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Autore: drawandwrite    15/02/2015    1 recensioni
Un racconto in prima persona di una ragazza ribelle e particolare che si trova ad affrontare il noioso "Bon Ton" della prestigiosa scuola Toussand. Ma, attenzione, perché sono passate solo quattro settimane dall'inizio dell'anno scolastico quando un evento particolare colpirà Kyla, stravolgendole la vita una volta per tutte e scaraventandola nella vita di sette ragazzi che nascondo un terribile segreto. Kyla non desidera problemi, ma presto due occhi magnetici la coinvolgeranno più di quanto lei non voglia.
Genere: Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Elijah si appoggia alla pesante porta, un rivolo di sangue gli sfugge da un angolo della bocca, il suo corpo è ancora bollente ed elettrizzato, ma la sensazione di sollievo sta man mano morendo in una fredda angoscia che sa di sconfitta.
Si porta una mano al volto e, con lentezza impietosa ed estenuante, la coscienza riaffiora dal torpore e la mente gli si snebbia, sbattendogli in faccia la realtà con un impatto che lo stringe in una morsa di nausea.
Cos’ha fatto?
Cosa diavolo ha fatto?
Hortense, al suo fianco, tiene chiusa la porta che dà alla biblioteca, il fiato grosso e un’espressione sconvolta fra le grinze del volto.
Elijah sfugge il suo sguardo. Con che coraggio può anche solo pensare di guardarla in faccia? Con che coraggio si reputa a capo dei Voraci che lo seguono? Come può osare definirsi loro pari, dopo quello che ha fatto?
Privato totalmente di ogni forza, svuotato di sicurezze e sradicato dai valori su cui si era sempre appoggiato, Elijah semplicemente si lascia andare fino a scivolare a terra, il capo stretto fra le mani convulse e un orribile, incolmabile voragine che si spacca nel suo petto.

Cosa diavolo ha fatto?

 
Dapprima solo una sensazione trascurabile, ma poi, tenace sebbene lento, un acuto e persistente dolore mi stuzzica le tempie, fino ad assestarmi vere e proprie stilettate di emicrania.
Un gemito appena soffocato mi sfugge dalle labbra socchiuse; ho la gola secca e mi tocca ingoiare un paio di volte a vuoto prima di poter riacquistare sensibilità. Stretto fra i denti, ho un sapore secco e amaro che mi da’ la nausea.
Ho freddo. Ad ogni centimetro del mio corpo.
E mi sento così stanca, quasi spossata.
A fatica, mi costringo a sollevare le palpebre. La luce, sebbene soffusa e sfumata in un colorito ocra, mi acceca per un istante, infliggendomi una pugnalata nel cranio pulsante.
Un altro gemito mi gratta la gola e progressivamente tento di agguantare il pieno controllo del mio corpo. Dopo qualche istante, i sensi sono tornati efficienti, ma di conseguenza l’emicrania si è fatta più viva e prepotente.
Punto i gomiti e mi sollevo con il torso, provocandomi un’ondata di nausea che per poco non mi abbatte nuovamente ma, stringendo i denti, riesco a sopprimerlo e a mettermi a sedere.
Sono in biblioteca. Stesa sul tavolo principale.
Sbatto le palpebre un paio di volte e mi passo una mano fra i capelli, ma incontro qualcosa di viscido e la ritraggo all’istante, disgustata.
La mia mente si riscuote improvvisamente.
Abbasso lo sguardo su una ciocca chiara e, con orrore, il mio presentimento di fa concreto: sangue.
Il mio sangue.
La scena mi irrompe in testa, rapida e impattante, spaccandomi in due le tempie sfinite.
No.
Non è successo davvero.
Non può essere successo.
Per qualche istante, non riesco a far altro che rimanere qui, seduta sul tavolo, lo sguardo perso e un orribile sensazione che lentamente accresce, come acqua che sale implacabile, pronta ad affogarmi.
Elijah non può avere fatto una cosa del genere.
Mi rifiuto di accettarlo. Di ricordarlo. Di assimilarlo.
Mi riscuoto. Sbatto ancora le palpebre, tentando di snebbiarmi lo sguardo da quella patina di stordimento che mi stringe; lentamente, scendo dal tavolo della biblioteca e mi metto in piedi, ma con un orribile capogiro mi rendo conto che le mie gambe non hanno la forza di sorreggermi.
Le ginocchia mi crollano, la coscienza si ritrae in un buio viscoso per un breve, singolo istante. Quando riapro gli occhi, lo faccio in risposta ad un dolore secco ed improvviso alla testa.
La gola mi brucia da morire e, dannazione, non riesco a riprendermi da questo stato confusionale.
Sono svenuta per una frazione di secondo.
Sono caduta a terra. La botta alla testa mi ha ridestata, ma ora le punte delle dita mi formicolano.
Ogni singola fibra del mio corpo trema e sono costretta ad aspettare qualche minuto per riprendermi, prima di tentare a rialzarmi.
Mi guardo le mani e lo sbigottimento mi strappa un mezzo sospiro: sono bianca. Lo sono sempre stata, certo, ma ora ho un colore spettrale. Esangue.
Quasi mortale.
Stringo gli occhi e una sottile lacrima calda mi scivola dalle ciglia.
Non può essere successo davvero.
Non può, dannazione!
Stringo i denti. Devo vederlo. Devo vedere Elijah, parlargli, devo capire.
Traggo un profondo respiro e mi alzo.
 
Mi dirigo in camera mia il più velocemente possibile, ma i contorni del mio campo visivo sono indistinti e la mia mente sembra ferma in un blocco di ghiaccio. Ho raccolto i capelli e li ho infilati nel collo della camicia, in modo che il sangue secco che ne imbratta il biondo non salti troppo all’occhio. Ostento un’andatura decisa e mi sforzo di tenere il busto dritto, nonostante mi senta tanto spossata da pensare che ad ogni passo potrei svenire nuovamente.
Fortunatamente non accade e io riesco a raggiungere la porta della mia camera. A apro con un polso tremante, addossandomi con tutto il peso del mio corpo e, una volta dentro, scivolo a terra, riprendendo fiato.
Ho sonno.
È come se le palpebre pesassero come macigni e io non avessi la forza di tenerli sollevati.
So a cosa sono dovuti questi sintomi.
Un orribile, agghiacciante brivido mi scala la schiena e la gola mi si chiude in un ansito sofferente, un misto di dolore, paura e strazio.
Ha bevuto il mio sangue.
Elijah ha bevuto il mio sangue.
Innalzo un ringhio di rabbia al cielo, a chiunque da lassù stia giocando la partita della mia vita e stia pietosamente perdendo.
Perché?
Stavo vivendo la mia noiosa, regolare vita e stavo bene prima che tutto ciò accadesse, prima che quei sette Voraci entrassero a far parte della mia esistenza. Volevo che accadesse qualcosa, che qualcuno desse uno scrollone alla mia ordinaria quotidianità. Ora, però, quella noia non è più così male in confronto al dolore che mi sta scavando dall’interno.
Prima che tutto iniziasse a girare attorno ad Elijah.
-Maledizione- Sussurro tra di denti.
Mi rialzo, mi strappo i vestiti dal corpo e mi getto letteralmente sotto il gelido getto d’acqua della doccia.
E mentre il sangue rappreso si scioglie e scivola via, le mie lacrime si mischiano con l’acqua e raschiano dal mio corpo la stanchezza, la sofferenza che cola da ogni poro della mia pelle e i miei impietosi ricordi, impressi a inchiostro indelebile nella mia mente.
Quando mi sottraggo al violento getto d’acqua mi sento fresca, ma dentro di me cresce un grumo nero e soffocante di angoscia, e so che non si scioglierà finché non avrò parlato con Elijah.
Mi cambio frettolosamente, raccolgo i capelli ancora umidi ed esco dalla porta.
 
Daisy e Bruno.
In fondo al corridoio. Li vedo.
Hanno un’aria lugubre dipinta in volto, qualcosa che va oltre il loro solito alone tetro, qualcosa che ha a che fare con il cuore del loro gruppo. Si tengono in disparte e mormorano tra loro, masticando le parole come se avessero paura di parlare anche solo sottovoce.
Sembrano spaventati.
Cosa può spaventare un Vorace?
Nel bel mezzo del corridoio, mi fermo.
La guerra, Kyla.
Il respiro mi si mozza in gola.
Sta per cominciare.
Oh, Dio.
Perché deve essere tutto così doloroso? Così complicato?
perché ovunque volga gli occhi non vedo altro che sangue, sangue, e ancora sangue?
Rosso. Sembra l’unico sfondo monocromo della mia vita.
Si voltano.
Mi vedono, e nei loro sguardi leggo sorpresa, difficoltà. E infine distacco.
Un’ondata di gelo mi investe, mentre ciò che il mio intuito mi sussurrava dall’inizio comincia a farsi più incalzante ed insistente.
Mi terranno a distanza, tenteranno di evitarmi.
Perché io sono solo un fascio di nervi muscoli e sangue che ha ridestato la sete di Elijah. Non potrò più stare accanto a loro, non potrò più farmi acconciare i capelli da Daisy, parlare di sport con Bruno, ridere di Derek assieme a Hortense. Non avrò più la possibilità di avvicinare Endymion o Marine.
E non potrò più studiare in biblioteca.
Né con Elijah, né senza di lui.
I due mi voltano le spalle e fanno per andarsene.
-No- mormoro, distrutta –Aspettate!-
Tendo una mano nella loro direzione, ma sono ancora stanca e devo limitare i miei movimenti per evitare di perdere ancora i sensi.
-Vi prego!- urlo, e la mia voce si incrina nella disperazione.
Non si voltano, non tornano indietro.
La mia mano ricade lungo il fianco, mentre un nodo mi si gonfia in gola e lo stomaco mi si contrae. Non mi do nemmeno la pena di piangere. Sono arida e sono stanca.
Stanca di tutto.
Stanca dall’inizio.
-Kyla-
Un sospiro appena percettibile, un tono di voce pietoso, quasi commiserevole.
Non mi volto nemmeno. Ho riconosciuto la voce.
-Ho bisogno di parlare con Elijah- rispondo solo.
Hortense entra nel mio campo visivo. Ha uno sguardo profondo ma velato di compassione. Compassione nei miei confronti.
-Non fare così-mi sussurra, sfiorandomi un polso.
-Devo parlargli-
-Non puoi- chiosa, asciutta –E lo sai- aggiunge, ammorbidendo il tono di voce.
scuoto il capo.
-Non voglio che vada a finire così- ansimo, angosciata.
i miei peggiori dubbi si stanno avverando. Loro si allontaneranno da me. Lui si allontanerà da me.
E cosa rimane?
Un guscio vuoto.
La mia vita. Niente per cui valga la pena trascinarsi avanti.
Hortense caccia un sospiro tremante –è l’unica soluzione- la sua voce è incrinata e, quando alzo lo sguardo, noto che ha gli occhi umidi.
-No- fremo, mordendomi le labbra –Devo parlargli-
Lei prende fiato per rispondermi ma il suo sguardo sguscia sopra la mia spalla e le sue labbra si serrano di scatto, mentre impallidisce più di quanto avrebbe dovuto.
Mi volto all’istante.
Elijah.
È insieme a Derek, che lo segue come un cagnolino. Da quando ha bisogno di scorta?
Non appena incontro il suo sguardo, le tenebre lucide dei suoi occhi si colmano di sofferenza e, per la prima volta, è lui ad abbassare lo sguardo di fronte a me.
Che cos’è successo?
Perché il mondo si è ribaltato?
Faccio un passo verso di lui ma, con una rapidità che ha del disumano, Derek si frappone fra noi e Hortense è al fianco di Elijah.
Rimango agghiacciata.
-Mi dispiace Kyla- dice Derek, serio come non mai –Ma non te lo posso permettere-
Mi sento come stretta in una morsa impalpabile ma orribilmente soffocane.
-Elijah- sussurro, cercando il suo sguardo oltre il corpo di Derek –Non puoi farmi questo-
Lui non mi risponde.
Nell’aria si respira solo tensione allo stato puro. Una tensione che rende l’aria quasi rarefatta, irrespirabile.
-Non farmi questo- ripeto, alzando la voce –Non me lo merito!-
Silenzio.
Un silenzio così crudele.
-Rispondimi!- urlo, scoppiando a piangere.
Lui scuote impercettibilmente il capo –è per il tuo bene-
-Sto bene!- affermo, un pietoso tentativo di rimettere tutto a posto –io sto bene!-
Finalmente Elijah inchioda i suoi gorghi oscuri nei miei occhi –Ti ho quasi uccisa- dice, scandendo le parole con freddezza.
-Non lo hai fatto- rispondo prontamente.
-Hortense me lo ha impedito. È entrata in biblioteca e mi ha strappato dal tuo collo. È solo grazie al suo intervento se sei viva- le sue parole sono lastre di ghiaccio, fredde e taglienti –Se fosse stato per me, saresti morta.-
Morta.
La parola mi rimbomba nella testa come rintocchi di campane.
La verità mi crolla addosso con il peso di una frana.
Morta.
-D’ora in poi noi per te non esisteremo- continua Elijah, lapidario.
-No- rispondo. E io stessa mi sorprendo della fermezza nella mia voce –Non voglio-
-è così che deve finire-
-E allora trova il mondo per farla finire diversamente!—ringhio stringendo i denti –Ho superato enormi difficoltà negli ultimi mesi, ho dovuto accettare aspetti di voi che mi terrorizzano. Una parte di me è morta dalla sera dell’aggressione, ma non mi importa; non mi importa di nulla perché io con voi , con te, sto bene.  E se credi che sia facile ritornare alla mia squallida e noiosa vita dopo tutto questo, be’ ti sbagli! Quindi non pensare, nemmeno per un minuto, di potermi lasciare indietro come uno schifosissimo rifiuto!-
Ho alzato la voce, sto urlando.
E piangendo.
Perché non faccio che piangere?
Il silenzio cala come una cappa viscida e soffocante.
Poi Elijah distoglie gli occhi dai miei.
Da quel singolo, fugace gesto, so che è finita.
-Non provarci!- insisto, mentre la disperazione mi sale alla gola –Non provare ad andartene!-
-Mi dispiace- sussurra, prima di voltarmi le spalle.
-No!- urlo, tendendomi verso di lui, solo per finire tra le braccia forti di Derek, che mi tiene a distanza. Grido, mi dibatto.
Piango.
Piango come non ho mai fatto in tutta la mia vita, mentre la sua sagoma lentamente svanisce nel buio del corridoio.
Le resistenza di Derek si trasforma lentamente in un abbraccio e, mentre ogni stilla di dolore mi viene strappate dalle lacrime, lui mi accompagna scivolare a terra, sempre più giù.


Fino a toccare il fondo.
  
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