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Autore: Gaia Bessie    16/02/2015    2 recensioni
N è riuscito a cambiare il mondo, esattamente come aveva programmato. O, almeno, è riuscito a cambiare Unima: la regione è adesso attraversata dal Muro, che divide gli uomini dai Pokémon. In un governo del terrore, dove ogni abitante vive nell'incertezza e nella possibilità di essere preso e usato come cavia per spaventosi esperimenti, N si trova troppo in alto per mollare ogni cosa e fuggire.
Touko è una ragazza in fuga. Oltre il Muro c'è una realtà che l'attrae come una calamita, una pace che a Unima non si prova più da tempo. Ma è in fuga anche dalle idee, da quel regime che le nega la sua vera essenza, quella di Allenatrice.
N continua a temere quella fitta al cuore, che gli annuncerà che lei è morta. Che non arriva. E lui vorrebbe soltanto andare a cercarla. Non sapendo che, in realtà, Touko è fin troppo vicina.
[Ferriswheelshipping]
Genere: Angst, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: N, Nuovo personaggio, Touko
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Manga, Videogioco
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Note iniziali (ma cosa avrete fatto di male, poi?):
  • Sul prossimo aggiornamento: Dovrebbe essere il 2 marzo, ma siccome a marzo avrò casini vari come viaggio d'istruzione e festa dei diciotto anni, potrei diventare irregolare.
  • Sulle note finali: da oggi, si aggiunge lo spoilaH sul prossimo capitolo.



N Sinfonia

Primo movimento

Esposizione, primo tema (#2) - Silenzi






 

La portarono quel pomeriggio stesso, la ragazza, Lei, nella stessa stanza di Touko perché era Firvor a occuparsi della caccia alla ragazzina, di solito.
Faceva paura.
Non Touko che, ormai, dopo un paio di giorni aveva cominciato ad adattarsi alla pelle di Blanche come un vestito su misura, con le cicatrici dell'acido che, o magari era lei ad illudersi, si chiarivano a chiazze, con ogni giorno che passava.
Lei, la ragazzina, era lei ad essere quella da compatire, adesso: una cosina minuscola, le stesse proporzioni di Touko ripetute in maniera perfetta, gli stessi colori. Capelli castani e occhi azzurri. Avrebbero potuto essere sorelle, in altri tempi, se non avessero preso Touko per trasformarla in una Blanche bruciata e sfigurata. Lei, raccolta nei suoi arti graffiati, probabilmente aveva provato a scappare, in quella caccia al fantasma che imperversava, a detta di Firvor, a Unima. Avrebbe potuto essere davvero la vera Touko, la ragazzina, finché vista da lontano. Se si ci avvicinava, se eri N, cominciavi a notare le differenze.
I capelli troppo lunghi, di una tonalità più calda, e gli occhi di un azzurro più scuro. Le gambe più tornite, forse, e qualche centimetro in più.

Firvor, con pazienza infinita, la costrinse a sedersi sulla sponda del letto, accanto a lei, mentre Touko le osservava dal pavimento, appoggiata al muro.
«Come ti chiami, ragazzina?» domandò Firvor, quando Lei finalmente smise di piangere, cosa che si era protratta dal momento esatto in cui l'avevano portata al Palazzo, con la massima gentilezza. Touko si scoprì con le spalle contratte, i denti scoperti. La massima gentilezza che avevano avuto con lei era stato impedire che i Guardiani la uccidessero. Un concetto relativo, dunque.
«Mei» borbottò la ragazzina, tormendandosi le mani. «Mi chiamo Mei». E Firvor si irrigidì incredibilmente, la bocca piegata in un sorrisetto insoddisfatto.
«No, cara» disse, scandendo bene le parole, come per sottolineare il concetto. «Non sei Mei. Hai smesso di esserlo nel momento esatto in cui sei arrivata qui» le sfiorò il capo, con dolcezza. «Il Re vuole Lei, e la deve avere, sebbene nessuno sappia dove sia. È chiaro?» la ragazza annuì. «Non sei Mei. Sei Touko. Come ti chiami?».
Mei stropicciò la gonna giallo chiaro, come se la domanda fosse troppo difficile per lei. «Touko» rispose, sottovoce. «Mi farete tornare a casa?».
Firvor scosse la testa, in un'implacabilità che Touko non le aveva mai visto sfoggiare. Degno prodotto dei Gemelli, pensò, ed era proprio così. Una lega metallica sigillata dall'acido, inevitabilmente: ci sono cose imprescindibili, come il dolore, o la sofferenza. «Quanti anni hai?» domandò, invece, congelandola con una singola occhiata.
«Diciannove» mormorò Mei, atona, recitando una lezione imparata a memoria. «Mi chiamo Touko, ho diciannove anni, vengo da Soffiolieve. Quando ancora sfruttavamo i pokémon» e qui singhiozzò appena, in quella bugia che sembrava costarle ogni minima parte di sé stessa. «Ero Campionessa della Lega di Unima. Ero una traditrice che ha sconfitto il Team Plasma, prima che il nostro Re trovasse la forza di risollevarsi» si voltò a guardare Firvor, incerta. «Il Re che, nonostante io sia colpevole di mille crimini, ha deciso di risparmiarmi. Perché mi ama e io...» deglutì. Questa volta, forse, avrebbe finito l'interrogatorio. E avrebbero potuto chiamare N che, di certo, stava aspettando.
«E io amo lui» biascicò Mei, prima di rannicchiarsi su sé stessa, con le lacrime che le rigavano il volto. Firvor sbuffò, esasperata, e si dovette trattenere dall'urlarle contro.
«Non piangere» sibilò, stringendo i pugni ustionati. «Lei non piangeva mai. Devi essere credibile, ragazza: se ti scambierà per lei, diventerai la sua Regina. Non avrai più bisogno di tornare a casa, non vorrai più tornare».
«E se capisse che non sono lei?» domandò Mei, con la voce incrinata. «Cosa succederebbe, se dovesse capire che è soltanto una recita?».
Firvor non rispose subito, ma si prese del tempo per acconciarle i capelli in una coda alta, troppo lunga, che Touko si ritrovò a invidiare, silenziosamente. «Quello che succede ogni volta» mormorò Firvor, affranta. «Non sei la prima, Mei. Le addestrano, le ragazze come te, sperando che una vaga somiglianza basti. Ed è una cosa crudele perché, dopotutto, il Re l'ama davvero. Lo capisce, che lo prendono in giro, che lei è ancora a piede libero. Una ragazza in fuga, la definisce. Ed è proprio così».
«Sembra una storia molto triste» osservò la ragazza, disorientata. Touko soffocò un sorriso malinconico, fatto di labbra spaccate, ustionate.
«Lo è» confermò Firvor. «Anche perché non la troverà mai: dicono che sia morta, o persa per sempre, oltre il muro, che è un po' la stessa cosa. È per questo che sei qui».
Mei annuì, asciugandosi le ultime tracce di lacrime. «Ma se si accorgesse che io non sono lei?» domandò Mei, per l'ennesima volta. Incidentalmente, il suo sguardo cadde su Touko, un fagotto scarnificato e bruciato tutto chino sulle sue ossa. Rabbrividì.
«Oh, no» disse Touko, con una punta di amarezza. «Non sono un'attrice. Non l'avrei mai fatto. Piuttosto mi sarei fatta torturare».
E rise, forte, facendo sbiancare la povera Mei. Firvor, riflesso perenne di Touko, non la riprese: aveva avuto i capelli fulvi, una gran massa di ricci d'oro bruno, non avrebbe mai potuto essere la Touko di N. La stessa Touko, la vera Touko, dubitava di essere quella figura ammantata di mistero. Era più l'ologramma che la persona stessa. Una proiezione, una presa in giro: Touko non era quella versione slavata e cortese di Mei.
Firvor si alzò, con aria palesemente stanca, e tese una mano in direzione di Mei, senza nemmeno darle la possibilità di fare altre domande. «Andiamo, cara» disse, semplicemente. «Ormai gli avranno detto che ne abbiamo un'altra. Ricorda quello che ti ho detto e andrà tutto bene».
E la scortò fuori dalla camera.
Mei, capelli troppo lunghi e occhi troppo scuri. Touko rise, e non fece nulla per dissimularlo, ad alta voce. Guardò la ragazza, dritta negli occhi, e fece un gesto di saluto. «Buona fortuna» disse, sorridendo con aria innocente.

Ma, di quei tempi, la fortuna era un concetto utopico. E, chiunque fosse stato, o avesse finto di essere, Touko non avrebbe avuto vita facile.

 

***

 

Nemmeno mezz'ora dopo, N entrò nella stanza, rosso in viso. Tremava come un albero messo a dura prova dal vento, le mani strette attorno alla camicia, gli occhi spalancati. Scivolò sul pavimento, accanto a Touko che non si era mossa di un millimetro, e le diede un buffetto sul ginocchio, attento a non farle male. Si prese la testa fra le mani, sospirando, strattonando i capelli come se gli impedissero di pensare in maniera corretta. «Continuano a illudermi» soffiò, stanco. «Continuano a prendere ragazze che nemmeno le somigliano e a farmele sfilare davanti, sperando che io sia davvero così idiota da non capire la differenza» riuscì ad allentare la sua stessa presa sui capelli, con alcune vittime incastrate negli anelli delle mani. «Se l'avessero conosciuta, se l'avessi conosciuta, Blanche, avresti capito».
«Era soltanto una ragazza» osservò Touko, atona. «Una vale l'altra, no? Perché non dovrebbe bastare una semplice somiglianza?».
N non si scompose minimamente, ma mimò un sorriso silenzioso. Solo che, poi, le parole vennero fuori naturalmente, senza sforzo. «Perché non sarebbe la stessa cosa» mormorò N, scuotendo il capo. «Sarebbe un misero sostituto di Touko. Continuerei a cercarla, anche se dovessero passare altri sei anni».
«Hai mai pensato che potresti non trovarla?» osservò Touko, interrompendolo. «Che potrebbe essere morta o, peggio, persa per sempre?».
«No» mormorò N, semplicemente. «Lo sentirei». Le sorrise. «Sono passati sei anni, è vero, sarà cambiata. Ma è mia. È sempre stata mia. È destino che torni da me».
«E tu?» domandò Touko, torcendosi le mani. «Tu di chi sei?».
Lui rise. «In sei anni cambiano troppe cose» disse, scrollando il capo. «Sono scappato, pensavo di essere uno spirito libero. Ma, no, la verità è qualcosa di indicibile».
«Perché non riesci a capirlo?» sussurrò Touko, lasciandogli una singola carezza sul viso, pentendosi di quel gesto troppo familiare. N non si lamentò, quasi come se avesse riconosciuto, dopo tutto quel tempo, quel tocco ulcerato di tortura. «Nessuno la chiama per nome, l'hanno bandita dalla memoria comune. Ti portano ragazze addestrate per somigliarle, sperando che tu riesca a dimenticarla» sorrise, appena, e sembrò costarle uno sforzo abnorme. «E sanno quant'è importante per te, N. Non pensi che, se la prendessero, non si limiterebbero a portartela?» N sembrava essere sbiadito, sbiancato a ogni parola. «Che, magari, non la ucciderebbero: lo sentiresti, se davvero ne sei in grado» Touko si sfiorò la testa tosata, in un gesto involontario e incontrollato. «Ma ci sono mille modi per annullare una persona, N, per farla diventare un cadavere» strinse i denti, cercando di non piangere. «Puoi prenderla e tirarla nell'acido finché la pelle non si squama, marchiarla a fuoco, tagliarle i capelli. Puoi fare mille cose, anche senza ucciderla fisicamente. È questo il difetto dei potenti, il punto di rottura: l'amore, l'amicizia. Non credere che te la porterebbero, N, non pensarci nemmeno».
In quei minuti si sarebbe potuto sentire il fluire del tempo, l'energia pulsante del silenzio, se soltanto Touko avesse avuto una percezione esatta della realtà. I movimenti di N sembravano rallentati, infiniti. Le sfiorò il capo, con la mano, sobbalzando di fronte al segno del rasoio che aveva intaccato la carne.
«Hai gli occhi come i suoi» mormorò N, abbassando il capo. Per un attimo, Touko tornò a respirare: non l'aveva riconosciuta, ancora, in quell'ammasso di carne ferita e sanguinoltenta che era diventata. Nemmeno lei, allo specchio, si riconosceva più. «Per certi versi, vi somigliate» sussurrò, affranto. Sorrise. Uno di quei sorrisi senza senso, fuori contesto. La sua mano era una serpentina rovente sul viso sfregiato di lei, le dita che scivolavano seguendo l'andamento della bruciatura.
«Oh, Blanche» mormorò N, così vicino che riusciva a contarne i respiri. «Non sono ancora completamente stupido come credi».
Lei rimase senza parole, nel momento esatto in cui lui la circondò con le proprie braccia, sollevandola dal pavimento. N sospirò, pesantemente, con lei fra le braccia: non pesava nulla. La vita vicino al Muro, avrebbe potuto spiegare. La carne grattata via dall'acido. La fame, la paura, il dolore: tutto colpa sua. Ma, la risposta di Touko non fu che un infinito silenzio, interminabile. N si chinò su di lei, sfiorandole la fronte con le labbra. «Amore mio» mormorò, sottovoce. «Che cosa ti hanno fatto».
Non era nemmeno una domanda. Touko lo guardò, disorientata, mentre lui ascoltava il suo silenzio, senza smettere di sorridere.
«La prima volta in cui mi hai toccato» mormorò, semplicemente. «L'ho capito in quel momento, ma non potevo esserne certo. Pensavo che fossi al sicuro, me lo sentivo».
«Sono viva» osservò Touko, atona. N, senza accorgersene, serrò la presa attorno al suo corpo. «In questo, almeno, avevi ragione».
«Avrei voluto saperlo» mormorò N. «Sarei venuto a salvarti».
Lei sorrise, e sembrò quasi che la pelle si potesse spaccare per quel semplice movimento. «Sappiamo entrambi che non te l'avrei permesso» osservò. «Le persone non cambiano, N. Cambiano soltanto le situazioni».
Lui, in silenzio, fu d'accordo. Non cambiano, le persone, lui non era cambiato: aveva mentito, era fuggito e l'aveva lasciata ad arrangiarsi, nella convinzione che sarebbe riuscita a sopravvivere, sempre e comunque. E aveva sbagliato. Non puoi avere sempre fortuna, perché verrà il momento in cui si perde, per forza.
«Devo farti andar via da qui» ragionò N, continuando a stringerla fra le braccia. Patologicamente, non sarebbe riuscito a lasciarla andare. Non ne avrebbe avuto la forza.
«No» disse Touko, tagliente. E lui annichilì, senza parole, nel vederla agitarsi nella sua presa. «No. Tu vieni con me».
«Non posso» mormorò lui, cercando di addolcirla. «Touko, non posso venir via con te».
«Allora, lasciami andare» disse lei, assecondata dal movimento di lui, che l'aiutò a ritornare sui suoi piedi. Tremava, come se quella fosse una fatica disumana.
«Hai ragione, a dire che le persone non cambiano» sussurrò N. Mise una mano in tasca, movimento che Touko seguì in parallelo. Lui non la fermò.
Le dita di lei incontrarono soltanto una lieve resistenza, prima di raggiungere l'oggetto. Un flaconcino di plastica, minuscolo. E, in quel momento, realizzò: anche se fosse morta, N, quella sua tanto famosa percezione, non l'avrebbe avuta. Lasciò cadere il flacone. Rumore di pillole che rotolavano sul pavimento. Silenzi.

 

***

 

Tremando, fu costretta a mandarlo via, senza motivazioni. E, per tutta la durata di quel pomeriggio, fu certa che non l'avrebbe più rivisto: le persone non cambiano, cambiano le situazioni, e i contesti. E N, di certo, non era persona in grado di tornare indietro. Sul pavimento freddo, quella sera, Touko la trovò. Una pillola solitaria, scampata alla ricerca frenetica di N, quando erano crollate per terra, rotolando. Portando via quel briciolo di speranza che Touko aveva nutrito, per pochi minuti.
La raccolse, cercando un qualunque segno che smentisse la sua intuizione. E non ne trovò. Mise la pastiglia in bocca, costringendosi poi a sputarla dopo pochi secondi. Spore, pensò, sentendo la lingua addormentata. Difficili da trovare, dipendenza quasi immediata. La nonna di Ellie ne era esperta, come in mille altre cose: mai le spore, bambina, mai quelle cose maledette. Annebbiano le percezioni, ti rallentano, e ti confondono. Liberarsene è tremendo, ti costringe a rigettare tutto quello in cui ti sei cullata fino all'ultima dose. Touko rabbrividì, istintivamente. E, poi, la porta si aprì. Nell'agonia dei cardini si distinsero i passi di N, controluce, fino a quella massa di carne sfregiata, sul pavimento, che era Touko. Che, forse, non lo conosceva abbastanza: pensava che non sarebbe tornato. E le persone, ne era certa, non cambiano.
Continuò a ripeterselo anche quando N si accovacciò al suo fianco, cingendola con le braccia.
«Devi smetterla» mormorò Touko, voltandosi verso di lui. «Noi dobbiamo andarcene da qui, ti prego, ti prego...».
«Lo so» rispose N, a fatica. «Non ti lascerei mai rimanere qui. Non... avrei dovuto saperlo prima. Non l'avrei mai permesso».
«Ti credo» sussurrò lei, sfiorandogli il viso con la punta delle dita.

«Devi andare via» disse N, con fermezza. Cercando di convincerla. Lei sorrise e, il suo silenzio, fu la risposta che lui si aspettava. «Non puoi rimanere qui, con me».
«Le persone non cambiano, N» ripetè lei, dolcemente. «Non ti permetterò di restare».
«Se io venissi con te...» e lì si fermò. Ingombrante, era il flacone di pillole in tasca, ed era esattamente quello che lo frenava: la crisi d'astinenza. Che sarebbe arrivata, oh sì che ci sarebbe stata, distruttiva, e si sarebbero fermati, nel nulla, a lottare contro la dipendenza. «Ci ho provato già, Touko» sussurrò, abbassando lo sguardo. «Continuano a darmele, sempre più forti».
Lei, per un attimo, non ebbe nulla da dire. E così lo lasciò ad ascoltare il suo silenzio, disorientato, cercando di trovare un ordine nelle parole non dette. Poi, inaspettatamente, Touko sorrise. Dietro le labbra spaccate, la pelle raggrinzita, era ancora lei. Inevitabile.
«Dobbiamo andare via» disse quello, e quello soltanto. N la guardò, perplesso, cercando di compiere l'impossibile: comprenderla, lui che non c'era mai riuscito. È sempre finito ad ammirare i suoi silenzi infiniti, è sempte stato lui quello che si trastulla fra le parole, senza riuscire a coglierne il senso. Non c'è mai riuscito.
«Touko...» mormorò lui, esasperato. Una mano nei capelli, lei che li osserva con rimpianto. I suoi, per un po', stenteranno a crescere. Ma nulla se confrontati al nodo che ha N, in gola, al semplice guardarla. Colpa sua, si dice, che non l'ha mai protetta abbastanza, basandosi sul volere di Touko che, di protezione, non ne avrebbe mai voluta nessuna. Ne avrebbe avuto bisogno. Non l'avrebbe mai lasciata andare, se soltanto gliel'avesse chiesto. Ma era Touko: non l'avrebbe mai fatto.
«Devo portarti via di qui» e, come sempre, non era lui a salvare lei. Ma lei a salvare lui. Per quanto potesse uscirne malconcia, stremata, non lo prendeva mai, il ruolo da principessa delle favole. Non lo voleva mai. Le stava stretto e, alla fine, aveva ben altri scopi. Farlo capitolare.
E, nei silenzi di Touko, N finiva sempre allo stesso modo. Capitolava.

 

***

 

Non si accorse di essersi addormentato, N, finché non sentì un gridolino soffocato. Alzò lo sguardo. Mei, vestita come Touko, lo fissava, sconvolta.
Touko respirava piano, ancora addormentata. N, fissò la ragazza, in silenzio. E capitolò, come sempre, anche per quella pallida imitazione. In silenzio.





 


Riferimenti:
  • Le famose spore dovrebbero avere un effetto simile a, guarda un po', l'omonimo attacco pokémon. Quindi possiamo definirla, la droga di N, un oppiaceo.
  • La ricerca di Touko, le attrici, è ispirata alla caccia a un'ipotetica Granduchessa Romanov sfuggita all'eccidio della famiglia reale.
  • I nomi dei personaggi di Bianco2 e Nero2 saranno tenuti in versione originale, anche nel prossimo capitolo.


Anticipazione: 
 

Da qualche parte, Hue era ancora in fuga. O, per meglio dire, alla ricerca.
La porta si aprì in un grido di agonia per i cardini. Mei si ritrovò a sorridere, i muscoli che tiravano il viso in una smorfia grottesca, scoprendo i denti.
Alla ricerca, ma non di lei. A Unima, le persone spariscono ogni giorno: ma, sulla scomparsa di Kyohei, Hue indagava ancora. E ancora. Sciocca lei che, in un barlume di lucidità mancata, aveva anche soltanto potuto pensare che avrebbero potuto essere qualcosa, se non gli ennesimi ragazzini allo sbaraglio nel caos dalla parte sbagliata del Muro. Ma Hue continuava a pensare a Kyohei, sempre, senza degnarla di uno sguardo. Stupida, si disse, per aver pensato che lui potesse cercarla.
Come se non li avesse mai visti, povera Mei, nascosti nell'ombra dei cespugli. Quelli come loro, le Sentinelle, li prendevano e li annegavano nel fiume. E, magari, prima li torturavano anche: erano stati fortunati, non li avevano mai visti. Ma sarebbe potuto succedere. Mei stessa lottava, ogni singolo giorno, con la voglia di urlarlo a tutti, che Hue baciava Kyohei dietro i cespugli. Sarebbe dovuta essere lei. Ma non lo era mai.

   
 
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