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Autore: VirgyIzzy93    18/02/2015    1 recensioni
Quando si ha una madre Valchiria e un padre Vampiro, non si può avere che grandi poteri e una vita difficile. I sette fratelli figli di Ortlinde, Valchiria e Maximus, Vampiro, si ritrovano ad affrontare la loro più grande paura. Una brutta maledizione grava sulle teste di due dei figli. Sfide letali, imprese impossibili, amori spezzacuori e riconcigliazioni commoventi. Questo attende la famiglia più strana di San Francisco.
Genere: Avventura, Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una giornata fredda di metà novembre e al castello tutto sapeva d’inverno, che nonostante la maggior parte delle persone, la reputasse la peggior stagione, Phoebe ne era innamorata. Amava il poter stare a leggere sotto una calda coperta, sulla sua poltrona, davanti al camino sorseggiando o thè o cioccolata calda. E poi, bastava conoscerla un poco per capirlo che era una ragazza completamente fuori dal comune. Non vestiva come le altre ragazze della sua età, non si comportava come le altre ragazze e non viveva come nessuna delle ragazze che normalmente si vedevano in giro. Viveva in un castello assieme ai suoi genitori, nelle alture di San Francisco e frequentava posti e scuole diverse dalla gente comune. Anche perché di comune, lei e la sua famiglia avevano ben poco.
La sua camera da letto era un bellissimo incontro tra l’antico periodo di costruzione del castello e il moderno dark-gothic. Era ampia e spaziosa. Aveva un grosso armadio che prendeva tutta la parete destra all’entrata della stanza, in mogano, in stile gotico, con dentro milioni di vestiti, scarpe, borse e stivali che richiamavano il forte carattere di Phoebe e il suo non volersi confondere con la massa.
Sotto la finestra, dopo l’armadio, c’era una scrivania barocca color magenta lucida, con sedia abbinata. Nello schienale e nel sedile, il velluto argenteo aveva stampato il nome della sua rock band preferita. I Queen.

Appeso al soffitto c’era uno splendido lampadario composto da perline della grandezza di una noce, di Swarovski neri, con al centro uno Swarovski grosso come un’arancia color magenta che dava alla stanza un tocco di luce più soffusa e intima. E anche molto più calda.
Al centro della stanza, nella parete opposta alla scrivania, c’era uno scoppiettante caminetto acceso davanti al quale c’era un pouf in velluto argenteo e con i piedini in legno di ciliegio, una poltrona Chesterfield color mogano con una pesante coperta in tweed blu di Prussia e nero con fantasia scozzese e un tavolino basso tra la poltrona e il pouf, per appoggiarci quello che aveva con sé quando stava sulla poltrona.
Un enorme tappeto magenta accarezzava il pavimento e andando verso il lato sinistro della stanza c’era un letto a baldacchino in legno di ebano, in stile barocca, con le tendine viola prugna e due comodini in legno antico ai lati. Le lenzuola erano in seta nera. E rendevano la camera molto dark.
La ragazza stava sulla poltrona con la coperta addosso, aveva i capelli castani raccolti in una morbida treccia, mentre leggeva Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, ascoltando musica col suo tablet.
Indossava un paio di pantaloni in pelle neri e una maglia aderente nera a girocollo, con degli stivali alti. Una cintura in pelle nera, spessa, con appese tutte intorno alcune armi. Al collo aveva una collana con un simbolo. Era un cerchio con al centro la Runa d’Apertura per l’ingresso a Vallhalla, sotto al cerchio un rettangolino con una scritta “Entrate a Vallhalla e combattete, sue eroine”. Era una collana appartenuta a sua madre. Vallhalla, narrava la leggenda, era la Madre Patria delle Valchirie. Ma era una leggenda, nessuno l’aveva mai vista.
Phoebe era figlia di una delle più antiche Valchirie e di un Vampiro. Il loro legame aveva creato quattro figlie e tre figli. Tutti bellissimi. E possedevano tutti e sette poteri differenti, ma straordinari.

-Leggi ancora? – le chiese Aaron appoggiato alla porta. Era uno dei suoi fratelli. Ed era quello con cui era più legata essendo il suo gemello.
-Impara a bussare – gli rispose lei, abbozzando un sorriso. Phoebe aveva lunghi capelli castani, occhi verde smeraldo, un dolce sorriso e un carattere forte ma amabile. Secondo Aaron, gli unici difetti che aveva erano essere bassa e a tratti permalosa.
-Scusa. Hai ragione. Ma sono giorni che non parli con April. Insomma.. siete sorelle. E non ci potrò essere sempre io a fare da pacere –
-Non sono io che dovrei andare da lei a chiedere scusa – commentò la ragazza senza alzare gli occhi dal libro. April aveva sputato una delle sue acide e pungenti battutacce rivolte a Phoebe. “La santerellina che senza volerlo attira tutte le attenzioni con un singolo colpo d’anca” l’aveva apostrofata. E Phoebe non si meritava questo. Lei non era al centro delle attenzioni perché lo volesse. E non di certo per i suoi colpi d’anca. Ma April era, tra i fratelli, quella dal carattere più strano e particolare.
-Concordo. E lo sai. Ma sai anche com’è April. Vanitosa, capricciosa, viziata e molto prepotente –
-Dimentichi cocciuta, testarda, impicciona, non chiede mai scusa, pensa che il mondo giri intorno a lei ed egoista –
Aaron sorrise debolmente. Sapeva che Phoebe aveva ragione, ma il suo carattere dolce, lo faceva essere il fratello preferito di quasi tutti. Amava tutta la sua famiglia e non poteva scegliere tra le sue sorelle. Non che lei l’avrebbe mai potuto mettere di fronte a tale scelta, ma April invece avrebbe anche potuto a parer di Phoebe.
-Ti ho portato il tuo thè preferito. Con le tue amatissime brioches. Volevo stare un po’ con te perché sono tre giorni che per evitare April ti alleni da sola. Manchi molto a tutti noi. Non darla vinta ad April, sii superiore. Vi voglio bene ad entrambe e so che se tu fossi in pericolo lei morirebbe per salvarti, non è cattiva è solo.. stronza – risero entrambi –Accetti il mio thè? –
-Accetterei la tua compagnia anche senza il thè e le brioches, ma dato che li hai portati farò questo sforzo e li mangerò – sorrise dolcemente.
Aaron si sedette sul pouf e porse una brioches alla sorella assieme alla tazza di thè.

-La mamma dice che stai prendendo ottimi voti a scuola. Dice che è fiera di te –
-Non mi spezzo la schiena sui libri come Melody, che ama studiare e avere la faccia perennemente immersa nei libri scolastici. Io.. mi basta ascoltare la lezione, ripassare bene e prendo ottimi voti. Non sto dicendo che sono più intelligente di Melody. Dico solo che non vedo perché la mamma debba essere fiera. Non mi sto di certo spaccando la schiena per studiare –
-Non è fiera di quante ore studi, ma dei risultati che porti. Sa che il tuo impegno è minimo perché riesci lo stesso ad ottenere risultati ottimi. Melody ha anche lei ottimi risultati e la mamma ne è egualmente fiera, ma è più insicura di te. E ha bisogno di studiare giorno e notte per essere sicura di sapere la lezione –
-Grazie. Sia per il thè che per il supporto e i consigli. Comunque questa volta non accetto di andare io da April per chiederle nuovamente scusa. Non sopporto di essere sempre io a dovermi spalmare di ridicolo per i suoi stupidi capricci. È tempo che cresca e che la smetta di essere la solita bambina viziata. Non può pensare di fare i torti peggiori che una sorella possa fare e credere che dobbiamo essere sempre noi altri a scusarla. È da pazzi –
-Stiamo parlando sempre di April? Perché in quel caso, lo dovresti sapere che tutto ciò che la riguarda è da pazzi –
I due fratelli parlarono molto, mangiando brioches e bevendo thè caldo al bergamotto davanti al fuoco del camino scoppiettante, mentre fuori dalle innumerevoli finestre del castello scendeva la neve. Il paesaggio era bellissimo e tetro al tempo stesso. Ma la neve, così bianca e candida ravvivava molto l’atmosfera intorno al castello. Ad un tratto bussarono alla porta.
-Chi è? – chiese la ragazza.
-Sono la mamma – rispose la donna. Ortlinde era alta, magra, aveva lunghissimi capelli color corvo lisci e fluenti come una cascata, occhi grandi color cielo notturno d’estate, labbra carnose e rosse come le fragole, carnagione pallida ed era incredibilmente bella. Aveva un eleganza innata.
-Entra pure – rispose Phoebe –Speravo invano fosse April ma.. –
Phoebe si zittì. Dietro la madre c’era April. Aveva i capelli biondo cenere raccolti in uno chignon scompigliato, alcune ciocche le ricadevano sul viso, aveva preso la statura dai genitori e non da zia Brünnhilde come Phoebe. Gli occhi color liquirizia come quelli del padre erano arrossati, aveva pianto. Il viso era scarlatto per la vergogna. Ed era un sentimento in genere ben lontano da April.
-Tua sorella è qui per parlare con te, Phoebe. Ed io credo abbiate molto di cui parlare. Aaron, credo sia il caso di lasciarle da sole. E per quanto riguarda te, signorina, cerca di ricordare bene ciò di cui abbiamo parlato. Non voglio più sentire le mie figlie scannarsi per certe sciocchezze – disse guardando severa April.
Ortlinde indossava un vestito nero, lungo, un abito da sera. Aveva una leggera scollatura sul seno e stringeva i fianchi ancora perfetti della donna, scendeva giù delicato sulle gambe. Le maniche erano a pipistrello di color rosso sangue. I capelli neri lisci legati in un ordinata treccia, avvolta in uno chignon perfetto, incastrato da un’anticaglia in legno di ciliegio.

La donna sollevo leggermente la gonna del vestito e con la sua camminata sicura ed elegante uscì dalla stanza insieme al figlio richiudendosi la porta alle spalle. Phoebe si alzò dalla poltrona per avviarsi verso il letto. April la guardava con uno sguardo strano. Phoebe non aveva mai visto quell’espressione sul suo viso. Sembrava umiliata, dispiaciuta e colpevole.
-Beh, secondo la mamma mi vorresti parlare. Dimmi – cominciò Phoebe con voce distante.
-Sì. Ti devo parlare –
Tra April e Phoebe c’erano due anni di differenza. April era più grande. Da bambine erano molto legate, andavano sempre d’accordo. Crescendo qualcosa in April cambiò. Diventò la ragazza che Phoebe aveva davanti in quel preciso istante. Un’egoista, egocentrica, che pensava che tutto le fosse dovuto solo perché era bella. E Phoebe ci soffriva, non capiva perché April si comportasse in quel modo. Soprattutto con lei, perché con lei era anche peggio che con gli altri fratelli. E ora April era lì, davanti ai suoi occhi, con la voce tremante che si rompeva in gola, le mani nervose che si agitavano in strani gesti, piangente, per spiegarle il perché si comportava in quel modo assurdo.
Le disse che era gelosa di come faceva colpo sui ragazzi. A scuola, i ragazzi erano tutti pazzi per Phoebe. No, non tutti d’accordo. Ma molti. April aveva degli spasimanti pure lei, ma se li era bruciati quasi tutti diventando quello che era. La guerra per April, era iniziata con Sydney Rocks. Il ragazzo più carino della scuola, quando April faceva terza liceo e Phoebe prima. Andava al quarto anno. Ad April piaceva un sacco, ma il ragazzo invitò al ballo la piccola Phoebe. Che con quei suoi occhi verde smeraldo, la sua dolcezza e chissà cos’altro, conquistava tutti. Phoebe non sapeva che April aveva una cotta per Sydney quindi accettò entusiasta. Quando il ragazzo più chiacchierato della scuola ti invita al ballo, tu accetti. Ma se avesse saputo che sua sorella stravedeva per lui, avrebbe fatto in modo che lui invitasse lei. Da quel momento, qualcosa in April si ruppe. E invece di parlarne con Phoebe, si chiuse dentro ogni problema e iniziò a trattarla in una maniera davvero orribile. E i loro fratelli difendevano Phoebe, non capendo da cosa derivasse questo assurdo comportamento e questo ruppe ancora di più April. Per questo si comportava male anche con gli altri.
-April, questo è successo due anni fa. Ora io sono in terza liceo e tu fai il primo anno di college. Sydney è andato chissà dove e sicuramente non te lo ricordi manco più. Perché mi odi ancora per uno stupido invito? Lo sai che avrei rifiutato se solo avessi saputo la verità –

April si alzò dal letto, su cui tutte e due erano sedute e guardò torva la sorella.
-E io dovrei credere che avresti rinunciato ad andare al ballo con Sydney, per me? – disse pungente. Quella frase fu per Phoebe, come una coltellata.
-Sì, certo che sì, April. Ma data la tua frase non credo che tu faresti lo stesso per me. Comunque stai tranquilla, so fin troppo bene che ora sbavi dietro a Nate Lander e sai una cosa? Tienitelo, mi repelle quel ragazzo. Ora per favore – disse Phoebe quasi come trattenesse la voce per non gridare insulti alla sorella –te ne puoi andare? Vorrei leggere. Grazie delle piacevolissima chiacchierata. È sempre un piacere parlare con te –
-Come vuoi – rispose in un tono del tutto nuovo alle orecchie di Phoebe, April. Era come se celato tra il suo solito comportamento arrogante, si nascondesse una nota di vergogna. Ma  Phoebe era troppo furiosa per darci peso. April uscì dalla camera della sorella lasciandola sola. La ragazza guardò l’ora e per la cena mancava ancora più di un’ora, allora riagguantò il libro e si risdraiò davanti al camino con la coperta a leggere. Ma non durò tanto l’idilliaco momento di tranquillità. Delle zampette graffiarono la porta. Era Smiaus, il micio blu di Prussia di quattro mesi e mezzo di Phoebe.
-Entra piccolo batuffolo peloso – disse la ragazza. Si risedette sulla poltrona e Smiaus le saltò in grembo acciambellandosi come sempre sulle sue gambe. Lei ricominciò a leggere mentre accarezzava il suo piccolo cucciolo. Lui faceva le fusa e emetteva miagolii di piacere. E alla ragazza tornò il sorriso, lei amava gli animali e Smiaus era la sua passione, l’aveva salvato da un destino crudele.
Il piccolo era nato in allevamento, ma non si sapeva bene come, l’allevamento una notte andò in fiamme e Phoebe, che stava passeggiando assieme a dei suoi amici nella via, si lanciò tra le fiamme per salvare il gattino. Lo aveva sentito miagolare grazie al suo udito sopraffino di mezza Vampira. Aveva salvato insieme a Smiaus altri otto gattini, gli unici sopravvissuti e i padroni dell’allevamento, ed era riuscita ad assicurare ai gattini una famiglia,  ma i cuccioli non avevano manco un mese. Così Phoebe disse ai futuri proprietari degli altri gatti di dar loro il latte come se fossero le mamme, con un biberon. Lei lo aveva fatto con Smiaus fino al momento dello svezzamento. Due fratellini del suo piccolo batuffolo vivevano nel castello. Oltre a Smiaus, tra quelle antiche mura, circolavano altri due gattini ovvero MicioPollo che era di Melody e Ardesia, che apparteneva a Tommy.

-Ma quanto sei carino? Sei proprio il gatto più bello e dolce del pianeta –
L’ora passò velocemente leggendo e coccolando Smiaus, infatti dopo quelli che a lei parvero appena dieci minuti, sentì un urlo arrivarle dalle scale del castello. Era sua madre che la chiamava per cena.
Il castello aveva lunghi corridoi semi illuminati dalla luce di qualche lanterna appesa ai muri, che illuminavano oltre che il percorso, gli innumerevoli quadri che rappresentavano i membri della famiglia di Phoebe. Le scale erano in pietra ed erano molto intrecciate. Portavano in ogni luogo del castello. Phoebe e Aaron erano gli unici due a conoscere tutti i segreti del castello. Meno che uno. Non erano ancora riusciti ad entrare nella Camera Chiusa. Era una stanza nei sotterranei, che non si apriva. Avevano sottratto tutte le chiavi per provarle, ma non avevano scoperto nulla.
Le scale del castello erano ricoperte da un lungo tappeto rosso che le avvolgeva gradino per gradino. Le porte erano in legno di ebano o ciliegio massiccio, i chiavistelli erano in ferro battuto e le sale erano ampie e spaziose.
Quando Phoebe raggiunse la sala da pranzo, vide che il tavolo era apparecchiato per molte persone. Prese un pezzo di pane e cercò qualcuno della sua famiglia. Avviandosi verso la cucina sentì sua madre dirle:
-Oh Phoebe, non ricordi? Abbiamo ospiti a cena. Vatti a cambiare, non puoi cenare in abbigliamento da addestramento –
-Oh, la cena. Ma certo, che sciocca! Ehm.. corro – Phoebe era scarlatta per la vergogna. S’era dimenticata che Veronica, la maggiore dei fratelli, portava a conoscere il fidanzato alla famiglia per ufficializzare la loro relazione, usanza della loro famiglia tramandata dalle Valchirie. Phoebe trovava tutto ciò un po’ antico e ridicolo, ma se a Veronica stava bene, di certo non era lei a doversi lamentare.
Veronica era la maggiore di  tutti i fratelli. Aveva preso il carattere tutto dal padre, ma fisicamente era un misto di tutti i suoi parenti. Aveva lunghi capelli mossi color castano chiaro, occhi dello stesso verde di Phoebe, era alta dal fisico secco e dalle forme appena pronunciate, il naso leggermente adunco e le lentiggini le ricoprivano il viso. Phoebe non vedeva Veronica da mesi, come tutti del resto. La ragazza s’era trasferita all’estero per motivi di lavoro. E a lei, come a tutti, mancava tantissimo.

Phoebe corse in camera sua e aprì le ante del suo enorme armadio. All’interno vi erano ordinati tutti i vestiti in ordine di colore. Dal più chiaro al più scuro. Phoebe sapeva già quale voleva mettersi, il suo preferito. Era senza spalline, nero e aveva la gonna a balze con un ricamo in finta pelliccia nera e argento nell’estremità della gonna. Ai piedi decise di indossare le Converse in pelle nera. Andò velocemente nel suo bagno si trucco lievemente e si fece una coda di cavallo alta lasciando una ciocca per lato a ricaderle sul viso.
Il fidanzato di Veronica era uno Stregone. Figlio di una lunga e potente discendenza di Stregoni di Salem. Gli Stregoni non erano necessariamente buoni o cattivi. Dipendeva dall’Indole.
Una volta che Phoebe raggiunse la sala da pranzo, per la seconda volta, trovò tutti i suoi fratelli vicino al tavolo, a parlare e a ridere.
-Ti stavamo aspettando – commentò Barnabas sorridendole. Barnabas era il terzo figlio. In ordine vi erano Veronica che aveva ventisei anni, Elizabella la quale aveva ventiquattro anni, Barnabas ventidue, April diciannove, Aaron e Phoebe che ne avevano diciassette e i piccoli della famiglia, Melody che aveva quattordici anni e Thomas, nove.
-Barnabas! – sorrise la ragazza correndo incontro al fratello. Anche lui come Veronica era fuori casa da mesi. E Phoebe era legatissima a lui, lei gli era stata accanto in un momento davvero buio.
-Ciao monella – le rispose lui stringendola forte e baciandole la testa. Phoebe abbracciandolo sentì il profumo tipico del fratello. Quel profumo un po’ speziato che a lei piaceva, unicamente perché le ricordava il suo adorato fratello maggiore.
Ortlinde e Maximus, i genitori dei ragazzi, rispettivamente Valchiria e Vampiro, sorridettero alla scena dei baci e degli abbracci che i propri figli si scambiavano.
-Bene, possiamo accomodarci, direi. Veronica, tu e Demetrius, sedetevi nelle sedie dell’amore, per cortesia – ordinò a quel punto la mamma Valchiria. Era una donna severa, ma dal cuore puro. Rispettava le regole imposte dal suo mondo, il Mondo Magico e amava la sua famiglia più di ogni altra cosa al mondo.
Inoltre era molto legata alle tradizioni di famiglia. E la tradizione voleva che per ufficializzare l’unione di due innamorati, essi dovevano sedere nelle due sedie dell’amore, particolari sedie benedette dalle Streghe, alla destra del Capofamiglia, in questo caso di Maximus. Il primo, direttamente alla destra era il futuro nuovo componente della famiglia e nella sedia accanto, il familiare a cui era dedicata la cena.
Si sedettero tutti. Aaron e Phoebe nel fondo del tavolo, per potersi parlare. Loro due pur amando la loro famiglia, erano i ribelli ed anticonformisti di casa.
-Io non so cosa ne pensi tu, ma non farò subire questo patibolo alla mia futura sposa. Scapperebbe a gambe levate – sussurrò Aaron ridacchiando alla sorella. Phoebe trattenne la risata.
-Vuoi scherzare? Io manco so se mi vorrò mai sposare –

Maximus fece cenno ad Albert, il maggiordomo, di portare le pietanze ai tavoli. La cena aveva un menù preciso. Il menù degli innamorati. Legato sempre alla tradizione di famiglia. Vi erano pietanze e prelibatezze che deliziavano i palati più sofisticati e le papille gustative più energiche. C’erano gusti raffinati, dolci, piccanti, salati, amari, aspri, speziati. Era una cena da matrimonio, pur non essendo un matrimonio. E il che, era assurdo per Phoebe. Anche perché sapeva cosa si sarebbe poi mangiato al matrimonio, seguendo le tradizioni della sua famiglia.
-Anche se ci perderemo una cena davvero prelibata – disse facendo spallucce Phoebe a suo fratello, mentre si serviva il piatto degli antipasti che più amava: voulevant ripieni di fonduta e cubetti di prosciutto crudo, caviale, polpette di pollo e lime con salsa di peperoncini.
Ad Aaron andò di traverso il vino per la battuta, tanto che quasi si strozzò. Phoebe per stuzzicarlo un po’ gli arruffò i folti capelli mossi color legna bruciata. E poi vide spuntare quel sorriso un po’ storto sul viso spigoloso e molto bello del gemello. Phoebe voleva davvero molto bene ad Aaron, lei non sarebbe stata nulla senza di lui, questo era il suo pensiero.
La cena poi, proseguì secondo la tradizione, per i due futuri sposi. E fu molto piacevole. Demetrius era un ragazzo piacevole. Era divertente, bello e aveva sempre la battuta pronta. E veronica brillava di felicità, nessuno della famiglia l’aveva mai vista così raggiante.
Demetrius era particolare come tutti gli Stregoni. Era alto, snello, aveva capelli argentati e lunghi come quelli di Maximus, raccolti in una coda. Occhi color blu elettrico, carnagione ambrata e aveva lineamenti delicati, dolci. Aveva un portamento elegante, come tutti gli Stregoni, che ricevevano un educazione da Lord inglese e quella barba dello stesso argento dei capelli leggermente incolta dava un tocco di fascino in più.
-Questa cena è davvero ottima. Avete un cuoco davvero formidabile – commentò sorridendo gioviale. Ortlinde ringraziò il ragazzo che si girò verso Phoebe e Aaron che stavano parlando di un sacco di argomenti.
-Phoebe, mi ha detto Veronica che vederti combattere è un incanto per gli occhi – disse sorridendole.

-Beh questo finché non mi troverò a combattere davvero. È facile essere coraggiosi quando non si è sul serio in pericolo di vita – commentò la ragazza –o si combatte contro pappamolle come mio fratello Aaron – continuò per provocare il fratello.
-La pappamolla ti ha battuto l’ultima volta che ci siamo.. battuti – sorrise Aaron, divertito.
Tutti i presenti risero per lo scambio di battute tra i gemelli. Tutti. Meno che April. Che vedendo quanto Demetrius fosse rimasto colpito da Phoebe divenne acida.
-Attenta Veronica, stai entrando in zona “pericolo di morte”. Se Phoebe mette gli occhi sul tuo Demetrius, per voi è finita –
A tavola calò il silenzio. Un silenzio pesante. Impregnato di imbarazzo, delusione, sconcerto.
-April! – la riprese Ortlinde. Ma April non sentiva alcun imbarazzo. Era inviperita. E aveva uno sguardo soddisfatto.
-April, perché dici che Phoebe dovrebbe mettermi gli occhi addosso? – domandò Demetrius, guardandola deciso.
-Perché lei punta sempre sui ragazzi delle sorelle –
-Ora basta. April, hai fatto abbastanza danni per stasera. Per favore va’ di sopra nella tua stanza e restaci. E non provare a scappare come l’ultima volta, perché appena ti ritrovo non sarò indulgente come quel giorno – disse Maximus deciso ma senza mostrare rabbia.
-Come volete. Phoebe l’ha sempre vinta – urlò di rabbia April lanciando il suo tovagliolo per terra.

-Non sapevo che ci fosse qualcosa da vincere o da perdere, nel rapporto tra sorelle. Comunque ti è caduto questo – disse Phoebe parandosi velocemente davanti alla sorella e tendendole il tovagliolo di seta che aveva gettato via. April lo riprese, lo mise sul tavolo e se ne andò.
Per qualche minuto ci fu un imbarazzante silenzio, rotto qualche volta da qualche richiesta.
-Mi potrebbe passare il formaggio, Ortlinde? – chiese Demetrius.
Phoebe continuava a pensare che doveva scusarsi con Veronica, non voleva assolutamente che lei pensasse anche solo per un secondo che aveva davvero messo gli occhi sul suo ragazzo, per quanto bello lo ritenesse.
Così mentre pian piano, nella tavola riprendevano i discorsi normalmente, nella mente della ragazza frullavano un sacco di pensieri. Finché non resse più.
-Veronica – disse. La sorella maggiore guardò Phoebe, che forse in preda all’ansia, non riusciva a leggere l’espressione della ragazza.
-Sì, Phoebe –
-Voglio che tu sappia che non c’è una parola vera in ciò che ha detto April. Demetrius è un bel ragazzo, è vero ma io non ho mai messo gli occhi su nessuno dei ragazzi di nessuna delle mie sorelle. Voglio solo che tu lo sappia e spero che sia tu che Demetrius mi possiate credere –
Aveva gli occhi un poco lucidi, la voce leggermente tremolante. Non perché si sentisse smascherata da April, ma perché non capiva il suo comportamento. Non capiva perché la odiasse tanto.
-Lo so benissimo Phoebe. Non sono arrabbiata con te, ce l’ho con April. Mamma, papà, April deve crescere e dovete mandarla da uno psicologo. Perché non si può andare avanti così, odia Phoebe ed è assurdo. Nessuno sano di mente, odierebbe Phoebe – detto questo, la cena continuò tra battute e risate. Ad iniziare la mattanza erano stati Aaron e Barnabas per distrarre la povera Phoebs.
Maximus dopo aver mangiato il dolce e bevuto il moscato per il brindisi, chiamò Albert affinché portasse a Demetrius e Veronica il Regalo di Augurio da parte della famiglia.
Albert entrò nella sala con un carrello in cui vi era un grosso pacco incartato. Veronica si alzò e scartò il pacco. All’interno c’era un librone antico, che faceva sempre parte del rito. Il Libro dell’Unione. Accanto al libro c’era un coltello con rare incisioni, un pezzo raro, antico e creato da alcune Fattucchiere all’origine della magia, per le Valchirie.
La futura sposa aprì il libro, scorrendo le pagine di carta antica e sottile. C’erano vari nomi scritti sul libro. Era un registro delle coppie che avevano firmato l’unione dall’origine della tradizione fino a quel momento. Il libro era rilegato in pelle con incise le parole Il Libro dell’Unione in oro.

Si fermò nella pagina dove c’erano i nomi dell’ultima coppia e prese il coltello. Si fece un piccolo taglietto sul dito e fece scivolare una piccola goccia di sangue nel bicchiere accanto al libro. Era un bicchiere piccolo, in cristallo con inciso il simbolo della famiglia. Lo stesso simbolo della collana di Phoebe. Veronica invitò Demetrius ad alzarsi per fare lo stesso e con stupore di Phoebe e di Aaron, il ragazzo non si scompose. Ma non poteva sapere cosa lo aspettava, la tradizione lo vietava. Perché se era amore, il futuro coniuge non si sarebbe tirato indietro, quindi Veronica non avrebbe potuto avergli detto nulla, lei era troppo rispettosa delle tradizioni.
Demetrius si alzò, si posizionò accanto alla sua bella prese il coltello nella sua mano. Si fece il taglio sul dito e versò la goccia di sangue all’interno del bicchiere. La tradizione voleva che, essendo che nel bicchiere vi era una goccia di una pozione, se i futuri coniugi erano destinati a stare assieme, il sangue sarebbe diventato viola per poi tornare del colore naturale, se invece era una relazione destinata a finire, sarebbe diventata nera e così sarebbe rimasto. Veronica e Demetrius guardarono il bicchiere, mentre lei spiegava a lui, cosa sarebbe dovuto accadere affinché la loro unione fosse possibile.
Tutti i membri della famiglia, che sapevano il rituale, avevano gli occhi sbarrati nell’attesa di sapere cosa rivelava il futuro alla coppia. L’unico completamente disinteressato era il piccolo Tommy, intento a mangiare il suo dolce.
Phoebe sapeva perfettamente che la pozione contenuta nel bicchiere s’era sbagliata sia in un verso che nell’altro più d’una volta, in quanto preparata da una Fattucchiera e non da uno Stregone Alchimista. Ma era una tradizione a cui tutti davano molta importanza. Era una cabala familiare.
Qualche istante più tardi il sangue cominciò a diventare di un viola intenso. E poi tornò al colore naturale e nella stanza esplose un applauso. A quel punto Veronica, sorridente più che mai, prese la piuma di fenice che era poggiata sul vassoio sul quale gli era arrivato il libro e la intinse nel bicchiere per firmare il libro col proprio nome. Così fece anche Demetrius che dopo aver firmato, baciò delicatamente Veronica sulle labbra.
-Molto bene, accogliamo con un educato applauso il nostro futuro membro della famiglia. Nostro genero – disse Maximus prendendo la mano ad Ortlinde –E vostro cognato – continuò indicando i suoi figli.
La serata proseguì come una normale cena di famiglia. Senza rituali o tradizioni. Quando si fece una cert’ora i figli che ancora andavano a scuola, salutarono gli adulti. Phoebe prese la mano di Thomas e lo riaccompagnò nella sua stanza. Mentre salivano le scale il piccolo Tommy raccontava a Phoebe tutto quello che aveva imparato nelle ultime lezioni di scuola.
-Phoebe – disse il piccolo Tommy guardando la sorella con i suoi grossi occhioni blu notte, come quelli della madre. Aveva un vocino sottile, come se fosse preoccupato per qualcosa. E guardava la sorella con aria agitata.
-Sì, Tommy? – chiese lei, fermandosi sul ciglio della porta. Il bambino esitò prima di parlare. Poi prese un grande respiro e parlò.
-A che età ti sono comparsi i poteri? – sul viso del bambino, una lacrima scese veloce. Phoebe chiuse la porta e gli si coricò vicino asciugandogli il viso.
-Sei preoccupato perché non hai ancora un potere tutto tuo? Insomma! Tommy, sappiamo che i poteri del classico Vampiro e della classica Valchiria li hai, giusto? Quindi perché ti preoccupi tanto? – gli chiese guardandolo con estrema dolcezza.
-Perché non sono un classico Vampiro e nemmeno una classica Valchiria. E lo sai bene. Io sono una Valchiria del Sangue, esattamente come te. Solo che al contrario di te, almeno per ora, ho solo poteri da Vampiro e da Valchiria. Ma i poteri miei, dati dall’unione delle due creature magiche, non li ho. E ho paura. Ti prego, Phoebe dimmi a che età hai scoperto i tuoi poteri –
Phoebe lo fissò e vide che era davvero molto preoccupato.
-I miei poteri, i Poteri Maggiori, come vengono chiamati, si sono fatti presenti in me quando avevo otto anni. Ad Aaron a cinque. Mentre alla prematura Melody a tre.. – il bambino prese a tremare e gracchiò:
-Sono diverso!- e si nascose sotto le coperte.

-No. Non sei diverso. Se mi lascavi finire, piccolo furfante, avresti anche saputo che invece la ritardataria April, la solita pigrona, li ha scoperti a quindici –
Tommy sorrise. Era il sorriso più bello che Phoebe gli avesse mai visto fare da diverso tempo. Era un po’ che il piccolo era chiuso e cupo. Nessuno aveva capito perché. Ma Phoebe guardandolo in quell’istante si accorse di tutto. Thomas era sempre stato un bambino brillante, molto maturo per la sua età fin da molto piccolo, intelligente, sagace e spiritoso. Capiva le cose anche prima dei suoi fratelli più grandi delle volte. I suoi capelli neri corvini, erano lisci e schiacciati sul visino delicato. La carnagione era chiara e candida come la luna, le guance erano rosse e paffute. Era un ometto, incastrato nel corpicino di un bellissimo bambino.
-Era questo che ti preoccupava, piccola peste? Ho visto quanto eri.. strano, ultimamente – domandò Phoebe accarezzandogli la guancia.
-Sì. Tu non pensi che rivelare i poteri più tardi, sia segno di qualcosa di guasto in me, vero? –
-Se questa domanda me l’avesse fatta April, le avrei risposto di sì – rispose sarcasticamente Phoebe per risollevare il piccolo. E ci riuscì. Tommy cominciò a ridere divertitissimo.
-Ora vai a dormire, ragnetto –
Messo a letto Tommy, la ragazza si avviò nella sua stanza.
   
 
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