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Autore: Hug my fears    15/02/2015    0 recensioni
[La prigioniera dell'inverno]
Scandinavia, 1028 d.C.
Marion fu catturata mentre era ancora in balia delle correnti marine. Apparve una lunga imbarcazione, di quelle che i vichinghi chiamavano knorr, e fu tratta in salvo. Supplicò con fervore per esser ricondotta a terra, ma i marinai si opposero, non avevano tempo da perdere: stavano facendo rotta verso la Russia. Salvare una vita all'inizio di un viaggio significava per loro fortuna e protezione, dunque non potevano lasciarla andare.
«Ora che ti abbiamo salvato, ci appartieni. Hai un debito con noi» ripeteva il capo del gruppo, un vecchio dai lunghi capelli ormai tinti di grigio.
Marion puntò lo sguardo in direzione della terra ferma, ormai quasi impossibile da distinguere, nella speranza di riuscire a scorgere per l'ultima volta il suo viso.
Genere: Fantasy, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Ogni riferimento a personaggi e fatti reali è puramente casuale. Questo racconto è stato inventato dalla sottoscritta in persona, ma si fonda sul romanzo storico “La prigioniera dell'inverno” di Serge Brussolo e di essa è il sequel. I personaggi principali non sono quindi di mia invenzione, ma la loro storia è scritta di mia mano, indipendentemente e senza un vero collegamento dalla reale volontà dell'autore stesso.

 

Il racconto riprende dalla conclusione del libro, ma saranno presenti vari nessi con quest'ultimo per facilitare la concreta comprensione dell'intera storia per chi non ha letto il libro a cui essa si allaccia.

 

 

 


 

 

Questa storia è adatta a chi viaggia con la fantasia.

 








 

 


 

Possa la strada venirti incontro,
possa il vento sospingerti dolcemente,
possa il mare lambire la tua Terra 
e il Cielo coprirti di benedizioni.
Possa il sole illuminare il tuo volto 
e la pioggia scendere lieve sul tuo tempo.
Possa La Grande Dea Madre 
tenerti sul palmo della Sua mano 
fino al nostro prossimo incontro.

 (Preghiera Celtica)

 

 

 

 

 

 

Fehu rappresenta 
la prosperità e la fortuna,
materiale o morale.  

 


 

Una donna dai capelli castani e gli occhi neri come la pece le gettò con grossolanità degli abiti asciutti ai piedi e la incitò a cambiarsi con rapidità. L'avrebbe aspettata all'esterno della cabina, pronta a darle già dei compiti in cucina da dover assolvere per sdebitarsi con loro di esser stata portata in salvo.
Marion indossò i nuovi panni e uscì guardandosi intorno con aria cupa. Il capo le portò una brocca con dell'idromele e le indicò la porta per le cucine.
Una volta arrivati a destinazione, questi uomini mi venderanno al mercato degli schiavi senza batter ciglio pensò Marion mentre scendeva le scale con esitazione.
Le ritornò alla mente l'abbazia di Saint-Thélème da cui era stata portata via con forza solo qualche mese prima, scampando alla morte e alla furia omicida di quei guerrieri vichinghi solo per ritrovarsi a partire in un'altra avventura, senza possibilità di scelta o di fuga. Ricordava i monaci trucidati sotto l'altare della cappella e le donne violentate sui drakar¹, che piangevano e urlavano mentre quegli uomini abusavano di loro più e più volte.
Chiuse gli occhi per un istante e il suo volto tornò nitido nei suoi pensieri. Lo aveva visto per la prima volta su quella possente nave da guerra ed era stata quasi colpevole della sua morte quando lo avevano legato ad un remo per un'intera giornata perché da incosciente l'aveva desiderata troppo. Ricordava la prima volta che avevano fatto l'amore insieme. Erano passate solo poche notti, ma lei non aveva mai smesso di desiderarlo da quel giorno. Ma il momento più bello e indimenticabile fu quando lo toccò per la prima volta e potè percorrere i lineamenti nudi e decisi dei suoi pettorali.
Marion era stata scambiata per una maga, l'unica in grado di poter interagire con gli déi.
I vichinghi erano arrivati lì, tempo addietro, sulle coste normanne solo per prendere lei. Le erano state accuratamente chiuse le mani in un paio di guanti di ferro perché quelle erano mani sacre che potevano solo scolpire e toccare le statue degli déi norreni. Divenne una figura di notevole rilievo in quella tribù di barbari e selvaggi, finché non fu data per morta e bruciata su una pira funeraria.
Ma Marion era sopravvissuta anche a quello, anche ad una finta morte e ai vari tentativi di vendetta mandati avanti da Boulba, la megera del clan.
Ora si trovava schiava di altri uomini, verso una destinazione sconosciuta e lontano dall'unico uomo che poteva salvarla.
Knut si sarebbe accorto della sua mancanza? Sarebbe andata a cercarla? Marion conosceva già la risposta. Quel giovane uomo, che aveva cinque anni in meno di lei, l'avrebbe ritrovata. Doveva solo attendere il suo arrivo.
La donna dagli occhi neri come la pece la strattonò per un braccio e la riportò alla realtà. Le indicò una montagna di piatti sporchi posti all'interno di un catino e le ordinò di pulirli tutti prima che arrivasse la sera, poi cominciò a canticchiare una strana cantilena e si allontanò lasciandola da sola.
Marion, senza alcuna possibilità di scelta, incominciò il lavoro e continuò a vagare con la mente. Pensò alla vecchia Svénia, la donna che le era stata affidata per imparare la lingua e i costumi di quella gente e che le era morta sotto gli occhi senza che lei potesse fare niente per evitarlo. Svénia, nonostante tutto, era stata la sua unica amica per tutta quell'avventura e rimpianse con tutta se stessa di non averla più con sé, perché le cose di sicuro sarebbero andate in maniera diversa.
Pensò a Rök, il capo della tribù che aveva mandato i suoi guerrieri più fidati alla sua ricerca dall'altra parte del globo, e a sua madre, Wanaa, la grande maga veggente che era rimasta intrappolata sotto una valanga per anni e anni e che lei stessa aveva riportato alla luce, scavando tunnel nei ghiacciai e riportando il suo corpo congelato alla luce del sole. Entrambi erano ormai morti; Rök si era unito alla madre, congelandosi anche lui nel freddo della notte.
Infine, ma senza volerlo per davvero, pensò a Ragnaar, l'uomo che l'aveva spinta da quella scogliera e che l'aveva condotta a quell'amaro destino di schiavitù.
Ragnaar fu un grande capo, così Svénia le aveva raccontato, ma accecato dall'invidia uccise sua moglie, Wanaa, e fu artefice dell'infausta sorte della sua tribù. Rök era un bastardo, non suo figlio, ma lasciò che sia lui a portare avanti il popolo, mentre Ragnaar pianificava di nascosto la sua vendetta su quel mezzosangue. Provò ad ucciderlo quasi ogni notte, ma Rök era protetto da qualche dio lassù e si svegliava sempre prima che il finto padre potesse assassinarlo nel sonno.
Ora che era congelato vivo, Ragnaar non aveva avuto la sua vendetta su quel figlio bastardo, frutto del tradimento della moglie, ed era impazzito tutto ad un tratto. Non furono da meno le sue continue paranoie. Il vecchio capo credeva che la moglie sarebbe tornata per ucciderlo, perché era stato lui stesso a toglierle la vita facendo cadere una valanga nella caverna all'interno della quale Wanaa stava avendo una delle sue solite visioni, dopo il morso velenoso di alcune vipere.
Marion ebbe un sussulto e si fermò dal fare ciò che stava facendo. Il suo giovane guerriero sarebbe stato in pericolo, lei non poteva restarsene lì senza tentare un'ultima volta di andarsene.
La cabina in cui si trovava aveva un piccolo vetro circolare che dava sul mare. Marion si affacciò e cercò di guardare verso il basso, alla ricerca di una lancia da salvataggio per potersela svignare. La piccola imbarcazione in legno era posizionata proprio sotto di lei ed era l'unica ancorata alla grossa nave mercantile su cui era.
L'attenzione fu distolta da dei passi che si avvicinavano sempre di più. Marion sobbalzò e tornò al suo posto, indaffarata a lavare l'ultima serie rimasta di piatti sporchi. I passi si fermarono proprio alle sue spalle e una voce brusca la allontanò definitivamente dai suoi pensieri.
«Hai finito, Glynne?» domandò l'uomo in quell'accento nordico che lei doveva ancora imparare bene.
Marion si voltò e restò in silenzio, posando l'ultimo piatto pulito e asciugato sul tavolo alla sua destra. La donna dagli occhi neri arrivò di fretta, salutò con riverenza l'uomo rimasto nell'ombra e si dileguò di nuovo. Tornò qualche secondo più tardi trascinandosi dietro una grossa pentola, all'interno della quale c'era una miscela giallognola fumante.
«Aiutami!» strillò la cuoca contro la giovane, che fu costretta ad andare ad aiutarla.
Superarono l'uomo misterioso e Marion lo guardò per tutto il tempo, cercando di scorgerne i lineamenti, ma fu inutile. Le due donne gli sfilarono accanto e furono subito nella sala adiacente alla cucina. Tutti i marinai si erano radunati lì dentro per la cena, seduti a caso lunga un'intera tavolata già allestita. Gli uomini battevano forchetta e coltello sul tavolo spazientiti da quell'attesa. L'intera stanza era gremita di persone. C'era così tanto baccano che Marion riusciva a malapena a sentire i comandi impartitigli dalla cuoca che si trovava vicino a lei.
Glynne era probabilmente il nome di quella donna. Aveva finito di riempire l'ultima ciotola quando si udirono dei passi arrivare da una rampa di scale. All'improvviso calò il silenzio e tutti si ricomposero, sistemandosi meglio sui loro posti. Marion ripensò a Rök e a quanto anch'egli veniva temuto, sia dai giovani che dai più anziani. Poi si voltò all'indietro e scorse la figura di un uomo che stava percorrendo il centro della sala per raggiungere gli ufficiali della nave, posti in una posizione rialzata e distante rispetto ai semplici marinai. Era quello l'uomo che l'aveva scambiata per la cuoca?
Marion adesso potè guardarlo per bene, mentre questo prendeva posto di fianco al vecchio capo. Era molto più giovane di quest'ultimo, aveva lunghi capelli castani che gli ricadevano oltre le spalle e una folta barba sul mento. Si guardava intorno circospetto, volgendo lo sguardo da un lato all'altro della grossa sala. Il volto era burbero e severo, anche a causa di due profonde cicatrici che gli rigavano il sopracciglio e la guancia. La sua stazza era possente e somigliava in tutto ad un orso, ma era proprio in quel suo lato selvaggio che si celava un certo tipo di fascino misterioso.
L'uomo puntò il suo sguardo negli occhi di Marion e lei si sentì mancare il respiro. Smise di guardarlo e tornò a seguire le faccende della cuoca, pregando di non venir mai scelta per soddisfare i piaceri sessuali di quell'uomo. Non lo avrebbe potuto sopportare, non voleva essere una schiava da letto; lei voleva un solo uomo, che però non era lì a proteggerla.
Knut, ti prego, trovami pensò trattenendosi dal piangere. Era spaventata, lo era sempre stata ma non aveva mai avuto modo di darlo a vedere, perché non poteva mostrarsi debole con degli sconosciuti o si sarebbero avventati su di lei come avvoltoi e l'avrebbero sottomessa con un semplice schiocco di dita, senza nemmeno esitare un secondo.
Glynne si avvicinò e le toccò una spalla, distogliendola ancora una volta da quei pensieri che continuavano a tornarle in mente. Marion la seguì fino alla cucina e lì consumarono insieme la loro cena. Più tardi, ripuliti i piatti e messi da parte gli avanzi, la cuoca scortò Marion fino ad una cabina e la lasciò da sola, richiudendosi la porta alle spalle.
La giovane perlustrò la stanza senza toccare niente, senza neanche cercare una luce per illuminarla. L'unica illuminazione proveniva dall'esterno, dalla luna, i cui bianchi raggi entravano attraverso una grande finestra rettangolare.
Marion sentì un rumore alla sua sinistra e vide un'ombra muoversi alle sue spalle, poi fu accesa una fievole luce e lei si voltò, non era sola e quella non era nemmeno la sua stanza. Adesso poteva vederla, era piuttosto grande e sistemata fin troppo bene per lasciarci dormire una come lei. Alla parete era appoggiata una grossa ascia con finimenti in oro, lavorati con molta attenzione e cura.
Notò, distesa sul letto, la figura di un grosso uomo alzato sui gomiti che la stava scrutando già da un bel po' di tempo.
Indietreggiò allora andando a sbattere contro una sedia in legno e cominciò a tremare dalla paura. Aveva riconosciuto quell'individuo. La fiamma della candela tremolava sospinta dal vento e subito furono visibili le due terrificanti cicatrici che solcavano quel volto oscurato e Marion notò anche la presenza di un sogghigno beffardo. Cercò allora di raggiungere la porta, lanciandosi in una disperata corsa, ma non fece in tempo a raggiungerla che l'uomo le si parò dinnanzi in tutta la sua possenza e la bloccò con le sue grandi mani, almeno il doppio delle sue.
«Dove pensavi di andare?» parlò allora l'uomo, trascinandola verso il letto.
«Non sono una schiava da letto!» disse Marion come meglio poteva, frenando la sua disperazione.
«Ah sì? Questo lo decideremo dopo»
L'uomo si avventò su di lei con tutto il peso del suo corpo. Marion cominciò a scalciare per cercare di liberarsi, ma fu tutto vano. Tutte le botte che prendeva sembrava come non sentirle, come se un grosso orso venisse infastidito da una piccola e misera formica. Si mise allora a strillare, ma a lui non importava nulla, potevano anche sentirla gridare in tutto il mondo, avrebbe continuato lo stesso quello che aveva in mente di fare. Le allargò dunque le gambe e cominciò a slacciarsi i pantaloni, ma fu in quel momento che a Marion parve di sentire la voce di Dio in persona. Una voce d'uomo irruppe alle sue spalle rimproverandolo. L'uomo si alzò e si risistemò le brache, Marion ebbe il tempo di allontanarsi, portandosi le mani sul petto in segno di difesa. Il vecchio capo aveva raggiunto il giovane, più alto di stazza, al centro della stanza.
«Che sta succedendo qui?» gli strillò contro «Rollo, lo sai come funziona sulla mia nave. Se le ragazze non vogliono venire a letto con te, tu non puoi costringerle! È chiaro?»
Il vecchio portò Marion fuori dalla stanza e si scusò per quello che le era appena capitato. Le disse che Rollo era un vichingo mercenario che da anni assoldava per le traversate in mare, era un ottimo guerriero ma un selvaggio uomo le ripeteva, mentre la scortava alla sua vera stanza.
Quando fu lasciata sola, Marion cadde in ginocchia e pianse finché non fu notte fonda. Si chiuse in stanza e si accasciò sul pagliericcio che doveva fare da letto. Crollò qualche istante più tardi, stravolta e turbata da tutto quello che le stava accadendo. Quella notte, dopo tante di serenità, fece un incubo terribile e sognò Wanaa, ricoperta di serpi e con gli occhi rossi di rabbia.

L'ora di svegliarsi venne sancita da uno squillo di tromba. Marion si svegliò di soprassalto e qualcuno venne a bussare ripetutamente alla sua porta. Si alzò per andare ad aprire e fu inondata da alcuni raggi di luce che la accecarono per qualche secondo.
Fu portata di nuovo nelle cucine, ad attenderla c'era Glynne con un sorriso beffardo in volto. Marion decise di non rivolgerle parola e cominciò a darsi da fare. Quella donna l'aveva portata nella tana dell'orso consapevole di quello che le sarebbe potuto accadere, dunque dedusse che non poteva fidarsi di lei. Doveva trovare un modo per andarsene e qualcuno volentieroso di aiutarla o non sarebbe mai uscita viva da quel luogo. 

 



 




APPENDICE

[1] drakar: anche chiamate skoeiô, sono lunghe e possenti imbarcazioni vichinghe usate per la guerra marittima e per le lunghe esplorazioni. Sono strette e slanciate, caratteristiche che conferiscono alla nave grande velocità. 

 

NOTE
 

Ho il grandissimo onore di presentarvi la mia nuova storia, basata come ho già detto su un libro che ho letto proprio in questi giorni “La prigioniera dell'inverno” di Serge Brussolo. Mi sono subito appassionata al racconto ed essendo finito, come posso dire, letteralmente di cacca mi sono messa in testa di dovergli dare io un finale coi controfiocchi! Il libro ha avuto davvero poco successo e lo scrittore Brussolo, di origine francese, ha avuto grande fama soltanto nel suo paese, dove è conosciuto per un'altra saga di romanzi da lui scritti. 
Anche se nessuno di voi ha letto il libro, farò in modo che non sia necessario collegarlo allo stesso. Durante il corso della storia farò trapelare le cose più importanti che vanno sapute sotto forma di pensieri o di flashback, come ho fatto con questo primo capitolo, ma la trama principale è completamente diversa. 
Spero che questa prima parte vi abbia incuriositi e spronato a recensire e a leggere come andrà a svilupparsi il racconto. Mi auguro di trovarvi in tanti per la pubblicazione del prossimo capitolo. 
Un enorme saluto, a presto. 





 


 

   
 
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