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Autore: Dont_Cry_Kla    13/02/2015    2 recensioni
Vecchia storia, vecchio titolo. Perchè postarla di nuovo? Non è più pratico correggere semplicemente i capitoli della vecchia storia? No! Semplicemente perchè erano orribili e pieni di errori, gli errori di una ragazzina che non sono più. Spero dunque che qualcuno sia disponibile a leggere (di nuovo) questo parto di una mente malata (o semplicemente troppo sognatrice). Giusto un paio di precisazioni prima di cominciare:
1. La trama è mooooolto OOC, è probabile quindi che i personaggi possano essere diversi da quelli che vi immaginate e che possano fare o dire cose che nella versione originale non sarebbero possibili.
2. A causa del punto 1 potrebbero esserci linguaggi scurrili e/o temi delicati.
Il passato ci trova sempre, anche sull'Isola che non c'è e Peter questo non lo ha ancora capito.
Non è possibile fuggire dalla vecchia vita, nemmeno sull'Isola che non c'è, e questo Wendy dovrà capirlo da sola.
La verità è che l'Isola può essere un posto molto poco ospitale per un bambino che non accetta di essere cresciuto e per una ragazza che vuole cambiare le cose senza cambiare se stessa.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Campanellino, Capitan Uncino, Peter Pan, Wendy Darling
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo quarto
L'Isola non può scegliere

 
Un uomo stava seduto nella taverna con un boccale di birra mezzo vuoto, attorno a lui gli avventori si muovevano in modo confusionario ed un forte rumore impediva di intrattenere conversazioni, francamente non avrebbe voluto passare lì le sue ore libere ma questioni urgenti lo avevano richiamato a quel tavolo.
Qualcuno gli toccò la spalla e lui si voltò, sorrise ma non lo invitò a sedersi con lui. C’era comunque una certa tensione tra i due, l’eco di problemi irrisolti.
-Ce l’hai?- chiese soltanto.
-È tutto quello che hai da dirmi?- rispose l’altro, non aspettandosi davvero una risposta.
-Ce l’hai o no?- l’uomo si fece più incalzante, non era quello il momento dei convenevoli. Quello allora da una tasca interna del mantello estrasse una boccetta di medie dimensioni, dal colore scarlatto L’uomo sorrise –Non voglio sapere come te la sei procurata-
-No. Non vuoi, fidati- si allontanò senza salutarlo. L’uomo allora gettò un paio di monete sul tavolo ed uscì. Nessuno fece caso a quello scambio di battute, i traffici illeciti erano all’ordine del giorno in posti come quelli.
Una volta fuori stretto nel suo cappotto per ripararsi dal vento si soffermò a ripensare a quello che era appena successo. Quella notte tutto sarebbe cambiato, nel bene o nel male.
-Non ti ho detto come utilizzarla- sentì dire, si voltò questa volta ben più rilassato, senza il peso della gente attorno. Se lo conosceva, e dopo tutto quel tempo poteva dirlo con convinzione, quella era tutta una scusa per vederlo di nuovo. –Mezza bottiglia nella cassa di rhum e mezza in quella di vino e vedrai che dormiranno come ghiri- prima che se ne andasse di nuovo lo tirò per il mantello scoprendogli il viso potendo vedere che il sorriso beffardo che ricordava così nitidamente non era andato via. –Peter sta attento-  
-Tu rischi più di me, non sei obbligato ad aiutarmi-
-Era anche mio amico Pete, sono secoli che aspetto la mia vendetta, non pensare che sia solo una cosa tua-
-Sei sempre lo stesso pazzo-
-Anche tu-
Le loro strade si incontravano e si dividevano sempre allo stesso modo, senza salutare, senza educazione. Due come loro andavano oltre queste misere convenzioni. Il loro affetto si basava solo sulla certezza di esserci sempre l’uno per l’altro e se entrambi sapevano che le cose non sarebbero mai tornate come prima non volevano altro che poter ricominciare da capo.
 
***
 
Sulla nave si respirava un’aria gelida. il capitano passava ore chiuso nella sua cabina a rimuginare su una possibile soluzione al problema, e spesso mi chiamava con se. Non gli andava che stessi da sola, o con qualcuno di cui non aveva una cieca fiducia. D'altronde a me andava benissimo così, più tempo passavo con lui e più ero contenta. Mi ero beccata una di quelle sbandate tanto frequenti nell’età adolescenziale: l’uomo adulto, bello e misterioso. Mi sembrava fosse l’unico in grado di capirmi, di comprendere i miei bisogni e le mie debolezze. Peccato che il massimo che potessi ottenere da lui fosse una pacca sulla spalla quando facevo qualcosa per bene.
-Non devi fare nulla che io non ti abbia autorizzato a fare- mi ripeteva in continuazione. Come se fossi così folle da andarmene in giro da sola con un assassino in libertà. “P” si era firmato. Cosa mai poteva significare? Non ero sicura di poter credere alle parole di William, per quello che ne sapevo Peter Pan era solo una leggenda e Will poteva essere tranquillamente un visionario. Avevo chiesto spesso, a tutta la ciurma, spiegazioni ma sembrava che nessuno fosse autorizzato a darmele. Tuttavia ero più che decisa a far luce da sola su quella faccenda.
Nonostante le reticenze del capitano non ero riuscita a sottrarmi al turno di vedetta, in quanto la ciurma si era espressa perché non ricevessi trattamenti di favore.
Quella notte ero sul ponte insieme a due incompetenti, che avevano bevuto talmente tanto e adesso russavano con la bava ai lati della bocca. Quando Hook, il mattino dopo lo sarebbe venuto a sapere per loro sarebbero stati dolori.
Il cielo era terso e le stelle si riflettevano sul mare, tutta l’isola sembrava oramai nel mondo dei sogni. Le botteghe avevano mandato a casa i lavoranti e le locande avevano chiuso le cucine, persino le allegre signorine de La mela rossa avevano terminato i loro servizi.  Il silenzio regnava sovrano e le luci erano tutte spente, tranne un lontano bagliore proveniente da lontano, segno che gli indiani avevano qualcosa da festeggiare. Me ne stavo appoggiata al legno umido ad osservare le onde che si infrangevano contro la prua quando qualcosa attirò la mia attenzione. Qualcuno suonava il Flauto, non molto lontano da me. Una melodia familiare, una ninnananna. Provai a svegliare i miei compagni, ma non diedero segni di vita. Incuriosita mi diressi verso il luogo da cui proveniva quel suono, un’ombra se ne stava seduta su una botte abbandonata, intenta a produrre melodie.
-Ehi tu! Ti rendi conto di che ora è?- dissi sporgendomi verso il molo in modo da dover alzare la voce il minimo possibile. Quello sembrò non sentirmi e continuò la sua attività.
-Ehi!- alzai la voce quel tanto che bastava per attirare la sua attenzione. Alzò per un attimo gli occhi, per poi cominciare ad ignorarmi, se avesse continuato a suonare avrebbe svegliato Pugno, che aveva il sonno molto leggero e la cabina esattamente sotto di me, e se si fosse svegliato sarebbero stati dolori per entrambi.
-Smettila! Non vedi che disturbi?- strillai esasperata. Finalmente quello sembrò rendersi conto della mia presenza. Fece qualche passo, giusto per avvicinarsi alla lanterna che tenevo in mano. La debole luce lo illuminò quel tanto che bastava per  farmi vedere un volto conosciuto. Il ragazzo davanti a me era lo stesso di quella mattina.
-E a chi darei fastidio? A te?-  disse guardandomi dal basso.
-Non ti sembra si avere già avuto abbastanza problemi con me?-
In un attimo non lo vidi più, pensai avesse fatto qualche passo indietro nel buio per andarsene senza essere visto, quando sentii un soffio sulla nuca.
-Cosa ti fa pensare che non ti abbia fatto vincere?- mi voltai spaventata. Si trovava dietro di me, e sorrideva beffardo. Indietreggiai, indecisa se chiamare aiuto o provare a vedermela da sola.
-Tranquilla, se avessi voluto farti del male non credi che lo avrei già fatto?- non ero armata. Il capitano non voleva. Potevo solo fuggire. Con forza cercai di nuovo di svegliare quei due, li strattonai con forza e gli urlai contro: niente.
-È inutile, ho avvelenato il rum. Disse con risolutezza.
Allora corsi verso il ponte superiore ma inciampai in una delle tante cime che Spugna non aveva sistemato bene, poggiai le mani davanti alla faccia per evitare inutili danni ma il ragazzo mi aveva già raggiunto.
-Vuoi deciderti a capire che non voglio farti del male?-  mi tese la mano per farmi alzare, ma la rifiutai. Una volta di faccia feci un profondo respiro, come mi aveva detto di fare il mio psicologo quando sentivo che stava per venirmi un attacco di panico.
- Cosa vuoi?- riuscì a stento a pronunciare quelle due parole. Non era normale che qualcuno sparisse e apparisse dal nulla!
-Wendi. Ti chiami così no?- annuii - Come ho fatto a non capirlo prima.- sapevo che mi cercava. Aveva chiesto di me alla Taverna, credevo di averla fatta franca. Si batté una mano sulla fronte come un monito, poi mi tese di nuovo la mano. - Sono Sam e sorrise, sorrise con i denti da fuori. Come fanno i bambini.
-Beh il mio nome lo sai già a quant…-
Ma lui non mi stava ascoltando, si guardava intorno incuriosito, toccava cime e nodi, osservava le vele e sorrideva malinconico. Come se tutto quello gli ricordasse qualcosa. Io lo seguivo con gli occhi, incapace di avvicinarmi, come se facesse parte di qualcosa in cui io non ero compresa. In un paio di falcate mi fu di nuovo accanto. - Dovresti fare più silenzio, rischi di svegliare qualcuno-  muscoli appena accennati guizzavano sotto la leggera maglia di lino molto grezzo che indossava, occhi chiari, almeno così pareva, mi fissavano saccenti. Quel Sam era irritante.
-Oggi cercavi me? Vero?- chiesi senza abbassare lo sguardo. Se quella era una sfida, non ero disposta a perdere. Una scrollata di spalle distratta fu l’unica risposta che ebbi. – Tu lo credi?- lo sguardo che mi indirizzò fu talmente inquietante che mi si gelò il sangue nelle vene. Le pupille dilatate spiccavano nel verde dei suoi occhi, che era oramai ridotto ad un misero contorno iridescente. –Tu. Sei. Completamente. FOLLE!- gli diedi un calcio e scappai, volevo chiamare qualcuno, volevo che il mio capitano mi salvasse.
-Ehi. Ti ho già detto che non voglio farti del male. Ma se mi costringi dovrò portarti via con la forza- mi canzonò, cogliendomi di sorpresa per l’ennesima volta in quella lunga notte. Il fiato mi si gelò in gola, non capivo come facesse ad apparire così all’improvviso, ero terrorizzata e la consapevolezza che non potessi chiamare nessuno non mi aiutava a pensare lucidamente. –C-cosa vuoi da me?- chiesi con un filo di voce.
-Semplice. Farti vedere cosa ti perdi-
-Temo di non capire-
-Non c’è nulla da capire. Ti hanno trascinato qui, senza un vero motivo, con l’illusione di una vita migliore. Quello che non sai è che nessuno può darti una vita migliore, qui.- tutto quello che mi diceva suonava completamente privo di senso. Discorsi senza né capo né coda, frutto di una mente perversa.
-Cosa ti fa pensare che sia così?- risposi allora tentando di mettere più distanza possibile tra me e lui.
- L’isola è stata creata per ospitare quelli senza prospettive, è vero. Ma è lei a scegliere chi volere, nessun’altro può- ogni parola era un passo avanti, in un attimo mi ritrovai attaccata al parapetto, senza sapere dove scappare.
-Un isola non può scegliere-
-Quest’isola non dovrebbe nemmeno esistere, e nemmeno le fate e le sirene. Quindi o hai preso una brutta botta in testa e queste sono solo allucinazioni, oppure, mia cara, devi cominciare a considerare l’ipotesi che le tue idee siano sbagliate- capitava a volte che anche i pazzi facessero discorsi intelligenti.
Mi prese per la manica della giacca e mi trascinò con sé. Tentai di urlare, ma mi coprì la bocca con una mano mentre con l’altra mi teneva per la vita. Mi stava trascinando di peso fuori dalla nave. Il cuore perse un battito quando mi resi conto che i miei piedi si erano staccati da terra. Stavo volando. Chiusi gli occhi, incapace di guardare il paesaggio intorno a me che mutava velocemente. Sembrò passata un’eternità quando finalmente sentii i piedi poggiare sul suolo. Istintivamente cominciai a menare pugni sul suo petto, nella vana speranza di fargli del male.
-Ehi ragazzina!- ulrò –smettila!- mi bloccai di colpo, senza sapere cosa fare. Solo in quel momento mi accorsi del posto in cui mi trovavo. Una scogliera a picco sul mare, dove non potessi fuggire.
-Tu…tu…tu come diavolo fai a volare?- ero sull’orlo di una crisi isterica, non sapevo se dominasse la paura o la rabbia - Gli esseri umani non possono farlo!-
Sam incrociò le braccia e tranquillo si mise a giocare con un filo d’erba - Gli uomini non volano, le sirene non esistono, l’isola non può scegliere…-
Con rammarico mi resi conto che non solo ero stata rapita da una persona potenzialmente pericolosa, ma che questa si stava anche prendendo gioco di me! Sospirai rassegnata e mi sedetti a gambe incrociate sul prato.
-Mettiamo conto tu abbia ragione, che l’isola non mi ha scelta e roba così. Che vuoi da me?-
-Convincerti a tornare sui tuoi passi-
-Cioè?-
-Quante volte te lo devo spiegare!?-
-Fino a che non avrò capito!-
-Insomma, tu a differenza degli altri poveracci che vivono qui, hai qualcuno ad aspettarti dall’altra parte, qualcuno che prima o poi si accorgerà che sei scomparsa!- Già, qualcuno, da quanto tempo non pensavo alla mia famiglia, ai miei fratelli, ai miei genitori -…per questo non posso permettere che tu faccia scelte sba…ma mi stai ascoltando?!- di colpo mi ricordai di non essere sola, mi scusai e ripresi ad ascoltare, cercando di mantenere la calma.
-Dicevo, qualcuno sentirà la tua mancanza, tu non puoi rimanere qui a giocare a fare il pirata senza pensare alle conseguenze delle tue azioni! Qualcuno dovrà farti ragionare, prima che tu faccia qualche altra scelta totalmente sbagliata. E quel qualcuno sono io!- L’ultima frase me la urlò a cinque centimetri dal viso. Ero sconvolta.
-Oh! Così io sarei la povera  ragazzina immatura e tu il nobile cavaliere pronto a venirmi a salvare! Ma che gentile- Mi allontanai di nuovo, avvicinandomi allo strapiombo, per un attimo pensai che buttarmi di sotto fosse una soluzione accettabile per fuggire di lì.
-Non penserai mica di buttarti? Le vedi quelle rocce? Finiresti a pezzettini- mi fece notare Sam
-Comunque ci tengo a precisare che non è minimamente nei miei interessi occuparmi di una mocciosa viziata- mi disse- Semplicemente mi hanno costretto. In quel momento mi chiesi cosa volesse dire, poi ricordai che stavo parlando con uno squilibrato.
-Non sprecare tempo allora
-Infatti. Se non vuoi ascoltarmi di riporto alla nave, ma te ne pentirai, stanne certa- finalmente aveva detto qualcosa che mi potesse interessare.
Mi riprese in spalla e in un attimo ero di nuovo in cielo.

Angolo di Kla
Non credevo che sarei tornata a scrivere questa storia dopo tutto questo tempo, la puntualità e la costanza non sono proprio il mio forte. Non so nemmeno in che modo chiedere scusa visto che sembra sempre una presa per il c**o.
Passiamo al capitolo va…La parte iniziale è un po’ confusa ne sono consapevole, ma credo anche che sia facilmente indovinabile chi sono i due uomini che discutono, non sono brava con le sorprese xD.
Wandy incontra ‘Sam’ (che ha cambiato nome tre volte nel corso della stesura) che fondamentalmente non riesce a concludere niente, perché lei sembra irremovibile sulle sue posizioni, ma possiamo considerarlo una sorta di trampolino di lancio per quello che succederà in futuro.
Non sono sicura di cosa succederà con i prossimi aggiornamenti, spero di essere più puntuale e spero di riuscire a finirla un giorno questa storia.
Grazie a quei pochi che hanno scelto di continuare a seguirmi anche dopo tutto questo tempo.
Kla 
  
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