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Autore: Hoel    17/02/2015    4 recensioni
"Tutto accadde sei anni fa, quando ancora frequentavo il penultimo anno di università."
Così incomincia la testimonianza di Naruko Namikaze, trascritta da Tobirama Senju, celebre horror writer. Una storia taciuta da molto, molto, forse troppo tempo e che tuttavia continua tuttora a tormentare la sua protagonista. Una confessione per poter finalmente scrivere il tanto agognato "The End".
Tutto incominciò sei anni addietro. Con un appuntamento. Cui Naruko non andrà mai.
Perché cosa - o chi - può averla persuasa a disdirlo?
***
[SasukexFem!Naruto; altre coppie ...]
Genere: Horror, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Itachi, Menma Uzumaki, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Tobirama Senju | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Gender Bender, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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 Hello!

Con uno stacco di una singola scena "L'Appuntamento" ha vinto la corsa contro "Stigma" per l'aggiornamento! XD Beh, dai, vuol dire che non manca molto alla pubblicazione del capitolo della seconda fic!

E parlando di capitolo!

Lo so, questo chappy si presenta piuttosto lunghetto, ma sul serio non me la sentivo di tagliarlo a metà. Perdeva il suo senso! Quindi, assicuratevi d'essere ben comodi quando lo leggete! ;-) Il prossimo capitolo sarà più breve, promesso! Il fatto è che sto cercando di condensare la storia in pochi capitoli - sette inclusi prologo ed epilogo - e non è facile! Il mio essere prolissa si ribella! T^T

Avvertimenti!

1) Menzioni di non-con. Siccome non è il tema principale della storia, non ho reputato opportuno aggiungerlo ai tags. Del resto, si tratta di un accenno, non ci saranno né scene né riferimenti espliciti ad esso.

2) Forse vi sarete già chiesti, il perché dell'abbondante uso dei suffissi di cortesia. Ecco, siccome la storia è narrata in prima persona, ho voluto riportare elementi della lingua parlata, come se avessimo appunto di fronte Naruko che ci racconta la sua testimonianza paranormale. Se vedete i suffissi cambiare, dipende sia dal tipo di relazione tra i personaggi sia il livello d'intimità tra di essi. Per esempio, se alterati, dei personaggi anche se parenti stretti manterranno un certo linguaggio formale per sottolineare il distacco "morale" dalla persona con cui interagiscono.

3) Similmente, ci sono molti modi di dire "papà" e "mamma" in giapponese. Le bambine, specie in famiglie meno tradizionaliste, generalmente si rivolgono al padre chiamandolo "papa", invece di "chichi" o "otōsan" o "tou-san". Questo affinché non mi segnaliate un accento mancante! ;-)

4) La traduzione della canzoncina Tōryanse, tōryanse non è letterale, l'ho leggermente modificata per creare la rima. Il significato, però, rimane quello!

Ulteriori note e commenti si troveranno a fine capitolo.

Infine, un sentito ringraziamento a tutti i miei lettori e recensori, in particolare a Imoto, Lucrezia_Uchiha e Jo95. Grazie anche a coloro che hanno messo questa storia tra le seguite, ricordate e preferite.

Vi auguro una buona lettura,

 

 

 

 

 

H.

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L'Appuntamento

dalla testimonianza di Naruko Namikaze

(segue)

 

 

 

Sabato, 31 gennaio 1998

- mancano 6  giorni all'Appuntamento -

 

 

 

 

Ricordo che quella mattina mi svegliai di soprassalto, certa della presenza di qualcuno nella mia stanza.

Di nuovo avevo trascorso la notte in bianco:  neppure l'essermi coricata relativamente presto (le dieci e un quarto) giovarono alla mia mente sovraeccitata dai recenti avvenimenti. Infatti, ogniqualvolta le mie palpebre, appesantendosi dal sonno, si chiudevano, ecco che da ogni ombra della mia cameretta credevo di scorgere la sagoma di quel bambino dall'impermeabile blu, che mi fissava da sotto il cappuccio gocciolante d'acqua. Rinunciando ormai a scacciare quella visione onirica, complice la stanchezza, mi ero limitata a nascondermi sotto le coperte, rifiutandomi però di cedere alle paranoie del mio subconscio. Sicché entrai in una sorta di dormiveglia, dove sogno e realtà si mescolavano confusamente come nella tavolozza d'un pittore, alterando le mie percezioni sensoriali e facendomi reagire da sveglia a ciò ch'io stavo in quel momento sperimentando da dormiente. Nella mia testa udivo frasi pronunciate con tanta verosimiglianza, che mi sentivo in dovere di rispondere. Vedevo persone conferire con me, toccarmi, osservarmi e con esse tentavo d'interagire a seconda dello stimolo da esse suscitatomi. Non capivo più nulla, ma volevo ribellarmi a tutto.

Di conseguenza, non afferrai subito la veridicità di quella presenza mattutina, liquidandola distrattamente come l'ennesima proiezione chimerica della spossatezza. Soltanto il tiepido calore di una mano che mi scostava delicatamente la frangia dagli occhi mi confermò, che non stavo più sognando. All'inizio giurai trattarsi di Sasuke: lui soleva destarmi così in quelle rare e preziose occasioni in cui riuscivamo, seppur clandestinamente, ad addormentarci insieme senza dover rincasare di nascosto, peggio dei ladri.

E, cullata da quei dolci ricordi, per poco non commisi l'errore di chiamarlo dinnanzi a mia madre, la vera responsabile del mio risveglio.

"Ti sei agitata molto stanotte", dichiarò sommessamente Okaasan, seguitando ad accarezzarmi il capo. Istintivamente piegai il collo, seguendo la carezza: per un istante mi parve di ritornare bambina, quando, spaventata dal temporale, potevo contare sulle coccole consolatrici di mia madre, prima che l'età adulta e le mie scelte ci avessero estraniate.

"Colpa dello stress", mi giustificai, appellandomi al suo istinto materno acciocché mi sostenesse, invece di giudicarmi e mantenere le distanze. Sapevo di essere una delusione di figlia, però necessitavo lo stesso di un minimo di comprensione.

"Non è che ci hai ripensato?"

"No, decisamente no."

Mia madre mi circondò improvvisamente il viso con ambedue le mani, fissandomi intensamente dritta negli occhi. "Nacchan, ti ricordi cosa t'ha detto il rettore dell'università? Che ti concede un'ultima chance - capito? - un'ultima chance per quell'Erasmus ad Oxford! O righi dritto, o il prossimo anno ti scordi quel viaggio! Quindi, non ti puoi concedere il lusso di finire fuori corso! Ne va della tua carriera! O hai abbandonato la tua ambizione di divenire professoressa universitaria?!"

A stento trattenni un moto di stizza. "Me lo ricordo benissimo! Non vedo perché tu debba preoccuparti tanto, visto che abbiamo oramai sistemato la faccenda!", berciai, massaggiandomi snervata la radice del naso, dopo essermi scostata bruscamente da lei.

Le gote di mia madre divennero anch'esse rosse dalla crescente irritazione. "Perché te la prendi con me? Sono forse stata io l'irresponsabile in tutto questo bailamme? Se tuo padre lo scoprisse, ne morirebbe di vergogna!"

"Dubito! Lui dimostra di possedere molto più fegato di te! Se ne strafrega di quel che pensano questi pettegoli di provincialotti!", obiettai veementemente, balzando in piedi e camminando imbufalita per la stanza. "Talvolta ti trovo più ipocrita di loro! Mi biasimi per una cosa che sarebbe potuta succedere a chiunque; mi tratti peggio di una merda, facendomi passare per una ... per una ... per la peggiore delle disgrazie! Ma se si tratta di Menma, oh!, allora chiudiamo ambedue gli occhi! Non l'hai mai rimproverato di nulla, l'hai sempre giustificato! Perfino quando ci ha rivelato d'essere gay, non hai aperto bocca per criticarlo! Perché, perché non puoi sforzarti di venirmi incontro per una volta e smetterla d'avvelenarmi l'esistenza?", sputai velenosa, pentendomene però immediatamente non appena notai come le ciglia di Okaasan si fossero abbassate vergognose. Giurai d'aver pure scorto un umido luccichio nei suoi occhi.  La sua stessa figura s'ingobbì, facendola apparire più vecchia e fragile della sua vera età. Mi venne voglia d'abbracciarla e d'implorarle perdono.

"Almeno ...", sussurrò lentamente la genitrice, strascicando le parole. "Almeno m'assicuri che ... che quell'Uchiwa non ha nulla a che fare ... che ... che si tratta veramente di un incidente ... come ... come mi hai raccontato?"

La collera mi rimontò in petto con la medesima rattezza della lava, che raggiungeva la bocca del vulcano, pronta all'espulsione. E di fatti, esplosi: "Perché questa tua avversione nei confronti di Sasuke, eh? Perché? Me lo spieghi?"

"E' palese il suo interesse nei tuoi confronti! Tutta Konoha sa che gli piaci, che ti sta facendo la corte, che tu frequenti la sua casa e la sua famiglia! Tu e quegli altri due cospiratori di tuo padre e fratello m'avete forse preso per scema? O per cieca? A quando il lieto annuncio?"

"Sasuke non ha intenzione di chiedermi di sposarlo! E' un Kirisutokyouto! Ed io una gentile! La sua famiglia glielo proibirà!"

"Balle! Lui ti sposerà e tu ti convertirai! Perché così finirà, vedrai!"

"Non è vero!", gridai, sentendomi le vene pulsare sulle tempie e le mani tremare da quanto l'ira m'infuocava le vene. "E mettendo caso che accadesse, dove starebbe il disonore in ciò? Dovresti piuttosto sentirti orgogliosa d'avere una figlia anticonformista e open-minded come lo eri stata tu in gioventù!"

"Oh ma taci, Naruko! Apri la bocca per niente!", ribatté acida mia madre, alzandosi e accennando ad andarsene.

Tzé, come se glielo avrei permesso!

"D'accordo: non approvi Sasuke in quanto cristiano. Va bene!", esclamai, chiudendo la porta scorrevole e impedendo ad Okaasan d'abbandonare la mia cameretta. "Se ci tieni tanto alle apparenze, come mai ti sei maritata con un ainoko? Con un reietto? Col figlio di una prostituta? Obasan sarà anche stata una Only, però sempre a letto per soldi ci andava, coll'ufficiale americano! Ammesso poi che Otōsan fosse stato per davvero figlio di quest'ultimo e non di un qualche marines a caso, uno dei tanti che s'era divertito con lei tra uno stupro e l'altro! L'unica ragione per la quale Jiraiya-ojisan adottò mio padre sta nel fatto, che l'unico suo figlio ed erede gli era saltato in aria ad Hiroshima e che, pur di non lasciare niente allo Stato, avrebbe accolto anche l'ultimo dei miserabili se fosse stato il caso!"

"Naruko, smettila ... Non sai quel che dici ... Sei fuori di te! ... Non ti fa bene!", tentò di calmarmi mia madre, notando apprensiva il mio crescente e incontrollabile stato d'agitazione.      

"Viste e considerate le premesse, cosa trovi tu ora di disprezzabile in Sasuke che, seguace a parte di un'altra religione, proviene comunque da una famiglia rispettabile? Suo nonno Hikaku-san è stato ufficiale della sanità in ambedue le guerre; suo padre Fugaku-san commissario di polizia e lui è un eccellente oculista! Suo fratello Itachi-san è il miglior chirurgo del distretto, se non proprio dell'intera prefettura! Lui e Sasuke hanno clienti che vengono perfino da fuori pur di farsi visitare da loro! E sua cognata Shisui-san, con tre figli e un quarto in arrivo, continua a lavorare tranquillamente come professoressa al mio liceo! Ti pare questa una famiglia di scalzacani, di inetti? Una famiglia di cui dovresti vergognarti, nella remotissima ipotesi in cui Sasuke volesse sul serio sposarmi?"

Abbracciandomi disperatamente, Okaasan esclamò piena d'angoscia: "Ma lo stesso verresti discriminata, tesoro mio!", asserì, stringendomi al petto ancora più forte. "E non voglio che sparlino ulteriormente di te, che ti facciano soffrire più del dovuto! Voglio che almeno tu sia felice!", singhiozzò e confesso che mi riusciva arduo trattenere le lacrime che mi pizzicavano gli occhi. Ma, per quanto mi costasse, desistetti comunque dal piangere. "Tutto quello che dici corrisponde al vero, però io contrariamente a te non ho mai avuto una scelta: quando conobbi tuo padre, la mia reputazione era già stata infangata da tempo, nessuno m'avrebbe sposata! Che aveva tuo padre da perdere nel prendersi della merce guasta, dal momento che lui per primo veniva trattato alla stregua d'un lebbroso? I miei genitori ringraziarono ogni kami in cielo, per essersi sbarazzati di me! Non hai idea delle umiliazioni che ho subìto! Adesso tutti mi trattano con rispetto, ma solo dopo anni e anni d'insulti! Se dovessi sposarti con Sasuke-san, anche tu finirai moralmente isolata e ancora più di prima! Non solo! La gente incomincerà ad insinuare che nessun altro t'ha voluta, perché, come tua madre, anche tu eri tarata, marcia! Non posso accettare questo! Non per te! Con Menma mi sono oramai messa il cuore in pace, ma con te no! Non riesco a sopportare l'idea di saperti infelice!"

Ripeto: se lo scopo ultimo di mia madre puntava sul farmi piangere peggio d'una fontana, hé, ammetto ci stava riuscendo. Tuttavia, le poche e patetiche gocce che mi colarono sulle guance non avevano il gusto del perdono né tantomeno del chiarimento: malgrado la mia gratitudine verso la premura della genitrice (che avevo riscoperto volermi bene nonostante le nostre divergenze) lo stesso non mi pareva d'aver trovato una soluzione al mio problema. Casomai l'affare s'era ulteriormente complicato e sul serio non sapevo più dove sbattere la testa.

"Ebbene ...?", borbottò Okaasan, soffiandosi il naso e fissandomi speranzosa.

"Sasuke non ha nulla a che vedere in questa ... storia. E' colpa mia. Ad una festa ... ho ... ho fatto la cretina ...", dissi, lasciandomi avviluppare dall'ennesimo abbraccio consolatore di mia madre.

"Andrà tutto bene, tesoro. Risolveremo assieme questa brutta disgrazia. Sarà come se non fosse successo nulla!"

Le rivolsi un sorriso tremulo. "Certo, Okaasan ..."

Mi accorsi solo in quell'istante, posando a caso lo sguardo verso la porta, che quest'ultima non solo era aperta, ma che all'uscio se ne stava ritto e immobile mio fratello Menma, dalla cui espressione assolutamente disgustata intuii aver udito se non proprio tutto, perlomeno una buona parte. E decisamente aveva ben ascoltato l'ultima affermazione, come mi confermò quel suo andarsene in silenzio, non senza avermi scoccato la peggiore delle occhiatacce e insultandomi tramite labiale.

E dietro di lui, a rafforzare quell'ingiuria, intravidi il bambino che mi sorrideva triste da sotto il suo cappuccio blu e grondante d'acqua.

 

 

 

 

Domenica, 1 febbraio 1998

- mancano 5  giorni all'Appuntamento -

 

 

 

"Potresti spegnere la sigaretta, per favore?"

Menma mi guardò di traverso, stringendo malevolo gli occhi e, ignorando bellamente la mia richiesta, aspirò profonde boccate di fumo, per poi liberarle nell'aria in dense scie.

"Grazie", replicai sarcastica alla sua palese scortesia, mentre mi coprivo il naso con la sciarpa e guadagnandomi una risatina altrettanto beffarda da parte di mio fratello, il quale m'aveva accuratamente evitata per tutta la giornata di ieri. Soltanto ora riuscivo a parlargli da sola e a quattr'occhi, approfittando della sua abitudine mattutina di vagabondare senza meta per Konoha.

"E di che? Tanto fra poco non farà più alcuna differenza, vero?", disse, spegnendo la cicca nell'apposito cestino. Dopodiché proseguì nella sua passeggiata solitaria, dandomi apposta le spalle.

Rapida lo raggiunsi, sbarrandogli la strada . "D'accordo! Le ho mentito! E allora? Non posso avere tutti contro!", esclamai frustrata, nella speranza che Menma la smettesse con quel suo atteggiamento da fustigatore. Non aveva alcun diritto di giudicarmi: era facile per lui sparare sentenze, quando non si trovava nella merda come la sottoscritta!

"Lo sai qual  è il tuo problema, Naruko?", incrociò battagliero Niisan le braccia al petto. "Che ti complichi la vita per niente. Non metto in dubbio la delicatezza della tua situazione; ciononostante non mi pare che sia poi così disperata da eliminare il "problema" alla radice, come tu stessa lo definisci!"

"Ah, no?", lo sfidai.

"Ah, sì! Diamine, se invece di rimbecillirti con seghe mentali sul tuo destino d'eroina tragica, ti mettessi a ragionare da persona matura, capiresti che c'è una soluzione alternativa! Una scappatoia che non ti toglierà colui che ami!"

Sbuffai scettica. "Chi me l'assicura?"

"Ma non ti entra in quel cervello bacato, che Sasuke non ti perdonerà mai questo tuo gesto? Anzi, ciò che Okaasan t'ha suggerito di fare? Perché ci scommetto tre anni di stipendio, che questa schifezza non è una tua iniziativa! Sei troppo codarda, imōto, anche solo per chiamare il ...!"

"Come ti permetti?!", lo interruppi indignata, stingendo i pugni e pronta ad usarli. Mai mi sarei aspettata un tale voltafaccia da parte di mio fratello, mai! "Parli proprio tu!"

"E allora, perché le hai mentito?"

"Perché avrebbe biasimato Sasuke! Eppoi, necessito del suo supporto!"

Menma cambiò peso da una gamba all'altra, passandosi esasperato una mano tra i capelli corvini. "Tu hai bisogno di una persona che t'apprezzi per quel che sei, non per quel che potresti essere! Per Okaasan equivali a una comoda via per riscattarsi dal suo passato! Tramite te spera d'assaporare quella vita, che per sua scelta o disgrazia non ha potuto vivere! E' questo che vuoi? Vivere la vita di un'altra?"

"Resta comunque mia madre!", m'impuntai testardamente, avvertendo un certo pizzicore agli occhi, l'ennesimo in meno di ventiquattro ore. "Mentre Sasuke ...", mormorai, sedendomi su di una panchina, essendomi divenuta la testa improvvisamente pesante. Mi girava perfino.

Sospirando profondamente, Niisan m'imitò ben presto, afferrandomi saldo e confortante per le spalle. "Imōto-chan, sii sincera: tu lo ami?"

Tirai su col naso, asciugandomi le prime lacrime col dorso della mano. Aprii la bocca per rispondere, ma non una parola ne fuoriuscì: tale era la grandezza della mia affezione nei confronti del mio fidanzato, che non riuscivo ad elaborarla a parole e un semplice "sì" mi sembrava troppo svilente, per pronunciarlo ad alta voce.

"Devi scegliere, Nacchan", fu la pacata sentenza di mio fratello, il quale aveva incominciato ad accarezzarmi la schiena. "O Sasuke o nostra madre. Come dicono i Kirisutokyouto, non puoi servire due padroni: o segui uno o lasci perdere l'altro! Ma accontentare entrambi, no, non ti è umanamente possibile!"

"Che debbo fare, Menma-nii?"

"La scelta sta interamente a te, imōto-chan. In questo frangente non posso decidere al posto tuo", dichiarò mesto Niisan, appoggiando la sua fronte contro la mia. "Tuttavia, l'unica cosa che mi auspico è che la soluzione venga da te e non da una terza persona!"

 Assentii impercettibilmente, reclinando poi il capo affinché riposasse sul petto di mio fratello. Poco distante dalla nostra panchina, il semaforo aveva preso a suonare la celebre warabe uta Tōryanse, tōryanse.[1] Ridacchiai nostalgica alla melodia, socchiudendo gli occhi e canticchiando tra me e me:


Passate pure, passate suvvia.

 

Dite, dove porta quest'oscura via?

Porta forse al tempio di Tenjin il saggio?

Per favore, concedici il passaggio!

 

Mi addormentai malgrado il mattutino freddo invernale, molto probabilmente cullata dal regolare battito del cuore di Menma e dal confortante calore da lui emanato. In quegli ultimi giorni, raramente avevo sentito un tale senso di protezione da concedermi il lusso d'abbassare le mie difese, rilassandomi.

Sognai.

Stranamente, non mi trovavo in un posto chissà quanto lontano o fantasmagoricamente esotico. Invece, ai miei occhi si snodava la medesima strada da cui m'ero congedata, mentre m'assopivo.  Al centro di essa riconobbi la me stessa bambina giocare a Tōryanse, tōryanse assieme alla versione infantile di Menma. A stento trattenni un dolce sorriso, scuotendo il capo: il numero minimo di giocatori corrispondeva a tre, altrimenti il gioco era infattibile. E ciononostante, i due kodomo s'intestardivano a proseguire, lasciando che sotto il loro ponte di braccia passassero amici invisibili. Nel sogno mi apprestai ad avanzare verso di loro, desiderando unirmi al loro svago e offrendoli così un compare in carne ed ossa.

La mia innocua iniziativa morì sul nascere, giacché ciò cui assistetti mi pietrificò sul posto.


Coloro senza una valida ragione di qui non passeranno.

 

Sbucando fuori dal nulla, il bambino dal mantello blu attraversò ridendo il ponte creato dai suoi compagni, saltando poi in piedi e trotterellando vittorioso verso di me, cantando:


Guardate, di questo piccino è il settimo compleanno,

siam qui per offrire il nostro o-fuda.

 

E come se si fossero d'un tratto accorti anche loro della mia presenza, i due kodomo imitarono ben presto quell'altro, prendendosi festosamente per mano. Il tempo di sbattere le ciglia e me li trovai tutti e tre a qualche spanna dal mio naso, in particolare il bambino dal mantello blu, le cui pingue gocce cascanti dal cappuccio mi bagnavano il viso, provocandomi tremiti a causa della loro estrema freddezza. Pareva, infatti, che il loro proprietario avesse nuotato in un lago ghiacciato.


L'andata è facile, il ritorno fa paura!


Mi sussurrò e il suo fiato anch'esso gelato m'intirizzì fino al centro dell'anima.

Ma fu nulla se comparato al terrore ch'io provai, quando allungò una manina pallida e umida per 

toccarmi.


Fa paura e sia,

però passate, passate suvvia.

 

Gridai, destandomi di soprassalto e trascinando meco Menma in questo frenetico e spaventato risveglio. Non solo: non appena riuscii a focalizzare quanto mi circondava, a capire il come e perché di quella situazione, m'imbattei, oltre che al viso assolutamente sorpreso di Niisan, nei visetti incuriositi e al contempo confusi di Uchiwa Saeko-chan e Kiyoaki-kun, i nipoti di Sasuke. Presumibilmente spaventato dal mio inaspettato e acuto strillo, il maschietto si nascose prontamente dietro la schiena del padre, Itachi-san, il quale s'era portato alla mia altezza, riflettendo sul suo viso la stessa domanda che si stava ponendo in quel momento mio fratello.

"Nacchan, tutto a posto?", s'informò preoccupato Niisan, tenendomi ben salda per le spalle. "Hai cacciato un urlo ..."

Aprii la bocca per giustificarmi, arrossendo nel frattempo furiosamente per l'imbarazzo. Accidenti, e adesso come avrei potuto spiegarli la faccenda dell'incubo e del bambino dall'impermeabile blu, senza passare per una pazza?

Meno male che Itachi-san intervenne, liberandomi dall'impiccio. "Sei stata molto sgarbata, Saeko-chan", si rivolse severo alla figlia, rimproverandola. "Hai terrorizzato la povera Naruko-chan!"

Piegando all'ingiù la bocca e aggrottando la fronte, la bambina protestò la sua innocenza: "Ma stava cantando nel sonno! E' strano!"

"Non è comunque una buona ragione, per infastidire una persona che dorme. La spaventi e non è una bella esperienza. Ti piacerebbe se lo facessero a te?"

La piccina abbassò il capo, bofonchiando. "No, papa." Quand'ecco che, bellicosa, indicò il suo otōto. "Anche Kiyo-kun l'ha toccata!"

Dalla sua sicura postazione, il minore le presentò una regale linguaccia. "Non è vero!", piagnucolò indignato.

"Anche Kiyoaki-kun si scuserà con Naruko-chan!", ribatté Itachi-san, alzandosi e spingendomi delicatamente i bambini davanti, affinché mi porgessero le loro scuse. Il che avvenne di fretta e piuttosto di malavoglia: secondo la loro logica infantile, cantare nel sonno non conferiva uguali diritti rispetto ad un dormiente "muto".

Non avevano tutti i torti, poverini.

"Siete appena ritornati dalla Messa?", cambiò rapidamente discorso Menma, assumendo un tono vivace da controbilanciare il broncio dei marmocchi.

"No, stamane prima della funzione è venuto il prete a casa nostra per darci la comunione: Tenmaku-kun non può uscire finché non gli leveranno i punti e sia Shisui che Kaa-san non lo perdono di vista neanche per un secondo. Ed io nemmeno, se le due signore me lo permettessero", ci spiegò brevemente Itachi-san.

"Aspetta, aspetta: t'hanno sbattuto fuori coi pargoli?"

"No, sono scappato io! Quando incominciano a romperti le scatole, non la finiscono più ... Sembra che muoiano se non ti tarmano!", si lagnò scherzosamente l'Uchiwa e roteò drammatico gli occhi, provocando una feroce risata in mio fratello. "Adesso che Shisui è ufficialmente in maternità, possiede ancora più tempo libero per dare a Kaa-san del filo da torcere!"

"Ma sembravano andare così d'accordo!", m'intromisi.

"E tuttora ci vanno. Il problema, Naruko-chan, è che da quando Tou-san è morto (pace all'anima sua)", e qui il volto d'Itachi-san s'incupì, mentre rapido eseguiva quel curioso gesto d'inizio preghiera tipico dei cristiani "gli equilibri famigliari ne hanno molto risentito. A peggiorare le cose, Kaa-san insiste nel voler ad ogni costo badare alla casa, a Ojisan e a Tenmaku-kun per non affaticare Shisui; figurarsi, se la mia tsuma non aveva da ridire a riguardo, cogli sbalzi d'umore a causa degli ormoni diventa doppiamente polemica e aggressiva, dopodiché piange disperata asserendo che non la amo e che la tradirò con una donna più giovane e bella ...  Kaa-san le dà della melodrammatica ... Lei risponde per le rime ... Si accapigliano ... Donne testarde ... E si sfogano poi con me, giustamente!"

"Fatti coraggio, amico mio!", gli batté solidale Menma la schiena. "Speriamo che la situazione non peggiori, in caso tua madre dovesse acquistare una seconda nuora!"

Per quanto m'augurassi di sbagliarmi, non mi sfuggì affatto la furtiva occhiata lanciatami di soppiatto da Itachi-san, non appena mio fratello pronunciò la parola "nuora". Né mi rassicurò il modo decisamente analitico con cui l'uomo  mi aveva squadrata dalla testa ai piedi, quasi mi stesse valutando come uno dei suoi pazienti, e non nascondo che panicai parecchio alla prospettiva che Itachi-san avesse intuito il mio segreto. A meno che Menma non glielo avesse già spifferato, visto e considerato lo stretto legame d'amicizia che li legava. Distolsi quindi velocemente lo sguardo, concentrandomi su Saeko-chan e Kiyoaki-kun, i quali stavano giocando con le cards dei Pokémon. Stava vincendo ovviamente la maggiore poiché il più piccolo, non conoscendo le vere regole del gioco, sottostava docile a quelle fasulle della sorella, atte a favorirla costantemente.

"Sarà quel che Iesu-sama vorrà", sentenziò ambiguo Itachi-san, abbracciando il figlioletto quando questi, stizzito per l'ennesima sconfitta, si rifugiò piangendo tra le sue braccia. "Piuttosto, avete qualche progetto per questo pomeriggio?"

Prima che potessi tappare la bocca a quel pappagallo di mio fratello, questi m'anticipò, rispondendo entusiasta: "Certo che no! I nostri ryōshin si sono recati ad Uzushio in visita, non ritorneranno prima di stasera!"

"Perfetto! Vi piacerebbe allora venire a prendere il tea a casa nostra? Non ricordo l'ultima volta, che ci avete onorati di una vostra visita e Kaa-san ve ne sarebbe molto grata!"

"Chi siamo noi per rifiutare un favore alla cara Mikoto-san? Vero, Nacchan?"

Un giorno, mi ripromisi mentalmente, avrei tagliato la lingua a Menma.

Period.

 

 

~~~

 

 

Effettivamente, Mikoto-san si dimostrò davvero entusiasta della nostra visita. Se non fosse stato per il mofuku kimono che indossava [2] e per il viso tirato dell'insonne, non la si sarebbe detta in lutto per la morte del marito. Addirittura mi ringraziò con un raggiante sorrisone, quando, dopo i convenevoli, le porsi la torta al tea verde, l'unico dolce ch'ero in grado di preparare. Non sia mai che mi presentassi senza niente, anche se invitata all'ultimo momento [3]. Sciorinandosi in ulteriori ringraziamenti per il mio dono,  la vedova ci invitò a seguirla in casa.

Deglutii un acido conato di vomito, sentendomi più in colpa che mai.

L'abitazione dove Sasuke e la sua famiglia vivevano non presentava chissà quali varianti da una qualsiasi casa tradizionale giapponese: avevo sempre immaginato, infatti, che i Kirisutokyouto avessero adottato a prescindere uno stile occidentale o comunque diverso da quello nazionale. Invece, salvo alcuni particolari, nulla di strano saltava all'occhio. Al contrario, alcuni dettagli ornamentali tipici della religione shintoista e buddista erano sì stati mantenuti, però al contempo riadattati ai dettami cristiani, sfatando quelle leggende metropolitane che li associavano un bizzarro e decadente mélange tra Gothic e ottocento vittoriano, miti rinfocolati dalla recente fascinazione dei manga verso questa religione. Ad esempio, gli Uchiwa possedevano come noi un altare di famiglia, ma, al posto di esporvi i simboli dei kami shintoisti, sul loro kamidana troneggiava innanzitutto un Crocefisso, affiancato poi da un ritratto di Maria-sama col Bambino; di Miki Pauro-sama, di Mikaeru-sama e di un Gaijin dal buffo cappello che mi spiegarono essere il loro Kyōkō, Nidaime Yohane Pauro-sama.  Alla mia domanda se l'avessero mai incontrato di persona, Sasuke m'aveva risposto negativamente, asserendo tuttavia che suo nonno Hikaku-san aveva fatto letteralmente carte false pur di recarsi a Roma per partecipare al Giubileo del 1950. Non voleva morire, così s'era giustificato, senza aver visto la Città Eterna  e il Kyōkō-dono almeno una volta e magari, già che c'era, ringraziare d'essere scampato alla morte in ambedue le guerre mondiali. E a proposito dell'anziano patriarca, lo trovammo guarda caso in preghiera proprio davanti alla versione cristiana del butsudan, là dove ci osservavano annoiati tutti gli antenati e parenti del mio fidanzato, fotografati ora in bianco e nero, ora a colori. Circondata da fiori e dal nastro nero, la foto di Fugaku-san risaltava tra i volti antichi dei suoi predecessori e anche in quel frangente seguitava a mantenere un'espressione seria e affatto socievole.

"Incazzato fino all'ultimo", fui sicura d'aver sentito l'anziano genitore borbottare, mentre accendeva un incenso votivo per il defunto figliolo. "O il fotografo era un pezzente incapace ..."

Fin dal nostro primo incontro avevo nutrito molta stima per Uchiwa Hikaku-san, ultracentenario, sordo come una campana, quasi cieco, piccolo e rinsecchito ma dalla mente sorprendentemente ancora agile e arguta, forse più attiva di quella di molti suoi concittadini più giovani. Non potevo esimermi dal non rispettare quell'uomo adesso fragile e avvizzito, che tutto aveva perso durante il secondo conflitto mondiale ma che, superando la disperazione, s'era imposto di vivere e di ricostruire la famiglia distrutta. Quando Sasuke mi aveva raccontato che Fugaku-san rappresentava l'unico superstite di sette figli, non gli avevo dapprincipio creduto. Ma ora, osservando i volti sulla versione cristiana del butsudan, compresi quanto quel posto fosse pieno di ricordi per quell'anziano patriarca e quanto doloroso dovette essere stato per lui ricominciare da zero assieme all'allora adolescente figliolo.

"Chichi!", lo chiamò ad alta voce Mikoto-san, inginocchiandosi presso di lui. "Guarda chi è venuto a trovarci!"

"Eh?", fece l'anziano, tendendo lo scarno collo rugoso verso la nuora.

"Guarda. Chi. E'. Venuto. A. Trovarci!"

"Cosa?"

"NAMIKAZE MENMA-KUN E NARUKO-CHAN SONO VENUTI A TROVARCI!!", fu costretta a gridare Mikoto-san, arrendendosi di fronte alla palese sordità del vecchio suocero.

"Oh, i kodomo di Minato-shi?", esclamò deliziato Hikaku-san, ponendosi difficoltosamente in piedi, sorretto da Mikoto-san, arrivandole a malapena alle spalle, tanto era curvo.

Ben presto ci accorgemmo che il nostro nome non soltanto aveva rallegrato il bisnonno Uchiwa, ma che aveva richiamato da chissà quale angolo oscuro della casa o del giardino i suoi bisnipoti più giovani, i quali si presentarono a rapporto con Itachi-san che chiudeva quel rumoroso corteo.  Osservando di sottecchi come le due belvette avessero accerchiato mio fratello, giunsi alla conclusione che il fratello di Sasuke, benché cristiano, non aveva perduto il suo spirito pragmatico e calcolatore: invitandoci per il tea aveva trovato un espediente per dirottare altrove l'inesauribile energia dei suoi figlioli, permettendo così alla moglie di vegliare indisturbata sul giovane ammalato. Non che la cosa ci dispiacesse, tutt'altro! Sebbene estremamente vivaci, Saeko-chan e Kiyoaki-kun rimanevano due creaturine davvero amabili. Quando li raggiunsi, la bambina prese a raccontarmi euforica come la sua Obasan le stesse preparando l'abito per la sua Prima Comunione.

"Indosserò uno shirokakeshita!", mi rivelò orgogliosa. "Però non come una vera sposa, quindi non potrò mettermi lo shiromuku uchikake e neppure il watabashi ... [4] La mia mama ha detto che mi metterà piuttosto una bella spilla tra i capelli! E dei fiori! Non vedo l'ora che arrivi maggio!"

"Si preparasse a questo santo sacramento, impiegando il medesimo entusiasmo con cui parla del vestito ...", commentò il suo bisnonno, facendomi l'occhiolino e appoggiando la mano avvizzita sopra la mia. Di riflesso gliela strinsi, meravigliandomi quanto la sentissi leggera, come se stessi tenendo un pulcino.  

Ridacchiai sommessamente.

"Non è vero! Sto studiando, Hikaku-hiijiji! Non manco mai a nessuna lezione di catechismo! Chiedilo a papa!", protestò vivacemente la bambina, guardandomi poi speranzosa. "Verrà anche lei, Naruko-obaasan, alla mia Prima Comunione?"

"Se il tuo Otōsan vorrà invitarmi", sorrisi malinconica. Mi ripresi in fretta, impedendo alla piccina di cogliere quel mio attimo di cupezza. "E comunque, non chiamarmi "zia"! E dammi del tu!"

Gli occhioni scuri di Saeko-chan divennero ancora più grandi dalla sorpresa. "E come ti dovrei chiamare?"

"Naruko-nee oppure Oneesan. Non sono la tsuma del tuo Ojiisan!"

"Ah no?", s'inserì Kiyoaki-kun, sbucandomi da sotto il tavolino. "Ma voi due vi date tanti baci!"

Avvampai per l'imbarazzo. Grande osservatore, il poppante!

"Oh!", s'illuminò il volto di sua sorella. "Anche tu allora aspetti un bambino! La sensei ci ha detto, che quando papa e mama si vogliono tanto bene e si danno tanti baci, la pancia di mama cresce e cresce finché non viene fuori un bambino! Così!", mi spiegò, gesticolando le dimensioni di un pancione da vacca gestante, più che da essere umano. Il suo Otōto la imitò prontamente, giusto per rafforzare il concetto. "La mia mama aspetta pure lei un bébé, perché papa le ha dato tanti, tanti baci!"

"Tanti, tanti baci!", ripeté il suo fratellino peggio d'un pappagallo e con la medesima serietà.

"Mikoto-san!", mi rivolsi con voce leggermente acuta ed isterica alla padrona di casa, grata di vederla entrare col tea e la torta, così da fornirmi una chance per svignarmela con comodo. "Vado a chiamare i due fuggitivi!", mi offrii volontaria per recuperare Menma e Itachi-san, i quali se l'erano svignata alla prima distrazione del duo malefico per discorrere dei fatti loro.

Prima ancora che la donna potesse replicare, ero già uscita dalla stanza, respirando a grossi singulti.

Calmati, calmati ... Va tutto bene ... Sono soltanto dei bambini ... Parlano a vanvera ... Ignorano il significato delle proprie parole ..., ribadii queste verità come in un mantra allo scopo di rilassarmi e di ritornare in me. Non appena mi reputai pronta per affrontare di nuovo il mondo, partii genuinamente alla ricerca dei due uomini, che scovai in giardino.

Entrambi esibivano delle espressioni sospettosamente gravi, parlottando fitto e a bassa voce.

"... e in ogni modo, il dottore ha confermato essere una bambina", terminò Itachi-san il discorso, che supposi concernere sua moglie e il nascituro.

Menma fissò a lungo il suo amico, prima di chiedergli con sconcertante serietà, troppa per quel lieto evento: "E tu? Ne sei contento?"

"Sì, perché?", sbatté confuso le ciglia l'altro, malgrado la sua mimica facciale tradisse una notevole comprensione dei vari sottotesti ivi contenuti.

Mio fratello abbassò il capo, come se stesse cercando le parole più diplomatiche per un discorso altrettanto delicatissimo. "Itachi, so che la vostra religione v'impone di perdonare e d'amare anche il vostro nemico, tuttavia ... potrai mai tu sul serio amare un figlio che potrebbe non essere tuo?"

Smisi di respirare. Avevo inteso bene? Shisui-san ... Shisui-san stava aspettando la creatura di un altro uomo? Come ... com'era possibile? E ... e perché Itachi-san continuava a rimanerne talmente impassibile? E come faceva Niisan a sapere queste cose? Nessuno a Konoha ne aveva mai spettegolato a riguardo ... Figurarsi se non ne avessero approfittato per sparlare allegramente degli Uchiwa! Che diamine stava succedendo?

"Su questo punto ti sbagli, Menma, la bambina è mia. Potrebbe - chi lo sa - non esserlo biologicamente, ma lei è tanto mia quanto di Shisui. Le circostanze del suo concepimento sono irrilevanti. La piccina crescerà in questa casa con tutti gli onori di figlia, porterà il mio cognome e non tollererò che una colpa di cui non può giustificarsi le avveleni l'esistenza!", dichiarò bellicoso Itachi-san, raddolcendo subito dopo i lineamenti del suo viso. "D'altronde, anche tuo padre è stato adottato, quindi capirai cosa significhi l'amore al di là dei vincoli di sangue!",

"Touché", ammise Menma suo malgrado, studiando la neve cadere dai rami spogli degli alberi. "Avete avuto molto coraggio e soprattutto pietà nei confronti della creatura. Il vostro comportamento è davvero ammirevole", commentò ed io fui assolutamente d'accordo con lui.

Itachi-san scosse il capo, schermendosi. "Non adularci, abbiamo pure noi le nostre colpe  ... Vista la situazione ... ti confesso che ci avevamo pensato ..."

Cosa? Avevo compreso bene?

"E' comprensibile."

Avevano sul serio contemplato di ...?

"Shisui alla fine non ha voluto", proseguì imperterrito Itachi-san, lasciando vagare gli occhi ovunque per il giardino, impedendo che Menma vi leggesse il turbamento in essi. Non avrei mai immaginato che tale sciagura potesse abbattersi sulla loro famiglia e di nuovo Sasuke non m'aveva detto niente, forse per rispetto verso la cognata. Oppure per non fare paragoni, poiché io ... No, lui non sapeva nulla. Però io sì, sapevo ora tutto. E la vergogna mi stava mangiando viva. "Quando ... quando l'assicurai che non l'avrei mai rimproverata della sua decisione, che se non ce la faceva a sopportare questo fardello l'avrei capita, ecco ... Shisui mi rivelò che se fosse stata sicura al 100% della paternità della creatura, allora avrebbe anche considerato d'abortire; siccome però lei per prima non sapeva con chi l'avesse concepita, preferiva tenerla. Una tempistica perfetta! Povera Shisui: alla mattina fa l'amore col marito e alla sera violentata da ... uno sconosciuto."

"Hai dei sospetti, vedo."

"Nessun sospetto. Certezza. E lui lo sa."

"Cosa?!"

L'aria vibrava dalla collera a malapena tenuta a freno da Itachi-san. Decisamente, mai come in quel momento la sua parentela con Sasuke trovava la sua conferma: per quanto manifestassero i loro sentimenti in maniera diversa, lo stesso i due fratelli possedevano un carattere sulfureo al limite del distruttivo quando si trattava di proteggere i loro cari.

"Shisui non desidera denunciarlo. Dice che non vuole più averci a che fare, che il solo guardarlo la nausea. L'ha perdonato, ma affrontarlo in tribunale ...  Non se la sente. E io rispetto la sua decisione. Questo però non m'ha impedito di chiarire due o tre cosette con quel maledetto, ovvero che se si sarebbe riavvicinato a mia moglie o alla mia famiglia in generale, l'avrei sottoposto alle medesime torture subìte dai miei antenati!"

A differenza però di suo fratello minore, che possedeva la rabbia esplosiva, Itachi-san esibiva invece la sua controparte implosiva. Pareva che non se la prendesse per niente; al contrario, si segnava mentalmente tutti i torti subìti per fartela pagare più tardi e cogli interessi.

"Non molto cristiano da parte tua ...", notò giustamente Niisan.

"Talvolta la croce che portiamo diventa troppo pensante per noi e cadere sotto il suo peso può capitare. Non fingiamo ignoranza: le percentuali delle molestie e violenze sul lavoro che colpiscono le donne appaiono agghiaccianti da quanto sono alte, però ... però sempre le consideri a te aliene ... distanti ... finché non ti capitano ... E ti colpevolizzi per non averlo impedito."

"Da molto tempo la molestava?"

"Asseriva che lei stesse flirtando con lui."

"E gli hai creduto?"

"Affatto. Nutro una fiducia assoluta in Shisui. Se lei m'ha confessato di non averlo mai incoraggiato, io non ho motivo di dubitare della sua parola. E comunque, flirt o non flirt, un no rimane sempre un no  e non giustifica la schifezza da lui compiuta."

Appoggiai la fronte sulla porta scorrevole, la testa che mi girava a causa di sentimenti contrastanti: confusione, stizza, imbarazzo, tristezza e indignazione. Il petto mi stava scoppiando dalla voglia d'urlare, di scappare via lontano, d'invocare aiuto e consiglio, ma sinceri, non interessati.

"Naruko-chan?", avvertii la presenza di Mikoto-san alle mie spalle, imbattendomi poi nel suo viso preoccupato. "Maria-sama, sei pallida come un lenzuolo ... Ti senti bene? Vuoi qualcosa?", mi condusse verso la cucina tenendomi il braccio, là dove mi fece accomodare, porgendomi un bicchiere d'acqua fresca. "Che tu abbia la febbre?"

"E' solo stanchezza, Mikoto-san. Non è nulla", mentii debolmente, stringendo con esasperata forza il bicchiere, manco fosse mia intenzione di frantumarlo. "Non sarei dovuta venire qui, ecco."

La donna s'inginocchiò davanti a me, afferrandomi delicatamente le mani. "E' successo qualcosa di brutto, Naruko-chan?"

Mi tremò il labbro inferiore. "No, Mikoto-san."

"Sasuke s'è comportato male con te?"

Casomai il contrario. "No."

Mikoto-san sospirò, lasciandomi ad intendere che aveva compreso benissimo il significato inverso delle mie risposte. Ovvio che mi fosse successo qualcosa di brutto, ovvio che avesse a che fare con Sasuke, anche se lui non ne aveva colpa. "Se vuoi parlarne, t'ascolto."

Negai veementemente col capo. "Dubito che ... che lei potrebbe comprendere ..."

"Comprendere cosa?"

Sobbalzammo colpevoli alla vista di Menma e Itachi-san sull'uscio della cucina.

"Quanto sia difficile sopportare quei rompiscatole dei professori!", mi venne in soccorso Mikoto-san, balzando in piedi e rassettandosi il kimono. "Stanno veramente tartassando la povera Naruko-chan: che barbari!", esclamò gioviale e, raggiunto il figlio maggiore, gli suggerì: "Pensi che Ten-kun sia in grado di potersi unire a noi? Povero caro, sempre confinato nella sua stanzetta!"

"Basterà fare attenzione che non faccia movimenti strani", dichiarò professionale Itachi-san, guardando tuttavia oltre la madre. Puntava me coi suoi occhi, lanciandomi di nuovo lo sguardo.

"Perfetto! Vai tu  prenderlo? Così Shisui si potrà rilassare anche lei, poverina ...", disse, seguendo/spingendo il figlio fuori della cucina.

Rimanemmo soli Menma ed io.

"Glielo hai spifferato, vero?"

"Cosa?"

"Quello!", accusai velenosa mio fratello. "Come fa altrimenti a saperlo? Non dirmi che Itachi-san può leggere nella mente! Perché mi metto a ridere!"

Niisan abbozzò ad una smorfia incredula. "Stai diventando paranoica, adesso!", asserì impietoso.

"L'hai fatto apposta a portarmi qui!"

"E se anche fosse? Cos'è? Ti morde la coscienza?"

Strinsi il pugno. "Teme ...", digrignai i denti, pronta a sfigurarlo a suon di mazzate. "Come ti permetti ...?"

Mio fratello scrollò incurante le spalle. "Datti una calmata, femmina isterica!", mi sbeffeggiò, chiudendo la porta scorrevole della cucina, non senza avermi rifilato l'ennesimo sorrisetto di sufficienza, confermando i miei sospetti circa una sua natura bipolare. Non poteva dimostrarsi dolcissimo e stronzo nell'arco di nemmeno ventiquattro ore. Non poteva.

Sbuffando, m'alzai dalla sedia e mi riempii un secondo bicchiere d'acqua.

Sentii dietro di me la porta aprirsi nuovamente.

"Ancora? Le vuoi proprio prendere, eh, bastardo?", mi preparai alla pugna, certa d'imbattermi nel brutto muso di Menma.

Invece, mi ritrovai davanti quello perplesso di Shisui-san.

Indossava anche lei mofuku kimono, sebbene a cingerle la vita fosse una fascia bianca al posto dell'obi nero, acciocché non strizzasse troppo il pancione che, a sei mesi, già rotondeggiava orgogliosamente.

Abbassai lo sguardo, memore della conversazione origliata tra suo marito e mio fratello. Come avevano potuto farle una cosa del genere? Ad una madre di famiglia con già tre pargoli a casa? Che senso aveva quell'umiliazione? Non si poteva neanche dire che Shisui-san avesse provocato il suo aggressore, visto che teneva i capelli corti come i miei e si vestiva in maniera molto sobria. Flirtare? Si truccava a malapena! Non risaltava proprio in mezzo alle altre donne! Si vociferava perfino che si fosse fatta mettere incinta apposta da Itachi-san, in modo da costringerlo a sposarla visto che nessuno si capacitava che un bell'uomo come lui avesse scelto per sposa una donna dalla bellezza così modesta!

Inoltre, come poteva amare il bambino che le cresceva nel ventre? Come faceva a sopportare ogni giorno la vista del suo pancione senza sovvenirsi di quell'orribile esperienza e soprattutto a convivere con la possibilità che non fosse del marito?

Come?

"Naruko-chan, ti stanno aspettando per il tea", mi comunicò Shisui-san, la voce serena e fresca come lo zampillare di una fontana. Non le importava, conclusi tra me e me, non le importava della paternità della sua creatura. Se sotto i suoi occhi ombreggiavano delle occhiaie, era per l'ansia derivata dalle condizioni di salute di Tenmaku-kun. Dei suoi piccini e del marito. Era stata certamente oltraggiata ma non distrutta.

Mi sentii intimidita dalla forza spirituale di quella donna. E provai un immenso flusso d'odio scorrermi nelle vene, incerta se indirizzarlo a me stessa o a lei.

Chiusi il rubinetto e mi apprestai a seguirla, ma la sua espressione sconcertata m'impedì di proseguire nel mio intento.

La fissai stralunata.

Shisui-san era infatti impallidita improvvisamente, facendo degna concorrenza alla fascia stretta in vita. I suoi grandi occhi scuri ricambiavano il mio sguardo inquisitore con altrettanto stupore e paura, neanche mi fossi trasformata in Sadako [5].  Istintivamente, la sua mano corse a mo' di protezione sul suo ventre, indietreggiando cauta di qualche passo, le iridi ora dilatate e guardinghe.

Rimasi spiazzata da quel repentino cambio d'umore.

"Shisui-san?"

Per tutta risposta lei girò sui tacchi, disertandomi senza degnarmi di una spiegazione.

Avvertii d'un tratto qualcosa di freddo e di umido sotto i miei piedi.

Una pozza d'acqua cristallina.

Capii immediatamente.

 

 

 

 

Lunedì, 2 febbraio 1998

- mancano 4 giorni all'Appuntamento -

 

 

 

Menma ed io seppellimmo l'ascia di guerra a colazione. Succedeva il più delle volte così: litigavamo, ci tenevamo un signor broncio per tutta la sera e il mattino seguente, dopo aver mangiato, appianavamo le nostre divergenze.

Rimasi comunque turbata e al contempo commossa quando, accompagnandolo alla stazione dei treni, Niisan si scusò col cuore in mano, dandomi ragione riguardo alla visita agli Uchiwa: aveva accettato la proposta di Itachi-san per il mero gusto di farmi un dispetto. L'avermi però vista uscire dalla cucina d'un bianco cadaverico, gli aveva instillato un profondo senso di colpa, il quale lo aveva tarmato fino alle prime luci dell'alba. Però no, non aveva rivelato nulla ad Itachi-san circa le mie attuali condizioni e se questi sospettava qualcosa, lo doveva al suo allenato occhio medico.

"Spero che Shisui-san non sia stata troppo dura con te!"

Strabuzzai gli occhi, cascando dalle mie elucubrazioni. "Scusa?"

"Shisui-san", ripeté sbuffando Menma, "ieri pomeriggio vi siete parlate, no? Dopodiché siete entrambe uscite dalla cucina con certe facce ... Eravate, come dire, sconvolte. E non vi siete più rivolte la parola fino alla fine della nostra visita. Insomma, cos'è successo tra voi due? Vi siete accapigliate?"

"No!", scossi il capo vivacemente in diniego, più che altro per levarmi dalla mente il ricordo dell'acqua fredda lambirmi le caviglie. "Sono sicura che Shisui-san stesse ancora soffrendo per la paura presa a causa dell'appendicite di Tenmaku-kun!", asserii con tale convinzione, che il volto di mio fratello si rilassò, rassicurato dalla mia logica spiegazione.

"Ah, ecco! Meno male!", esclamò soddisfatto.  Accortici dell'arrivo del treno, sospirammo entrambi il tipico Beh, eccoci qua dunque a congedarci. "Sul serio non cambierai idea?"

"Menma-nii ... Ne abbiamo già parlato ...", borbottai petulante, cambiando peso da una gamba all'altra.

"D'accordo, d'accordo. Mi cucio la bocca. Purché tu non te ne penta in seguito."

"Non accadrà. Starò bene", gli sorrisi incoraggiante, sebbene tremassi interiormente all'avvicinarsi dell'appuntamento.

Menma m'abbracciò forte, scompigliandomi i capelli. "Ricordati di fare un'offerta a Jizō-sama, eh?", mi ricordò, circondandomi il viso con le mani e stampandomi un bacio sulla fronte.

Lo colpii giocosamente sul braccio. "Sparisci, pidocchio!", gli intimai, salutandolo quando salì sulla carrozza.

Osservando il treno partire in direzione di Tokyo, al posto di sentirmi sollevata per la partenza di mio fratello (uno in meno contro l'appuntamento) provai un senso d'abbandono molto forte. Come ... come se avessi perduto più un alleato che un nemico.

Con simili pensieri mi diressi verso casa, passando per l'incrocio principale che collegava tutte le vie di Konoha. Aspettai pazientemente il verde e con esso la melodia Tōryanse, tōryanse.

Controllai il cellulare: 8 chiamate perse. Numero: Sasuke.

Mi morsi colpevole il labbro inferiore, rinfilando celere il telefonino in tasca.

Finalmente scattò il verde e mi apprestai ad attraversare sulle strisce pedonali.


Passate pure, passate suvvia.

 

Dite, dove porta quest'oscura via?

Porta forse al tempio di Tenjin il saggio?

Per favore, concedici il passaggio!

 

Coloro senza una valida ragione di qui non passeranno.

 

Guardate, di questo piccino è il settimo compleanno,

siam qui per offrire il nostro o-fuda.

 

L'andata è facile, il ritorno fa paura!


Fa paura e sia,

però passate, passate suvvia.

 

Ma ecco, che la mia visuale incominciò appannarsi, mentre la testa prese a girarmi come impazzita, stordendomi. Venni improvvisamente colta da inspiegabili vertigini, facendomi barcollare peggio di un'ubriaca. Le mie gambe si rifiutavano di collaborare, le mie ginocchia si piegavano in avanti, pronte alla caduta. L'intero mio corpo era percorso da questo sinistro torpore e rimanere lucida mi costava un immane sforzo.

Finché non crollai a terra.


Passate pure, passate suvvia.

 

Dite, dove porta quest'oscura via?

Porta forse al tempio di Tenjin il saggio?

Per favore, concedici il passaggio!

 

Coloro senza una valida ragione di qui non passeranno.

 

Guardate, di questo piccino è il settimo compleanno,

siam qui per offrire il nostro o-fuda.

 

L'andata è facile, il ritorno fa paura!

Fa paura e sia,

però passate, passate suvvia

Ignoro se si fosse trattato di un malore o ... o di altro. Ricordo solo che mi sentivo come incollata al cemento, incapace di spostarmi di un solo centimetro in avanti.

Furono secondi atroci.

Passate pure, passate suvvia.

 

Dite, dove porta quest'oscura via?

Porta forse al tempio di Tenjin il saggio?

Per favore, concedici il passaggio!

 

Coloro senza una valida ragione di qui non passeranno.

 

Guardate, di questo piccino è il settimo compleanno,

siam qui per offrire il nostro o-fuda.

 

L'andata è facile, il ritorno fa paura!


Fa paura e sia,

però passate, passate suvvia


Più mi sforzavo a muovermi, più un'invisibile presa ghiacciata mi costringeva per terra.


L'andata è facile, il ritorno fa paura!


Scalciai. Mi dimenai.

Niente.

Non avanzavo d'un millimetro.


Fa paura e sia,

però passate, passate suvvia


Il rosso sostituì il verde.

Udii in lontananza il motore di una macchina che s'avvicinava pericolosamente all'incrocio ...  A me ... bloccata in mezzo alle strisce pedonali ...

Sobbalzai alla vista dei fanali accesi. Al clacson suonatomi contro a mo' di monito.

Sarei dovuta scattare in piedi e correre via.

Se solo ... se solo mi fosse stato concesso ...

Invece, rimasi lì, cosciente e terrorizzata similmente ad una vittima sacrificale.

L'auto era sempre più vicina.

Urlai, preparandomi all'impatto.

Il terrore mi privò dei sensi.

Il buio inchiostro.

Stridore di freni.

Il volo e l'atterraggio.

Silenzio.

Quando riemersi dallo shock, non mi trovavo spalmata sotto la vettura. No, la prima cosa che avvertii furono delle braccia circondarmi forte, proteggendomi. Aprii lentamente gli occhi, incrociando lo sguardo certamente scosso eppure clinico d'Itachi-san, il mio soccorritore a giudicare dai palmi delle mani sbucciati e sanguinanti. Dietro di lui stava il guidatore, dalla cui espressione dedussi essere più sconvolto della sottoscritta.

Il fratello di Sasuke aprì la bocca per comunicarmi qualcosa; ciononostante, non riuscivo a sentire nulla. Tutto mi appariva surreale. Molto probabilmente stavo tremando, perché Itachi-san si levò il cappotto e, in barba al clima invernale, me lo pose addosso, issandomi in piedi e continuando a muovere le labbra nel suo muto monologo. Smarrita, mi guardavo attorno, cercando di capire cosa stesse accadendo. L'unica certezza stava nella salda presa del braccio dell'Uchiwa, a cui mi stavo aggrappando disperata.

Ero ... rintronata, ecco. Come se mi avessero sbatacchiato dentro una campana.

Pertanto, non m'accorsi subito dello squillo del cellulare. Fu Itachi-san ad estrarmi l'apparecchio dalla tasca del cappotto, mostrandomi insistente il numero apparso sullo schermo, quasi mi stesse domandando il permesso di rispondere al posto mio.

Sasuke mi stava telefonando. La nona chiamata.

Feci per replicare, ma, al posto d'un semplice , dalla mia bocca fuoriuscì un'agghiacciante sequela di grida e singhiozzi.

Presi a pugni il petto d'Itachi-san, letteralmente fuori di me.

Non m'accorsi di quel che mi diceva o di quel che gli ululai. Fino all'ultimo non seppi  neppure che mi stava nel frattempo conducendo a casa sua.

 

 

~~~

 

 

 

Il tragitto dall'incrocio all'abitazione degli Uchiwa avvenne similmente ad una trance: di fatti, serbo ricordi molto sfocati. Di sicuro mi sfogai contro la persona d'Itachi-san, sorreggendomi tuttavia ad essa, timorosa di cadere, non fidandomi appunto della saldezza delle mie gambe assai incerte. L'espressione del chirurgo doveva essere stata molto seria e determinata, giacché nessuno dei suoi familiari ci disturbò con domande. Venni accompagnata dolcemente fino alla camera degli ospiti, là dove Itachi-san mi squadrò per bene, assicurandosi che non riportassi lesioni gravi. Dopodiché, portatomi da bere qualcosa di caldo, mi consigliò di coricarmi un poco.

Piombai in un sonno da morto.

Al mio risveglio s'era già fatto buio. Avevo presumibilmente dormito fin quasi alle quattro e mezza del pomeriggio, se non di più: a quanto pareva, la mia cognizione del tempo era andata a farsi benedire. La mia fame no, come mi suggerì invece l'offeso grugnito del mio stomaco.

Lentamente mi puntellai sui gomiti, socchiudendo gli occhi onde evitare che le vertigini mi provocassero l'ennesima nausea. Non appena mi giudicai abbastanza lucida da non svenire di nuovo e di manovrare discretamente il mio corpo, mi posi seduta, sbadigliando alla stregua d'un ippopotamo. Avevo dormito infatti malissimo.

Un rumore di passi attirò la mia attenzione, specie quando questi si fermarono dietro alla mia porta. I loro proprietari bisbigliavano circospetti tra di loro, tuttavia intuii lo stesso trattarsi di Mikoto-san e di suo figlio, da poco rientrato dalla clinica e subito accorso ad informarsi sul mio stato di salute.

"E' stata la mano di Kami-sama ad averti portato a quell'incrocio!", sussurrò turbata la donna. "Davvero, se stamattina tu non ti fossi recato alle poste prima di timbrare il cartellino ... Oh, Maria-sama! Non oso immaginare come avrebbe reagito il povero Sacchan alla notizia! La sua morte l'avrebbe devastato!"

"Adesso non esagerare, Kaa-san. Non nego che sia stata una fortuna, però il guidatore aveva già scorto Naruko-chan da lontano e aveva frenato, quando l'ho portata in salvo sul marciapiede!"

"Ma cos'è successo realmente?"

"Naruko-chan era caduta in mezzo alla strada e non accennava a rialzarsi. Ho controllato eventuali distorsioni o fratture, ma non presentava alcuna lesione. Era semplicemente paralizzata, presumibilmente dalla paura. Quando è rivenuta era sotto shock, ha preso a piangere e a colpirmi."

"Perché non l'hai portata al pronto soccorso?"

"Non ha voluto, anzi, ha urlato che si sarebbe buttata giù dalla finestra, in caso avessi chiamato un'ambulanza!"

Corrugai fronte, sconcertata. Davvero avevo detto questo? Cielo, chissà come debbo averlo spaventato! E cosa avrà pensato di me?! Una pazza, figurarsi!

Da dietro la porta udii Mikoto-san sospirare affranta.

"Ita-kun, secondo te, dovremmo informare Sacchan di questo? Sono seriamente preoccupata per quella ragazza. Non ... il suo atteggiamento non è normale! Qualcosa non va in lei, è evidente!"

"Per il momento sarebbe consigliabile lasciare fuori Sas'ke-kun da questa storia. Sai come s'agita non appena si menziona Naruko-chan, sarebbe capace di correre fin qui a piedi da Nagasaki! Inoltre, potrei sbagliarmi, però lei ha avuto una crisi isterica proprio quando ha visto sullo schermo del suo cellulare il numero di mio fratello. Lì per lì ho pensato ad uno scoppio ritardato dello shock, ma poi ... non noti anche tu come Naruko-chan impallidisca o cambi velocemente discorso, ogniqualvolta si menziona il nome del  mio otōto?"

"Certamente, come poteva sfuggirmi? E vorrei che la piccina si sbottonasse con me, liberandosi di qualsiasi fardello essa stia portando. Sicuro, che è accaduto qualcosa tra loro due, mi ci gioco la testa!"

"Possibile. Tuttavia, è un affare privato, che riguarda soltanto mio fratello e Naruko-chan e noi non dobbiamo assolutamente immischiarci!"

"Ma avrai i tuoi sospetti, vero?"

"Sì, ma come detto prima, non ci concerne!"

"Umphf,  se la poverina versa in questo pietoso stato d'agitazione per colpa di Sacchan ... Guarda, giuro che gli cambio i connotati a furia di sberle!"

"Kaa-san ..."

"Embé, scusa! Per una volta che mi porta a casa una brava ragazza, poi me la strapazza così? Mica va bene! Che razza di barbaro ho allevato, sennò?"

"Kaa-san, dai, andiamo a preparare la merenda per i bambini ..."

"Se soltanto Sacchan si decidesse a sposarla ... Morirei felice ..."

"Kaa-san, per favore ..."

"Eh, ma che rompipalle che sei! Non mi permetti manco più di fantasticare un poco? Non diventarmi mica come la buonanima di tuo padre, sai? O mi chiudo in convento! Non scherzo!"

Itachi-san non replicò, limitandosi a ridacchiare indulgente, dirottando la borbottante genitrice verso la cucina finché non li persi definitivamente dal mio campo uditivo.

Mi massaggiai la radice del naso: e così il mio atteggiamento non era passato inosservato, istillando anzi il dubbio nella famiglia di Sasuke circa la nostra relazione. Stranamente, Mikoto-san pareva più propensa a colpevolizzare il figlio al posto della sottoscritta, provocandomi un feroce rossore per quell'ingiustizia poiché l'unica da biasimare ero io. Itachi-san, al contrario, doveva aver capito tutto e malgrado ciò s'ostinava a non interferire. Avrebbe potuto parlarmene, tentare di dissuadermi o informare il suo otōto. Invece taceva, preferendo lasciarci la libertà di discuterne assieme, Sasuke ed io.  Come una coppia. Discutere? No, io avevo già preso la mia decisione, non c'era nulla su cui discutere! Nulla!

Barcollai fuori dalla stanza, risoluta a non abusare oltre dell'ospitalità degli Uchiwa. Sennonché venni catturata dai due pestiferi marmocchi, che mi avevano fino a quel momento aspettata ben celati nel loro nascondiglio segreto.

"Ti sei svegliata! Ti sei svegliata!", esultarono in coro, saltando peggio di scimmie sotto caffeina. "Sei davvero qui! Allora Tenmaku-nii non ci stava raccontando balle!"

"Io, contrariamente a voi due, non racconto mai balle!", s'intromise il sopramenzionato fratello maggiore, uscendo inviperito dalla sua stanza e raggiungendoci, le braccia poste bellicosamente sui fianchi. Per uno cui avevano asportato l'appendice d'emergenza, pareva pieno d'energie.

Rispetto ai suoi fratelli minori, Tenmaku-kun assomigliava in maniera impressionante alla madre, coi suoi ricci ribelli e gli occhi scuri grandi ed espressivi, dalle ciglia lunghe quasi femminee. Aveva dodici anni però la sua aria matura e autorevole - senza dubbio ben coltivata dal suo ruolo di oniisan - lo invecchiava di almeno due o tre anni, per il sommo chagrin del padre che l'avrebbe preferito più bambino. Similmente allo zio Sasuke e al nonno Fugaku-san, anche lui tendeva a manifestare un carattere sostanzialmente saturnino, tranne quando gli giravano i famosi cinque minuti, in cui si prevedeva l'eruzione vulcanica-collerica tipica degli Uchiwa. Esattamente come in quel momento.

"Naruko-nee, non vieni a giocare con noi a Tōryanse, tōryanse?"

Rabbrividii al sentir menzionata quella canzoncina, associandola rapidamente all'incidente. E al bambino col mantello blu.

"Ovvio che no!", mi salvò Tenmaku-kun in extremis. "Naruko-san ha avuto un malore, ergo si deve riposare!"

Prima che i due pargoli avessero l'occasione di protestare, Mikoto-san ci chiamò per la merenda. Irrimediabilmente prigioniera dei mini-Uchiwa, rinunciai ad ogni tentativo di fuga e mi lasciai trascinare fino alla tavola.

"Che bello rivederti così presto, Naruko- ojōsan", mi salutò l'anziano Hikaku-san, raggomitolato come un gatto sotto la sua coperta. Arrossii fino alla punta delle orecchie al sentirmi dare della "figlia" (seppure di un altro: se avesse usato "musume", cioè figlia nostra, sarei schiattata sul colpo, altroché!). A complicare la mia già precaria situazione, s'aggiunse anche il divertito risolino d'Itachi-san. Se non era una carogna, quell'uomo! Si divertiva a torturarmi colle sue allusioni! Si capiva adesso perché si trovasse bene con Menma-nii: similis cum similibus, tzé!

"A proposito", dirottai altrove il discorso. "Mikoto-san, ancora non m'ha detto il motivo del suo rientro anticipato da Akita. Sasuke aveva parlato di un ritiro spirituale lungo due o tre settimane!"

"Lo so", ammise la donna, sospirando melodrammatica mentre appoggiava il vassoio sul tavolino. "Però dopo aver appreso del ricovero di Ten-kun, non potevo rimanermene lì senza far niente. Insomma, già Sacchan, ehm, Sasuke era stato così gentile da offrirsi volontario per badare qualche giorno ai bambini, poi doveva partecipare a quel congresso e non potevamo chiedergli di rinunciarvi. Sicché ne ho discusso col mio padre spirituale e lui m'ha confermato che sì, certamente pregare è giusto, ma altrettanto fondanti sono le opere pie. Dunque, eccomi qua!"

"Secondo me, avresti fatto meglio a startene ad Akita!", commentò spassionatamente il bisnonno, guadagnandosi un'occhiataccia velenosa da parte della nuora per il divertimento dei bisnipoti, che sghignazzarono impuniti. "Tu e Shishi-musume vi beccate come galline!"

"Chichi, hai per caso dimenticato di prendere le pastiglie?"

Traduzione: chiudi il becco o altro!

"Nah, oramai a che vuoi che mi servano! Fra meno d'un anno sarò al cospetto di Kami-sama!", disse e una densa aria carica di mestizia e rassegnazione calò sulla stanza. In particolare, i bambini parvero i più affetti dalla triste costatazione, che molto presto il loro bisnonno li avrebbe lasciati per sempre. Alla veneranda (e incredibile) età di centootto anni, ogni giorno, ogni ora corrispondeva ad un dono del loro Kami-sama.

"Non dica questo, Hikaku-san", esclamai, soffocando il groppo in gola formatomisi. "Lei vivrà ancora per anni!"

L'anziano patriarca mi sorrise indulgente, certo della smentita. I suoi occhi velati si posarono su di me, teneri e rassicuranti. E un pizzico malandrini. "Non ti preoccupare, figliola! Kami-sama mi concederà di non tirare le cuoia fintanto che non avrò visto nascere i miei due bisnipoti!"

Spalancai incredula gli occhi. Come accidenti ...?

"Sul serio Iesu-sama ti parla, hiijiji?", inquisì altrettanto stupefatto Kiyoaki-kun.

"Sicuro, da quando mi salvò da ambedue le guerre!", dichiarò serissimo l'ultracentenario. Se non lo conoscessi a fondo, l'avrei tacciato del peggior caso di demenza senile dell'intero Giappone.

"Avremo quindi due sorelline?", lo incalzò Saeko-chan.

Tenmaku-kun s'esibì in una smorfia esasperata. "Speriamo di no, altrimenti siamo fregati!", borbottò.

"Il dottore non ha accennato a dei gemelli ...", si rivolse invece Mikoto-san al figlio, il solo a non aver perduto la calma dinanzi a quell'affermazione piuttosto ... profetica.

"Talvolta un gemello si nasconde dietro l'altro e sfugge all'ecografia fino all'ultimo", suggerì egli la sua teoria, seguitando però a guardarmi intensamente. "Capita."

Deglutii penosamente.

"Ma ..."

Il pesante rumore della porta scorrevole interruppe l'obiezione di Mikoto-san.

"Sono a casa!", udimmo una chiara voce femminile provenire dall'entrata. Immediatamente, Saeko-chan e Kiyoaki-kun abbandonarono i loro posti, correndo incontro alla madre. Itachi-san li imitò ben presto.

Memore del nostro incontro il giorno precedente, mi apprestai a battere in ritirata, adducendo una qualunque scusa pur di svignarmela. Se dapprincipio mi sentivo un poco a disagio, adesso che Shisui-san era rientrata, l'ansia mi rodeva lo stomaco.

"Mikoto-san, temo di dover andare ... si è fatto tardi e ...", ma la donna non mi badò, voltando subito il capo non appena la nuora entrò nella stanza.

"Ah, eccoti qua finalmente! Il tea si stava raffreddando!"

Tra le braccia di suo marito, Shisui-san s'irrigidì al solo scorgermi e il sorriso le morì sulle labbra. Il petto ansante s'alzava e abbassava forsennatamente. Tremando impercettibilmente, s'esibì in un buffo movimento che tradiva la sua indecisione se indietreggiare o proseguire per il corridoio. Nondimeno, mai aveva smesso di fissarmi coi suoi occhi scuri, grandi e spalancati, come se ella vedesse ciò che sfuggiva agli altri.

Ciò cui anch'io potevo assistere.  

E questo segreto condiviso ci rendeva complici e al contempo sospettose l'una dell'altra. Ciononostante, non comprendevo in quale maniera Shisui-san avesse acquisito la facoltà di visualizzare quella presenza, quando io per prima non mi capacitavo del motivo di quella persecuzione. Desideravo moltissimo poterne discutere a riguardo, però dalla postura rigida e sulla difensiva della donna appurai, che mi sarebbe stato impossibile cavarle la benché minima informazione.

Che diamine!

"Shisui-musume, come sta tua madre?", ruppe il ghiaccio Hikaku-san, facendole segno di accomodarsi accanto a lui. A malincuore la donna esaudì la sua richiesta, poiché significava doversi sedere vicino a me.

"Molto bene, Hikaku-ojisan. Ti manda i suoi saluti!"

Hitomi-san, oltre ad essere la madre di Shisui-san, era la cugina seconda di Hikaku-san, figlia di un suo cugino primo emigrato in Perù in cerca di fortuna. Suo "zio" l'aveva accolta in casa alla fine della Seconda Guerra Mondiale, poiché l'unica sopravvissuta della sua famiglia, dopo che il governo peruviano aveva ceduto all'alleato americano tutti gli immigrati e oriundi giapponesi, deportandoli in massa negli infernali campi di detenzione sparsi  lungo la West Coast. Hitomi-san, una nisei o seconda generazione, venne separata dai genitori, entrambi issei, e ciò le risparmiò il dolore di vederli morire o di malattia o per i maltrattamenti subìti. Non lo seppe mai né si curò si conoscere la causa del loro decesso. In ogni modo, Hikaku-san l'aveva cercata e aveva ottenuto il suo affidamento. Non la voleva sapere in un orfanotrofio peruviano, men che meno yankee. Così la ragazzina ritornò nella sua patria d'origine, di cui nulla sapeva e che per colpa della quale era stata crudelmente perseguitata. Hitomi-san non superò mai il suo trauma, rendendo amara la vita sua e degli altri, dello "zio" specialmente, vai a sapere perché. Una volta maggiorenne scappò di casa, ricomparendo brevemente per scaricare la neonata Shisui-san ad Hikaku-san, sparendo di nuovo per anni. Così l'anziano patriarca dovette rassegnarsi a crescere la cugina terza assieme ai suoi nipoti, grato della posatezza e fortitudo morale dimostrate da quest'ultima. Soltanto di recente, Hitomi-san pareva aver trovato un certo equilibrio interiore, continuando però a vivere alla stregua d'una reclusa e rifiutandosi di frequentare chicchessia. La figlia, evidentemente, era l'eccezione che confermava la regola.

"Perché mi hai tenuto nascosto, che ti recavi in visita da tua madre?", la rimproverò velatamente Itachi-san. "Ti avrei accompagnato, non mi va che prendi da sola l'autobus! Non nelle tue condizioni!"

"Muovermi di tanto in tanto giova alla bambina! Eppoi, la gravidanza non fa di me un'invalida!", ribatté tenace eppure amabile sua moglie.

"In ogni modo, devi considerare che le strade sono ricoperte di neve e di ghiaccio! Pensa a cosa potrebbe accadere a te e alla piccina, in caso scivolassi!"

Avendo origliato inavvertitamente la conversazione tra lui e mio fratello, in realtà capivo molto bene il vero motivo dietro la paranoica protettività d'Itachi-san nei confronti della sua tsuma.

Shisui-san gli tappettò discretamente il polso con la punta delle dita, segno che la conversazione finiva lì. Il suo consorte storse la bocca imbronciato, ma non insistette oltre. Non poteva palesarsi meglio il grande ascendente, che la moglie esercitava sul marito. Ed io che avevo stoltamente creduto, che lei l'avesse sposato in segno di gratitudine per le cure ricevute dallo "zio" o per la pietà suscitata nel cugino di terzo grado. Itachi-san era seriamente innamorato perso della sua tsuma, lo si leggeva negli occhi, dal modo in cui seguiva ogni suo movimento, contemplandola perfino quando respirava.

Conoscevo bene quello sguardo. Quante volte Sasuke me l'aveva offerto, permettendo di specchiarmici? Ai nostri primi appuntamenti mi spiava sotto le ciglia con tale amorevolezza, da chiedermi cosa ci trovasse di prezioso in me. Mi aveva corteggiata con calma, senza fretta e al contempo persistente, impedendomi la ritirata. Non come quegli sciocchi arrapati dei miei coetanei, che mi consideravano alla stregua d'una vagina pensante. D'accordo, Niisan mi aveva sempre punzecchiata, sostenendo che considerata la mia mentalità "antiquata" mi sarei giocoforza presa un uomo più vecchio di me (mica un matusa, eh!, tra Sasuke e me ci separavano nove anni); tuttavia non avevo colpa se mi prudevano le mani, quando intravedevo la lussuria negli occhi di coloro con cui uscivo. Perché non vedevano me, bensì il mio corpo. Nudo, se possibile. Lo trovavo disgustoso. Similmente, mi veniva voglia di sputarli in faccia quando, udendo Scusa, ma non sono una di quelle che te la dà al primo appuntamento, vi leggevo la cocente delusione. Ancora ridevo al ricordo delle espressioni sconvolte/scandalizzate di Sakura-chan e Ino-chan, il giorno in cui le rivelai come fossi andata a letto con Sasuke sei mesi dopo esserci messi ufficialmente insieme.

Inutile negarlo: Sasuke m'adorava, mi rispettava, spesso lo sentivo fantasticare assieme al fratello su di un nostro futuro.

Mi accarezzai furtivamente il ventre, ripensando alle parole di Menma.

 Il mio meco m'avrebbe di nuovo guardata pieno d'amore, se avesse scoperto il mio progetto? O meglio, il risultato della mia decisione, presa senza consultarlo? In fin dei conti, una parte di responsabilità ce l'aveva anche lui ... Lo amavo, sì, lo amavo più di me stessa e ciononostante rabbrividivo all'idea di legarmi a Sasuke per sempre. Perché? Per motivi religiosi? Già di mio ero poco praticante, non mi avrebbe fatto né caldo né freddo cambiare religione, però ... Non potevo fingere. Questi cristiani di frontiera praticavano con fervore la loro fede, contrariamente alla tiepidezza e laissez-faire dei loro correligionari europei, che da secoli non sperimentavano più discriminazioni né persecuzioni. Per quanto gli Uchiwa non appartenessero alla categoria dei bigotti, anzi l'avermi accolta testimoniava la loro apertura mentale, comunque ad un certo punto avrebbero preteso una mia decisione. Sasuke poteva sposarmi col rito civile, ma ... i figli? A quale credo sarebbero stati allevati? Avrei interpretato la parte dell'egoista, in caso avessi screditato ulteriormente Sasuke davanti alla sua comunità. Sposato senza la benedizione della chiesa. I figli non battezzati. A me non importava niente, però sarei stata crudele a negargli i riti con cui lui era cresciuto, per cui i suoi antenati avevano affrontato coraggiosamente il martirio.

Egoista, stupida carogna!

"Itachi ha ragione, tesoro", puntualizzò Mikoto-san, porgendo alla nuora una tazza di tea. "Considera che non hai più la stessa età di quando hai avuto Ten-kun! Devi prestare attenzione, o potresti ...", e lì si trattenne, spiando furtivamente i nipoti con la coda dell'occhio "... farti male", terminò, evitando la parola tabù, che avrebbe turbato quelle giovanissime testoline, già di loro tristi per la dipartita del nonno Fugaku-san.

"Come Naruko-nee!", cinguettò Saeko-chan, servendosi dell'ennesimo biscotto.

Shisui-san per poco non si soffocò con la bevanda, tossendo rumorosamente e chiazzandosi il viso di macchie rossastre. Itachi-san, velocissimo, le batté vigorosamente dietro la schiena, porgendole un fazzoletto acciocché si asciugasse gli occhi umidi.

"Come, prego?", gracchiò.

"Essì mama, Naruko-nee è scivolata oggi sulle strisce pedonali!", spifferò la bambina tutto d'un fiato alla madre. "Se non fosse stato per papa, la macchina l'avrete schiacciata ... così: splat!" e batté perfino il palmo della mano sul tavolo, facendo tremare le tazze e i piatti.

"Saeko-chan!", la riprese severo il padre, riservandole l'occhiataccia.

"Ma è vero!", corse Kiyoaki-kun cavallerescamente in sua difesa. "Tenmaku-nii ha detto che piangeva ... piangeva ..." e guardò il fratello maggiore in cerca del vocabolo, che la sua lingua cinquenne non riusciva a pronunciare.

"Esagitata", gli suggerì il suo Oniisan sottovoce.

"Esagitata, sì! Piangeva esagitata quando papa l'ha portata qui!", concluse.

"Di sicuro Naruko-chan è caduta per via del ghiaccio", fu la spiegazione meno tragica di Itachi-san alla moglie, che seguitava ad ascoltare la vicenda al limite dello sconcerto. "E lo spavento l'ha stordita, impedendole di rialzarsi. L'ho soltanto aiutata a scansarsi, la vettura s'era già fermata. Vero, Naruko-chan?"

"Verissimo!", convenni energica, sperando di far ritornare un po' di colore nelle gote smunte di una sempre più inquieta Shisui-san. "Non è successo nulla di che."

"Allora, perché ti sei rifiutata di giocare a Tōryanse, tōryanse coi miei fratellini?", mi domandò Tenmaku-kun di bruciapelo, studiandomi con la medesima intensità di suo zio, quando voleva ad ogni costo cavarmi fuori di bocca la verità.

"Tenmaku, lasciala in pace!", lo avvertì perentorio il suo Otōsan.

Testardo, il ragazzino proseguì. "Se non erro, la canzoncina che si sente al semaforo è appunto Tōryanse, tōryanse. Ti sei irrigidita quando Sae-chan e Kiyo-kun l'hanno menzionata. Tipico caso di un nascente PTSD!"

Annaspai in cerca di una spiegazione, assolutamente impreparata dinanzi allo spirito d'osservazione, collegamento e deduzione di quel marmocchio. Non per niente quel piccolo sacripante era il primo della classe; non si comportava come un adulto, ragionava pure come tale! Diamine!

"Tōryanse, tōryanse, hai detto?", s'inserì inaspettatamente il bisnonno, uscendo dai suoi pseudo-torpori e catturando l'attenzione dei bisnipoti. Sospirai sollevata. Tenmaku-kun si beccò a mo' di punizione uno scappellotto da parte del padre. "Naturale che a Naruko- ojōsan non piaccia. Si tratta di una triste canzoncina, anzi, paurosa!"

I visetti ancora paffuti dei più piccoli s'illuminarono deliziati dall'aspettativa. Perfino Tenmaku-kun aveva abbandonato la sua espressione seria per una più infantilmente curiosa. Itachi-san e Mikoto-san, invece, ascoltavano benevoli ma non particolarmente interessati. Quanto alla sottoscritta e a Shisui-san, attendavamo apprensive il racconto dell'anziano patriarca.

"Perché, hiijiji?"

Raddrizzando un poco la sua curva e fragile figura, l'uomo s'inumidì le labbra avvizzite, incominciando il suo racconto: "Molto tempo fa, c'era della gente talmente povera che non poteva permettersi neppure una ciotola di riso. Non avendo quindi nulla con cui sfamare i propri figlioli, gli sfortunati genitori spesso decidevano di sopprimerli, piuttosto di vederli morire di fame! Tōryanse, tōryanse è la triste canzone di quelle madri sventurate che accompagnavano i loro figlioletti nella foresta per lì ucciderli!"

La nuora sobbalzò allarmata. "Chichi! Non credo che siano storie da narrare ai bambini!"

"Uhm?"

"Quindi, hiijiji, per questo motivo la filastrocca canta L'andata è facile, il ritorno fa paura?"

Il bisnonno annuì enigmatico. "Ma ahimè, non si riferisce ai poveri piccini assassinati!"

"No? E a chi?", lo spronarono i bisnipoti, avidi di conoscere la fine della storia.

"Alla madri", sentenziò solenne l'uomo. "A quelle sciagurate madri che tornavano dalla foresta. Da sole!", proseguì, guardandoci severo uno alla volta. "O così esse credevano", aggiunse malizioso, squadrando Shisui-san, la quale non osava neppure respirare. "In realtà, si erano sbarazzate solamente del resti mortali dei figlioletti, poiché il loro spirito sarebbe rimasto invece con loro ...", e guardò infine me con estrema serietà "... per sempre!"

Un sinistro silenzio calò sulla stanza, gelandoci tutti sul posto. Nessuno s'azzardò a fiatare alcunché, né ad accennare un qualsivoglia movimento.

Trasalimmo violentemente - Mikoto-san cacciò perfino un urletto - quando il telefono squillò all'improvviso.

"Non è che adesso moriamo fra sette giorni?", sussurrò preoccupata Saeko-chan all'orecchio del fratello maggiore, che sbuffò il suo evidente scetticismo.

Senza degnarsi di disciplinare la pargola, Itachi-san si diresse verso il telefono, rispondendo con voce leggermente instabile. "Moshi moshi?" Il suo viso si rilassò notevolmente non appena scoprì l'identità del mittente di quella chiamata. "Otōto! ... Che piacere sentirti! ... Come? Ah no, no, sto bene ... E' il nonno ... sì, ci stava raccontando una delle sue storie dell'orrore ... Non giocare al  figo, te la saresti fatta addosso anche tu, il vecchio ci sa fare ... un attore nato ... Come? Naruko-chan?" e, coprendo il ricevitore, mi domandò col labiale: Vuoi che te lo passi? Gli feci concitatamente segno di no col capo. "Sì, l'ho vista brevemente ieri pomeriggio ... Sì, sì sta bene per quello ... Non so perché non ti risponde, che sono, la vostra balia? ... No, tu te ne resti lì a Nagasaki! ... No, non ... Sasuke! Non fare il testardo! ... Naruko-chan ha ventun anni, se la sa cavare da sola, è una donna adulta! ... Uffa, che ... Sì, se la vedo le riferisco di telefonarti ... D'accordo ... Stammi bene ...", e riattaccò. "Che tipo ansioso!", commentò tra sé e sé, massaggiandosi le tempie.

"Cosa voleva Sasuke-ojiisan?", inquisì subito Saeko-chan.

"Niente d'importante. Vi saluta tutti e dice che tornerà questo venerdì come previsto!", riassunse conciso Itachi-san, glissando su molti particolari. Dopodiché, controllando l'orologio, mi domandò: "Sono le sei meno cinque, Naruko-chan, ho promesso a Minato-shi di riportarti a casa per le sei e venti. Te la senti di camminare o andiamo in macchina?"

Il suo tono d'un tratto allegro e pragmatico mi frastornò per qualche manciata di secondi. "Un po' d'aria fresca mi farà bene!", affermai in fretta, rimettendomi in piedi.

"Vado a prenderti il cappotto!", esclamò con forzata solerzia Shisui-san, uscendo dalla stanza con inaudita rapidità.

"Ma che le piglia?", arcuò il sopracciglio Mikoto-san, interdetta dal comportamento della nuora.

Il bisnonno fece spallucce. "Ormoni di donna gravida", disse, punzecchiando dispettoso il fianco di Kiyoaki-kun, che gli rispose con una regale linguaccia.

Una volta finalmente soli all'ingresso, mi sentii in dovere di ringraziare Itachi-san per la sua premura e generosa ospitalità.

"Figurati", liquidò egli la questione, come se agisse così con chiunque s'imbattesse a Konoha. "E' bello aggiungere una tacca alla lista dei favori, che Menma e Sasuke mi debbono contraccambiare!", scherzò poi perfido, facendomi l'occhiolino.

Sorridemmo complici e forse per quest'empatia tentai di confidarmi con lui, sperando di togliermi quell'atroce peso dal cuore.

"Itachi-san ...", esordii, sperando di non suonare troppo pateticamente disperata.

Ma il chirurgo mi zittì con un deciso gesto della mano. "No", mi prevenne dal parlare. "Puoi comunque fidarti di me, non lo rivelerò ad anima viva. Nondimeno, Sasuke ha il diritto di sapere. Ammesso che ..." e qui le sue iridi scure rifulsero di un bagliore scarlatto "... la responsabilità sia sul serio anche sua."

"Non mentirei a riguardo. Men che meno con te."

"Questo mi basta", addolcì Itachi-san lo sguardo, appoggiandomi una mano sulla spalla. "Andrà tutto bene, Naruko-chan."

"Non lo so più!", tirai su col naso, scansandomi la frangia dagli occhi. "Non so più che pesci pigliare ..."

"Confidati con Sasuke, non escluderlo! Che poi ... d'accordo, sotto certi aspetti si comporta da pirla, ma non tanto scemo da non accorgersi che stai soffrendo e lo fai stare peggio quando gli tieni nascoste le cose! Non è così rigido come pensi, sai?"

Annuii poco convinta.

"Su, via quelle lacrime!", mi porse Itachi-san un fazzoletto.  "Soffiati il naso, infilati le scarpe, andiamo a casa, ceni, ti fai un bel bagno rilassante e dormi. E domani ti parrà ogni cosa più chiara, sì?", m'incoraggiò, accarezzandomi il capo. "Ti aspetto fuori, va bene? Non metterci troppo, o tuo padre fa piangere me! E ne è capacissimo!"

Non potei trattenermi dal ridacchiare all'idea. Soddisfatto dell'esito ottenuto dalla sua battuta, Itachi-san uscì dall'abitazione.

Mi sedetti pesantemente sul gradino di legno dell'ingresso, rimuginando su quando di recente dettomi e accadutomi. Il seme del dubbio stava maturando in me: forse sì, forse stavo sbagliando tutto ... forse mi stavo lasciando guidare dalle mie paure e non dal mio amore verso il mio fidanzato ... forse ...

Il cappotto mi comparì improvvisamente davanti al naso.

"Scusami se ci ho impiegato tanto. L'ho cercato erroneamente nella stanza di Sasuke-kun", si coprì Shisui-san il capo di ceneri, rimanendo tuttavia a debita distanza dalla sottoscritta, neanche temesse che le attaccassi la varicella.

"Non importa, grazie ugualmente", dissi, afferrando l'indumento, che contemplai in silenzio per qualche minuto, prima di voltarmi verso di lei. "Shisui-san ... qualsiasi cosa tu ... tu abbia visto ... voglio che tu sappia che non è colpa mia!", ci tenni a precisare, incapace di sopportare oltre il suo sguardo.

La donna si fermò, dandomi le spalle, dalla cui tensione appurai quanto rimanere nella medesima stanza le stesse costando parecchio del suo autocontrollo.

O peggio.

Come se si stesse trattenendo dal dirmi qualcosa.

Ma cosa?

Infine, Shisui-san si voltò di scatto, sedendosi accanto a me, un'espressione determinata sul viso cinereo. "Tenmaku-kun affermava dunque il vero? Sei svenuta in mezzo alla strada? All'incrocio?"

Corrugai confusa la fronte, chiedendomi dove volesse condurmi col suo ragionamento. "Sì, non mentiva ... Però non sono svenuta: al contrario ero cosciente, malgrado le iniziali vertigini!", specificai, sperando di chiarire.

"E dimmi ... hai avuto la sensazione che qualcosa ti stesse afferrando per la caviglia?"

Sbiancai.

"Come fai a saperlo?", boccheggiai sbigottita, la gola subitaneamente secca.

Shisui-san non mi badò, allungando invece la mano sul bordo dei miei jeans. "Questa caviglia?"

"S-sì ..."

La donna sollevò lentamente l'indumento, denudando la pelle sottostante.

Sulla mia caviglia scoperta s'intravedevano dei lividi.

Congiungendoli, formavano cinque dita.

Una mano.

Una mano piccina ma forte, tanto da tenermi ferma con la forza e vanificare ogni mio disperato tentativo di liberarmi dalla sua presa ferrea.

Era la mano di un bambino.

 

 

 

***

 

 

 

"C'è qualcosa che non va, Gengetsu-san? Ho come l'impressione che la storia non le stia piacendo."

L'editore , preso di contropiede dall'impertinente schiettezza di quella domanda, si massaggiò incerto il collo. "Ecco ... non saprei come spiegarglielo senza che s'arrabbi, Tobirama-sensei, ma ... non so ... perfino io ho capito che Naruko ..."

"Se lei pensa che io abbia speso le scorse tre settimane a concepire una storia atta al banale intrattenimento dei lettori, beh, allora lei non ha capito un bel niente né dello scopo ultimo di quest'opera né della natura del mio mestiere: scrivo horror non gialli, è diverso!", l'interruppe Tobirama con spaventosa glacialità. "E se mi punzecchia ancora con ulteriori baggianate, può scordarsi l'intervista!"

Dinanzi a quel palese ricatto, il volto già palliduccio dell'editore Hōzuki divenne più grigiognolo della neve sporca. "Non mi faccia del bullismo, Tobirama-sensei! Si controlli!"

"Posso sottoporla a ben di peggio che a del bullismo, caro il mio editore!", strinse gli occhi l'horror writer, abbozzando ad un sorriso carnivoro. "Così diamo credito alle voci, che gli albini equivalgono al male personificato!", e rise appunto con perfido gusto per rafforzare il concetto.

Dal canto suo l'uomo ritenne assai più ragionevole non stuzzicare oltre gli umori maligni dell'horror writer; già quell'altro Yōkai (al secolo Izuna) lo aveva assassinato tre volte di fila con lo sguardo per aver ceduto alla lusinga della tanto agognata intervista, invece di allearsi con lui per far desistere Tobirama dalla sua idea. Figurarsi se ci si metteva pure detta e assodata peste bubbonica a rendergli impossibile la vita. No, meglio non aprire bocca e sopportare in silenzio.

"Piuttosto, sensei, ancora non m'ha indicato un nome per l'intervista! Ha delle preferenze in particolare o posso scegliere io il o la giornalista?"

"Se la sbrogli lei, mi fido del suo giudizio. Purché non mi porti un cretino!", fece spallucce Tobirama, servendosi una tazza di tea.

"Uhm ... una donna, magari? Viste e considerate le tematiche trattate ...", suggerì Hōzuki Gengetsu, studiando attentamente i lineamenti dell'horror writer, che di nuovo rispose con estrema noncuranza:

"Se proprio insiste."

L'editore annuì, seguitando a scorrere meditabondo i primi capitoli del manoscritto. In tutta onestà non riusciva a comprendere quel voler mettere -quasi - subito le carte in tavola da parte di Tobirama: sapeva, infatti, quanto amasse stupire il lettore con impensabili colpi di scena. Qual era il suo vero obiettivo?

"Non dico che non sia bello, perché lo è. Davvero", confessò infine l'uomo, infilando nella cartellina i fogli. "Semplicemente, si discosta molto dal suo marchio di fabbrica, ecco."

"Mi condanna per questo?"

"Per carità! Si trattava, la mia, di un'innocua osservazione. Lei conosce bene quanto poco positivamente i lettori reagiscano ai cambiamenti. Inoltre, noto che lei descrive amaramente salace alcuni aspetti della nostra società, forse un po' troppo per essere giapponese ..."

Tobirama sogghignò birbante. "Dice? Curioso!"

"Cosa, prego?"

"M'hanno bollato come scherzo della natura, m'hanno bollato come fuori di testa, ma nessuno m'ha mai bollato come giapponese. Devo considerarlo un buon segno?"

 Gengetsu sbuffò esasperato. "Io ci rinuncio! Mi domando come faccia il suo partner a sopportarla!"

"Mi sopporta, mi sopporta", lo rassicurò l'horror writer, fissando l'altro di traverso e sornionamente. "Abbiamo finito?"

"Ah, no! Questa volta non mi scappa, sensei!", s'impuntò l'editore. Poiché gli aveva concesso un'intervista, avrebbe fatto ballare quella testa matta alla sua musica, costasse quel che costasse! E quel favore glielo doveva proprio, dannazione! "Lei m'assicura che questa storia sia tratta da vicende realmente accadute?"

"Uffa, sì! Che noia! Quante volte glielo devo ripetere?!"

"Quindi mi conferma che Naruko Namikaze esiste davvero? D'accordo, Konoha è un luogo fittizio e questo lo reputo assolutamente giustificabile, ma la protagonista è sul serio una persona in carne ed ossa?"

"Certo!"

"Quindi", gli occhi neri di Gengetsu s'allargarono pieni di speranza e di visioni di yen sonanti, "la porterà all'intervista?"

Fu il turno di Tobirama d'allargare la bocca in un osceno e insano ghigno.

"Ovvio!", rispose.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued ...

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Il personaggio di Hikaku è ispirato alla mia tenace pro-prozia, deceduta alla veneranda età di centoquattro anni. Come lui, anche lei era un tipetto ostinato e allegro, piena di voglia di vivere e dispettosa peggio di una scimmia. Pace all'anima sua.

Molto probabilmente, leggendo, vi sarete detti quanto Naruko sia logorroica. Beh, per coloro che hanno letto i manga Shōjo (ma con la S maiuscola) di sicuro ad un certo punto ci siamo resi conto di quante pippe mentali si facessero i protagonisti. Tanto che alla fine non contestavamo più, lasciando trasportare passivamente dagli eventi! Della serie Vabbè, prima o poi si metteranno assieme!

Ora non so bene la storia del DNA, però mi pare che i test sulla paternità dei bambini non fossero così precisi come oggigiorno. Ecco perché non li ho menzionati ... Comunque, per coloro che conoscono i miei (bizzarri) gusti in fatto di coppie, di certo hanno indovinato l'identità dell'aggressore di Shisui.  Che in questa fic è una donna. Perché? Hé, dopo aver scritto una Mpreg con Itachi gravido mi pareva giusto restituirgli un po' di mascolinità ...

E così eccoci al terzo capitolo! Wow, siamo quasi a metà storia! Evvai!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere il vostro parere!

Alla prossima, ciao!

 

Un po' di noticine:

 

[1] Warabe uta "Tōryanse, tōryanse" = è una filastrocca per bambini, nonché un gioco molto simile a "London Bridge".

[2] Mofuku kimono = kimono da lutto, nero ovunque (obi compreso) tranne che per cinque kamon bianchi.

[3] Non sia mai che mi presentassi senza niente ... =  in Giappone è molto scortese non portare un dono ai tuoi anfitrioni, quando questi t'invitano a casa loro.

[4] Shirokakeshita, shiromuku uchikake,  watabashi = fanno parte del tradizionale abito nuziale giapponese. Shirokakeshita è un kimono bianco, lo Shiromuku uchikake una sorta di cappotto bianco senza cintura e il watabashi è l'ampio copricapo ovaloide.

[5] Sadako = si riferisce a Sadako Yamamura, la celebre ragazza demone del romanzo " Ringu" di Koji Suzuki (1991) da cui è stato tratto l'omonimo film di Hideo Nakata e remake statunitense "The Ring."

  
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