi chiari del dio, che guardava davanti a sé, sorridendo appena.
I jeans scuri e la maglietta verde a mezze maniche non scalfivano minimamente il suo essere superiore e l’eleganza che possedeva.
Il dio stava mettendo da parte il freddo cinismo e Anthea riusciva adesso a sentire più chiaramente le sue emozioni, le quali gravano su un cuore indurito da anni trascorsi nell’odio e nella disperazione.
“Grazie” soffiò appena, ma a Loki non sfuggì quella dolce e calda parola, pronunciata con una sincerità disarmante.
“Sentimentale” sbuffò il moro, ma negli occhi si era impressa una scintilla stranamente luminosa.

Alla fine, l’ala di pollo era finita nelle mani di Clint, furbo ad approfittare della distrazione degli altri, intenti ad insultarsi a vicenda.
Bruce non aveva partecipato alla competizione insulta e sarai insultato, ma aveva goduto nell’ascoltare quante idiozie al secondo Stark sapesse tirare fuori con una facilità mostruosa.

“Potremmo parlare di cose serie, adesso?”
“Sei sempre il solito guastafeste, Rogers” borbottò Tony.

“Steve ha ragione. Abbiamo meno di tre giorni per escogitare un piano decente e sfortunatamente possediamo informazioni pari a zero sul nemico. Quindi, a lavoro.”
Natasha regalò qualche occhiataccia ai presenti, in modo da sopprimere qualsiasi intento non idoneo alla situazione che doveva essere trattata con i guanti.
“Punto uno. Raccogliere quante più informazioni possibili sul Padrone. Chi è, o meglio, che cos’è e quali sono i suoi reali scopi. Anthea?”

Appena la Romanoff pronunciò il suo nome, la ragazza sobbalzò, per poi rendersi conto di avere puntati addosso gli sguardi di tutti i presenti.
Si costrinse a parlare, anche se consapevole di non possedere dettagli sufficienti a far luce sull’identità del nemico.
“L’ho visto poche volte ed ha sempre indossato una mantella nera che gli celava il corpo ed il volto. È umano? Non saprei e non ho idea di quali siano i suoi scopi. Wade mi ha sempre ripetuto che lui è il futuro ed ha bisogno di me per realizzare i suoi piani. Ma ha dovuto aspettare che maturassi, affinché tutto potesse essere perfetto. Il momento era ormai giunto, credo, perché l’ultima volta che il Padrone è venuto da me risale a quattro giorni prima che Steve mi trovasse.”

Il silenzio divenne soffocante dopo pochi secondi.

“Siamo finiti” si lasciò scappare Barton.
“Abbiamo sempre questo Wade da interrogare, no?”
Stark cercò di rinvigorire gli animi.
“Sarà difficile farlo parlare.”
“Tranquillo Rogers, quel tipo non conosce la nostra Vedova Nera. Piccolo cervo qui, ne sa qualcosa.”

Il fatto che Loki non rispondesse ad una provocazione preoccupò non poco i Vendicatori, tanto che tutti si voltarono nella sua direzione per controllare che fosse ancora lì.
Il dio c’era, ma pareva totalmente immerso nei suoi pensieri.
Poi parlò, ignorando la confusione negli occhi di quegli insulsi mortali.
“Il Padrone, eh? Non mi è nuovo tale nome. Ho percepito in parte il suo potere durante la possessione del cadavere, perciò posso affermare con sicurezza che non appartiene alla razza umana. Ma quel nome, ricordo di averlo letto o sentito ad Asgard, secoli fa.”

“Forse non siamo poi tanto finiti” si corresse Clint.

Steve si alzò in piedi con uno scatto e la sedia stridette contro il pavimento. Sapeva essere autoritario anche indossando un semplice paio di jeans chiari e una comoda felpa blu.
“Thor, tu tornerai ad Asgard per trovare anche la più esigua informazione su questo Padrone. Natasha e Clint penseranno a Wade.”
“E Loki, Capitano?”
“Loki resterà qui, Thor, per portare a termine il compito che gli era stato assegnato.”
Adesso tutti guardavano Steve, piuttosto confusi.
Il super soldato si apprestò a chiarire le ragioni di quella decisione.
“Anthea potrebbe essere l’unica in grado di fronteggiare il Padrone, perciò dobbiamo metterla in condizione di poter sfruttare appieno il suo potere.”

“Potrebbe essere rischioso.”
Clint non poteva rimuovere dalla memoria la notte in cui la ragazza aveva rischiato di uccidere Rogers e lui stesso. L’immagine di quegli occhi completamente neri, privi di qualsiasi sentimento, era ancora nitida nei suoi pensieri.
Nonostante li avesse salvati più volte, non riusciva a fidarsi completamente della giovane paranormale.

“Bisogna tentare.”
Il Capitano sorrise in direzione di Anthea, che ancora faticava a credere alle sue orecchie.
Steve stava riponendo in lei tutta la sua fiducia.
E non l’avrebbe deluso.

“Ehi Cap, noi cosa facciamo?”
“Avremo bisogno di parecchio fuoco, credo.”
“Capito. Ci pensiamo noi, giusto Bruce?”
Banner annuì in direzione di Tony.
Le ombre erano un gran problema, perciò i due geni avrebbero avuto il loro bel da fare per trovare il modo giusto di contrastarle.

“Okay, muoviamoci allora.”

“Ehi! Frena, Cap! Qual è il piano?”
Stark incrociò le braccia al petto, fissando il suddetto Capitano.

Steve si grattò la nuca e prese a fissare un punto indistinto sul pavimento.
“Ecco, questa è una parte. Appena sapremo di più, provvederemo a rattoppare i buchi.”

Nell’aria alleggiava l’odore della perplessità.

“Ce la siamo vista contro un esercito di alieni, mentre adesso ne dobbiamo affrontare uno solo. Possiamo farcela, anche senza un piano decente. L’ispirazione ci verrà al momento.”
Stark si voltò a guardare il compagno alla sua destra con occhi sbarrati.
“Bruce, ti senti bene?”
Il dottore sorrise e fece spallucce.

“Banner ha ragione, in fondo.”
Natasha si alzò in piedi, osservando i suoi compagni con orgoglio.
“Siamo un gruppo di sconclusionati, ma nonostante ciò siamo riusciti a gestire un’invasione aliena. Muovete il sedere e datevi da fare, signorine.”

Dovevano solo crederci.

Ed ecco che quelli che erano pezzi separati di uno stesso puzzle andavano ad incastrarsi perfettamente tra di loro, creando un’esplosiva combinazione di coraggio, forza, audacia ed anche un bel po’ di incoscienza.

“Mi dispiace. È solo colpa mia se vi trovate in questa situazione.”
Anthea si prese la testa tra le mani, impotente.
Cosa poteva fare per evitare che il Padrone facesse loro del male?
Era troppo debole in confronto a lui e ne era pienamente consapevole, purtroppo.
Steve le fu subito affianco e le poggiò una mano sulla spalla, affinché lei potesse sentire la sua presenza.

Dopotutto anche lei era diventata un pezzo del loro puzzle.

“Se non ti fossi messa in contatto con me, lo SHIELD non sarebbe mai venuto a conoscenza di un’organizzazione di traditori al suo interno e il Padrone avrebbe avuto tutto il tempo per portare a compimento i suoi piani, i quali sicuramente non porterebbero nulla di buono alla Terra. Quindi reagisci e comincia a combattere per ciò che vuoi.”

La ragazza sbatté ripetutamente le palpebre, frastornata da quelle parole così travolgenti.
Combattere per ciò che voleva. Cosa voleva?

“Sono d’accordo con lui, stranamente” affermò Tony, sorridendo.

Anthea sorrise a sua volta, mentre immaginava una vita migliore, vicino a quelle persone che erano divenute tanto importanti in così poco tempo.
“Grazie” disse solo.
Era inutile usare tante parole, quando a parlare sarebbero state le azioni. Avrebbe fatto qualunque cosa fosse stata in suo potere per proteggerli.

“Okay. Diamo inizio ai giochi.”
All’esortazione di Steve, tutti si mossero per adempiere ai propri compiti.



                                                   ***



Due giorni allo scontro.

Thor era andato via e ancora non era tornato.
Tony e Bruce avevano lavorato fino a tardi, poi avevano battuto in ritirata di fronte all’ondata di sonno annunciata dagli incessanti sbadigli.
Natasha e Clint non erano riusciti a convincere Wade con le buone, perciò erano stati costretti ad usare le maniere forti, nonostante le quali avevano ottenuto ben poco. Avevano trovato, però, la conferma alle loro supposizioni: il Padrone avrebbe portato il caos sulla Terra.
Steve era rimasto con Loki ed Anthea. Quest’ultima era riuscita a stabilizzare maggiormente il suo potere e si era esercitata sull’utilizzo del fuoco, arma principale da usare contro le ombre.

Ed intanto il Sole aveva lasciato posto alla Luna, ponendo fine all’ennesimo giorno e accorciando ancora il tempo a loro disposizione.

Camminava con la stessa furtività ed eleganza di un felino, sforzandosi di guardare oltre l’oscurità nei corridoi deserti.
Il pavimento era freddo a contatto con i piedi nudi e la larga felpa blu presa in prestito da Steve le copriva il corpo fino a metà coscia.
Arrivò davanti ad una spessa porta grigia, sulla quale era incastonato un tastierino di sicurezza.
Non sapeva quale fosse il codice di accesso, ma non le importava, poiché non avrebbe avuto problemi nel superare quella lastra di acciaio.
Bastava che si concentrasse ed immaginasse ciò che voleva accadesse. Così la porta iniziò a scorrere verso sinistra, nascondendosi nel muro.
La ragazza esitò sull’uscio, sentendo il senso di colpa invaderle il petto. Fino a qualche minuto prima si trovava nell’appartamento di Natasha, rintanata sotto le calde coperte del divano letto. Poi, come guidata da un forte istinto, era sgattaiolata via, diretta dalla persona che poteva far luce sul totale caos che le governava la testa. Aveva bisogno di spiegazioni e lui soltanto possedeva le risposte che cercava disperatamente, o almeno una parte di esse.
La porta si richiuse silenziosamente alle sue spalle e la figura di Wade le apparve davanti agli occhi, alta ed immobile.

“Ti stavo aspettando. Mi chiedevo quanto ancora ci avresti messo a raggiungermi.”

Anthea alzò lo sguardo, puntandolo sulle lampade a led appese al soffitto. Esse si accesero di colpo, illuminando lo spazio racchiuso da quattro pareti di cemento armato.
Wade era ad un passo da lei.
I loro corpi erano separati da una spessa lastra di vetro infrangibile.
Tanto vicini quanto lontani.
Il moro portava addosso i segni della battaglia e della tortura che gli era stata inferta dalle due spie. La divisa era sporca e strappata in più punti, il viso coperto di piccoli tagli, il labbro spaccato e uno zigomo era gonfio e violaceo. Ma nonostante tutto, l’uomo non aveva perso la sua aria fiera ed orgogliosa.

“Saprai quello che voglio, allora.”
La ragazza non era riuscita a mantenere ferma la voce. Essere di fronte a lui dopo tanto tempo, la sconvolgeva abbastanza da renderla nervosa, ansiosa e forse anche terrorizzata.
Wade se ne rimaneva in silenzio, a scrutarla con quei suoi occhi di ghiaccio, come se volesse imprimersi nella mente ogni tratto del corpo di quella ragazza così diversa da ogni essere umano esistente sulla Terra.
“Perché?”
Due anni.
Erano passati due maledettissimi anni dall’ultima volta che si erano visti e lei non aveva mai dimenticato il fresco odore di menta del suo maestro.
Wade le diede le spalle, incrociando le mani dietro la schiena.
“Ho dovuto seguire gli ordini. Il Padrone non voleva che ci incontrassimo ancora.”
Anthea strinse i pugni talmente forte da conficcarsi le unghie nei palmi.
“Sei solo un burattino che quell’essere si diverte a manovrare, lo sai questo?”
La nota di rabbia nella sua voce costrinse il moro a voltarsi, così si ritrovarono ancora faccia a faccia.
“Tu non capisci” iniziò lui, ma fu interrotto bruscamente.
“Capisco bene, invece. Tu mi hai tradita, mi hai abbandonata, quando io mi fidavo di te. Eri il mio unico amico in quell’inferno, il mio unico sostegno.”
Era così arrabbiata, così delusa ed amareggiata, da sentire male allo stomaco.

“Hai fatto in fretta a sostituirmi, dopotutto.”

“Non osare metterlo in mezzo. Lui-”
 
Questa volta fu Wade a costringerla a tacere.

“Lui ti ha portata sulla strada sbagliata, Anthea. Sei cambiata per colpa di quel bastardo.”
C’erano note di ira nella voce dell’uomo.

“Sai che ti dico? Sono felice di essere sulla strada sbagliata e di camminare al fianco di Steve Rogers.”
Wade colpì la parete di vetro con entrambe le mani, ringhiando come una bestia inferocita.
“Pagherà per ciò che ha fatto e sarà il Padrone stesso a infliggergli la punizione che merita.”
Anthea, rimasta impassibile di fronte la reazione dell’uomo, si avvicinò ancor di più alla lastra vitrea, tanto da sfiorarla con la punta del naso.
“Io lo proteggerò, a costo della vita.”

Il silenzio che seguì a quelle parole venne impregnato da una fortissima carica di tensione.
Si guardarono negli occhi, cercando di decifrarsi.

“L’ultima volta” cominciò Wade, parlando piano “ti sei interrotta con quell’ anche se. Cosa non mi hai detto?”
“Questo cosa c’entra, adesso?”
“Rispondi e basta.”
“Perché dovrei?”
Lo ragazza lo stava sfidando.

“Il Padrone non voleva che ci incontrassimo a causa del rapporto che si era venuto a creare tra di noi. Sapeva che avevo cominciato a provare qualcosa nei tuoi confronti, perciò avrei potuto rischiare di compromettere la tua preparazione per il grande giorno. Non dovevi possedere alcun tipo di legame o niente avrebbe funzionato. Inizialmente, il Padrone voleva uccidermi per spezzare il legame, ma poi si è reso conto che io per te ero solo un diversivo per evadere dal dolore che ti veniva inflitto giorno dopo giorno.”
Anthea spalancò gli occhi, mentre le mani avevano preso a tremarle.
Wade continuò, imperterrito.
“In realtà c’era un legame che stavi inconsapevolmente intessendo con una persona, ma il Padrone non è mai riuscito a risalire alla sua identità. Poi un giovane soldato si è presentato in Canada e ti ha portata via e tutto è diventato estremamente chiaro. Il ragazzo dei tuoi sogni non era solo un’astratta figura creata dalla tua mente, ma era reale e tu lo sapevi, non è così? È questo che stavi per dirmi quel giorno?”

La ragazza abbassò il capo, chiudendo gli occhi e lasciando che i lunghi capelli color miele le scivolassero sul viso.
È un gran bel biondo, ma rimane pur sempre un sogno, anche se alcune volte riesco a sentirlo davvero. Percepisco la sua presenza ogni giorno più intensamente. Ecco ciò che ti avrei detto, ma l’istinto mi ha fermata e credo fosse proprio per proteggere il legame che si stava inevitabilmente creando con lui. Mi sono aggrappata con forza alla figura di Steve, per non crollare e rimanere lucida. E lui non mi ha delusa, alla fine. Non mi ha abbandonata come hai fatto tu.”

Wade scosse il capo, affranto.
“Il Padrone dovrà ucciderlo per spezzare il legame. Aveva mandato me, la prima volta, ma il ragazzo è riuscito sorprendentemente a sopravvivere ad una caduta da un altissimo ponte sospeso, anche dopo che gli avevo sparato.”

“Finché ci sarò io, non permetterò che gli venga fatto del male.”

“È per proteggerlo che hai spostato una parte del tuo potere nel suo corpo, non è vero?”
Anthea sorrise lievemente, annuendo.

“Ti ho voluto bene, Wade, e per me non eri un semplice diversivo. Una volta ho addirittura pensato che tu fossi il padre che non ho mai avuto.”

Il moro sbatté ripetutamente le palpebre, confuso.

“Adesso devo andare.”
Anthea gli diede le spalle incamminandosi verso la porta, la quale si aprì sibilando, mentre i led si spegnevano simultaneamente.
Ma prima che la ragazza sparisse oltre la porta, Wade trovò la forza di parlare ancora, ponendola di fronte a quella maledetta, dannata, cruda verità.

“Puoi proteggerlo dagli altri, Anthea, ma chi lo salverà da te?”

Volti cinerei ed inespressivi. Occhi spalancati, da cui era fuggita la scintilla di vita, tranciata da una violenza tale da divellere ossa con facilità mostruosa.
Assassina.


Le immagini di quel giorno, quando per la prima volta aveva perso il controllo, si riaccesero con violenza nella sua mente.
Si voltò indietro, per cercare gli occhi di ghiaccio del suo maestro, ma si trovò davanti la superficie liscia della porta ormai chiusa.

Corse via, ignorando il terrore che aveva preso a torcerle le viscere.






Note
Ciao!
Prima di tutto scusate per il clamoroso ritardo, ma scrivere questo capitolo mi è risultato estremamente complicato, tanto che del risultato non sono ancora convinta.
La storia sta giungendo verso il suo culmine e ogni domanda lasciata aperta richiederà una risposta.
Tanti sono i buchi che ho lasciato sparsi qua e là, forse anche troppi. Perciò se qualcosa non vi torna non dovete far altro che chiedere.
Spero di avervi fatto provare qualche emozione nella lettura del capitolo.
Grazie a tutti coloro che continuano a seguire la storia!

Grazie a Rag­doll_Cat (che mi ha dato tantissimi consigli per la storia *.*), a Mumma e a Viola Banner che continuano a recensire, rendendomi tanto felice :D

Alla prossima!
Un abbraccio <3
Ell
   
 
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