Hello!
Con uno stacco di una
singola scena "L'Appuntamento" ha vinto la corsa contro
"Stigma" per l'aggiornamento! XD Beh, dai, vuol dire che non manca
molto alla pubblicazione del capitolo della seconda fic!
E parlando di capitolo!
Lo so, questo chappy si presenta piuttosto lunghetto, ma
sul serio non me la sentivo di tagliarlo a metà. Perdeva il suo senso! Quindi,
assicuratevi d'essere ben comodi quando lo leggete! ;-) Il prossimo capitolo
sarà più breve, promesso! Il fatto è che sto cercando di condensare la storia
in pochi capitoli - sette inclusi prologo ed epilogo - e non è facile! Il mio
essere prolissa si ribella! T^T
Avvertimenti!
1) Menzioni di non-con. Siccome non è il tema principale
della storia, non ho reputato opportuno aggiungerlo ai tags. Del resto, si
tratta di un accenno, non ci saranno né scene né riferimenti espliciti ad esso.
2) Forse vi sarete già chiesti, il perché dell'abbondante
uso dei suffissi di cortesia. Ecco, siccome la storia è narrata in prima
persona, ho voluto riportare elementi della lingua parlata, come se avessimo
appunto di fronte Naruko che ci racconta la sua testimonianza paranormale. Se
vedete i suffissi cambiare, dipende sia dal tipo di relazione tra i personaggi
sia il livello d'intimità tra di essi. Per esempio, se alterati, dei personaggi
anche se parenti stretti manterranno un certo linguaggio formale per
sottolineare il distacco "morale" dalla persona con cui
interagiscono.
3) Similmente, ci sono molti modi di dire
"papà" e "mamma" in giapponese. Le bambine, specie in
famiglie meno tradizionaliste, generalmente si rivolgono al padre chiamandolo
"papa", invece di "chichi" o "otōsan" o
"tou-san". Questo affinché non mi segnaliate un accento mancante! ;-)
4) La traduzione della canzoncina Tōryanse, tōryanse non è letterale, l'ho leggermente modificata per
creare la rima. Il significato, però, rimane quello!
Ulteriori note e commenti si troveranno a fine capitolo.
Infine, un sentito ringraziamento a tutti i miei lettori
e recensori, in particolare a Imoto, Lucrezia_Uchiha
e Jo95. Grazie anche a coloro che hanno messo questa storia tra le seguite,
ricordate e preferite.
Vi auguro una buona lettura,
H.
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L'Appuntamento
dalla
testimonianza di Naruko Namikaze
(segue)
Sabato, 31 gennaio 1998
- mancano 6 giorni all'Appuntamento -
Ricordo che quella mattina mi svegliai di soprassalto,
certa della presenza di qualcuno nella mia stanza.
Di nuovo avevo trascorso la notte in bianco: neppure l'essermi coricata relativamente
presto (le dieci e un quarto) giovarono alla mia mente sovraeccitata dai
recenti avvenimenti. Infatti, ogniqualvolta le mie palpebre, appesantendosi dal
sonno, si chiudevano, ecco che da ogni ombra della mia cameretta credevo di
scorgere la sagoma di quel bambino dall'impermeabile blu, che mi fissava da
sotto il cappuccio gocciolante d'acqua. Rinunciando ormai a scacciare quella
visione onirica, complice la stanchezza, mi ero limitata a nascondermi sotto le
coperte, rifiutandomi però di cedere alle paranoie del mio subconscio. Sicché
entrai in una sorta di dormiveglia, dove sogno e realtà si mescolavano
confusamente come nella tavolozza d'un pittore, alterando le mie percezioni
sensoriali e facendomi reagire da sveglia a ciò ch'io stavo in quel momento sperimentando
da dormiente. Nella mia testa udivo frasi pronunciate con tanta
verosimiglianza, che mi sentivo in dovere di rispondere. Vedevo persone
conferire con me, toccarmi, osservarmi e con esse tentavo d'interagire a
seconda dello stimolo da esse suscitatomi. Non capivo più nulla, ma volevo
ribellarmi a tutto.
Di conseguenza, non afferrai subito la veridicità di
quella presenza mattutina, liquidandola distrattamente come l'ennesima
proiezione chimerica della spossatezza. Soltanto il tiepido calore di una mano
che mi scostava delicatamente la frangia dagli occhi mi confermò, che non stavo
più sognando. All'inizio giurai trattarsi di Sasuke: lui soleva destarmi così
in quelle rare e preziose occasioni in cui riuscivamo, seppur clandestinamente,
ad addormentarci insieme senza dover rincasare di nascosto, peggio dei ladri.
E, cullata da quei dolci ricordi, per poco non commisi
l'errore di chiamarlo dinnanzi a mia madre, la vera responsabile del mio
risveglio.
"Ti sei agitata molto stanotte", dichiarò
sommessamente Okaasan, seguitando ad accarezzarmi il capo. Istintivamente
piegai il collo, seguendo la carezza: per un istante mi parve di ritornare
bambina, quando, spaventata dal temporale, potevo contare sulle coccole
consolatrici di mia madre, prima che l'età adulta e le mie scelte ci avessero
estraniate.
"Colpa dello stress", mi giustificai,
appellandomi al suo istinto materno acciocché mi sostenesse, invece di
giudicarmi e mantenere le distanze. Sapevo di essere una delusione di figlia,
però necessitavo lo stesso di un minimo di comprensione.
"Non è che ci hai ripensato?"
"No, decisamente no."
Mia madre mi circondò improvvisamente il viso con ambedue
le mani, fissandomi intensamente dritta negli occhi. "Nacchan, ti ricordi
cosa t'ha detto il rettore dell'università? Che ti concede un'ultima chance -
capito? - un'ultima chance per quell'Erasmus ad Oxford! O righi dritto, o il
prossimo anno ti scordi quel viaggio! Quindi, non ti puoi concedere il lusso di
finire fuori corso! Ne va della tua carriera! O hai abbandonato la tua
ambizione di divenire professoressa universitaria?!"
A stento trattenni un moto di stizza. "Me lo ricordo
benissimo! Non vedo perché tu debba preoccuparti tanto, visto che abbiamo
oramai sistemato la faccenda!", berciai, massaggiandomi snervata la radice
del naso, dopo essermi scostata bruscamente da lei.
Le gote di mia madre divennero anch'esse rosse dalla
crescente irritazione. "Perché te la prendi con me? Sono forse stata io
l'irresponsabile in tutto questo bailamme? Se tuo padre lo scoprisse, ne
morirebbe di vergogna!"
"Dubito! Lui dimostra di possedere molto più fegato
di te! Se ne strafrega di quel che pensano questi pettegoli di
provincialotti!", obiettai veementemente, balzando in piedi e camminando
imbufalita per la stanza. "Talvolta ti trovo più ipocrita di loro! Mi
biasimi per una cosa che sarebbe potuta succedere a chiunque; mi tratti peggio
di una merda, facendomi passare per una ... per una ... per la peggiore delle
disgrazie! Ma se si tratta di Menma, oh!, allora chiudiamo ambedue gli occhi!
Non l'hai mai rimproverato di nulla, l'hai sempre giustificato! Perfino quando
ci ha rivelato d'essere gay, non hai aperto bocca per criticarlo! Perché,
perché non puoi sforzarti di venirmi incontro per una volta e smetterla
d'avvelenarmi l'esistenza?", sputai velenosa, pentendomene però
immediatamente non appena notai come le ciglia di Okaasan si fossero abbassate
vergognose. Giurai d'aver pure scorto un umido luccichio nei suoi occhi. La sua stessa figura s'ingobbì, facendola
apparire più vecchia e fragile della sua vera età. Mi venne voglia
d'abbracciarla e d'implorarle perdono.
"Almeno ...", sussurrò lentamente la genitrice,
strascicando le parole. "Almeno m'assicuri che ... che quell'Uchiwa non ha
nulla a che fare ... che ... che si tratta veramente
di un incidente ... come ... come mi hai raccontato?"
La collera mi rimontò in petto con la medesima rattezza
della lava, che raggiungeva la bocca del vulcano, pronta all'espulsione. E di
fatti, esplosi: "Perché questa tua avversione nei confronti di Sasuke, eh?
Perché? Me lo spieghi?"
"E' palese il suo interesse nei tuoi confronti!
Tutta Konoha sa che gli piaci, che ti sta facendo la corte, che tu frequenti la
sua casa e la sua famiglia! Tu e quegli altri due cospiratori di tuo padre e
fratello m'avete forse preso per scema? O per cieca? A quando il lieto
annuncio?"
"Sasuke non ha intenzione di chiedermi di sposarlo!
E' un Kirisutokyouto! Ed io una gentile! La sua famiglia glielo proibirà!"
"Balle! Lui ti sposerà e tu ti convertirai! Perché
così finirà, vedrai!"
"Non è vero!", gridai, sentendomi le vene
pulsare sulle tempie e le mani tremare da quanto l'ira m'infuocava le vene.
"E mettendo caso che accadesse, dove starebbe il disonore in ciò? Dovresti
piuttosto sentirti orgogliosa d'avere una figlia anticonformista e open-minded
come lo eri stata tu in gioventù!"
"Oh ma taci, Naruko! Apri la bocca per
niente!", ribatté acida mia madre, alzandosi e accennando ad andarsene.
Tzé, come se glielo avrei permesso!
"D'accordo: non approvi Sasuke in quanto cristiano.
Va bene!", esclamai, chiudendo la porta scorrevole e impedendo ad Okaasan d'abbandonare
la mia cameretta. "Se ci tieni tanto alle apparenze, come mai ti sei
maritata con un ainoko? Con un reietto? Col figlio di una prostituta? Obasan
sarà anche stata una Only, però sempre a letto per soldi ci andava,
coll'ufficiale americano! Ammesso poi che Otōsan fosse stato per davvero figlio
di quest'ultimo e non di un qualche marines a caso, uno dei tanti che s'era
divertito con lei tra uno stupro e l'altro! L'unica ragione per la quale
Jiraiya-ojisan adottò mio padre sta nel fatto, che l'unico suo figlio ed erede
gli era saltato in aria ad Hiroshima e che, pur di non lasciare niente allo
Stato, avrebbe accolto anche l'ultimo dei miserabili se fosse stato il
caso!"
"Naruko, smettila ... Non sai quel che dici ... Sei
fuori di te! ... Non ti fa bene!", tentò di calmarmi mia madre, notando
apprensiva il mio crescente e incontrollabile stato d'agitazione.
"Viste e considerate le premesse, cosa trovi tu ora di
disprezzabile in Sasuke che, seguace a parte di un'altra religione, proviene
comunque da una famiglia rispettabile? Suo nonno Hikaku-san è stato ufficiale
della sanità in ambedue le guerre; suo padre Fugaku-san commissario di polizia
e lui è un eccellente oculista! Suo fratello Itachi-san è il miglior chirurgo
del distretto, se non proprio dell'intera prefettura! Lui e Sasuke hanno
clienti che vengono perfino da fuori pur di farsi visitare da loro! E sua
cognata Shisui-san, con tre figli e un quarto in arrivo, continua a lavorare
tranquillamente come professoressa al mio liceo! Ti pare questa una famiglia di
scalzacani, di inetti? Una famiglia di cui dovresti vergognarti, nella
remotissima ipotesi in cui Sasuke volesse sul serio sposarmi?"
Abbracciandomi disperatamente, Okaasan esclamò piena
d'angoscia: "Ma lo stesso verresti discriminata, tesoro mio!",
asserì, stringendomi al petto ancora più forte. "E non voglio che sparlino
ulteriormente di te, che ti facciano soffrire più del dovuto! Voglio che almeno
tu sia felice!", singhiozzò e confesso che mi riusciva arduo trattenere le
lacrime che mi pizzicavano gli occhi. Ma, per quanto mi costasse, desistetti
comunque dal piangere. "Tutto quello che dici corrisponde al vero, però io
contrariamente a te non ho mai avuto una scelta: quando conobbi tuo padre, la
mia reputazione era già stata infangata da tempo, nessuno m'avrebbe sposata!
Che aveva tuo padre da perdere nel prendersi della merce guasta, dal momento
che lui per primo veniva trattato alla stregua d'un lebbroso? I miei genitori
ringraziarono ogni kami in cielo, per essersi sbarazzati di me! Non hai idea
delle umiliazioni che ho subìto! Adesso tutti mi trattano con rispetto, ma solo
dopo anni e anni d'insulti! Se dovessi sposarti con Sasuke-san, anche tu finirai
moralmente isolata e ancora più di prima! Non solo! La gente incomincerà ad
insinuare che nessun altro t'ha voluta, perché, come tua madre, anche tu eri
tarata, marcia! Non posso accettare questo! Non per te! Con Menma mi sono
oramai messa il cuore in pace, ma con te no! Non riesco a sopportare l'idea di
saperti infelice!"
Ripeto: se lo scopo ultimo di mia madre puntava sul farmi
piangere peggio d'una fontana, hé, ammetto ci stava riuscendo. Tuttavia, le
poche e patetiche gocce che mi colarono sulle guance non avevano il gusto del
perdono né tantomeno del chiarimento: malgrado la mia gratitudine verso la
premura della genitrice (che avevo riscoperto volermi bene nonostante le nostre
divergenze) lo stesso non mi pareva d'aver trovato una soluzione al mio
problema. Casomai l'affare s'era ulteriormente complicato e sul serio non
sapevo più dove sbattere la testa.
"Ebbene ...?", borbottò Okaasan, soffiandosi il
naso e fissandomi speranzosa.
"Sasuke non ha nulla a che vedere in questa ...
storia. E' colpa mia. Ad una festa ... ho ... ho fatto la cretina ...",
dissi, lasciandomi avviluppare dall'ennesimo abbraccio consolatore di mia
madre.
"Andrà tutto bene, tesoro. Risolveremo assieme
questa brutta disgrazia. Sarà come se non fosse successo nulla!"
Le rivolsi un sorriso tremulo. "Certo, Okaasan
..."
Mi accorsi solo in quell'istante, posando a caso lo sguardo
verso la porta, che quest'ultima non solo era aperta, ma che all'uscio se ne
stava ritto e immobile mio fratello Menma, dalla cui espressione assolutamente
disgustata intuii aver udito se non proprio tutto, perlomeno una buona parte. E
decisamente aveva ben ascoltato l'ultima affermazione, come mi confermò quel
suo andarsene in silenzio, non senza avermi scoccato la peggiore delle
occhiatacce e insultandomi tramite labiale.
E dietro di lui, a rafforzare quell'ingiuria, intravidi
il bambino che mi sorrideva triste da sotto il suo cappuccio blu e grondante
d'acqua.
Domenica, 1 febbraio 1998
- mancano 5 giorni all'Appuntamento -
"Potresti spegnere la sigaretta, per favore?"
Menma mi guardò di traverso, stringendo malevolo gli
occhi e, ignorando bellamente la mia richiesta, aspirò profonde boccate di
fumo, per poi liberarle nell'aria in dense scie.
"Grazie", replicai sarcastica alla sua palese
scortesia, mentre mi coprivo il naso con la sciarpa e guadagnandomi una
risatina altrettanto beffarda da parte di mio fratello, il quale m'aveva
accuratamente evitata per tutta la giornata di ieri. Soltanto ora riuscivo a
parlargli da sola e a quattr'occhi, approfittando della sua abitudine mattutina
di vagabondare senza meta per Konoha.
"E di che? Tanto fra poco non farà più alcuna
differenza, vero?", disse, spegnendo la cicca nell'apposito cestino.
Dopodiché proseguì nella sua passeggiata solitaria, dandomi apposta le spalle.
Rapida lo raggiunsi, sbarrandogli la strada . "D'accordo!
Le ho mentito! E allora? Non posso avere tutti contro!", esclamai
frustrata, nella speranza che Menma la smettesse con quel suo atteggiamento da
fustigatore. Non aveva alcun diritto di giudicarmi: era facile per lui sparare
sentenze, quando non si trovava nella merda come la sottoscritta!
"Lo sai qual
è il tuo problema, Naruko?", incrociò battagliero Niisan le braccia
al petto. "Che ti complichi la vita per
niente. Non metto in dubbio la delicatezza della tua situazione;
ciononostante non mi pare che sia poi così disperata da eliminare il
"problema" alla radice, come tu stessa lo definisci!"
"Ah, no?", lo sfidai.
"Ah, sì! Diamine, se invece di rimbecillirti con
seghe mentali sul tuo destino d'eroina tragica, ti mettessi a ragionare da
persona matura, capiresti che c'è una soluzione alternativa! Una scappatoia che
non ti toglierà colui che ami!"
Sbuffai scettica. "Chi me l'assicura?"
"Ma non ti entra in quel cervello bacato, che Sasuke
non ti perdonerà mai questo tuo gesto? Anzi, ciò che Okaasan t'ha
suggerito di fare? Perché ci scommetto tre anni di stipendio, che questa
schifezza non è una tua iniziativa! Sei troppo codarda, imōto, anche solo per
chiamare il ...!"
"Come ti permetti?!", lo interruppi indignata,
stingendo i pugni e pronta ad usarli. Mai mi sarei aspettata un tale
voltafaccia da parte di mio fratello, mai! "Parli proprio tu!"
"E allora, perché le hai mentito?"
"Perché avrebbe biasimato Sasuke! Eppoi, necessito del
suo supporto!"
Menma cambiò peso da una gamba all'altra, passandosi
esasperato una mano tra i capelli corvini. "Tu hai bisogno di una persona
che t'apprezzi per quel che sei, non per quel che potresti essere! Per Okaasan
equivali a una comoda via per riscattarsi dal suo passato! Tramite te spera d'assaporare
quella vita, che per sua scelta o disgrazia non ha potuto vivere! E' questo che
vuoi? Vivere la vita di un'altra?"
"Resta comunque mia madre!", m'impuntai
testardamente, avvertendo un certo pizzicore agli occhi, l'ennesimo in meno di
ventiquattro ore. "Mentre Sasuke ...", mormorai, sedendomi su di una
panchina, essendomi divenuta la testa improvvisamente pesante. Mi girava
perfino.
Sospirando profondamente, Niisan m'imitò ben presto,
afferrandomi saldo e confortante per le spalle. "Imōto-chan, sii sincera:
tu lo ami?"
Tirai su col naso, asciugandomi le prime lacrime col
dorso della mano. Aprii la bocca per rispondere, ma non una parola ne
fuoriuscì: tale era la grandezza della mia affezione nei confronti del mio
fidanzato, che non riuscivo ad elaborarla a parole e un semplice "sì"
mi sembrava troppo svilente, per pronunciarlo ad alta voce.
"Devi scegliere, Nacchan", fu la pacata
sentenza di mio fratello, il quale aveva incominciato ad accarezzarmi la schiena.
"O Sasuke o nostra madre. Come dicono i Kirisutokyouto, non puoi servire
due padroni: o segui uno o lasci perdere l'altro! Ma accontentare entrambi, no,
non ti è umanamente possibile!"
"Che debbo fare, Menma-nii?"
"La scelta sta interamente a te, imōto-chan. In
questo frangente non posso decidere al posto tuo", dichiarò mesto Niisan,
appoggiando la sua fronte contro la mia. "Tuttavia, l'unica cosa che mi
auspico è che la soluzione venga da te e non da una terza persona!"
Assentii
impercettibilmente, reclinando poi il capo affinché riposasse sul petto di mio
fratello. Poco distante dalla nostra panchina, il semaforo aveva preso a
suonare la celebre warabe uta Tōryanse,
tōryanse.[1] Ridacchiai
nostalgica alla melodia, socchiudendo gli occhi e canticchiando tra me e me:
Passate
pure, passate suvvia.
Dite, dove
porta quest'oscura via?
Porta forse
al tempio di Tenjin il saggio?
Per favore,
concedici il passaggio!
Mi addormentai malgrado il mattutino freddo invernale,
molto probabilmente cullata dal regolare battito del cuore di Menma e dal
confortante calore da lui emanato. In quegli ultimi giorni, raramente avevo
sentito un tale senso di protezione da concedermi il lusso d'abbassare le mie
difese, rilassandomi.
Sognai.
Stranamente, non mi trovavo in un posto chissà quanto
lontano o fantasmagoricamente esotico. Invece, ai miei occhi si snodava la
medesima strada da cui m'ero congedata, mentre m'assopivo. Al centro di essa riconobbi la me stessa
bambina giocare a Tōryanse, tōryanse assieme
alla versione infantile di Menma. A stento trattenni un dolce sorriso,
scuotendo il capo: il numero minimo di giocatori corrispondeva a tre,
altrimenti il gioco era infattibile. E ciononostante, i due kodomo
s'intestardivano a proseguire, lasciando che sotto il loro ponte di braccia
passassero amici invisibili. Nel sogno mi apprestai ad avanzare verso di loro,
desiderando unirmi al loro svago e offrendoli così un compare in carne ed ossa.
La mia innocua iniziativa morì sul nascere, giacché ciò
cui assistetti mi pietrificò sul posto.
Coloro
senza una valida ragione di qui non passeranno.
Sbucando fuori dal nulla, il bambino dal mantello blu
attraversò ridendo il ponte creato dai suoi compagni, saltando poi in piedi e
trotterellando vittorioso verso di me, cantando:
Guardate,
di questo piccino è il settimo compleanno,
siam qui
per offrire il nostro o-fuda.
E come se si fossero d'un tratto accorti anche loro della
mia presenza, i due kodomo imitarono ben presto quell'altro, prendendosi
festosamente per mano. Il tempo di sbattere le ciglia e me li trovai tutti e
tre a qualche spanna dal mio naso, in particolare il bambino dal mantello blu,
le cui pingue gocce cascanti dal cappuccio mi bagnavano il viso, provocandomi
tremiti a causa della loro estrema freddezza. Pareva, infatti, che il loro
proprietario avesse nuotato in un lago ghiacciato.
L'andata è
facile, il ritorno fa paura!
Mi sussurrò e il suo fiato anch'esso gelato m'intirizzì
fino al centro dell'anima.
Ma fu nulla se comparato al terrore ch'io provai, quando allungò una manina pallida e umida per
toccarmi.
Fa paura e
sia,
però
passate, passate suvvia.
Gridai, destandomi di soprassalto e trascinando meco
Menma in questo frenetico e spaventato risveglio. Non solo: non appena riuscii
a focalizzare quanto mi circondava, a capire il come e perché di quella
situazione, m'imbattei, oltre che al viso assolutamente sorpreso di Niisan, nei
visetti incuriositi e al contempo confusi di Uchiwa Saeko-chan e Kiyoaki-kun, i
nipoti di Sasuke. Presumibilmente spaventato dal mio inaspettato e acuto
strillo, il maschietto si nascose prontamente dietro la schiena del padre,
Itachi-san, il quale s'era portato alla mia altezza, riflettendo sul suo viso
la stessa domanda che si stava ponendo in quel momento mio fratello.
"Nacchan, tutto a posto?", s'informò
preoccupato Niisan, tenendomi ben salda per le spalle. "Hai cacciato un
urlo ..."
Aprii la bocca per giustificarmi, arrossendo nel
frattempo furiosamente per l'imbarazzo. Accidenti, e adesso come avrei potuto
spiegarli la faccenda dell'incubo e del bambino dall'impermeabile blu, senza
passare per una pazza?
Meno male che Itachi-san intervenne, liberandomi
dall'impiccio. "Sei stata molto sgarbata, Saeko-chan", si rivolse
severo alla figlia, rimproverandola. "Hai terrorizzato la povera Naruko-chan!"
Piegando all'ingiù la bocca e aggrottando la fronte, la
bambina protestò la sua innocenza: "Ma stava cantando nel sonno! E'
strano!"
"Non è comunque una buona ragione, per infastidire
una persona che dorme. La spaventi e non è una bella esperienza. Ti piacerebbe se
lo facessero a te?"
La piccina abbassò il capo, bofonchiando. "No,
papa." Quand'ecco che, bellicosa, indicò il suo otōto. "Anche Kiyo-kun
l'ha toccata!"
Dalla sua sicura postazione, il minore le presentò una
regale linguaccia. "Non è vero!", piagnucolò indignato.
"Anche
Kiyoaki-kun si scuserà con Naruko-chan!", ribatté Itachi-san, alzandosi e
spingendomi delicatamente i bambini davanti, affinché mi porgessero le loro
scuse. Il che avvenne di fretta e piuttosto di malavoglia: secondo la loro
logica infantile, cantare nel sonno non conferiva uguali diritti rispetto ad un
dormiente "muto".
Non avevano tutti i torti, poverini.
"Siete appena ritornati dalla Messa?", cambiò
rapidamente discorso Menma, assumendo un tono vivace da controbilanciare il
broncio dei marmocchi.
"No, stamane prima della funzione è venuto il prete
a casa nostra per darci la comunione: Tenmaku-kun non può uscire finché non gli
leveranno i punti e sia Shisui che Kaa-san non lo perdono di vista neanche per
un secondo. Ed io nemmeno, se le due signore me lo permettessero", ci
spiegò brevemente Itachi-san.
"Aspetta, aspetta: t'hanno sbattuto fuori coi
pargoli?"
"No, sono scappato io! Quando incominciano a
romperti le scatole, non la finiscono più ... Sembra che muoiano se non ti
tarmano!", si lagnò scherzosamente l'Uchiwa e roteò drammatico gli occhi,
provocando una feroce risata in mio fratello. "Adesso che Shisui è
ufficialmente in maternità, possiede ancora più tempo libero per dare a Kaa-san
del filo da torcere!"
"Ma sembravano andare così d'accordo!",
m'intromisi.
"E tuttora ci vanno. Il problema, Naruko-chan, è che
da quando Tou-san è morto (pace all'anima sua)", e qui il volto
d'Itachi-san s'incupì, mentre rapido eseguiva quel curioso gesto d'inizio
preghiera tipico dei cristiani "gli equilibri famigliari ne hanno molto
risentito. A peggiorare le cose, Kaa-san insiste nel voler ad ogni costo badare
alla casa, a Ojisan e a Tenmaku-kun per non affaticare Shisui; figurarsi, se la
mia tsuma non aveva da ridire a riguardo, cogli sbalzi d'umore a causa degli
ormoni diventa doppiamente polemica e aggressiva, dopodiché piange disperata asserendo
che non la amo e che la tradirò con una donna più giovane e bella ... Kaa-san le dà della melodrammatica ... Lei
risponde per le rime ... Si accapigliano ... Donne testarde ... E si sfogano
poi con me, giustamente!"
"Fatti coraggio, amico mio!", gli batté
solidale Menma la schiena. "Speriamo che la situazione non peggiori, in
caso tua madre dovesse acquistare una seconda nuora!"
Per quanto m'augurassi di sbagliarmi, non mi sfuggì
affatto la furtiva occhiata lanciatami di soppiatto da Itachi-san, non appena
mio fratello pronunciò la parola "nuora". Né mi rassicurò il modo
decisamente analitico con cui l'uomo mi
aveva squadrata dalla testa ai piedi, quasi mi stesse valutando come uno dei
suoi pazienti, e non nascondo che panicai parecchio alla prospettiva che
Itachi-san avesse intuito il mio segreto. A meno che Menma non glielo avesse già
spifferato, visto e considerato lo stretto legame d'amicizia che li legava. Distolsi
quindi velocemente lo sguardo, concentrandomi su Saeko-chan e Kiyoaki-kun, i
quali stavano giocando con le cards dei Pokémon. Stava vincendo ovviamente la
maggiore poiché il più piccolo, non conoscendo le vere regole del gioco,
sottostava docile a quelle fasulle della sorella, atte a favorirla
costantemente.
"Sarà quel che Iesu-sama vorrà", sentenziò
ambiguo Itachi-san, abbracciando il figlioletto quando questi, stizzito per
l'ennesima sconfitta, si rifugiò piangendo tra le sue braccia. "Piuttosto,
avete qualche progetto per questo pomeriggio?"
Prima che potessi tappare la bocca a quel pappagallo di
mio fratello, questi m'anticipò, rispondendo entusiasta: "Certo che no! I
nostri ryōshin si sono recati ad Uzushio in visita, non ritorneranno prima di
stasera!"
"Perfetto! Vi piacerebbe allora venire a prendere il
tea a casa nostra? Non ricordo l'ultima volta, che ci avete onorati di una
vostra visita e Kaa-san ve ne sarebbe molto grata!"
"Chi siamo noi per rifiutare un favore alla cara
Mikoto-san? Vero, Nacchan?"
Un giorno, mi ripromisi mentalmente, avrei tagliato la
lingua a Menma.
Period.
~~~
Effettivamente, Mikoto-san si dimostrò davvero entusiasta
della nostra visita. Se non fosse stato per il mofuku kimono che indossava [2] e
per il viso tirato dell'insonne, non la si sarebbe detta in lutto per la morte
del marito. Addirittura mi ringraziò con un raggiante sorrisone, quando, dopo i
convenevoli, le porsi la torta al tea verde, l'unico dolce ch'ero in grado di
preparare. Non sia mai che mi presentassi senza niente, anche se invitata
all'ultimo momento [3]. Sciorinandosi in ulteriori ringraziamenti per il mio
dono, la vedova ci invitò a seguirla in
casa.
Deglutii un acido conato di vomito, sentendomi più in
colpa che mai.
L'abitazione dove Sasuke e la sua famiglia vivevano non
presentava chissà quali varianti da una qualsiasi casa tradizionale giapponese:
avevo sempre immaginato, infatti, che i Kirisutokyouto avessero adottato a
prescindere uno stile occidentale o comunque diverso da quello nazionale.
Invece, salvo alcuni particolari, nulla di strano saltava all'occhio. Al
contrario, alcuni dettagli ornamentali tipici della religione shintoista e
buddista erano sì stati mantenuti, però al contempo riadattati ai dettami cristiani,
sfatando quelle leggende metropolitane che li associavano un bizzarro e
decadente mélange tra Gothic e ottocento vittoriano, miti rinfocolati dalla
recente fascinazione dei manga verso questa religione. Ad esempio, gli Uchiwa
possedevano come noi un altare di famiglia, ma, al posto di esporvi i simboli
dei kami shintoisti, sul loro kamidana troneggiava innanzitutto un Crocefisso,
affiancato poi da un ritratto di Maria-sama col Bambino; di Miki Pauro-sama, di
Mikaeru-sama e di un Gaijin dal buffo cappello che mi spiegarono essere il loro
Kyōkō, Nidaime Yohane Pauro-sama. Alla
mia domanda se l'avessero mai incontrato di persona, Sasuke m'aveva risposto
negativamente, asserendo tuttavia che suo nonno Hikaku-san aveva fatto
letteralmente carte false pur di recarsi a Roma per partecipare al Giubileo del
1950. Non voleva morire, così s'era giustificato, senza aver visto la Città
Eterna e il Kyōkō-dono almeno una volta
e magari, già che c'era, ringraziare d'essere scampato alla morte in ambedue le
guerre mondiali. E a proposito dell'anziano patriarca, lo trovammo guarda caso
in preghiera proprio davanti alla versione cristiana del butsudan, là dove ci
osservavano annoiati tutti gli antenati e parenti del mio fidanzato,
fotografati ora in bianco e nero, ora a colori. Circondata da fiori e dal
nastro nero, la foto di Fugaku-san risaltava tra i volti antichi dei suoi
predecessori e anche in quel frangente seguitava a mantenere un'espressione
seria e affatto socievole.
"Incazzato fino all'ultimo", fui sicura d'aver
sentito l'anziano genitore borbottare, mentre accendeva un incenso votivo per
il defunto figliolo. "O il fotografo era un pezzente incapace ..."
Fin dal nostro primo incontro avevo nutrito molta stima
per Uchiwa Hikaku-san, ultracentenario, sordo come una campana, quasi cieco, piccolo
e rinsecchito ma dalla mente sorprendentemente ancora agile e arguta, forse più
attiva di quella di molti suoi concittadini più giovani. Non potevo esimermi
dal non rispettare quell'uomo adesso fragile e avvizzito, che tutto aveva perso
durante il secondo conflitto mondiale ma che, superando la disperazione, s'era imposto
di vivere e di ricostruire la famiglia distrutta. Quando Sasuke mi aveva
raccontato che Fugaku-san rappresentava l'unico superstite di sette figli, non
gli avevo dapprincipio creduto. Ma ora, osservando i volti sulla versione
cristiana del butsudan, compresi quanto quel posto fosse pieno di ricordi per
quell'anziano patriarca e quanto doloroso dovette essere stato per lui
ricominciare da zero assieme all'allora adolescente figliolo.
"Chichi!", lo chiamò ad alta voce Mikoto-san,
inginocchiandosi presso di lui. "Guarda chi è venuto a trovarci!"
"Eh?", fece l'anziano, tendendo lo scarno collo
rugoso verso la nuora.
"Guarda. Chi. E'. Venuto. A. Trovarci!"
"Cosa?"
"NAMIKAZE MENMA-KUN E NARUKO-CHAN SONO VENUTI A
TROVARCI!!", fu costretta a gridare Mikoto-san, arrendendosi di fronte
alla palese sordità del vecchio suocero.
"Oh, i kodomo di Minato-shi?", esclamò
deliziato Hikaku-san, ponendosi difficoltosamente in piedi, sorretto da Mikoto-san,
arrivandole a malapena alle spalle, tanto era curvo.
Ben presto ci accorgemmo che il nostro nome non soltanto
aveva rallegrato il bisnonno Uchiwa, ma che aveva richiamato da chissà quale
angolo oscuro della casa o del giardino i suoi bisnipoti più giovani, i quali
si presentarono a rapporto con Itachi-san che chiudeva quel rumoroso
corteo. Osservando di sottecchi come le
due belvette avessero accerchiato mio fratello, giunsi alla conclusione che il
fratello di Sasuke, benché cristiano, non aveva perduto il suo spirito
pragmatico e calcolatore: invitandoci per il tea aveva trovato un espediente
per dirottare altrove l'inesauribile energia dei suoi figlioli, permettendo
così alla moglie di vegliare indisturbata sul giovane ammalato. Non che la cosa
ci dispiacesse, tutt'altro! Sebbene estremamente vivaci, Saeko-chan e
Kiyoaki-kun rimanevano due creaturine davvero amabili. Quando li raggiunsi, la
bambina prese a raccontarmi euforica come la sua Obasan le stesse preparando
l'abito per la sua Prima Comunione.
"Indosserò uno shirokakeshita!", mi rivelò
orgogliosa. "Però non come una vera sposa, quindi non potrò mettermi lo
shiromuku uchikake e neppure il watabashi ... [4] La mia mama ha detto che mi
metterà piuttosto una bella spilla tra i capelli! E dei fiori! Non vedo l'ora
che arrivi maggio!"
"Si preparasse a questo santo sacramento, impiegando
il medesimo entusiasmo con cui parla del vestito ...", commentò il suo
bisnonno, facendomi l'occhiolino e appoggiando la mano avvizzita sopra la mia.
Di riflesso gliela strinsi, meravigliandomi quanto la sentissi leggera, come se
stessi tenendo un pulcino.
Ridacchiai sommessamente.
"Non è vero! Sto studiando, Hikaku-hiijiji! Non
manco mai a nessuna lezione di catechismo! Chiedilo a papa!", protestò
vivacemente la bambina, guardandomi poi speranzosa. "Verrà anche lei, Naruko-obaasan,
alla mia Prima Comunione?"
"Se il tuo Otōsan vorrà invitarmi", sorrisi
malinconica. Mi ripresi in fretta, impedendo alla piccina di cogliere quel mio
attimo di cupezza. "E comunque, non chiamarmi "zia"! E dammi del
tu!"
Gli occhioni scuri di Saeko-chan divennero ancora più
grandi dalla sorpresa. "E come ti
dovrei chiamare?"
"Naruko-nee oppure Oneesan. Non sono la tsuma del
tuo Ojiisan!"
"Ah no?", s'inserì Kiyoaki-kun, sbucandomi da
sotto il tavolino. "Ma voi due vi date tanti baci!"
Avvampai per l'imbarazzo. Grande osservatore, il poppante!
"Oh!", s'illuminò il volto di sua sorella.
"Anche tu allora aspetti un bambino! La sensei ci ha detto, che quando
papa e mama si vogliono tanto bene e si danno tanti baci, la pancia di mama
cresce e cresce finché non viene fuori un bambino! Così!", mi spiegò,
gesticolando le dimensioni di un pancione da vacca gestante, più che da essere
umano. Il suo Otōto la imitò prontamente, giusto per rafforzare il concetto.
"La mia mama aspetta pure lei un bébé, perché papa le ha dato tanti, tanti
baci!"
"Tanti, tanti baci!", ripeté il suo fratellino
peggio d'un pappagallo e con la medesima serietà.
"Mikoto-san!", mi rivolsi con voce leggermente
acuta ed isterica alla padrona di casa, grata di vederla entrare col tea e la
torta, così da fornirmi una chance per svignarmela con comodo. "Vado a
chiamare i due fuggitivi!", mi offrii volontaria per recuperare Menma e
Itachi-san, i quali se l'erano svignata alla prima distrazione del duo malefico
per discorrere dei fatti loro.
Prima ancora che la donna potesse replicare, ero già
uscita dalla stanza, respirando a grossi singulti.
Calmati,
calmati ... Va tutto bene ... Sono soltanto dei bambini ... Parlano a vanvera
... Ignorano il significato delle proprie parole ..., ribadii
queste verità come in un mantra allo scopo di rilassarmi e di ritornare in me.
Non appena mi reputai pronta per affrontare di nuovo il mondo, partii
genuinamente alla ricerca dei due uomini, che scovai in giardino.
Entrambi esibivano delle espressioni sospettosamente
gravi, parlottando fitto e a bassa voce.
"... e in ogni modo, il dottore ha confermato essere
una bambina", terminò Itachi-san il discorso, che supposi concernere sua
moglie e il nascituro.
Menma fissò a lungo il suo amico, prima di chiedergli con
sconcertante serietà, troppa per quel lieto evento: "E tu? Ne sei
contento?"
"Sì, perché?", sbatté confuso le ciglia
l'altro, malgrado la sua mimica facciale tradisse una notevole comprensione dei
vari sottotesti ivi contenuti.
Mio fratello abbassò il capo, come se stesse cercando le
parole più diplomatiche per un discorso altrettanto delicatissimo. "Itachi,
so che la vostra religione v'impone di perdonare e d'amare anche il vostro
nemico, tuttavia ... potrai mai tu sul serio amare un figlio che potrebbe non
essere tuo?"
Smisi di respirare. Avevo inteso bene? Shisui-san ...
Shisui-san stava aspettando la creatura di un altro uomo? Come ... com'era
possibile? E ... e perché Itachi-san continuava a rimanerne talmente impassibile?
E come faceva Niisan a sapere queste cose? Nessuno a Konoha ne aveva mai
spettegolato a riguardo ... Figurarsi se non ne avessero approfittato per
sparlare allegramente degli Uchiwa! Che diamine stava succedendo?
"Su questo punto ti sbagli, Menma, la bambina è mia.
Potrebbe - chi lo sa - non esserlo biologicamente, ma lei è tanto mia quanto di
Shisui. Le circostanze del suo concepimento sono irrilevanti. La piccina
crescerà in questa casa con tutti gli onori di figlia, porterà il mio cognome e
non tollererò che una colpa di cui non può giustificarsi le avveleni
l'esistenza!", dichiarò bellicoso Itachi-san, raddolcendo subito dopo i
lineamenti del suo viso. "D'altronde, anche tuo padre è stato adottato,
quindi capirai cosa significhi l'amore al di là dei vincoli di sangue!",
"Touché", ammise Menma suo malgrado, studiando
la neve cadere dai rami spogli degli alberi. "Avete avuto molto coraggio e
soprattutto pietà nei confronti della creatura. Il vostro comportamento è
davvero ammirevole", commentò ed io fui assolutamente d'accordo con lui.
Itachi-san scosse il capo, schermendosi. "Non
adularci, abbiamo pure noi le nostre colpe
... Vista la situazione ... ti confesso che ci avevamo pensato ..."
Cosa? Avevo compreso bene?
"E' comprensibile."
Avevano sul serio contemplato di ...?
"Shisui alla fine non ha voluto", proseguì
imperterrito Itachi-san, lasciando vagare gli occhi ovunque per il giardino,
impedendo che Menma vi leggesse il turbamento in essi. Non avrei mai immaginato
che tale sciagura potesse abbattersi sulla loro famiglia e di nuovo Sasuke non
m'aveva detto niente, forse per rispetto verso la cognata. Oppure per non fare
paragoni, poiché io ... No, lui non sapeva nulla. Però io sì, sapevo ora tutto.
E la vergogna mi stava mangiando viva. "Quando ... quando l'assicurai che
non l'avrei mai rimproverata della sua decisione, che se non ce la faceva a
sopportare questo fardello l'avrei capita, ecco ... Shisui mi rivelò che se
fosse stata sicura al 100% della paternità della creatura, allora avrebbe anche
considerato d'abortire; siccome però lei per prima non sapeva con chi l'avesse
concepita, preferiva tenerla. Una tempistica perfetta! Povera Shisui: alla
mattina fa l'amore col marito e alla sera violentata da ... uno sconosciuto."
"Hai dei sospetti, vedo."
"Nessun sospetto. Certezza. E lui lo sa."
"Cosa?!"
L'aria vibrava dalla collera a malapena tenuta a freno da
Itachi-san. Decisamente, mai come in quel momento la sua parentela con Sasuke
trovava la sua conferma: per quanto manifestassero i loro sentimenti in maniera
diversa, lo stesso i due fratelli possedevano un carattere sulfureo al limite
del distruttivo quando si trattava di proteggere i loro cari.
"Shisui non desidera denunciarlo. Dice che non vuole
più averci a che fare, che il solo guardarlo la nausea. L'ha perdonato, ma affrontarlo
in tribunale ... Non se la sente. E io
rispetto la sua decisione. Questo però non m'ha impedito di chiarire due o tre
cosette con quel maledetto, ovvero che se si sarebbe riavvicinato a mia moglie
o alla mia famiglia in generale, l'avrei sottoposto alle medesime torture
subìte dai miei antenati!"
A differenza però di suo fratello minore, che possedeva
la rabbia esplosiva, Itachi-san esibiva invece la sua controparte implosiva.
Pareva che non se la prendesse per niente; al contrario, si segnava mentalmente
tutti i torti subìti per fartela pagare più tardi e cogli interessi.
"Non molto cristiano da parte tua ...", notò
giustamente Niisan.
"Talvolta la croce che portiamo diventa troppo
pensante per noi e cadere sotto il suo peso può capitare. Non fingiamo
ignoranza: le percentuali delle molestie e violenze sul lavoro che colpiscono
le donne appaiono agghiaccianti da quanto sono alte, però ... però sempre le
consideri a te aliene ... distanti ... finché non ti capitano ... E ti
colpevolizzi per non averlo impedito."
"Da molto tempo la molestava?"
"Asseriva che lei stesse flirtando con lui."
"E gli hai creduto?"
"Affatto. Nutro una fiducia assoluta in Shisui. Se
lei m'ha confessato di non averlo mai incoraggiato, io non ho motivo di
dubitare della sua parola. E comunque, flirt o non flirt, un no rimane sempre un no e non giustifica la
schifezza da lui compiuta."
Appoggiai la fronte sulla porta scorrevole, la testa che
mi girava a causa di sentimenti contrastanti: confusione, stizza, imbarazzo,
tristezza e indignazione. Il petto mi stava scoppiando dalla voglia d'urlare,
di scappare via lontano, d'invocare aiuto e consiglio, ma sinceri, non
interessati.
"Naruko-chan?", avvertii la presenza di
Mikoto-san alle mie spalle, imbattendomi poi nel suo viso preoccupato. "Maria-sama,
sei pallida come un lenzuolo ... Ti senti bene? Vuoi qualcosa?", mi
condusse verso la cucina tenendomi il braccio, là dove mi fece accomodare,
porgendomi un bicchiere d'acqua fresca. "Che tu abbia la febbre?"
"E' solo stanchezza, Mikoto-san. Non è nulla",
mentii debolmente, stringendo con esasperata forza il bicchiere, manco fosse
mia intenzione di frantumarlo. "Non sarei dovuta venire qui, ecco."
La donna s'inginocchiò davanti a me, afferrandomi
delicatamente le mani. "E' successo qualcosa di brutto, Naruko-chan?"
Mi tremò il labbro inferiore. "No, Mikoto-san."
"Sasuke s'è comportato male con te?"
Casomai il contrario. "No."
Mikoto-san sospirò, lasciandomi ad intendere che aveva
compreso benissimo il significato inverso delle mie risposte. Ovvio che mi fosse
successo qualcosa di brutto, ovvio che avesse a che fare con Sasuke, anche se
lui non ne aveva colpa. "Se vuoi parlarne, t'ascolto."
Negai veementemente col capo. "Dubito che ... che lei
potrebbe comprendere ..."
"Comprendere cosa?"
Sobbalzammo colpevoli alla vista di Menma e Itachi-san
sull'uscio della cucina.
"Quanto sia difficile sopportare quei rompiscatole
dei professori!", mi venne in soccorso Mikoto-san, balzando in piedi e
rassettandosi il kimono. "Stanno veramente tartassando la povera
Naruko-chan: che barbari!", esclamò gioviale e, raggiunto il figlio
maggiore, gli suggerì: "Pensi che Ten-kun sia in grado di potersi unire a
noi? Povero caro, sempre confinato nella sua stanzetta!"
"Basterà fare attenzione che non faccia movimenti
strani", dichiarò professionale Itachi-san, guardando tuttavia oltre la
madre. Puntava me coi suoi occhi,
lanciandomi di nuovo lo sguardo.
"Perfetto! Vai tu
prenderlo? Così Shisui si potrà rilassare anche lei, poverina ...",
disse, seguendo/spingendo il figlio fuori della cucina.
Rimanemmo soli Menma ed io.
"Glielo hai spifferato, vero?"
"Cosa?"
"Quello!", accusai velenosa mio fratello.
"Come fa altrimenti a saperlo? Non dirmi che Itachi-san può leggere nella
mente! Perché mi metto a ridere!"
Niisan abbozzò ad una smorfia incredula. "Stai
diventando paranoica, adesso!", asserì impietoso.
"L'hai fatto apposta a portarmi qui!"
"E se anche fosse? Cos'è? Ti morde la
coscienza?"
Strinsi il pugno. "Teme ...", digrignai i
denti, pronta a sfigurarlo a suon di mazzate. "Come ti permetti ...?"
Mio fratello scrollò incurante le spalle. "Datti una
calmata, femmina isterica!", mi sbeffeggiò, chiudendo la porta scorrevole
della cucina, non senza avermi rifilato l'ennesimo sorrisetto di sufficienza,
confermando i miei sospetti circa una sua natura bipolare. Non poteva
dimostrarsi dolcissimo e stronzo nell'arco di nemmeno ventiquattro ore. Non
poteva.
Sbuffando, m'alzai dalla sedia e mi riempii un secondo
bicchiere d'acqua.
Sentii dietro di me la porta aprirsi nuovamente.
"Ancora? Le vuoi proprio prendere, eh,
bastardo?", mi preparai alla pugna, certa d'imbattermi nel brutto muso di
Menma.
Invece, mi ritrovai davanti quello perplesso di
Shisui-san.
Indossava anche lei mofuku kimono, sebbene a cingerle la
vita fosse una fascia bianca al posto dell'obi nero, acciocché non strizzasse
troppo il pancione che, a sei mesi, già rotondeggiava orgogliosamente.
Abbassai lo sguardo, memore della conversazione origliata
tra suo marito e mio fratello. Come avevano potuto farle una cosa del genere?
Ad una madre di famiglia con già tre pargoli a casa? Che senso aveva
quell'umiliazione? Non si poteva neanche dire che Shisui-san avesse provocato
il suo aggressore, visto che teneva i capelli corti come i miei e si vestiva in
maniera molto sobria. Flirtare? Si truccava a malapena! Non risaltava proprio
in mezzo alle altre donne! Si vociferava perfino che si fosse fatta mettere
incinta apposta da Itachi-san, in modo da costringerlo a sposarla visto che
nessuno si capacitava che un bell'uomo come lui avesse scelto per sposa una donna
dalla bellezza così modesta!
Inoltre, come poteva amare il bambino che le cresceva nel
ventre? Come faceva a sopportare ogni giorno la vista del suo pancione senza
sovvenirsi di quell'orribile esperienza e soprattutto a convivere con la possibilità
che non fosse del marito?
Come?
"Naruko-chan, ti stanno aspettando per il tea",
mi comunicò Shisui-san, la voce serena e fresca come lo zampillare di una
fontana. Non le importava, conclusi tra me e me, non le importava della
paternità della sua creatura. Se sotto i suoi occhi ombreggiavano delle
occhiaie, era per l'ansia derivata dalle condizioni di salute di Tenmaku-kun.
Dei suoi piccini e del marito. Era stata certamente oltraggiata ma non
distrutta.
Mi sentii intimidita dalla forza spirituale di quella
donna. E provai un immenso flusso d'odio scorrermi nelle vene, incerta se
indirizzarlo a me stessa o a lei.
Chiusi il rubinetto e mi apprestai a seguirla, ma la sua
espressione sconcertata m'impedì di proseguire nel mio intento.
La fissai stralunata.
Shisui-san era infatti impallidita improvvisamente,
facendo degna concorrenza alla fascia stretta in vita. I suoi grandi occhi
scuri ricambiavano il mio sguardo inquisitore con altrettanto stupore e paura,
neanche mi fossi trasformata in Sadako [5].
Istintivamente, la sua mano corse a mo' di protezione sul suo ventre,
indietreggiando cauta di qualche passo, le iridi ora dilatate e guardinghe.
Rimasi spiazzata da quel repentino cambio d'umore.
"Shisui-san?"
Per tutta risposta lei girò sui tacchi, disertandomi
senza degnarmi di una spiegazione.
Avvertii d'un tratto qualcosa di freddo e di umido sotto
i miei piedi.
Una pozza d'acqua cristallina.
Capii immediatamente.
Lunedì, 2 febbraio 1998
- mancano 4 giorni all'Appuntamento -
Menma ed io seppellimmo l'ascia di guerra a colazione. Succedeva
il più delle volte così: litigavamo, ci tenevamo un signor broncio per tutta la
sera e il mattino seguente, dopo aver mangiato, appianavamo le nostre
divergenze.
Rimasi comunque turbata e al contempo commossa quando, accompagnandolo
alla stazione dei treni, Niisan si scusò col cuore in mano, dandomi ragione
riguardo alla visita agli Uchiwa: aveva accettato la proposta di Itachi-san per
il mero gusto di farmi un dispetto. L'avermi però vista uscire dalla cucina d'un
bianco cadaverico, gli aveva instillato un profondo senso di colpa, il quale lo
aveva tarmato fino alle prime luci dell'alba. Però no, non aveva rivelato nulla
ad Itachi-san circa le mie attuali condizioni e se questi sospettava qualcosa,
lo doveva al suo allenato occhio medico.
"Spero che Shisui-san non sia stata troppo dura con
te!"
Strabuzzai gli occhi, cascando dalle mie elucubrazioni.
"Scusa?"
"Shisui-san", ripeté sbuffando Menma,
"ieri pomeriggio vi siete parlate, no? Dopodiché siete entrambe uscite
dalla cucina con certe facce ... Eravate, come dire, sconvolte. E non vi siete più rivolte la parola fino alla fine
della nostra visita. Insomma, cos'è successo tra voi due? Vi siete
accapigliate?"
"No!", scossi il capo vivacemente in diniego,
più che altro per levarmi dalla mente il ricordo dell'acqua fredda lambirmi le
caviglie. "Sono sicura che Shisui-san stesse ancora soffrendo per la paura
presa a causa dell'appendicite di Tenmaku-kun!", asserii con tale
convinzione, che il volto di mio fratello si rilassò, rassicurato dalla mia
logica spiegazione.
"Ah, ecco! Meno male!", esclamò
soddisfatto. Accortici dell'arrivo del
treno, sospirammo entrambi il tipico Beh,
eccoci qua dunque a congedarci. "Sul serio non cambierai idea?"
"Menma-nii ... Ne abbiamo già parlato ...",
borbottai petulante, cambiando peso da una gamba all'altra.
"D'accordo, d'accordo. Mi cucio la bocca. Purché tu
non te ne penta in seguito."
"Non accadrà. Starò bene", gli sorrisi
incoraggiante, sebbene tremassi interiormente all'avvicinarsi
dell'appuntamento.
Menma m'abbracciò forte, scompigliandomi i capelli.
"Ricordati di fare un'offerta a Jizō-sama, eh?", mi ricordò,
circondandomi il viso con le mani e stampandomi un bacio sulla fronte.
Lo colpii giocosamente sul braccio. "Sparisci,
pidocchio!", gli intimai, salutandolo quando salì sulla carrozza.
Osservando il treno partire in direzione di Tokyo, al
posto di sentirmi sollevata per la partenza di mio fratello (uno in meno contro
l'appuntamento) provai un senso d'abbandono molto forte. Come ... come se avessi
perduto più un alleato che un nemico.
Con simili pensieri mi diressi verso casa, passando per
l'incrocio principale che collegava tutte le vie di Konoha. Aspettai
pazientemente il verde e con esso la melodia Tōryanse, tōryanse.
Controllai il cellulare: 8 chiamate perse. Numero: Sasuke.
Mi morsi colpevole il labbro inferiore, rinfilando celere
il telefonino in tasca.
Finalmente scattò il verde e mi apprestai ad attraversare
sulle strisce pedonali.
Passate
pure, passate suvvia.
Dite, dove
porta quest'oscura via?
Porta forse
al tempio di Tenjin il saggio?
Per favore,
concedici il passaggio!
Coloro
senza una valida ragione di qui non passeranno.
Guardate,
di questo piccino è il settimo compleanno,
siam qui
per offrire il nostro o-fuda.
L'andata è
facile, il ritorno fa paura!
Fa paura e
sia,
però
passate, passate suvvia.
Ma ecco, che la mia visuale incominciò appannarsi, mentre
la testa prese a girarmi come impazzita, stordendomi. Venni improvvisamente
colta da inspiegabili vertigini, facendomi barcollare peggio di un'ubriaca. Le
mie gambe si rifiutavano di collaborare, le mie ginocchia si piegavano in
avanti, pronte alla caduta. L'intero mio corpo era percorso da questo sinistro
torpore e rimanere lucida mi costava un immane sforzo.
Finché non crollai a terra.
Passate
pure, passate suvvia.
Dite, dove
porta quest'oscura via?
Porta forse
al tempio di Tenjin il saggio?
Per favore,
concedici il passaggio!
Coloro
senza una valida ragione di qui non passeranno.
Guardate,
di questo piccino è il settimo compleanno,
siam qui
per offrire il nostro o-fuda.
L'andata è
facile, il ritorno fa paura!
Fa paura e
sia,
però
passate, passate suvvia
Ignoro se si fosse trattato di un malore o ... o di
altro. Ricordo solo che mi sentivo come incollata al cemento, incapace di
spostarmi di un solo centimetro in avanti.
Furono secondi atroci.
Passate
pure, passate suvvia.
Dite, dove
porta quest'oscura via?
Porta forse
al tempio di Tenjin il saggio?
Per favore,
concedici il passaggio!
Coloro
senza una valida ragione di qui non passeranno.
Guardate,
di questo piccino è il settimo compleanno,
siam qui
per offrire il nostro o-fuda.
L'andata è
facile, il ritorno fa paura!
Fa paura e
sia,
però
passate, passate suvvia
Più mi sforzavo a muovermi, più un'invisibile presa
ghiacciata mi costringeva per terra.
L'andata è facile, il ritorno fa paura!
Scalciai. Mi dimenai.
Niente.
Non avanzavo d'un millimetro.
Fa paura e
sia,
però
passate, passate suvvia
Il rosso sostituì il verde.
Udii in lontananza il motore di una macchina che
s'avvicinava pericolosamente all'incrocio ...
A me ... bloccata in mezzo alle strisce pedonali ...
Sobbalzai alla vista dei fanali accesi. Al clacson
suonatomi contro a mo' di monito.
Sarei dovuta scattare in piedi e correre via.
Se solo ... se solo mi fosse stato concesso ...
Invece, rimasi lì, cosciente e terrorizzata similmente ad
una vittima sacrificale.
L'auto era sempre più vicina.
Urlai, preparandomi all'impatto.
Il terrore mi privò dei sensi.
Il buio inchiostro.
Stridore di freni.
Il volo e l'atterraggio.
Silenzio.
Quando riemersi dallo shock, non mi trovavo spalmata
sotto la vettura. No, la prima cosa che avvertii furono delle braccia circondarmi
forte, proteggendomi. Aprii lentamente gli occhi, incrociando lo sguardo
certamente scosso eppure clinico d'Itachi-san, il mio soccorritore a giudicare
dai palmi delle mani sbucciati e sanguinanti. Dietro di lui stava il guidatore,
dalla cui espressione dedussi essere più sconvolto della sottoscritta.
Il fratello di Sasuke aprì la bocca per comunicarmi
qualcosa; ciononostante, non riuscivo a sentire nulla. Tutto mi appariva
surreale. Molto probabilmente stavo tremando, perché Itachi-san si levò il
cappotto e, in barba al clima invernale, me lo pose addosso, issandomi in piedi
e continuando a muovere le labbra nel suo muto monologo. Smarrita, mi guardavo
attorno, cercando di capire cosa stesse accadendo. L'unica certezza stava nella
salda presa del braccio dell'Uchiwa, a cui mi stavo aggrappando disperata.
Ero ... rintronata, ecco. Come se mi avessero
sbatacchiato dentro una campana.
Pertanto, non m'accorsi subito dello squillo del
cellulare. Fu Itachi-san ad estrarmi l'apparecchio dalla tasca del cappotto,
mostrandomi insistente il numero apparso sullo schermo, quasi mi stesse
domandando il permesso di rispondere al posto mio.
Sasuke mi stava telefonando. La nona chiamata.
Feci per replicare, ma, al posto d'un semplice sì , dalla mia bocca fuoriuscì
un'agghiacciante sequela di grida e singhiozzi.
Presi a pugni il petto d'Itachi-san, letteralmente fuori
di me.
Non m'accorsi di quel che mi diceva o di quel che gli
ululai. Fino all'ultimo non seppi
neppure che mi stava nel frattempo conducendo a casa sua.
~~~
Il tragitto dall'incrocio all'abitazione degli Uchiwa
avvenne similmente ad una trance: di fatti, serbo ricordi molto sfocati. Di
sicuro mi sfogai contro la persona d'Itachi-san, sorreggendomi tuttavia ad
essa, timorosa di cadere, non fidandomi appunto della saldezza delle mie gambe
assai incerte. L'espressione del chirurgo doveva essere stata molto seria e
determinata, giacché nessuno dei suoi familiari ci disturbò con domande. Venni
accompagnata dolcemente fino alla camera degli ospiti, là dove Itachi-san mi
squadrò per bene, assicurandosi che non riportassi lesioni gravi. Dopodiché,
portatomi da bere qualcosa di caldo, mi consigliò di coricarmi un poco.
Piombai in un sonno da morto.
Al mio risveglio s'era già fatto buio. Avevo
presumibilmente dormito fin quasi alle quattro e mezza del pomeriggio, se non
di più: a quanto pareva, la mia cognizione del tempo era andata a farsi
benedire. La mia fame no, come mi suggerì invece l'offeso grugnito del mio
stomaco.
Lentamente mi puntellai sui gomiti, socchiudendo gli
occhi onde evitare che le vertigini mi provocassero l'ennesima nausea. Non
appena mi giudicai abbastanza lucida da non svenire di nuovo e di manovrare
discretamente il mio corpo, mi posi seduta, sbadigliando alla stregua d'un
ippopotamo. Avevo dormito infatti malissimo.
Un rumore di passi attirò la mia attenzione, specie
quando questi si fermarono dietro alla mia porta. I loro proprietari
bisbigliavano circospetti tra di loro, tuttavia intuii lo stesso trattarsi di
Mikoto-san e di suo figlio, da poco rientrato dalla clinica e subito accorso ad
informarsi sul mio stato di salute.
"E' stata la mano di Kami-sama ad averti portato a
quell'incrocio!", sussurrò turbata la donna. "Davvero, se stamattina
tu non ti fossi recato alle poste prima di timbrare il cartellino ... Oh,
Maria-sama! Non oso immaginare come avrebbe reagito il povero Sacchan alla
notizia! La sua morte l'avrebbe devastato!"
"Adesso non esagerare, Kaa-san. Non nego che sia
stata una fortuna, però il guidatore aveva già scorto Naruko-chan da lontano e
aveva frenato, quando l'ho portata in salvo sul marciapiede!"
"Ma cos'è successo realmente?"
"Naruko-chan era caduta in mezzo alla strada e non
accennava a rialzarsi. Ho controllato eventuali distorsioni o fratture, ma non
presentava alcuna lesione. Era semplicemente paralizzata, presumibilmente dalla
paura. Quando è rivenuta era sotto shock, ha preso a piangere e a
colpirmi."
"Perché non l'hai portata al pronto soccorso?"
"Non ha voluto, anzi, ha urlato che si sarebbe
buttata giù dalla finestra, in caso avessi chiamato un'ambulanza!"
Corrugai fronte, sconcertata. Davvero avevo detto questo?
Cielo, chissà come debbo averlo spaventato! E cosa avrà pensato di me?! Una
pazza, figurarsi!
Da dietro la porta udii Mikoto-san sospirare affranta.
"Ita-kun, secondo te, dovremmo informare Sacchan di
questo? Sono seriamente preoccupata per quella ragazza. Non ... il suo
atteggiamento non è normale! Qualcosa non va in lei, è evidente!"
"Per il momento sarebbe consigliabile lasciare fuori
Sas'ke-kun da questa storia. Sai come s'agita non appena si menziona
Naruko-chan, sarebbe capace di correre fin qui a piedi da Nagasaki! Inoltre,
potrei sbagliarmi, però lei ha avuto una crisi isterica proprio quando ha visto
sullo schermo del suo cellulare il numero di mio fratello. Lì per lì ho pensato
ad uno scoppio ritardato dello shock, ma poi ... non noti anche tu come
Naruko-chan impallidisca o cambi velocemente discorso, ogniqualvolta si
menziona il nome del mio otōto?"
"Certamente, come poteva sfuggirmi? E vorrei che la
piccina si sbottonasse con me, liberandosi di qualsiasi fardello essa stia
portando. Sicuro, che è accaduto qualcosa tra loro due, mi ci gioco la
testa!"
"Possibile. Tuttavia, è un affare privato, che
riguarda soltanto mio fratello e Naruko-chan e noi non dobbiamo assolutamente
immischiarci!"
"Ma avrai i tuoi sospetti, vero?"
"Sì, ma come detto prima, non ci concerne!"
"Umphf, se la
poverina versa in questo pietoso stato d'agitazione per colpa di Sacchan ...
Guarda, giuro che gli cambio i connotati a furia di sberle!"
"Kaa-san ..."
"Embé, scusa! Per una volta che mi porta a casa una
brava ragazza, poi me la strapazza così? Mica va bene! Che razza di barbaro ho
allevato, sennò?"
"Kaa-san, dai, andiamo a preparare la merenda per i
bambini ..."
"Se soltanto Sacchan si decidesse a sposarla ...
Morirei felice ..."
"Kaa-san, per favore ..."
"Eh, ma che rompipalle che sei! Non mi permetti
manco più di fantasticare un poco? Non diventarmi mica come la buonanima di tuo
padre, sai? O mi chiudo in convento! Non scherzo!"
Itachi-san non replicò, limitandosi a ridacchiare indulgente,
dirottando la borbottante genitrice verso la cucina finché non li persi
definitivamente dal mio campo uditivo.
Mi massaggiai la radice del naso: e così il mio
atteggiamento non era passato inosservato, istillando anzi il dubbio nella
famiglia di Sasuke circa la nostra relazione. Stranamente, Mikoto-san pareva
più propensa a colpevolizzare il figlio al posto della sottoscritta, provocandomi
un feroce rossore per quell'ingiustizia poiché l'unica da biasimare ero io.
Itachi-san, al contrario, doveva aver capito tutto e malgrado ciò s'ostinava a
non interferire. Avrebbe potuto parlarmene, tentare di dissuadermi o informare
il suo otōto. Invece taceva, preferendo lasciarci la libertà di discuterne
assieme, Sasuke ed io. Come una coppia.
Discutere? No, io avevo già preso la mia decisione, non c'era nulla su
cui discutere! Nulla!
Barcollai fuori dalla stanza, risoluta a non abusare
oltre dell'ospitalità degli Uchiwa. Sennonché venni catturata dai due pestiferi
marmocchi, che mi avevano fino a quel momento aspettata ben celati nel loro
nascondiglio segreto.
"Ti sei svegliata! Ti sei svegliata!",
esultarono in coro, saltando peggio di scimmie sotto caffeina. "Sei
davvero qui! Allora Tenmaku-nii non ci stava raccontando balle!"
"Io, contrariamente a voi due, non racconto mai
balle!", s'intromise il sopramenzionato fratello maggiore, uscendo
inviperito dalla sua stanza e raggiungendoci, le braccia poste bellicosamente sui
fianchi. Per uno cui avevano asportato l'appendice d'emergenza, pareva pieno
d'energie.
Rispetto ai suoi fratelli minori, Tenmaku-kun
assomigliava in maniera impressionante alla madre, coi suoi ricci ribelli e gli
occhi scuri grandi ed espressivi, dalle ciglia lunghe quasi femminee. Aveva
dodici anni però la sua aria matura e autorevole - senza dubbio ben coltivata
dal suo ruolo di oniisan - lo invecchiava di almeno due o tre anni, per il
sommo chagrin del padre che l'avrebbe preferito più bambino. Similmente allo
zio Sasuke e al nonno Fugaku-san, anche lui tendeva a manifestare un carattere
sostanzialmente saturnino, tranne quando gli giravano i famosi cinque minuti,
in cui si prevedeva l'eruzione vulcanica-collerica tipica degli Uchiwa. Esattamente
come in quel momento.
"Naruko-nee, non vieni a giocare con noi a Tōryanse, tōryanse?"
Rabbrividii al sentir menzionata quella canzoncina,
associandola rapidamente all'incidente. E al bambino col mantello blu.
"Ovvio che no!", mi salvò Tenmaku-kun in
extremis. "Naruko-san ha avuto un malore, ergo si deve riposare!"
Prima che i due pargoli avessero l'occasione di
protestare, Mikoto-san ci chiamò per la merenda. Irrimediabilmente prigioniera
dei mini-Uchiwa, rinunciai ad ogni tentativo di fuga e mi lasciai trascinare
fino alla tavola.
"Che bello rivederti così presto, Naruko- ojōsan",
mi salutò l'anziano Hikaku-san, raggomitolato come un gatto sotto la sua
coperta. Arrossii fino alla punta delle orecchie al sentirmi dare della
"figlia" (seppure di un altro: se avesse usato "musume",
cioè figlia nostra, sarei schiattata sul colpo, altroché!). A complicare la mia
già precaria situazione, s'aggiunse anche il divertito risolino d'Itachi-san.
Se non era una carogna, quell'uomo! Si divertiva a torturarmi colle sue
allusioni! Si capiva adesso perché si trovasse bene con Menma-nii: similis cum
similibus, tzé!
"A proposito", dirottai altrove il discorso.
"Mikoto-san, ancora non m'ha detto il motivo del suo rientro anticipato da
Akita. Sasuke aveva parlato di un ritiro spirituale lungo due o tre
settimane!"
"Lo so", ammise la donna, sospirando
melodrammatica mentre appoggiava il vassoio sul tavolino. "Però dopo aver
appreso del ricovero di Ten-kun, non potevo rimanermene lì senza far niente.
Insomma, già Sacchan, ehm, Sasuke era stato così gentile da offrirsi volontario
per badare qualche giorno ai bambini, poi doveva partecipare a quel congresso e
non potevamo chiedergli di rinunciarvi. Sicché ne ho discusso col mio padre
spirituale e lui m'ha confermato che sì, certamente pregare è giusto, ma
altrettanto fondanti sono le opere pie. Dunque, eccomi qua!"
"Secondo me, avresti fatto meglio a startene ad
Akita!", commentò spassionatamente il bisnonno, guadagnandosi
un'occhiataccia velenosa da parte della nuora per il divertimento dei
bisnipoti, che sghignazzarono impuniti. "Tu e Shishi-musume vi beccate
come galline!"
"Chichi, hai per caso dimenticato di prendere le
pastiglie?"
Traduzione: chiudi il becco o altro!
"Nah, oramai a che vuoi che mi servano! Fra meno
d'un anno sarò al cospetto di Kami-sama!", disse e una densa aria carica
di mestizia e rassegnazione calò sulla stanza. In particolare, i bambini
parvero i più affetti dalla triste costatazione, che molto presto il loro
bisnonno li avrebbe lasciati per sempre. Alla veneranda (e incredibile) età di
centootto anni, ogni giorno, ogni ora corrispondeva ad un dono del loro
Kami-sama.
"Non dica questo, Hikaku-san", esclamai,
soffocando il groppo in gola formatomisi. "Lei vivrà ancora per
anni!"
L'anziano patriarca mi sorrise indulgente, certo della
smentita. I suoi occhi velati si posarono su di me, teneri e rassicuranti. E un
pizzico malandrini. "Non ti preoccupare, figliola! Kami-sama mi concederà
di non tirare le cuoia fintanto che non avrò visto nascere i miei due
bisnipoti!"
Spalancai incredula gli occhi. Come accidenti ...?
"Sul serio Iesu-sama ti parla, hiijiji?",
inquisì altrettanto stupefatto Kiyoaki-kun.
"Sicuro, da quando mi salvò da ambedue le
guerre!", dichiarò serissimo l'ultracentenario. Se non lo conoscessi a
fondo, l'avrei tacciato del peggior caso di demenza senile dell'intero
Giappone.
"Avremo quindi due sorelline?", lo incalzò
Saeko-chan.
Tenmaku-kun s'esibì in una smorfia esasperata.
"Speriamo di no, altrimenti siamo fregati!", borbottò.
"Il dottore non ha accennato a dei gemelli
...", si rivolse invece Mikoto-san al figlio, il solo a non aver perduto
la calma dinanzi a quell'affermazione piuttosto ... profetica.
"Talvolta un gemello si nasconde dietro l'altro e
sfugge all'ecografia fino all'ultimo", suggerì egli la sua teoria, seguitando
però a guardarmi intensamente. "Capita."
Deglutii penosamente.
"Ma ..."
Il pesante rumore della porta scorrevole interruppe
l'obiezione di Mikoto-san.
"Sono a casa!", udimmo una chiara voce
femminile provenire dall'entrata. Immediatamente, Saeko-chan e Kiyoaki-kun
abbandonarono i loro posti, correndo incontro alla madre. Itachi-san li imitò
ben presto.
Memore del nostro incontro il giorno precedente, mi
apprestai a battere in ritirata, adducendo una qualunque scusa pur di
svignarmela. Se dapprincipio mi sentivo un poco a disagio, adesso che
Shisui-san era rientrata, l'ansia mi rodeva lo stomaco.
"Mikoto-san, temo di dover andare ... si è fatto
tardi e ...", ma la donna non mi badò, voltando subito il capo non appena
la nuora entrò nella stanza.
"Ah, eccoti qua finalmente! Il tea si stava
raffreddando!"
Tra le braccia di suo marito, Shisui-san s'irrigidì al
solo scorgermi e il sorriso le morì sulle labbra. Il petto ansante s'alzava e
abbassava forsennatamente. Tremando impercettibilmente, s'esibì in un buffo
movimento che tradiva la sua indecisione se indietreggiare o proseguire per il
corridoio. Nondimeno, mai aveva smesso di fissarmi coi suoi occhi scuri, grandi
e spalancati, come se ella vedesse
ciò che sfuggiva agli altri.
Ciò cui anch'io potevo assistere.
E questo segreto condiviso ci rendeva complici e al
contempo sospettose l'una dell'altra. Ciononostante, non comprendevo in quale
maniera Shisui-san avesse acquisito la facoltà di visualizzare quella presenza,
quando io per prima non mi capacitavo del motivo di quella persecuzione. Desideravo
moltissimo poterne discutere a riguardo, però dalla postura rigida e sulla
difensiva della donna appurai, che mi sarebbe stato impossibile cavarle la
benché minima informazione.
Che diamine!
"Shisui-musume, come sta tua madre?", ruppe il
ghiaccio Hikaku-san, facendole segno di accomodarsi accanto a lui. A malincuore
la donna esaudì la sua richiesta, poiché significava doversi sedere vicino a
me.
"Molto bene, Hikaku-ojisan. Ti manda i suoi
saluti!"
Hitomi-san, oltre ad essere la madre di Shisui-san, era
la cugina seconda di Hikaku-san, figlia di un suo cugino primo emigrato in Perù
in cerca di fortuna. Suo "zio" l'aveva accolta in casa alla fine
della Seconda Guerra Mondiale, poiché l'unica sopravvissuta della sua famiglia,
dopo che il governo peruviano aveva ceduto all'alleato americano tutti gli
immigrati e oriundi giapponesi, deportandoli in massa negli infernali campi di
detenzione sparsi lungo la West Coast. Hitomi-san,
una nisei o seconda generazione,
venne separata dai genitori, entrambi issei,
e ciò le risparmiò il dolore di vederli morire o di malattia o per i
maltrattamenti subìti. Non lo seppe mai né si curò si conoscere la causa del
loro decesso. In ogni modo, Hikaku-san l'aveva cercata e aveva ottenuto il suo
affidamento. Non la voleva sapere in un orfanotrofio peruviano, men che meno
yankee. Così la ragazzina ritornò nella sua patria d'origine, di cui nulla
sapeva e che per colpa della quale era stata crudelmente perseguitata. Hitomi-san
non superò mai il suo trauma, rendendo amara la vita sua e degli altri, dello
"zio" specialmente, vai a sapere perché. Una volta maggiorenne scappò
di casa, ricomparendo brevemente per scaricare la neonata Shisui-san ad
Hikaku-san, sparendo di nuovo per anni. Così l'anziano patriarca dovette
rassegnarsi a crescere la cugina terza assieme ai suoi nipoti, grato della
posatezza e fortitudo morale dimostrate da quest'ultima. Soltanto di recente,
Hitomi-san pareva aver trovato un certo equilibrio interiore, continuando però
a vivere alla stregua d'una reclusa e rifiutandosi di frequentare chicchessia.
La figlia, evidentemente, era l'eccezione che confermava la regola.
"Perché mi hai tenuto nascosto, che ti recavi in
visita da tua madre?", la rimproverò velatamente Itachi-san. "Ti
avrei accompagnato, non mi va che prendi da sola l'autobus! Non nelle tue
condizioni!"
"Muovermi di tanto in tanto giova alla bambina!
Eppoi, la gravidanza non fa di me un'invalida!", ribatté tenace eppure
amabile sua moglie.
"In ogni modo, devi considerare che le strade sono
ricoperte di neve e di ghiaccio! Pensa a cosa potrebbe accadere a te e alla
piccina, in caso scivolassi!"
Avendo origliato inavvertitamente la conversazione tra
lui e mio fratello, in realtà capivo molto bene il vero motivo dietro la
paranoica protettività d'Itachi-san nei confronti della sua tsuma.
Shisui-san gli tappettò discretamente il polso con la
punta delle dita, segno che la conversazione finiva lì. Il suo consorte storse
la bocca imbronciato, ma non insistette oltre. Non poteva palesarsi meglio il
grande ascendente, che la moglie esercitava sul marito. Ed io che avevo
stoltamente creduto, che lei l'avesse sposato in segno di gratitudine per le
cure ricevute dallo "zio" o per la pietà suscitata nel cugino di
terzo grado. Itachi-san era seriamente innamorato perso della sua tsuma, lo si
leggeva negli occhi, dal modo in cui seguiva ogni suo movimento, contemplandola
perfino quando respirava.
Conoscevo bene quello sguardo. Quante volte Sasuke me
l'aveva offerto, permettendo di specchiarmici? Ai nostri primi appuntamenti mi
spiava sotto le ciglia con tale amorevolezza, da chiedermi cosa ci trovasse di
prezioso in me. Mi aveva corteggiata con calma, senza fretta e al contempo
persistente, impedendomi la ritirata. Non come quegli sciocchi arrapati dei
miei coetanei, che mi consideravano alla stregua d'una vagina pensante.
D'accordo, Niisan mi aveva sempre punzecchiata, sostenendo che considerata la
mia mentalità "antiquata" mi sarei giocoforza presa un uomo più
vecchio di me (mica un matusa, eh!, tra Sasuke e me ci separavano nove anni);
tuttavia non avevo colpa se mi prudevano le mani, quando intravedevo la
lussuria negli occhi di coloro con cui uscivo. Perché non vedevano me, bensì il
mio corpo. Nudo, se possibile. Lo trovavo disgustoso. Similmente, mi veniva
voglia di sputarli in faccia quando, udendo Scusa,
ma non sono una di quelle che te la dà al primo appuntamento, vi leggevo la
cocente delusione. Ancora ridevo al ricordo delle espressioni
sconvolte/scandalizzate di Sakura-chan e Ino-chan, il giorno in cui le rivelai
come fossi andata a letto con Sasuke sei mesi dopo esserci messi ufficialmente
insieme.
Inutile negarlo: Sasuke m'adorava, mi rispettava, spesso
lo sentivo fantasticare assieme al fratello su di un nostro futuro.
Mi accarezzai furtivamente il ventre, ripensando alle
parole di Menma.
Il mio meco
m'avrebbe di nuovo guardata pieno d'amore, se avesse scoperto il mio progetto?
O meglio, il risultato della mia decisione, presa senza consultarlo? In fin dei
conti, una parte di responsabilità ce l'aveva anche lui ... Lo amavo, sì, lo
amavo più di me stessa e ciononostante rabbrividivo all'idea di legarmi a
Sasuke per sempre. Perché? Per motivi religiosi? Già di mio ero poco
praticante, non mi avrebbe fatto né caldo né freddo cambiare religione, però
... Non potevo fingere. Questi cristiani di frontiera praticavano con fervore
la loro fede, contrariamente alla tiepidezza e laissez-faire dei loro
correligionari europei, che da secoli non sperimentavano più discriminazioni né
persecuzioni. Per quanto gli Uchiwa non appartenessero alla categoria dei bigotti,
anzi l'avermi accolta testimoniava la loro apertura mentale, comunque ad un
certo punto avrebbero preteso una mia decisione. Sasuke poteva sposarmi col
rito civile, ma ... i figli? A quale credo sarebbero stati allevati? Avrei
interpretato la parte dell'egoista, in caso avessi screditato ulteriormente
Sasuke davanti alla sua comunità. Sposato senza la benedizione della chiesa. I
figli non battezzati. A me non importava niente, però sarei stata crudele a
negargli i riti con cui lui era cresciuto, per cui i suoi antenati avevano
affrontato coraggiosamente il martirio.
Egoista, stupida
carogna!
"Itachi ha ragione, tesoro", puntualizzò
Mikoto-san, porgendo alla nuora una tazza di tea. "Considera che non hai
più la stessa età di quando hai avuto Ten-kun! Devi prestare attenzione, o
potresti ...", e lì si trattenne, spiando furtivamente i nipoti con la
coda dell'occhio "... farti male", terminò, evitando la parola tabù,
che avrebbe turbato quelle giovanissime testoline, già di loro tristi per la
dipartita del nonno Fugaku-san.
"Come Naruko-nee!", cinguettò Saeko-chan,
servendosi dell'ennesimo biscotto.
Shisui-san per poco non si soffocò con la bevanda,
tossendo rumorosamente e chiazzandosi il viso di macchie rossastre. Itachi-san,
velocissimo, le batté vigorosamente dietro la schiena, porgendole un fazzoletto
acciocché si asciugasse gli occhi umidi.
"Come, prego?", gracchiò.
"Essì mama, Naruko-nee è scivolata oggi sulle
strisce pedonali!", spifferò la bambina tutto d'un fiato alla madre.
"Se non fosse stato per papa, la macchina l'avrete schiacciata ... così: splat!" e batté perfino il palmo
della mano sul tavolo, facendo tremare le tazze e i piatti.
"Saeko-chan!", la riprese severo il padre,
riservandole l'occhiataccia.
"Ma è vero!", corse Kiyoaki-kun
cavallerescamente in sua difesa. "Tenmaku-nii ha detto che piangeva ...
piangeva ..." e guardò il fratello maggiore in cerca del vocabolo, che la
sua lingua cinquenne non riusciva a pronunciare.
"Esagitata", gli suggerì il suo Oniisan
sottovoce.
"Esagitata, sì! Piangeva esagitata quando papa l'ha
portata qui!", concluse.
"Di sicuro Naruko-chan è caduta per via del
ghiaccio", fu la spiegazione meno tragica di Itachi-san alla moglie, che
seguitava ad ascoltare la vicenda al limite dello sconcerto. "E lo
spavento l'ha stordita, impedendole di rialzarsi. L'ho soltanto aiutata a
scansarsi, la vettura s'era già fermata. Vero, Naruko-chan?"
"Verissimo!", convenni energica, sperando di
far ritornare un po' di colore nelle gote smunte di una sempre più inquieta
Shisui-san. "Non è successo nulla di che."
"Allora, perché ti sei rifiutata di giocare a Tōryanse, tōryanse coi miei
fratellini?", mi domandò Tenmaku-kun di bruciapelo, studiandomi con la
medesima intensità di suo zio, quando voleva ad ogni costo cavarmi fuori di
bocca la verità.
"Tenmaku, lasciala in pace!", lo avvertì
perentorio il suo Otōsan.
Testardo, il ragazzino proseguì. "Se non erro, la
canzoncina che si sente al semaforo è appunto Tōryanse, tōryanse. Ti sei irrigidita quando Sae-chan e Kiyo-kun
l'hanno menzionata. Tipico caso di un nascente PTSD!"
Annaspai in cerca di una spiegazione, assolutamente
impreparata dinanzi allo spirito d'osservazione, collegamento e deduzione di
quel marmocchio. Non per niente quel piccolo sacripante era il primo della
classe; non si comportava come un adulto, ragionava pure come tale! Diamine!
"Tōryanse, tōryanse,
hai detto?", s'inserì inaspettatamente il bisnonno, uscendo dai suoi
pseudo-torpori e catturando l'attenzione dei bisnipoti. Sospirai sollevata.
Tenmaku-kun si beccò a mo' di punizione uno scappellotto da parte del padre.
"Naturale che a Naruko- ojōsan non piaccia. Si tratta di una triste
canzoncina, anzi, paurosa!"
I visetti ancora paffuti dei più piccoli s'illuminarono
deliziati dall'aspettativa. Perfino Tenmaku-kun aveva abbandonato la sua
espressione seria per una più infantilmente curiosa. Itachi-san e Mikoto-san,
invece, ascoltavano benevoli ma non particolarmente interessati. Quanto alla
sottoscritta e a Shisui-san, attendavamo apprensive il racconto dell'anziano
patriarca.
"Perché, hiijiji?"
Raddrizzando un poco la sua curva e fragile figura,
l'uomo s'inumidì le labbra avvizzite, incominciando il suo racconto:
"Molto tempo fa, c'era della gente talmente povera che non poteva
permettersi neppure una ciotola di riso. Non avendo quindi nulla con cui
sfamare i propri figlioli, gli sfortunati genitori spesso decidevano di
sopprimerli, piuttosto di vederli morire di fame! Tōryanse, tōryanse è la triste canzone di quelle madri sventurate
che accompagnavano i loro figlioletti nella foresta per lì ucciderli!"
La nuora sobbalzò allarmata. "Chichi! Non credo che
siano storie da narrare ai bambini!"
"Uhm?"
"Quindi, hiijiji, per questo motivo la filastrocca
canta L'andata è facile, il ritorno fa
paura?"
Il bisnonno annuì enigmatico. "Ma ahimè, non si
riferisce ai poveri piccini assassinati!"
"No? E a chi?", lo spronarono i bisnipoti,
avidi di conoscere la fine della storia.
"Alla madri", sentenziò solenne l'uomo. "A
quelle sciagurate madri che tornavano dalla foresta. Da sole!", proseguì,
guardandoci severo uno alla volta. "O così esse credevano", aggiunse
malizioso, squadrando Shisui-san, la quale non osava neppure respirare.
"In realtà, si erano sbarazzate solamente del resti mortali dei
figlioletti, poiché il loro spirito sarebbe rimasto invece con loro ...",
e guardò infine me con estrema serietà "... per sempre!"
Un sinistro silenzio calò sulla stanza, gelandoci tutti
sul posto. Nessuno s'azzardò a fiatare alcunché, né ad accennare un
qualsivoglia movimento.
Trasalimmo violentemente - Mikoto-san cacciò perfino un
urletto - quando il telefono squillò all'improvviso.
"Non è che adesso moriamo fra sette giorni?",
sussurrò preoccupata Saeko-chan all'orecchio del fratello maggiore, che sbuffò
il suo evidente scetticismo.
Senza degnarsi di disciplinare la pargola, Itachi-san si
diresse verso il telefono, rispondendo con voce leggermente instabile.
"Moshi moshi?" Il suo viso si rilassò notevolmente non appena scoprì
l'identità del mittente di quella chiamata. "Otōto! ... Che piacere
sentirti! ... Come? Ah no, no, sto bene ... E' il nonno ... sì, ci stava
raccontando una delle sue storie dell'orrore ... Non giocare al figo, te la saresti fatta addosso anche tu, il
vecchio ci sa fare ... un attore nato ... Come? Naruko-chan?" e, coprendo
il ricevitore, mi domandò col labiale: Vuoi
che te lo passi? Gli feci concitatamente segno di no col capo. "Sì,
l'ho vista brevemente ieri pomeriggio ... Sì, sì sta bene per quello ... Non so
perché non ti risponde, che sono, la vostra balia? ... No, tu te ne resti lì a
Nagasaki! ... No, non ... Sasuke! Non
fare il testardo! ... Naruko-chan ha ventun anni, se la sa cavare da sola, è
una donna adulta! ... Uffa, che ... Sì, se la vedo le riferisco di telefonarti
... D'accordo ... Stammi bene ...", e riattaccò. "Che tipo
ansioso!", commentò tra sé e sé, massaggiandosi le tempie.
"Cosa voleva Sasuke-ojiisan?", inquisì subito
Saeko-chan.
"Niente d'importante. Vi saluta tutti e dice che
tornerà questo venerdì come previsto!", riassunse conciso Itachi-san,
glissando su molti particolari. Dopodiché, controllando l'orologio, mi domandò:
"Sono le sei meno cinque, Naruko-chan, ho promesso a Minato-shi di
riportarti a casa per le sei e venti. Te la senti di camminare o andiamo in
macchina?"
Il suo tono d'un tratto allegro e pragmatico mi frastornò
per qualche manciata di secondi. "Un po' d'aria fresca mi farà
bene!", affermai in fretta, rimettendomi in piedi.
"Vado a prenderti il cappotto!", esclamò con
forzata solerzia Shisui-san, uscendo dalla stanza con inaudita rapidità.
"Ma che le piglia?", arcuò il sopracciglio
Mikoto-san, interdetta dal comportamento della nuora.
Il bisnonno fece spallucce. "Ormoni di donna
gravida", disse, punzecchiando dispettoso il fianco di Kiyoaki-kun, che
gli rispose con una regale linguaccia.
Una volta finalmente soli all'ingresso, mi sentii in
dovere di ringraziare Itachi-san per la sua premura e generosa ospitalità.
"Figurati", liquidò egli la questione, come se
agisse così con chiunque s'imbattesse a Konoha. "E' bello aggiungere una
tacca alla lista dei favori, che Menma e Sasuke mi debbono
contraccambiare!", scherzò poi perfido, facendomi l'occhiolino.
Sorridemmo complici e forse per quest'empatia tentai di
confidarmi con lui, sperando di togliermi quell'atroce peso dal cuore.
"Itachi-san ...", esordii, sperando di non
suonare troppo pateticamente disperata.
Ma il chirurgo mi zittì con un deciso gesto della mano.
"No", mi prevenne dal parlare. "Puoi comunque fidarti di me, non
lo rivelerò ad anima viva. Nondimeno, Sasuke ha il diritto di sapere. Ammesso
che ..." e qui le sue iridi scure rifulsero di un bagliore scarlatto
"... la responsabilità sia sul
serio anche sua."
"Non mentirei a riguardo. Men che meno con te."
"Questo mi basta", addolcì Itachi-san lo sguardo,
appoggiandomi una mano sulla spalla. "Andrà tutto bene, Naruko-chan."
"Non lo so più!", tirai su col naso,
scansandomi la frangia dagli occhi. "Non so più che pesci pigliare
..."
"Confidati con Sasuke, non escluderlo! Che poi ...
d'accordo, sotto certi aspetti si comporta da pirla, ma non tanto scemo da non
accorgersi che stai soffrendo e lo fai stare peggio quando gli tieni nascoste
le cose! Non è così rigido come pensi, sai?"
Annuii poco convinta.
"Su, via quelle lacrime!", mi porse Itachi-san
un fazzoletto. "Soffiati il naso,
infilati le scarpe, andiamo a casa, ceni, ti fai un bel bagno rilassante e
dormi. E domani ti parrà ogni cosa più chiara, sì?", m'incoraggiò,
accarezzandomi il capo. "Ti aspetto fuori, va bene? Non metterci troppo, o
tuo padre fa piangere me! E ne è capacissimo!"
Non potei trattenermi dal ridacchiare all'idea.
Soddisfatto dell'esito ottenuto dalla sua battuta, Itachi-san uscì dall'abitazione.
Mi sedetti pesantemente sul gradino di legno
dell'ingresso, rimuginando su quando di recente dettomi e accadutomi. Il seme
del dubbio stava maturando in me: forse sì, forse stavo sbagliando tutto ...
forse mi stavo lasciando guidare dalle mie paure e non dal mio amore verso il
mio fidanzato ... forse ...
Il cappotto mi comparì improvvisamente davanti al naso.
"Scusami se ci ho impiegato tanto. L'ho cercato
erroneamente nella stanza di Sasuke-kun", si coprì Shisui-san il capo di
ceneri, rimanendo tuttavia a debita distanza dalla sottoscritta, neanche temesse
che le attaccassi la varicella.
"Non importa, grazie ugualmente", dissi,
afferrando l'indumento, che contemplai in silenzio per qualche minuto, prima di
voltarmi verso di lei. "Shisui-san ... qualsiasi cosa tu ... tu abbia
visto ... voglio che tu sappia che non è colpa mia!", ci tenni a
precisare, incapace di sopportare oltre il suo sguardo.
La donna si fermò, dandomi le spalle, dalla cui tensione
appurai quanto rimanere nella medesima stanza le stesse costando parecchio del
suo autocontrollo.
O peggio.
Come se si stesse trattenendo dal dirmi qualcosa.
Ma cosa?
Infine, Shisui-san si voltò di scatto, sedendosi accanto
a me, un'espressione determinata sul viso cinereo. "Tenmaku-kun affermava dunque
il vero? Sei svenuta in mezzo alla strada? All'incrocio?"
Corrugai confusa la fronte, chiedendomi dove volesse
condurmi col suo ragionamento. "Sì, non mentiva ... Però non sono svenuta:
al contrario ero cosciente, malgrado le iniziali vertigini!", specificai,
sperando di chiarire.
"E dimmi ... hai avuto la sensazione che qualcosa ti stesse afferrando per la
caviglia?"
Sbiancai.
"Come fai a saperlo?", boccheggiai sbigottita,
la gola subitaneamente secca.
Shisui-san non mi badò, allungando invece la mano sul
bordo dei miei jeans. "Questa caviglia?"
"S-sì ..."
La donna sollevò lentamente l'indumento, denudando la
pelle sottostante.
Sulla mia caviglia scoperta s'intravedevano dei lividi.
Congiungendoli, formavano cinque dita.
Una mano.
Una mano piccina ma forte, tanto da tenermi ferma con la
forza e vanificare ogni mio disperato tentativo di liberarmi dalla sua presa
ferrea.
Era la mano di un bambino.
***
"C'è qualcosa che non va, Gengetsu-san? Ho come
l'impressione che la storia non le stia piacendo."
L'editore , preso di contropiede dall'impertinente
schiettezza di quella domanda, si massaggiò incerto il collo. "Ecco ...
non saprei come spiegarglielo senza che s'arrabbi, Tobirama-sensei, ma ... non
so ... perfino io ho capito che
Naruko ..."
"Se lei pensa che io abbia speso le scorse tre
settimane a concepire una storia atta al banale intrattenimento dei lettori,
beh, allora lei non ha capito un bel niente né dello scopo ultimo di
quest'opera né della natura del mio mestiere: scrivo horror non gialli, è
diverso!", l'interruppe Tobirama con spaventosa glacialità. "E se mi
punzecchia ancora con ulteriori baggianate, può scordarsi l'intervista!"
Dinanzi a quel palese ricatto, il volto già palliduccio
dell'editore Hōzuki divenne più grigiognolo della neve sporca. "Non mi
faccia del bullismo, Tobirama-sensei! Si controlli!"
"Posso sottoporla a ben di peggio che a del
bullismo, caro il mio editore!", strinse gli occhi l'horror writer, abbozzando
ad un sorriso carnivoro. "Così diamo credito alle voci, che gli albini
equivalgono al male personificato!", e rise appunto con perfido gusto per
rafforzare il concetto.
Dal canto suo l'uomo ritenne assai più ragionevole non
stuzzicare oltre gli umori maligni dell'horror writer; già quell'altro Yōkai (al
secolo Izuna) lo aveva assassinato tre volte di fila con lo sguardo per aver
ceduto alla lusinga della tanto agognata intervista, invece di allearsi con lui
per far desistere Tobirama dalla sua idea. Figurarsi se ci si metteva pure
detta e assodata peste bubbonica a rendergli impossibile la vita. No, meglio
non aprire bocca e sopportare in silenzio.
"Piuttosto, sensei, ancora non m'ha indicato un nome
per l'intervista! Ha delle preferenze in particolare o posso scegliere io il o
la giornalista?"
"Se la sbrogli lei, mi fido del suo giudizio. Purché
non mi porti un cretino!", fece spallucce Tobirama, servendosi una tazza
di tea.
"Uhm ... una donna, magari? Viste e considerate le
tematiche trattate ...", suggerì Hōzuki Gengetsu, studiando attentamente i
lineamenti dell'horror writer, che di nuovo rispose con estrema noncuranza:
"Se proprio insiste."
L'editore annuì, seguitando a scorrere meditabondo i
primi capitoli del manoscritto. In tutta onestà non riusciva a comprendere quel
voler mettere -quasi - subito le carte in tavola da parte di Tobirama: sapeva,
infatti, quanto amasse stupire il lettore con impensabili colpi di scena. Qual
era il suo vero obiettivo?
"Non dico che non sia bello, perché lo è. Davvero",
confessò infine l'uomo, infilando nella cartellina i fogli.
"Semplicemente, si discosta molto dal suo marchio di fabbrica, ecco."
"Mi condanna per questo?"
"Per carità! Si trattava, la mia, di un'innocua
osservazione. Lei conosce bene quanto poco positivamente i lettori reagiscano
ai cambiamenti. Inoltre, noto che lei descrive amaramente salace alcuni aspetti
della nostra società, forse un po' troppo per essere giapponese ..."
Tobirama sogghignò birbante. "Dice? Curioso!"
"Cosa, prego?"
"M'hanno bollato come scherzo della natura, m'hanno
bollato come fuori di testa, ma nessuno m'ha mai bollato come giapponese. Devo
considerarlo un buon segno?"
Gengetsu sbuffò
esasperato. "Io ci rinuncio! Mi domando come faccia il suo partner a
sopportarla!"
"Mi sopporta, mi sopporta", lo rassicurò
l'horror writer, fissando l'altro di traverso e sornionamente. "Abbiamo
finito?"
"Ah, no! Questa volta non mi scappa, sensei!",
s'impuntò l'editore. Poiché gli aveva concesso un'intervista, avrebbe fatto
ballare quella testa matta alla sua musica, costasse quel che costasse! E quel
favore glielo doveva proprio, dannazione! "Lei m'assicura che questa
storia sia tratta da vicende realmente accadute?"
"Uffa, sì! Che noia! Quante volte glielo devo
ripetere?!"
"Quindi mi conferma che Naruko Namikaze esiste
davvero? D'accordo, Konoha è un luogo fittizio e questo lo reputo assolutamente
giustificabile, ma la protagonista è sul serio una persona in carne ed
ossa?"
"Certo!"
"Quindi", gli occhi neri di Gengetsu
s'allargarono pieni di speranza e di visioni di yen sonanti, "la porterà
all'intervista?"
Fu il turno di Tobirama d'allargare la bocca in un osceno
e insano ghigno.
"Ovvio!", rispose.
To be continued ...
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Il personaggio di Hikaku è ispirato alla mia tenace pro-prozia,
deceduta alla veneranda età di centoquattro anni. Come lui, anche lei era un
tipetto ostinato e allegro, piena di voglia di vivere e dispettosa peggio di
una scimmia. Pace all'anima sua.
Molto probabilmente, leggendo, vi sarete detti quanto Naruko
sia logorroica. Beh, per coloro che hanno letto i manga Shōjo (ma con la S
maiuscola) di sicuro ad un certo punto ci siamo resi conto di quante pippe
mentali si facessero i protagonisti. Tanto che alla fine non contestavamo più,
lasciando trasportare passivamente dagli eventi! Della serie Vabbè, prima o poi si metteranno assieme!
Ora non so bene la storia del DNA, però mi pare che i
test sulla paternità dei bambini non fossero così precisi come oggigiorno. Ecco
perché non li ho menzionati ... Comunque, per coloro che conoscono i miei
(bizzarri) gusti in fatto di coppie, di certo hanno indovinato l'identità
dell'aggressore di Shisui. Che in questa
fic è una donna. Perché? Hé, dopo aver scritto una Mpreg con Itachi gravido mi pareva giusto restituirgli un
po' di mascolinità ...
E così eccoci al terzo capitolo! Wow, siamo quasi a metà
storia! Evvai!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere il
vostro parere!
Alla prossima, ciao!
Un po' di noticine:
[1] Warabe uta
"Tōryanse, tōryanse" = è una filastrocca per bambini, nonché un
gioco molto simile a "London Bridge".
[2] Mofuku kimono
= kimono da lutto, nero ovunque (obi compreso) tranne che per cinque kamon
bianchi.
[3] Non sia mai
che mi presentassi senza niente ... =
in Giappone è molto scortese non portare un dono ai tuoi anfitrioni,
quando questi t'invitano a casa loro.
[4] Shirokakeshita,
shiromuku uchikake, watabashi =
fanno parte del tradizionale abito nuziale giapponese. Shirokakeshita è un
kimono bianco, lo Shiromuku uchikake una sorta di cappotto bianco senza cintura
e il watabashi è l'ampio copricapo ovaloide.
[5] Sadako =
si riferisce a Sadako Yamamura, la celebre ragazza demone del romanzo " Ringu" di Koji Suzuki (1991) da cui
è stato tratto l'omonimo film di Hideo Nakata e remake statunitense "The
Ring."