-Capitolo 2-
L’eco di un tonfo infranse la quiete mattutina
del “Nekomata”.
« Che cosa?! Sei … Sei sposata?! »
A battere con forza le mani sul tavolo, colta in
contropiede da quella rivelazione, altri non era stata una ragazza. Alta,
lunghi capelli scuri trattenuti in una coda alta e la divisa della cucina con
il logo del ristorante sulla maglia bianca.
Kagome poggiò l’indice sulle labbra per farle
segno di non urlare, decisa a non attirare più del dovuto l’attenzione.
« Non gridare, Sango, alcuni si stanno cambiando
al piano di sopra e con il tuo tono di voce ti avranno sentita fino in Africa.
»
La giovane sembrò così rendersi conto della
situazione e sospirò, scusandosi con un sommesso borbottio e rialzando la sedia
che aveva fatto cadere per lo stupore.
Kagome conosceva molto bene Sango, erano amiche
da tantissimi anni ormai. Si erano conosciute quando il ristorante aveva
aperto, all’inizio era solo un aiuto cuoco come gli altri ma la sua bravura, la
sua tenacia e resistenza, l’avevano portata alla promozione proprio com’era
accaduto anche lei. Adesso era lo Chef ufficiale e riconosciuto del ristorante,
una delle migliori della città e la più abile a gestire le comande durante
l’ora di punta.
« Sul serio, Kagome, stai scherzando vero? »
domandò nuovamente sedendosi al tavolo, poggiò il gomito sopra la superficie in
legno, coperta da una tovaglia scura semplice.
Nel palmo aperto appoggiò il mento, osservando
l’amica e collega con un’espressione indecifrabile. Un misto tra il preoccupato
e la perplessità.
Kagome sospirò, scuotendo il capo per l’ennesima
volta e guardando seriamente l’amica.
« Ti sembra che io abbia voglia di scherzare? »
« Beh, direi di no … Tuttavia, ammetterai che la
situazione è troppo assurda perché io ci creda. »
« Credici invece, perché è proprio la verità.»
« Si può sapere come diavolo è successo? »
La domanda di Sango era abbastanza lecita,
rifletté Kagome mentre si lasciava andare contro lo schienale della sedia.
Incrociò le braccia al petto rievocando gli
eventi della notte passata.
« Cosa?! »
A scattare in piedi non furono altro che Kagome,
suo nonno, suo fratello e il padre dei due demoni presenti.
Il nonno di Kagome, in modo particolare,
sembrava sul punto di avere un infarto nell’immaginare sua nipote in sposa a un
demone. Sota, invece, più calmo cercava di quietare suo nonno per evitargli
malori più tardi. Il misterioso demone, sembrava solo sinceramente sorpreso e
per nulla sconcertato dalla proposta. Sesshomaru accanto a lui era
perfettamente tranquillo, braccia conserte e un espressione assolutamente calma
in volto. Lo stesso si poteva dire per Inuyasha, il quale non aveva aperto
bocca pur essendo una delle parti chiamate in causa.
“Ma si può sapere i demoni che razza di concetto
hanno del matrimonio?”
« Quel testamento è sicuramente un falso! Mia
nuora non avrebbe mai fatto una cosa del genere alla sua adorata figlia! »
Fu la voce severa e insindacabile del nonno
Higurashi a interrompere quella strana atmosfera.
L’avvocato lo guardò intensamente con quei
grandi occhi, una mano intenta a lisciare la barba sul mento e l’espressione
sul viso completamente assorta.
« E’ quello che è accaduto, invece. Non capisco
dove sia il problema. »
Il nonno stava per replicare a tono esattamente
come prima, ma Kagome lo precedette e con mossa felina prese il raccoglitore
dalle mani dell’avvocato.
Suo nonno e Sota si avvicinarono per esaminare
quei documenti scritti in un linguaggio troppo tecnico decisamente
“avvocatese”, qualcosa che i meri mortali non potevano capire, ma di una cosa
furono sicuri. La firma infondo ai documenti era proprio quella di sua madre:
Yukiji Higurashi.
« Nonno … »
Non c’era bisogno di aggiungere altro, purtroppo. Persino suo nonno se ne
convinse, annuendo con un cenno del capo e ingoiando la bile. Aveva sperato che
almeno la firma non corrispondesse, in questo modo sarebbe stato facile andare
via, evitando alla sua nipotina un matrimonio
forzato come quello.
Kagome non pensava affatto al matrimonio in quel
frangente, era l’ultimo dei suoi pensieri. Ad occupare la sua mente in quell’istante
erano due pensieri.
Il primo riguardava Sota, naturalmente, quando
Kagome aveva mostrato a lui e al nonno i fogli dell’avvocato aveva visto la sua
espressione velarsi alla vista della firma della mamma. La stessa madre di cui
serbava pochissimi ricordi. Il secondo problema, invece, era l’altra persona
che aveva firmato quel contratto. Izayoi Setsuna.
Lo sguardo di lei guizzò dall’avvocato al
ragazzo seduto accanto a lei. Fermo e immobile, non aveva fiatato dal momento
in cui avevano scoperto di essere sposati.
“Niente, non penso otterrei qualcosa da questo
tizio … “
Lo sguardo di Kagome si fissò nuovamente su
quelle piccole e soffici orecchie da cane, argentate come i suoi capelli, si
muovevano impercettibilmente captando le parole e i rumori nello studio legale.
Dovette nuovamente fare violenza su stessa per non avvicinarsi e toccarle.
Trasse un profondo respiro, calmandosi e rivolgendo la sua attenzione al demone
vestito con abiti tradizionali.
« Ecco, mi scusi signor … »
La sua figura era abbastanza torreggiante, ma
rispetto a quando era entrato poco fa Kagome non si sentì a disagio, nemmeno
sotto pressione. Lo sguardo di quel demone era infinitamente gentile, velato da
una profonda malinconia per la perdita della moglie.
« Niente formalità, per favore, ormai sono
troppo vecchio per questo. Chiamami semplicemente Akio. »
« Signor Akio … » insistette Kagome, avvicinandogli
il foglio del contratto con le firme.
« Questa è la firma di sua moglie, giusto? »
Improvvisamente nello studio calò il gelo più
totale.
Sesshomaru, perdendo la compostezza avuta
finora, lanciò uno sguardo poco amichevole nei confronti di Kagome che si sentì
fulminata da tanto rancore.
Cosa aveva detto di sbagliato?
Il suo sguardo guizzava da una parte all’altra,
aspettando una risposta mentre cominciava a sentirsi una stupida anche solo per
aver osato parlare.
« … Sì. E’ proprio la firma di Izayoi. »
La voce del demone, finalmente, ruppe quel
sottile filamento di silenzio che si tendeva come una corda in procinto di
spezzarsi.
In quel momento l’avvocato si era alzato e senza
troppa cortesia riprese i documenti, squadrando malamente la ragazza e
invitando nuovamente tutti a sedere.
Kagome, però, non era per niente intenzionata a
dargli retta e mise invece una mano sulla spalla di Inuyasha.
« Ehi! Non hai proprio niente da dire? Guarda
che siamo noi quelli che … »
Non finì la frase poiché si accorse del vero
motivo dietro al silenzio del ragazzo. Si era addormentato.
La testa ondeggiava lentamente in avanti, gli
occhi erano chiusi e dalle labbra appena dischiuse scendeva un rivolo di
saliva.
Un nervo cominciò a pulsare sulla fronte di
Kagome, la stretta sulla spalla del ragazzo si fece improvvisamente più salda
mentre un ghigno malefico si allungava sulle sue labbra.
« Svegliati! »
Senza troppi complimenti declamò quelle parole
nelle sue orecchie, sicuramente sensibili ai rumori più forti, scuotendolo a
destra e sinistra.
Alla fine il risultato sperato venne ottenuto.
Inuyasha, si svegliò.
Si portò una mano alla nuca mentre con l’altra
nascose uno sbadiglio. Kagome si trattenne dal colpirlo in testa, aveva
abbastanza sguardi puntati di se e non voleva attirare ulteriormente l’attenzione.
« Quanto clamore per una cosa da niente come
questa … »
« Una cosa da niente?! »
« Sì, da niente. Non capisco perché la fai tanto
lunga. »
Kagome lo guardava allibita, gli occhi sbarrati
e la bocca mezza aperta. E non solo lei, tutti i presenti guardavano i suoi
gesti con una certa meraviglia.
« Per quanto mi riguarda, le cose mi vanno bene
anche così. Essendo un mezzo demone
nemmeno dovrei lamentarmi, ma se proprio la cosa non ti va a genio possiamo
sempre trovare una soluzione per sciogliere il contratto. Fino ad allora, mi va
bene qualsiasi cosa sceglierai. »
Non riusciva a credere a quello che stava
sentendo e sì, la sensazione di volerlo colpire, e anche forte sulla nuca,
tornò a farsi sentire dentro Kagome.
Era già lì, pronta con un pugno quando vide le
piccole orecchie di Inuyasha muoversi, scattando velocemente per poi fermarsi.
« Quindi … » esordì Sango, una volta che il
racconto di Kagome fu concluso. « Hai ceduto perché quelle orecchie “adorabili”,
come le hai descritte tu, ti hanno ipnotizzato? »
Un lungo silenzio calò implacabile nella sala
del ristorante.
Nel frattempo alcuni camerieri, già cambiati e
pronti per il servizio, cominciavano a sistemare i tavoli per l’apertura e
controllavano lo stato delle posate e dei bicchieri.
« … Sì » ammise infine Kagome, completamente
sconsolata.
Sango sospirò leggera, incrociando le braccia e
lasciandosi andare con la schiena contro la sedia.
« Accidenti Kagome, sapevo che avevi un debole
per le cose “carine” ma non pensavo fosse così grave. Adesso cosa pensi di
fare? Sposerai davvero quel tipo? »
« Sinceramente non lo so. » ammise Kagome,
tornando a rilassarsi con il corpo mentre ripensava alla serata trascorsa.
Alla fine aveva accettato il compromesso di
Inuyasha, ma non era certa di quello che dovevano fare, ora.
« Kagome, non eri tu a dire che le relazioni
troppo strette ti facevano paura? »
« Questo è vero. Infatti, quando ho cominciato a
capire cosa stava accadendo, ho provato l’irrefrenabile impulso di scappare e
tornare qui. » ammise lei, senza bisogno di celare a Sango i suoi più profondi
pensieri.
« Però, sai Sango, non faccio che pensare alla
ragione dietro il gesto di mia madre. Sono convinta che avesse un qualche
motivo che ancora non conosco, ma per scoprirlo dovrei provare a frequentare
per un po’ questo Inuyasha e forse, a pensarci, non è nemmeno una cattiva idea.
»
« In che senso, scusa? »
« Qualche tempo fa il nonno ha avuto un leggero
infarto, niente di grave, ma sia io che Sota ci siamo spaventati molto. Questo
mi ha fatto capire che lui non ci sarà per sempre. Ho un buono stipendio, ne
sono consapevole, ma da sola non riuscirei a far fronte a tutte le spese di
casa e della scuola. Voglio che Sota realizzi il suo sogno e frequenti l’università,
ma se accadesse il peggio sarebbe costretto a rinunciare alle sue ambizioni e
non voglio niente del genere. »
Sango studiò attentamente sia le parole di
Kagome che la sua espressione, le braccia ancora conserte e gli occhi nocciola
puntati nei suoi.
Sapeva bene che tutto quello che faceva era
anche per suo fratello, lo stesso si poteva dire per lei e per molti altri che
lavoravano da loro, ma nessuno aveva la dedizione di Kagome. Seppure la
conoscesse da diversi anni, adesso non sapeva proprio così dirle per aiutarla a
trovare una risposta. L’ambiguità della situazione non aiutava certo le due
ragazze.
Sango rilasciò un sospiro arrendevole, chinando
il capo e scuotendo appena la nuca.
« La scelta è tua, io non posso dire niente. Se
si rivelasse un maniaco … » e marcò bene
quelle parole con una strana luce omicida negli occhi. « … Non dovrai nemmeno
preoccuparti. Ci penserò io, gli staccherò quella sua bella testolina e la
metterò su una picca. »
« Sango … Stai parlando di Miroku, adesso? »
Lo sguardo omicida dell’amica non prometteva
niente di buono, nemmeno per Inuyasha (anche se lei non lo conosceva) e Kagome
ne ebbe quasi paura.
Non fece nemmeno in tempo a finire di parlare
che il diretto interessato sbucò alle spalle di Sango, abbracciandola di spalle
e allungando una mano per toccare il seno. Prima che potesse farlo, però, la
ragazza si era già girata e con precisione chirurgica lo colpì in faccia
lasciandogli un bel segno rosso che recava l’impronta della mano.
« Eddai, Sango, io volevo solo salutarti … » si
scusò in fretta Miroku, una mano sulla guancia e l’altra alzata in segno di
resa.
Kagome sospirò appena, alzandosi dal suo posto.
Ora che Miroku era arrivato, non avrebbero più potuto parlare di niente.
« Piuttosto, Sango, ricordati di cominciare a
pensare al menu invernale per il ristorante e riferisci a Hojo di fare lo
stesso. Il nostro ristorante è l’unico della zona a vantare piatti adatti ai
celiaci, e non ho nessun desiderio di vedere calare la qualità. »
Non ottenne risposta, ma sapeva che l’aveva
sentita.
Miroku era un bel ragazzo, non aveva la bellezza
particolare e irraggiungibile di alcuni demoni, ed essendone ben consapevole
non perdeva l’occasione per corteggiare clienti e colleghe. I suoi occhi scuri,
con una sfumatura bluastra, rendevano il suo sguardo magnetico e le sue parole
avevano sempre l’effetto desiderato su tutte le ragazze che incontrava. Eccetto
Sango, ovviamente, la quale intuì subito la sua natura libertina e prese “provvedimenti”
a riguardo.
“Mi chiedo quando si decideranno a fidanzarsi.
Ormai è palese che si piacciono, lo sanno tutti qui al ristorante”.
Un sospiro e decise di rimandare i pensieri alla
pausa. Adesso bisognava lavorare.
Il pranzo era il momento più critico per il
ristorante.
I clienti entravano con la consapevolezza di non
avere molto tempo a disposizione, la coordinazione tra sala e cucina doveva
essere perfetta per garantire il miglior servizio nel più breve tempo possibile,
senza dimenticare la qualità.
Miroku, in questo, era un perfetto Chef de rang
e lo considerava il suo braccio destro per la gestione nei momenti più critici.
Ogni tanto, guardando la sala gremita, non
poteva fare a meno di ripensare a quello che era accaduto la scorsa notte dopo
le parole di Inuyasha. Suo nonno non era d’accordo, era irremovibile ma alla
fine, grazie anche all’intervento di Akio, riuscirono a placarlo ricordandogli
che non erano più in un epoca dove demoni e umani non potevano coesistere e
andavano purificati a forza, se necessario.
Il compromesso era fare in modo di trovare una
clausola, un appiglio, al quale fare riferimento per poter sciogliere i loro
legami e tornare ognuno alla vita di prima. Inuyasha non sembrava preoccupato,
al contrario, era molto calmo e quieto e forse per questo motivo aveva
accettato il biglietto da visita suo e di suo padre.
Appoggiata al leggio, sul quale spiccava il
registro presenze, rigirava tra le mani il cartoncino chiaro con sopra il nome
e cognome del ragazzo e la sua occupazione.
Inuyasha Taisho, capo editore presso la casa
editrice “Tama”.
L’altro, invece, era quello del padre di lui. Akio
Taisho.
“Non ho mentito a Sango, ma … ” pensò assorta
guardando i biglietti da visita. “Non so proprio cosa fare. La verità è che la
cosa mi terrorizza. E’ spaventoso. L’idea di affidare a qualcun altro il mio
cuore, è davvero terrificante”.
Da quella sera era passata una settimana.
Tenendo il biglietto da visita in mano alzò lo
sguardo sopra il grande edificio che ospitava la casa editrice seccata, anche
se il termine non si avvicinava minimamente a quello che provava.
“Quello stronzo … Aveva detto che si sarebbe
fatto sentire entro la fine della settimana! Invece, mi obbliga a venire a
cercarlo nel mio prezioso giorno libero”.
Per l’occasione aveva deciso d’indossare una
mini gonna scura con sopra ricamati dei piccoli fiori, abbinata a un
maglioncino color panna e che lasciava scoperte le spalle il tutto coperto da
una giacca senza maniche.
Strinse la corda della borsetta che teneva in
spalla prima di entrare in quel grande edificio, incuriosita e preoccupata
nello stesso istante. Sapeva bene quanto frustrante fosse essere interrotti
durante il lavoro, ma non c’era altra soluzione.
S’informò dalle due ragazze al bancone vicino
all’ingresso sull’ubicazione di Inuyasha in quel labirinto, ottenuto ciò che
voleva si diresse verso uno dei due ascensori ubicati contro la parete e ne
chiamò uno.
L’ingresso era tappezzato con alcuni poster e
cartelloni di libri di successo in loro produzione e qualche locandina di film,
ispirato probabilmente ai libri. Persino all’interno dell’ascensore trovò
alcuni poster più piccoli di qualche manga o libro, li guardò divertita mentre
saliva fino all’ottavo piano dove si trovava la collana “Shikon” il cui capo
redattore era proprio Inuyasha.
Le porte dell’ascensore si aprirono e mentre
stava per uscire qualcuno entrò, o meglio barcollò al suo interno,
sconcertandola non poco per l’espressione vuota e assente che aveva in volto.
Cosa cavolo era successo?
Si guardò attorno trovandosi davanti un lungo
corridoio costellato da file di piccole impalcature che dividevano le varie
aree, ricordando le parole della receptionist decise di proseguire cercando di
non intralciare il lavoro di nessuno.
“In fondo, non sono mai stata in un posto del
genere. Sembra interessante come lavoro”.
Evitando la fotocopiatrice posta all’angolo dopo
una stretta curva trovò l’ufficio, per così dire, di Inuyasha. Sul viso aveva
ancora accennato un sorriso, gli occhi colmi di curiosità, ma tutto questo s’infranse
improvvisamente.
Davanti a lei c’era uno spazio abbastanza ampio,
rispetto agli altri settori che aveva intravisto, ma al suo interno si
respirava un aria malsana.
Sul lungo tavolo ricoperto da libri, fogli,
altri libri e oggetti di uso comune per un ufficio stavano cinque cadaveri.
Kagome li guardò esterrefatta, gli occhi
sbarrati per lo stupore e la bocca aperta.
Erano riversi un po’ sulle sedie e un po’ sul
tavolo, e tra loro c’era anche una ragazza, le loro espressioni erano
completamente svuotate e nemmeno si erano accorti del suo arrivo.
“Che razza di lavoro fanno? E poi … Che diamine è questo fetore? Sembra di
essere nello spogliatoio di qualche squadra sportiva”.
Si portò una mano a coprire il naso, tappandolo
e cercando di non respirare troppo a fondo. C’era davvero un odore di chiuso e
di stagnante, non riusciva a credere che un essere umano, o demone, potesse
puzzare in quel modo.
Tremando, lentamente, la ragazza al tavolo alzò
lo sguardo spento e svuotato verso di lei. Era molto bella, pensò Kagome, aveva
dei tratti molto eleganti che uniti a quei lunghissimi capelli scuri la
rendevano quasi eterea. Tutto questo, ovviamente, stonava con le profonde
occhiaie che aveva sotto gli occhi e la voce stanca con cui parlò.
« Cosa … ? »
« E- Ecco … » improvvisamente si trovò senza
niente da dire, lo sguardo si perdeva nel piccolo spazio alla ricerca di una
qualche traccia del mezzo demone, ma senza un grande risultato.
« Cercavo Inuyasha … » borbottò, la voce alterata dalla mano che
copriva il naso.
Alzò il braccio, sempre molto lentamente,
indicando la parte opposta del tavolo.
« Se cerchi … Il suo cadavere dovrebbe essere da
quelle parti … » mormorò con voce spettrale, vinta dalla stanchezza si lasciò
nuovamente andare sul tavolo.
Deglutì appena, scostando la mano dal volto e
dirigendosi lentamente verso il punto indicato. Si muoveva furtiva, come un
gatto, evitando di urtare contro una delle sedie e appiattendosi contro gli
armadi a muro. Alla fine lo raggiunse.
Aveva occhiaie ancora più profonde della
settimana scorsa, i vestiti sembravano anche gli stessi, tra le altre cose,
Kagome lo guardò ancora sconcertata prima di poggiare una mano sulla sua spalla
per chiamarlo. Nel momento in cui lo fece, però, questi cadde a terra con un
sonoro tonfo ma continuò a dormire come se niente fosse.
“E questo tizio … Dovrebbe essere mio marito?!”
Salve a tutti!
E’ stato richiesto così intensamente che non ho potuto rifiutarmi di
completare tutto quanto prima.
Allora, qualche piccola spiegazione. Ho scelto il nome di Akio per il
padre di Inuyasha per due ragioni: la prima, il nome, con i kanji
corretti, significa “eroe glorioso”. Mi sembrava adatta al suo ruolo, soprattutto
per quel poco che sappiamo di lui anche nel manga. La seconda ragione, invece,
è più semplice. Avevo in sottofondo le ost di Utena.
Vorrei ringraziarvi tutti, dal primo all’ultimo, da chi ha aggiunto ai
preferiti ( o seguiti) la storia e tutti coloro che hanno commentato.
Per ora è un record avere quattro recensioni, davvero, così vi ho
soddisfatti subito e spero di non avervi deluso in qualche modo con lo sviluppo
della trama.
I capitoli usciranno di giovedì. Vedrò se riuscirò a rispettare subito la
data, altrimenti slitterà alla prossima settimana ancora.
Un abbraccio forte a tutti quanti voi <3
Scheherazade ♫