Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Koa__    19/02/2015    3 recensioni
#Blackbeard, King of Pirate
#Me, you and nobody else
#The old story of "East wind coming..."
#Down in a dark well Terza classificata al contest 'Pensami' indetto da DonnieTZ
#Obsession
#Losing Control
#My brother is a murderer
#Upside down
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Altro personaggio, Lestrade, Mycroft Holmes, Redbeard, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Personaggi: Mycroft Holmes; Gregory Lestrade; John Watson
Avvertimenti: Established!Mystrade
Note: Temporalmente è da ambientare appena dopo Obsession.
Intro: Dopo aver visto la cella dove era detenuto suo fratello Sherrinford, Mycroft Holmes sta precipitando in un abisso fatto di paure e rabbia e uscirne pare impossibile.



 

 
Losing control



Tu e John Watson non avete mai avuto quello che la società classifica come un rapporto di amicizia. Senza sbagliare si può dire che siete sempre stati elegantemente distaccati uno dall’altro. Al vostro primo incontro lui era convinto che tu fossi una sorta di nemico di Sherlock, il che è assolutamente vero ma non di certo dal tuo punto di vista e tu, al contrario, eri sicuro che quel dottore sarebbe stata la rovina definitiva di tuo fratello. Non puoi quindi definirlo come un amico, anche se a dire il vero il termine non può descrivere nessuno dei rapporti che intessi, hai molti conoscenti, diversi parenti, parecchi colleghi e sottoposti, ma nessun amico in senso stretto. Il solo che potrebbe avvicinarsi a questa definizione è Gregory, ma in effetti lui è molto più. In ogni caso, tu e John Watson non avete mai avuto modo di trascorrere del tempo da soli e le poche volte in cui vi siete incontrati, avete sempre discusso di Sherlock. Per questo motivo non sei abituato ad avere a che fare con lui; anche se ci sarebbe da dire che oggi più che in altre occasioni è difficile relazionarsi con chiunque. Per questo da che sei tornato dalla Virginia, ti sei rinchiuso nel tuo ufficio al Diogenes club e da lì non ne sei più uscito, nemmeno per incontrare Lestrade. Certamente desideravi vederlo, ma era vitale riportare la situazione entro i tuoi standard. Avevi bisogno della tua scrivania, della tua stanza, delle tue cose, dei tuoi gesti quotidiani, di fare un lavoro pratico e manuale, qualsiasi azione meccanica che ti aiutasse a ridarti una sorta di equilibrio mentale. Firmare carte in parte è servito, perché l’hai raggiunta, una specie di pace. Ad aiutarti sono state le tazze di tè, il tuo brandy, il silenzio del Diogenes club e soprattutto il pensiero che i movimenti di Sherrinford fossero sotto controllo e lui, sorvegliato. Ancora però non è sufficiente e te lo sei detto questa mattina, dopo che Anthea ti ha suggerito che sarebbe stato il caso di avvisare John della grave situazione.
Per questo motivo ora il dottore si trova lì, nel tuo ufficio e siede impazientemente ad una poltrona, quella di fronte al caminetto. Ha provato più volte a chiederti che succede e come mai sia stato prelevato dal suo studio medico e portato fin lì, ma non hai mai risposto. Non è maleducazione, la tua, gli hai già spiegato che esporrai l’intera situazione a tempo debito, lui però in tutta risposta è diventato odiosamente irrequieto. Il che ha accentuato quel tuo mal di testa, e ha aumentato in maniera esponenziale il fastidio nei confronti di tutto ciò che ti circonda.
«Si può sapere che accidenti stiamo aspettando? Io avrei da fare.»
«Pazienti, dottore, pazienti» borbotti, evidentemente irritato dall’interruzione, ma palesando noia nel tono di voce. Gli rispondi senza distogliere lo sguardo dalle carte che hai sparpagliate sulla scrivania ed accennando ad uno sbuffo leggero. Il tuo mascheramento quindi funziona ancora, e te ne compiaci appena prima di renderti conto che devi assicurarti che non ti interrompa un’altra volta. Sarebbe inconcepibile venire distratto per cinque volte di fila e nel solo arco di dieci minuti.
«Non me lo faccia ripetere un’altra volta» sibili, passando i fogli da una mano all’altra «le chiedo di godersi la sua tazza di tè e di non pormi questa domanda di nuovo. Come potrebbe dedurre facilmente dal mio silenzio riguardo l’argomento di cui dobbiamo discutere, stiamo aspettando un’altra persona e dato che detesto dovermi ripetere, le chiedo di pazientare. Le assicuro che questo ritardo mi innervosisce profondamente.»
«Oh, ma certo e se innervosisce, Mr: convochiamo John Watson tanto lui non ha una vita, allora sì che è grave.» Cielo, è insopportabile! Ma come accidenti ci riesce Sherlock a farlo stare zitto, a farlo tacere per più di una trentina di secondi? Posi la penna che hai tra le dita, massaggiandoti quindi la radice del naso e quasi senza accorgertene ti ritrovi a sospirare di frustrazione, mentre inizi a rivalutare la tolleranza di tuo fratello che, al momento, stai addirittura santificando. Perché accidenti le altre persone non sono come te? In un mondo popolato di soli Mycroft Holmes si vivrebbe meglio, tu di certo non verresti seccato di continuo per delle stupidaggini. E pensare che sei anche diventato più accomodante rispetto al passato e dipenderà della mezza età, o piuttosto dalla relazione sentimentale che hai con Gregory, ma di recente ti sei impratichito parecchio. Sei molto abile a sopportare il rumore che fanno, tanto che riesci quasi ad ascoltare ciò che dicono senza dover a tutti i costi trattenere uno sbadiglio annoiato. John, però, è di gran lunga più odioso di chiunque altro tu abbia mai incontrato in vita tua. In Lestrade, ad esempio, quando è arrabbiato e ti dà contro per delle sciocchezze, riesci sempre a notare una dolcezza di fondo, una pazienza nel modo rivolgersi a te che il dottore non possiede affatto. Lui è soltanto irritante. Pertanto ti levi gli occhiali e li posi sul tavolo, dopodiché ti massaggi le tempie con gesti ripetuti e vigorosi. Hai già un principio di mal di testa, inoltre l’aver aumentato la sicurezza a Baker Street non ha completamente alleviato la tua preoccupazione. Ti è rimasta come un’ansia di fondo, una sorta di male di vivere appena accennato che ti attanaglia lo stomaco e ti impedisce di concentrati, di essere totalmente sereno. È da ieri che non mangi e che non fai che bere tazze di tè e cognac, e che fatichi a dormire, e che ti massaggi le tempie nella speranza che finalmente l’emicrania ti passi. Per un istante sei quasi mosso dal desiderio di rispondergli malamente e mandarlo al diavolo, però ti ritrovi conscio del fatto che non hai intenzione di arrabbiarti con John, non ne avresti nemmeno la forza. Il problema, è che lui ti è necessario essendo la persona più vicina a Sherlock sarà essenziale nella sua protezione. Quindi sarai costretto a sopportare e proprio quando stai rinunciando ad insistere, senti bussare alla porta e appena prima che il dottore riprenda a gridarti contro.
«Avanti» mormori, alzandoti dalla comoda sedia che ti ospita ed aggirando la scrivania, così da poter finalmente cominciare quella riunione improvvisata.
«Greg!» esclama il dottore, con sorpresa. Il Detective Ispettore, il tuo Detective Ispettore ti correggi, vi raggiunge con brevi falcate borbottando le solite scuse al suo immondo ritardo. «Sei stato convocato anche tu?» chiede il banale John, rimarcando l’ovvio.
«Già» mormora Lestrade, guardandoti adesso con fare preoccupato. Non vi sentite da due giorni e nonostante Anthea lo abbia tenuto aggiornato circa i tuoi spostamenti, dev’essere stato in ansia per te. Il che è ridicolo, visto che è abituato al fatto che fai un lavoro che spesso ti porta via anche un’intera settimana. Tuttavia non ti viene per niente da ridere, anzi, sei stupito perché ciò che ti sorprende è il suo essere infinitamente empatico. Non hai idea di come sia possibile che percepisca il tuo disagio, il tuo pessimo umore, eppure è così e lo sguardo che adesso sta posando su di te, è più che comprensivo. Ha un modo di guardarti bellissimo, ti fa sentire stranamente al caldo e senza nemmeno renderti conto ti ci aggrappi, a quegli occhi espressivi. Stupido. Avresti potuto farlo venire prima, ora ti maledici per non averlo fatto e per aver pensato di riuscire ad uscirne da solo. No, non sei stupido, sei soltanto poco abituato: non hai mai saputo cosa significhi essere in due e poter chiedere aiuto a qualcun altro. Sei sempre tu a comandare, sempre tu a dover proteggere e per una volta, per una singola volta, avresti potuto lasciarti andare e dividere un po’ del tuo peso. Ma forse non è tardi nemmeno per questo, perché la dolcezza che dipinge gli occhi di Gregory, è ora più evidente e ora più celata. Come se tentasse di non palesarsi troppo di fronte a John. Ah, il buon pudore inglese!
«Che succede?» ti domanda, con enfasi. «Dove sei stato negli ultimi giorni, My?» In tutta risposta, sospiri, accentuando il movimento delle spalle con sherlockiana enfasi. Aspettavi il momento di poter raccontare ciò che sta accadendo, tuttavia adesso che sei al dunque e che gli sguardi di entrambi si posano su di te sempre più impazienti, è come se ti mancasse il coraggio di iniziare un discorso sensato. Come fare per raccontargli di Sherrinford? Riuscirai a spiegargli che è tutta tua la colpa? Annuisci, più a te stesso che a loro ed afferri l’imponente fascicolo dal quale estrai una fotografia. Hai già il braccio teso, eppure indugi un istante, uno solo. Per tutta la notte hai evitato di guardare l’immagine in cui Sherry è sorridente, e l’hai fatto perché eri sicuro che non ne avresti sopportato la visione. Avevi ragione, perché quando noti quella barba lunga volutamente non curata e gli occhi azzurri, freddi come il ghiaccio, hai un sussulto e tremi appena, tanto che addirittura John nota un cambiamento nel tuo modo di fare. Subito corri ai ripari e indossi di nuovo la tua solita maschera di indifferenza, ma è troppo tardi e loro hanno già visto tutto. Inoltre… sai che potrebbe scivolarti via ed infrangersi in mille pezzi in ogni momento e se vedessero la tua vergogna, il tuo dolore, forse ti disprezzerebbero più di quanto già non facciano. No, Gregory non ti disprezza, però il discorso per lui è più articolato e complesso: la verità è che non vuoi che abbia pena di te. Non deve accadere. Quindi trattieni i tremiti più che puoi e depositi l’immagine tra le mani ferme di John Watson, il quale adesso la fissa con curiosità ed un leggero fastidio.
«Tre giorni fa, l’uomo ritratto in quella foto era un detenuto di un carcere nel sud della Virginia, Stati Uniti. Ha scontato tredici anni, nonostante al processo lo avessero condannato all’ergastolo.»
«Cos’aveva fatto?» domanda Greg, guardando insistentemente il ritratto.
«Ha commesso un delitto, preda di quello che i periti stabilirono come un moto di rabbia e quindi non premeditato. Tredici anni di carcere per un omicidio, relativamente poco per gli standard di legge americani che prevedono, come certamente saprete, persino la pena di morte in taluni stati, tra cui anche il Virginia.»
«Volete che se ne occupi Sherlock, è così?» interviene John, furibondo. «È per questo che sono qui. Perché accidenti vi ostinate a chiamare me e non avete il coraggio di andare direttamente da lui? Perché? Credete che io possa costringerlo ad accettare un caso di cui non gli importa?»
«No, dottore» sospiri, massaggiandoti di nuovo le tempie prima di allontanarti verso la finestra, dando loro le spalle. Non vuoi che ti vedano in faccia, preferisci di gran lunga concederti il lusso di ammirare quel pezzetto di Londra che si intravede un poco dal Diogenes club. È così bella e rassicurante, vorresti indugiare di più in quella, per te, atipica contemplazione, ma sai di non poterti permettere svaghi del genere. Gregory e il dottore sono dietro di te, puoi sentire i loro sguardi cercare di capirti, di afferrare l’identità di quell’uomo nella fotografia e di comprendere il perché tu li abbia fatti venire. Loro, come è giusto, tentano di afferrare le ragioni dietro il tuo strano atteggiamento e se per John in questo momento sei quasi assurdo, per Gregory il tuo comportamento è indice di preoccupazione. E la sua ansia aumenta, mano a mano che cresce la tua.
«Non si tratta di un caso, dottore, il motivo per cui vi ho fatti venire entrambi è perché dovete sapere, dovete aiutarmi in questa situazione che…» Ti interrompi e non che tu non sappia scegliere il termine più giusto da utilizzare, è che non sai che cosa dire loro. Desideri un aiuto, ma non sai il motivo. Perché li hai convocati qui? Perché proteggano Sherlock? O per sopperire alle tue mancanze? Nulla potrà mai colmare la tua vergogna; Gregory e John non riusciranno a placare il dolore per la perdita di un fratello, né per l’indifferenza di un altro.
«Potrei non saper gestire questa situazione» confessi, infine, conscio del fatto che ciò che hai detto non ti assolve. La colpa di questa situazione è esclusivamente tua, tredici anni fa non hai voluto muovere un dito e se lo avessi fatto magari l’ossessione di Sherrinford non sarebbe peggiorata tanto drasticamente. Forse, perché poterlo affermare con certezza è assolutamente impossibile. Hai visto fino a che punto arriva la sua fissazione, e in quella cella eri certo di aver colto ogni più piccolo dettaglio della sua follia, eppure pensandoci hai capito che non c’è modo di appurare con sicurezza quanto questa sia profonda. Il fatto è che l’idea che Sherrinford possa fare del male a Sherlock non è una certezza, è solo un sentore, una tua paranoia e non sei abituato a pensare in maniera irrazionale ed illogica. È questo, probabilmente, a sconvolgerti. La paura è un sentimento potente e ti rende istintivo e violento, tanto che hai addirittura pensato di somigliare a Sherry, in un modo contorto e tutto tuo.
«Quale situazione?» chiede Lestrade, deglutendo rumorosamente, e spezzando il fruire dei tuoi timori. È giunto il momento di spiegare loro che cosa sta succedendo, quindi ti metti ritto cercando un contegno che non hai e una freddezza che non ti appartiene. Dopo, ti schiarisci la voce e inizi a raccontare.
«Un anno e mezzo fa il direttore di un carcere del sud della Virginia si rese conto che alcuni detenuti, considerati non pericolosi e tendenzialmente inoffensivi, si comportavano in maniera atipica. Spesso come protagonisti di episodi di violenza verso gli altri e, successivamente, anche verso loro stessi. Autolesionismo, spiegandolo in una parola. Ad essere strano era il fatto che non si trattava soggetti con una simile indole. E visto che il fenomeno si stava diffondendo tra diversi prigionieri, arrestati e condannati per differenti tipologie di reato, il direttore decise che non si poteva trattare di eventi isolati. Doveva esistere una matrice comune e lui si premurò di trovarla. Una prima indagine superficiale rivelò che si trattava di detenuti che avevano la tendenza ad isolarsi, a non aderire ad alcun sottogruppo, il che sarebbe naturale in un carcere. Contemporaneamente a questi fatti, anche alcune guardie avevano iniziato ad assumere atteggiamenti impropri. Seppur in un primo momento quel direttore non si fosse reso conto di nulla, iniziarono a correre delle voci, chiacchiere di corridoio perlopiù. Pettegolezzi, direte voi e concordo nel dire che non si dovrebbe dare adito a cose del genere, tuttavia queste erano decisamente insolite anche per delle banali chiacchiere. Troppo strane per non attirare l’attenzione di un individuo intellettualmente nella media come Gene Mallory, un semplice direttore di un carcere nel sud della Virginia, ma molto più furbo di quanto non ci si aspetterebbe. Ciò che venne a sapere nelle settimane successive vi assicuro che scuote me per primo, in un modo che mai mi è capitato. Ma giunti a questo punto vorrete sapere i fatti: alcuni secondini si erano lasciati manipolare, così come quei detenuti socialmente isolati. Erano stati corrotti ed avevano compiuto dei favori particolari all’uomo ritratto in quella fotografia. Un uomo che si era fatto ridurre la pena chissà in quale maniera e che era riuscito a convincere dei prigionieri a farsi del male. Tutto per puro divertimento, come svago intellettuale, un’evasione per il cervello; le dice qualcosa, dottor Watson?» domandi, con fare lievemente provocatorio, in un'insinuazione che però nessuno pare cogliere. «Quell’uomo aveva chiesto dei favori a delle guardie federali e aveva ottenuto cose, che io mai mi sarei immaginato.»
«Di che si trattava?»
«Fotografie, dottore, fotografie» annuisci, con fare grave. «Scoperto il raggiro, il detenuto venne trasferito in un’altra ala del carcere e messo in isolamento, i secondini coinvolti vennero puniti e trasferiti altrove, inoltre il direttore volle assicurarsi che nessuno dei suoi avesse a che fare con quell’uomo per due volte di seguito. A questo punto la situazione potrebbe sembrare risolta: il prigioniero non era più in grado di fare del male a qualcuno, ma il direttore Mallory era un uomo curioso e volle vedere di persona la cella di quel detenuto. Erano a centinaia, le fotografie che aveva collezionato in anni di prigionia erano migliaia e si trovavano ovunque, appese ai muri, sparse sul pavimento... E tutte quante ritraevano una sola persona: Sherlock Holmes.» La tua voce riecheggia appena, in quella piccola stanza del Diogenes club nella quale ti sei rintanato per due giorni, escludendo il tuo dolore e il mondo intero e chiudendoli fuori dalla porta. Un dolore che ora è vivo e pulsante più che mai. Se chiudi gli occhi rivedi quelle foto appese alle pareti, li riapri e vedi la medesima cosa. Non c’è modo di scacciare il terrore, non hai scampo, non esiste maniera di fermare quel tremito alle mani, di riprendere a respirare.
«Gesù Cristo!» sbotta Lestrade. «Questo significa che Sherlock è in pericolo» prosegue e sei quasi certo che ora correrà da te ad abbracciarti, tuttavia ciò non accade il che ti fa pensare che non sia una deduzione, quanto piuttosto un desiderio. È ciò che vorresti da lui, quello di cui hai un bisogno matto, vuoi perderti nell’abbraccio di Gregory e non uscirne mai più. Al contrario di quanto speravi, lui non ha nessuna intenzione di assecondarti e anzi, ora ti dà contro in un modo che fa quasi male.
«E non mi hai detto niente!» grida «da quanto tempo lo sai?» La sua voce è dura, ma non è rabbia quella che percepisci, è solo spaventato. Incredibile che tu sia diventato così empatico o forse non lo sei e quello terrorizzato sei soltanto tu. Sei così confuso… D’accordo: devi razionalizzare. Tu hai avuto modo di renderti conto di quello che stava accadendo, ma sia John che Lestrade sono sconvolti dal peso di questa rivelazione. Una rivelazione incompleta, ti suggerisce la vocina petulante di Sherlock che dal tuo archivio mentale ti ricorda che non hai confessato ancora tutto. C’è un macroscopico dettaglio che non hai fornito loro e che ti si è fermato in gola, come un nodo. Fatichi persino a deglutire e non sai nemmeno il perché di questo disagio, anzi, lo sai però non lo vuoi ammettere. Sei solo certo del fatto che vorresti solamente essere lasciato in pace, ma sadicamente è proprio il tuo DI ad insistere e, ancora, ti domanda se sei conscio del fatto che Sherlock stia rischiando la vita.
«Mi hai sentito, Mycroft?» grida, mentre John al suo fianco ti fissa con fare incredulo. «Tuo fratello è in pericolo e tu te ne stai qui a guardare fuori dalla finestra, facciamo qualcosa!»
«Non ti arrabbiare, Greg» interviene un profetico e stranamente calmo John «sono certo che Sherlock abbia tutto attorno a sé l’occhio vigile dei servizi segreti inglesi e che non sia mai veramente solo. Ho ragione? Vero, Mycroft, che ho ragione?» La voce del dottore è adesso carica di ansia, la medesima di Greg, la stessa che hai tu e che ti domina. Ansia che hai la presunzione di poter controllare, ma che già ha preso possesso del tue facoltà mentali e delle tue azioni. Hai le mani strette a pugno e il corpo contratto, la schiena rigida e il sorriso deformato in un ghigno che potresti considerare al pari di una caricatura. È questa forse la descrizione che più calza di te in questo momento, sei la caricatura di te stesso e basterebbe una sola parola per farti cadere. Un’altra pronunciata dal tuo Gregory Lestrade che, con ansia e rabbia, ti domanda se tu ti stia degnando di ascoltarlo. È all’ennesimo: «Mycroft» gridato, che perdi il controllo.
«Mycroft!» esclama, e tu esplodi.

Succede in un modo atipico per quanto ti riguarda. Tu che mai nella vita sei stato violento con qualcuno, che hai vissuto da uomo pigro e che ti era sufficiente far andare la mente, piuttosto che il corpo per sentirti completo. Sei sempre stato indolente, Mycroft, sempre. Annoiato e svogliato perché era tutto così lento, così mortalmente noioso che nulla valeva la tua attenzione per davvero. Non fino a che è arrivato il piccolo Sherlock comunque. Il tuo è stato un cedimento lento, hai iniziato deconcentrandoti durante lo studio e hai proseguito con il non riuscire a star seduto sulla sedia quando lo sentivi piangere dall’altra stanza. Poi è arrivato tutto il resto, Redbeard e il senso di colpa*. L’adolescenza e la droga, la paura che si autodistruggesse. La vergogna che hai sempre provato verso te stesso per non esser mai riuscito a fargli vedere che non era solo, che c’eri anche tu, che di geni annoiati eravate in due. Non sei mai stato capace di insegnargli a come educare la mente, come tenere a bada i sentimenti e le emozioni, come non farsi coinvolgere. Una lezione quest’ultima che nemmeno tu hai imparato, buffo che tu lo abbia scoperto alle soglie della mezza età. Sì, Mycroft, hai vissuto tutta la tua esistenza a chiederti che cosa potessi fare per sedare il tuo istinto di protezione, quale fosse la chiave per mettere a tacere il senso di colpa. Lei, la chiave, non l’hai mai trovata e ora ti ritrovi lì, a perdere il controllo e a gridare come mai hai gridato. Conscio del fatto che, seppur innamorato di Gregory, per lui non perderesti la testa come stai facendo adesso per tuo fratello. Anzi, lo faresti certamente, è solo che non te ne rendi conto perché di quel vostro rapporto ancora sei insicuro, ancora non ne vedi la profondità. Sei certo che esclusivamente per Sherlock ti comporteresti così. Perciò esplodi e lo fai con un grido, un urlo che si espande nella piccola stanza calda del fuoco del camino e satura di due giorni della tua presenza.
«Certo che lo so» sbraiti, con tutto il fiato che hai in corpo sbattendo anche un pugno sulla scrivania, con una violenza che nessuno si aspetterebbe da te, dall’indolente e pacifico Mr Holmes. Di sicuro non se lo aspetterebbero coloro che ti definiscono di ghiaccio. Oh, quanto si sbagliano!
«Lo so perché è mio fratello» gridi, di nuovo e al loro sguardo stupito, sconvolto e spaventato (spaventato da te) ricordi che ancora non sanno, che una parte di questa storia è a loro oscura. Perché Greg e John sono solo due persone dall’intelligenza decente, non sono due Holmes e di dedurre chi fosse l’uomo della foto non ne sono stati in grado.
«Lui è Sherry» gridi, ancora, con forza e brutalità. Il tuo volto è una maschera di rabbia ed ira, tutta quella che hai represso e che ora fuoriesce al pari dell’esplosione di un vulcano. La tua voce è irriconoscibile tanto che persino tua madre stenterebbe a capire che sei tu quello che ora sta urlando. In effetti, a pensarci, è la prima volta che mostri un sentimento estremo come questo. È un’emozione di sicuro negativa, non buona e che fa male, ma non ha mai espresso un concetto con così tanta forza, il che non rende del tutto negativa la tua sfuriata. Tuttavia e proprio mentre stai per dirti che ti senti più libero, capisci che qualcosa non sta andando per il verso giusto. Un dolore al petto ti mozza il fiato e ti ritrovi con la testa che vortica pericolosamente, in breve ti accasci sulla sedia della scrivania rimasta miracolosamente in piedi, senza più forza in corpo. Sei stanco, sfinito e ora preferiresti dormire. Deduci in un lampo quale sia il problema, il tuo fisico sembra stia cominciando a patire il digiuno e le notti insonni. Non sei più un ragazzino, ti ricorda lo Sherlock rintanato in un angolo del tuo archivio mentale e che ti sorride con fare beffardo e provocatorio. Ti lasci cadere su te stesso, rannicchiandoti ed affondando la testa tra le mani che ora ti coprono il volto. Se prima non riuscivi quasi ad esprimerti per via della paura di venir compatito, adesso sei pietrificato perché li senti perfettamente, quegli sguardi carichi di pietà sondarti da capo a piedi. Hai perso il controllo e ora loro ti giudicano e non serve che parlino perché tu colga i loro pensieri, ti ritengono un debole e un fallito. E hanno ragione perché sai di esserlo, lo hai sempre saputo e adesso ne hai persino le prove: hai alimentato l’ossessione di un fratello verso l’altro e non sei stato in grado di proteggere nessuno dei due. Salvare il salvabile è quanto ti suggerisce la tua coscienza sporca in questo momento, ma cosa penserebbe Sherlock se sapesse cos’hai fatto a Sherrinford e che ora lui rischia la vita per causa tua, per una tua mancanza? No, non devi in nessun modo farglielo sapere. Vigliacco, dice il tuo Sherly immaginario. Vigliacco, ti ripeti. Eppure non cambi idea perché lui dovrà sempre rimanere all’oscuro della follia di Sherrinford e della tua sconsideratezza, della tua colpa. Non sarai mai in grado di ammetterla, di confessargliela e nemmeno a Gregory o a John che ora ti fissano e, sei sicuro, ti stanno colpevolizzando. Ma forse, forse hanno ragione a pensare male di te. D’altra parte ciò che credono, è l’opinione esatta che hai di te stesso. Il tuo maggior difetto è finalmente uscito allo scoperto, dunque. All’alba dei cinquant’anni, ma meglio tardi che mai diceva sempre tua nonna riferendosi ovviamente a tutt’altro. Hai creduto di non avere difetti, di essere perfetto e ti sei elevato ad un Dio onnipotente, questa è la verità. Ma tu non sei immortale e nemmeno perfetto, perché non l’hai cercata la perfezione, hai presupposto di averla e ciò ti rende colpevole e sciocco. Eppure ne eri così sicuro... da giovane eri il più sveglio, quello più intelligente ed incredibilmente abile nel raggirare le persone. Hai avuto la presunzione dei geni, hai creduto che visto che sei in grado di far fare agli altri ciò che desideri, allora sei una sorta di divinità. E ora che il tuo Olimpo è crollato, ti sei reso conto che crogiolarti in una finta immortalità non è servito a niente se non a far cadere chi ti stava vicino uno ad uno. Prima Sherrinford, che ha vissuto tutta una vita tentando di impressionarti, e mai riuscendoci. E poi Sherlock, che adesso è divenuto soggetto principale dei pensieri di un folle e che rischia la vita. Tutto a causa tua e della tua indole a crederti il migliore. Probabilmente se durante la loro infanzia non avessi preferito uno a discapito dell’altro, non sareste in questa situazione. No, non hai mai scelto quale fratello amare, volevi bene a tutti e due (come sosteneva tua madre usando queste stesse parole, che tu non però hai mai capito). Amavi entrambi, anche se a tuo modo. Un giorno però, ti sei reso conto che Sherlock sarebbe stato quello che avrebbe sempre avuto bisogno di te. Sherrinford era forte, credevi. Sherrinford non ti cercava mai e se la cavava sempre da solo, ti dicevi. Sherrinford non avrebbe mai avuto bisogno della tua protezione, eri sicuro. Beh, non era vero. Perché quello che guardava te e Sherlock giocare a scacchi e ridere uno dell’altro, era solo un bambino bisognoso d’affetto, e tu l’hai ignorato creando un mostro. E in un frangente di lucidità ti domandi se sarai mai in grado di riportarlo sulla retta via, se riuscirai a risanarlo.
«Sherrinford Holmes» sussurri, lasciandoti andare contro lo schienale mentre chiudi gli occhi. «L’uomo nella foto è nostro fratello.» Ora non hai neanche più il coraggio di sollevare lo sguardo, hai paura di quello che potresti trovare sui loro volti, temi di scorgere di nuovo quel lampo negli occhi di Gregory. Se avesse schifo di te, se ti disprezzasse tu non riusciresti a sopportarlo, non in questo momento.
«Mi dispiace» prosegui e sei sincero, anche se conscio che non otterrai mai il loro perdono. Anche se forse, insistendo… no, Mycroft Holmes non prega mai nessuno. E prima che tu possa aggiungere altro o perderti di nuovo in astrusi ragionamenti, qualcosa ti distrae. Sono le dita fredde della mano di John che, premute sul tuo polso, ti auscultano il battito. È il dottore ad oltrepassare il muro fatto di rabbia e dolore che ti sei eretto attorno. Forse Gregory è troppo sconvolto per farlo, ma John Watson è un soldato e ha il sangue freddo, è un medico che vuole soltanto assicurarsi che tu stia bene. Ti eri illuso, per un attimo, che il tuo DI ti avesse assolto. E invece non potrai mai pretendere una cosa del genere! Ora che se ne vadano e ti lascino in pace, vuoi essere lasciato da solo. Stai per fargli sapere che ti senti bene e che è stato soltanto un capogiro dovuto al digiuno, ma John ti zittisce con sguardo severo, come se stesse osando ordinarti qualcosa. Sherlock sosterrebbe che è tipico da parte sua, l’infischiarsene di chi gli sta di fronte e rispondere a tono. Perché se serve a curare, a fare del bene, John Watson non guarderebbe in faccia nemmeno alla Regina. Terribilmente buono, lo ammetti. Drasticamente ostinato, ti rendi conto appena noti che sta monitorando per davvero i tuoi battiti cardiaci e che non intende lasciarti in pace. Una spina nel fianco per chi, geniale come lo sei tu, sa perfettamente di essere sano. Eppure, John è anche dolce e comprensivo, in una maniera che ti confonde e che stona, visto che quando qualcuno ha a che vedere con te, non è mai dolce e comprensivo. Eccetto Gregory. Lui è così tante cose, da perderci la testa a considerarle tutte quante.
Sollevi timidamente lo sguardo su John e in un barlume di lucidità, inizi a capire tuo fratello e il suo attaccamento. Subito però passa ed in breve torni annoiato più di prima. Pensi che finalmente lo strazio sia finito, quando (sconvolgendoti completamente) Gregory si china al tuo fianco e dopo averti appoggiato una mano sul ginocchio, sfregando con insistenza, ti porge una bottiglietta d’acqua.
«Hai avuto un giramento di testa, giusto?» ti chiede John, e tu annuisci, ancora troppo sconvolto per poter utilizzare delle parole. C’è qualcosa nel loro modo di fare che sfugge alla tua comprensione; come mai non se ne sono ancora andati e non ti hanno lasciato lì da solo? Lo meriteresti! E perché Gregory, che fino a pochi istanti fa urlava, accusandoti di aver lasciato tuo fratello da solo, adesso se ne sta in silenzio e ti accarezza con fare docile? Dov’è finito l’iracondo dottore che ti ha prosciugato la pazienza fino alla più piccola stilla?
«Da quante ore non mangi?» insiste Watson, testardo e ben deciso a non lasciarti in pace. «E bada che non serve mentire, sono abituato con Sherlock e riconosco tutti i sintomi dello stress da digiuno. Mycroft Holmes, da quante ore non mangi?» tuona, infine.
«Quarantotto o forse trentasei, non ricordo con precisione.»
«Cristo, My, vuoi stare male sul serio?» sbotta invece Greg, mentre tu continui a bere. È una sensazione strana, come se l’acqua ti schiarisse le idee. Quasi riuscisse a diradare la confusione e il battito accelerato che, ora, è molto più calmo e regolare. Che sfogarsi serva a qualcosa? Che aprirsi con gli altri, possa davvero aiutare a stare meglio? Che strani questi sentimenti, pensi prima che John ti interrompa ancora, spezzando per la milionesima volta i tuoi pensieri. Adesso però non ti dà fastidio, il che è proprio strano.
«Lo amo quanto lo ami tu e non voglio che gli accada nulla esattamente come lo vuoi tu» dice John, sorprendendoti.
«Io non…»
«E non osare provare a sostenere il contrario, non prenderci in giro perché tutti noi sappiamo quanto tieni a Sherlock. E questa situazione è assurda a dir poco. Lui però non è solo, non lo è mai stato e poi spesso ti dimentichi che è intelligente e che non permetterebbe a Sherrinford di fargli del male, sempre se è questo che vuole. Tu ne sei assolutamente certo?»
«Ovviamente no, se avessi le prove rinchiuderei mio fratello in un bunker e lì ce lo terrei, ma occorre un motivo per imprigionare qualcuno e anche per il governo inglese. Le mie sono solo supposizioni, ma per quanto io le ritenga fondate visto quel che ho trovato in quella cella, non posso fare nulla di nulla.»
«Penso che tu debba parlare con lui» interviene Greg, lasciandosi cadere a terra, al tuo fianco. Ancora non ha lasciato la presa che ha sul tuo ginocchio, noti e il pensiero ti strappa un sorriso. Ti scalda il cuore, rasserenandoti in una maniera strana. Isolarti e rinchiuderti in quella camera non è servito a niente, perché è sufficiente una carezza di Gregory per riportarti alla calma assoluta, per far sì che i tuoi pensieri si distendano, districandosi da quel groviglio di paura che era fino adesso la tua mente. E la sua mano resta lì e più ti tocca, più di senti meglio.
«Credo sia una buona idea» conferma John, annuendo. «In ogni caso quello che hai avuto non è stato niente di preoccupante, ma non digiunare mai più e confido nel tuo buon senso e nel fatto che almeno tu lo abbia ereditato dai vostri genitori. Mangia subito qualcosa, tanto per cominciare. Niente teina o caffeina, né sostanze eccitanti fino a che non sarai più sereno, e niente alcolici» ordina, additando un bicchiere vuoto e una bottiglia di Cognac, sistemata su un mobiletto alle vostre spalle. «Magari un toast al formaggio o un’insalata e soprattutto dormi, perché quelle occhiaie mi dicono che non lo fai da altrettanto tempo. Posso stare sereno e dire a Sherlock che suo fratello non ha rischiato l’infarto per una situazione soltanto potenzialmente pericolosa?»
«Sì» annuisci, con fare esausto e ancora distratto dalle carezze del tuo DI.
«Non ti preoccupare, John, ci penso io a Mycroft e grazie per essere intervenuto.»
«Se dovesse ricapitare, chiamami subito o andate in ospedale. E per quanto riguarda Sherlock, invece, starò sempre al suo fianco e non lo mollerò un minuto. Anzi, vado a casa immediatamente e gli dirò tutto quanto.»
«No!» esclami, balzando in piedi. Lestrade ora ti fissa stupito e ti viene da ridere perché sai che ti sta dando dell’idiota, tu però hai le tue buone ragioni.
«Sherlock non dovrà sapere niente di Sherrinford» prosegui, con tono più calmo e mostrando loro che hai ripreso il controllo di te. «Me lo prometta, John.» Sei quasi certo che stia per ribattere e per dirti le ragioni per cui tuo fratello ha diritto di sapere e tutte quelle cose che già sai, ma che non hai intenzione di ascoltare da nessuno: a fatica sei riuscito a sedare la voce nella tua testa che ti diceva che sei solo un vigliacco. Probabilmente è vero, sei solo un codardo, ma ora ti stai convincendo del fatto che meno cose sappia e meglio è.
«Sherlock sarebbe capace di andare a cercarlo soltanto per il gusto di provocarlo» gli spieghi «e un confronto fra di loro è l’ultima cosa che desidero. Parlerò con Sherrinford e quando le sue intenzioni mi saranno chiare deciderò il da farsi, per il momento il solo ad essere sorvegliato è Sherlock, ma abbiamo l’indirizzo di un appartamento dove Sherrinford si è trasferito da qualche giorno.»
«Se proprio devo, non glielo dirò» risponde John, arreso. Probabilmente si è reso conto che hai ragione.
«Grazie, dottore e mi voglio scusare per la reazione che ho avuto, le assicuro non sono una persona che tende a fare drammi, anzi non è assolutamente da me.»
«Non è necessario giustificarsi, Mycroft, è stata una reazione umana e per quel che so, voi Holmes tendete a dimenticarvi di esserlo.»

L’ultima frase che John Watson ha pronunciato, appena prima di andarsene, ancora ti riecheggia in testa. E se avesse ragione? Se fossi soltanto un essere umano? In quei momenti di follia dati dalla paura, hai appurato di non essere Dio e gli sbagli che stai collezionando ne sono la prova più lampante. Ma sei un umano, Mycroft, hai fatto ciò che ritenevi più giusto; Sherrinford era un assassino e doveva pagare per i suoi sbagli. Probabilmente se commettesse lo stesso delitto oggi, ti comporteresti nella stessa identica maniera. Non lo assolveresti come hai fatto con Sherlock e la ragione per cui entrambi hanno commesso il loro delitto, ne è il solo ed unico motivo. Sherrinford è un folle che ha ucciso per il gusto di farlo, Sherlock è un assassino che ha fatto ogni cosa in suo potere pur di proteggere le persone a cui teneva e che ha ammazzato Magnussen a sangue freddo, perché non aveva altro modo di uscirne. In apparenza non c’è differenza tra un omicidio ed un altro, ma in questo caso la differenza è enorme e non puoi ignorarla. Ciò che hanno fatto, fa di loro due colpevoli, ma per una volta la ragione dietro cui si basa un gesto compiuto, è ciò che cambia tutto. Non hai mai giudicato le persone per le loro idee, sono gli atti che commettono ad avere una valenza, dei motivi non ti è mai importato niente. Eppure questo caso è differente e non solo perché ti tocca da vicino, ma perché ti ha spinto a fare dei ragionamenti ai quali non hai mai badato prima. Sherrinford ha ucciso per il gusto di farlo, Sherlock lo ha fatto per amore, il che non lo assolve ma per te è un dettaglio fondamentale. Perché forse, magari, probabilmente, tu avresti fatto anche di peggio. Uccideresti per Sherlock? Per Gregory? Sì, è la risposta che ti dai. E mentre ti alzi e cammini verso la finestra che dà su quella Londra pomeridiana e piovosa, ti rendi conto che il momento che più temevi è infine arrivato. Devi affrontare Sherrinford di persona. Hai ancora paura per entrambi, certo, ma le probabilità che Sherry non sia redento e che voglia fare del male a Sherly sono ancora molto elevate. Troppo elevate perché tu non ti decida ad agire di persona. Affondi le mani nelle tasche dei pantaloni mentre senti due braccia forti cingerti da dietro, è Gregory che ti chiede come ti senti seppur senza parlare e che appoggia la testa sulla tua spalla. Non dice niente, lui sa. Aspetta che tu ti apra e che ti decida a parlare con maggiore calma, senza gridare e soltanto aprendoti completamente. Sarai in grado di farlo? Di parlare chiaramente, mostrandogli le tue vergogne? Ne sarai capace sul serio? È l’ultimo pensiero coerente che fai, questo, prima di chiudere gli occhi e lasciarti cadere. Ma a fare la differenza c’è un dettaglio che cambia tutto, qualcosa che rende diverso questo momento da ogni altro che hai vissuto. Stai cadendo, certo, ma ora c’è Greg a prenderti.



Fine


*Si riferisce alla prima storia di questa raccolta: ‘Blackbeard, King of pirate’ dove Mycroft mostra del senso di colpa nei confronti di Sherlock.

Volevo ringraziare tutti coloro che stanno seguendo questa raccolta e la storia di Sherrinford, in particolar modo a chi recensisce.
Koa
   
 
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