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Autore: Scheherazade_Reim    19/02/2015    6 recensioni
« Prima di cominciare, ragazzi … » lo sguardo del demone si fissò in quello dei due ragazzi che aveva di fronte a se. « Avete familiarità con il concetto della tontina? »
« Scusi, ma cosa centra questa tontina con mia madre? »
« … e con la mia, aggiungerei. »
« Un attimo di pazienza e ci arrivo! Inuyasha, sei sempre il solito impaziente. »
« Stavo dicendo, il contratto di tontina che hanno stipulato le vostre madri è molto particolare ma ugualmente legale. Alla morte di entrambe, dopo un anno, questo contratto diventa vincolante e lega voi due ragazzi … »
Kagome deglutì, decisamente spaventata e meno incline di sapere il contenuto di quel contratto. Ora più che mai, sentiva il bisogno di alzarsi e di tornare a lavorare al ristorante. Tornare alla stabilità e alla quiete.
« Mi dispiace dirvelo, ma da oggi siete ufficialmente sposati. »
« Cosa?! »
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, izayoi, Kagome, Kikyo, Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Totally Captivated

 

-Capitolo 1-

 

Tokyo, ore 20.30

 

Il ristorante “Nekomata” era aperto da nemmeno un ora e già aveva fatto tutto esaurito.

Il Maître, una giovane donna dai lunghi capelli scuri appena ondulati, raccolti per l’occasione in una coda alta, osservava dalla sua postazione la sala gremita e i camerieri danzare attraverso i tavoli con grande soddisfazione.

Un leggero sorriso e tornava alle sue mansioni.

Poggiata sopra un piccolo leggio rialzato, illuminato da una abat-jour molto semplice, stava il registro delle prenotazioni e non poté fare a meno di sentirsi ancora più orgogliosa e soddisfatta; le prenotazioni arrivavano fino alle dieci di sera inoltrate.

“Questo in barba a tutti quelli che dicevano che a ventisette anni non potevo raggiungere niente”.

Afferrò la penna poggiata nel libro e cominciò a fare alcuni segni accanto ai nomi delle persone arrivate. Per lo più si trattava di clienti abituali, altri erano uomini d’affari in città per lavoro e desiderosi di mangiare in un posto elegante.

Il “Nekomata” era uno dei pochi ristoranti in città che forniva ai suoi clienti un intreccio tra la cucina occidentale con quella tradizionale, unito a un’atmosfera intima ed elegante che permetteva ai suoi ospiti di rilassarsi e farsi viziare dallo staff che lavorava alacremente e senza sosta per fornire il miglior servizio della città.

Quando il proprietario, dopo attenta valutazione, l’aveva nominata Maître aveva sentito il cuore scoppiare dalla felicità e si era data molto da fare per non deludere le speranze che le venivano riposte.

Terminato il suo lavoro di controllo tornò a guardare la sala.

Il parquet era coperto da una finissima moquette che attutiva i suoni delle sedie quando queste venivano spostate, l’immensa sala, che poteva ospitare fino a un massimo di duecento coperti, era su uno stile antico che richiamava il gusto della tradizione occidentale e un immenso lampadario con finte candele spiccava nel centro esatto della sala.

Su ogni tavolo, invece, era posta una piccola candela sopra un candelabro finemente ornato e di color argento. Su di esso era impresso il logo del locale. I clienti andavano dai demoni agli esseri umani.

Uno dei pochi momenti, pensò, in cui nessuno si guardava con sospetto e dove potevano tranquillamente dialogare di affari senza dover per forza alzare la voce. Infatti, solo un sommesso mormorio percorreva la sala mentre una musica rilassante veniva diffusa dagli altoparlanti, posti in punti strategici e nascosti alla vista dei clienti.

« Kagome … »

La voce di una ragazza arrivò alle sue orecchie, risvegliandola dai suoi pensieri e catapultandola nuovamente nella ragazza.

Era minuta, e molto, alla vista era solamente una bambina con capelli argentei ornati da piccoli fiori ma in realtà era un demone. Un demone particolare, a detta di molti, in quanto priva di un odore particolare e di una qualsiasi aura demoniaca. Lavorava come contabile e prendeva le telefonate durante gli orari di lavoro, nonostante l’apparenza era un demone da molti, molti più anni di quanto Kagome osasse pensare.
« Dimmi Kanna. »

« C’è una chiamata per te. »

« Per me, dici? »

La bambina annuì e senza dire altro la precedette negli uffici al piano superiore.

Si guardò un attimo attorno, cercando uno dei suoi Chef de rang libero da impegni. Adocchiatone uno fece cenno di avvicinarsi, pregandolo di tenere d’occhio la sala mentre lei andava a prendere la telefonata.

“Che strano”, si trovò improvvisamente a pensare, “Kanna non mi avrebbe mai disturbato se la chiamata non fosse urgente. Sarà Sota? Sarà successo qualcosa al nonno? No, sa che in quel caso mi deve chiamare sul cellulare e non a lavoro”.

Suo nonno era di salute cagionevole a causa dell’età avanzata, qualche anno fa, prima della sua promozione, aveva avuto un infarto al quale si era salvato solo per miracolo. Da quel giorno, aveva detto a Sota, suo fratello minore, di chiamarla sempre sul cellulare che portava con se in sala per poterla raggiungere immediatamente in caso di pericolo o problemi di qualsiasi natura.

Attraversò la sala e aprì una porta in legno scorrevole con sopra una targhetta placcata in oro con scritto “staff”, al di là di essa c’erano delle scale e senza indugio le percorse fino agli uffici e spogliatoi del piano superiore.

L’arredamento era molto meno elegante, certo, ma non per questo meno curato. L’ufficio del proprietario, dove Kanna lavorava alla contabilità, era in fondo al lungo corridoio. Il rumore delle sue scarpe risuonava in quella quiete irreale.

Le mani salirono sino alla nuca per sciogliere la coda e lasciando i capelli sciolti, liberi di ricadere sulle spalle e incorniciando il viso dai lineamenti delicati.

Aperta la porta dell’ufficio del proprietario trovò Kanna, seduta su una poltrona scura più grande di lei, intenta a fare i suoi conti su una scrivania di mogano pregiato. Il telefono era proprio poggiato lì, la spia luminosa dell’attesa attivata.

« Pronto, sono Kagome Higurashi … ? » esordì, rispondendo dopo aver opportunamente tolto l’attesa di chiamata.

« Buonasera, signorina Higurashi, io mi chiamo Sumisu Totosai e sono l’avvocato che ha curato il testamento della sua defunta madre. »

« Il testamento della mamma? »

Kagome corrugò le sopracciglia mentre ascoltava le parole di quell’anziano uomo.

« Mia madre non ha lasciato un testamento vero e proprio, mi creda, forse ha sbagliato persona. »

« No, no … mi creda. Non ci sono sbagli. »

« Mia madre è morta moltissimi anni fa, quindi, creda a me, ha proprio sbagliato persona. »

Sospirò appena, ripensando al passato e riflettendo sull’assurdità di quell’avvocato.

Forse, pensò, la vecchiaia aveva rammollito il cervello che ora annacquava e non capiva le parole che lei gli diceva.

« Signorina Higurashi, la persona che ha firmato il testamento che ho qui sottomano è la signora Yukiji Higurashi e uno degli eredi designati è proprio lei, signorina Kagome Higurashi. »

Si portò due dita sulla fronte, riflettendo.

Sua madre aveva fatto un testamento? Se è così, pensò, per quale motivo non ne avevano saputo nulla fino a quella sera.

« Ho bisogno che mi raggiunga il più presto possibile. »

« Ecco … Veramente starei lavorando, signor Sumisu, non sarebbe possibile rimandare a domani mattina? »

Non poteva assolutamente allontanarsi dal ristorante con così poco preavviso, senza contare che dopo, nemmeno una mezz’ora, sarebbe arrivata la vera e propria ressa e ci voleva qualcuno che organizzasse perfettamente la gestione della sala per evitare problemi.

« Temo di no, signorina, e mi creda ho avuto anche io problemi a riguardo. »

Adesso la sua espressione appariva chiaramente perplessa.

In effetti, aveva troppe domande da fare, e sembrava non avere molta altra scelta a riguardo, per cui sospirò e decise di accettare quell’incontro.

Afferrò una penna e uno dei post-it usati da Kanna e segnò l’indirizzo dell’avvocato e chiuse la telefonata.

“Che scocciatura … Affiderò il ristorante a Miroku, temo di non avere altra scelta”.

Spiegò velocemente la situazione a Kanna e la pregò di farlo sapere al suo principale, Naraku, la piccola demone si limitò ad annuire con un cenno del capo mentre tornava ai suoi doveri. Kagome nel frattempo uscì dall’ufficio, raggiunse la prima porta sulla destra ed entrò nello spogliatoio del personale. Dal suo armadietto riprese la giacca e la borsa, per il resto era pronta. La sua divisa sarebbe andata più che bene.

Pantaloncini scuri a “sigaretta”, stretti ed eleganti lungo le gambe che fasciavano con cura, una camicia bianca e un giacchetto, anch’esso scuro, ma abbastanza elegante. Il tutto abbinato con scarpe dal tacco basso.

Scesa in sala fermò un cameriere e gli riferì prontamente il cambio di programma della serata affidato ora alle abili mani di Miroku, il suo vice, per così dire, il quale doveva occuparsi anche della chiusura.

Preso un taxi e dato l’indirizzo si rilassò sul sedile posteriore, riflettendo sulla telefonata appena ricevuta e su quello che comportava.

Sua madre era morta quando aveva solo quattordici anni, ma era malata da tempo e in cura presso l’ospedale centrale. Suo nonno si era preso cura di lei e di Sota, ancora piccolo a quei tempi, ma non le aveva mai accennato a un testamento a riguardo.

“Perché non ne sapeva nulla nemmeno il nonno? O forse, sapeva qualcosa ma ha preferito non farne parola?”

Nella sua mente, Kagome stava cercando di mettere ogni cosa in ordine. Ogni singolo tassello.

Doveva trovare una spiegazione logica e convincente, doveva e l’avrebbe fatto.

Il taxi si fermò. Ormai era arrivata.

Pagò velocemente l’uomo e scese dal veicolo osservando l’edificio davanti a se. Non era niente di eccezionale, anzi, era un comune palazzo adatto ad ospitare uffici – questo lo si poteva giudicare anche soltanto dalle vetrate che lo ricoprivano.

Camminò verso il portone e suonò il citofono con l’etichetta “studio legale Sumisu”. Un rumore sordo e la porta si aprì, sospirando appena, entrando si accorse che sull’ascensore vi era una specie di legenda dei piani attaccata vicino ai pulsanti di chiamata.

“Se non altro questo spiega perché non ho sentito nessuno darmi spiegazioni”.

Chiamò l’ascensore e una volta arrivato premette il pulsante con sopra segnato quattro. Una volta raggiunto il piano trovò la porta dello studio semi aperta, una lieve luce filtrava dall’interno e lentamente aprì la porta bussando.

Lo studio era arredato con un gusto molto moderno, niente a che vedere con il ristorante, pensò Kagome sorridendo, chiudendo la porta alle sue spalle mentre dal fondo del corridoio d’ingresso ne veniva aperta un’altra.

Vi emerse un vecchio demone, la fronte rasata e i capelli bianchi, ancora folti, erano legati in una piccola coda alta dietro la nuca.

Kagome abbozzò un sorriso di cortesia mentre si avvicinava, allungando la mano verso l’avvocato, vestito elegante quanto lei, il quale ricambiò la stretta con prontezza.

« Buonasera, signor Sumisu. »

« Niente formalità, la prego, mi chiami pure Totosai. Sono troppo vecchio ormai, essere chiamato signore non fa proprio per me. » replicò bonariamente, sorprendo Kagome con quella richiesta di semplicità.

Questi le fece cenno di accomodarsi nella stanza da cui era uscito, aprendo meglio la porta a vetri per permetterle di entrare.

La stanza, come si poteva notare dal corridoio, si rivelò davvero essere arredata in stile moderno. Niente mobili in legno pregiato, ma una scrivania lucidissima e coperta di scartoffie, due divani si trovavano ai lati della stanza e davanti alla scrivania c’erano due sedie in similpelle.

« Sorellina! »

La voce del fratello la riscosse completamente, rendendosi conto solo in quel momento che su uno dei divani, quello di destra, c’era suo fratello e il nonno.

« Sota! Nonno! Ma cosa … ? »

Il fratello e il nonno scrollarono le spalle, spostando lo sguardo verso l’avvocato, nuovamente seduto sulla sua sedia e intento a guardare l’ora sul suo orologio.

« Era importante che ci foste tutti.

Tra poco saliranno altre persone coinvolte nel testamento. »

“Altre persone … ?”

« Mi scusi, signor avvocato, ma sta parlando del testamento di mia nuora e gradirei sapere cosa sta accadendo! »

La voce del nonno tuonò imperiosa nell’ufficio dell’uomo, Sota e Kagome annuirono entrambi. La ragazza aveva poggiato una mano sopra la spalla del fratello, sorridendogli e sussurrandogli poche parole: “lasciamo che se ne occupi il nonno”.

« Mi dispiace, signor Higurashi, ma non c’è niente che posso fare a riguardo. Appena arriveranno gli ultimi ospiti potrò spiegarvi tutto. »

Kagome osservò suo fratello preoccupata.
Quando sua madre era morta lui aveva solo quattro anni, di lei non ricorda niente. Nulla.

L’unico ricordo legame con una madre che non ricorda sono delle fotografie e dei vecchi filmini, solamente questo, e l’idea che fosse lì, ora, ascoltando un misterioso testamento la rendeva inquieta. Non voleva causare a suo fratello nessun dolore.

Il nonno tornò a sedersi, visibilmente seccato per non aver ricevuto una risposta, aiutato da Sota si accomodò accanto a lui su quel divano a due posti mentre a Kagome non rimase altro che sedersi davanti all’avvocato.

« Mi scusi, Totosai, potrei sapere chi sono le persone che stiamo aspettando? » domandò Kagome, cercando di spezzare la tensione che si era venuta a creare.

L’uomo non poteva, o voleva, parlare del testamento che sua madre aveva lasciato e quindi, pensò Kagome, era meglio avere altre informazioni per cercare di capire meglio quella situazione.

L’uomo si accarezzò con le mani la barbetta sul mento, pensieroso e chiaramente indeciso se rivelarle o meno quell’informazioni.

« Una famiglia di demoni cane, circa. »

“Circa? O lo sono, o non lo sono”.

Assottigliò lo sguardo per fissare la sua attenzione su quell’anziano avvocato, si chiedeva se la stava prendendo in giro oppure, come aveva inizialmente pensato, si fosse bevuto l’intero cervello con un pochino di seltz incluso.

“Inutile, da questo vecchietto non ne caverò un ragno da un buco. Splendido, davvero”.

Il nonno sembrava essersi stizzito quando aveva nominato la parola “demoni”, ma essendo lui un sacerdote, custode del tempio di famiglia, era abbastanza normale.

Sorrise e in quel momento il citofono nello studio suonò. Un suono sordo, acuto e abbastanza prolungato.

« Oh bene, alla fine sono arrivati. »

L’avvocato sembrò illuminarsi in quel momento, sollevato e meno in tensione di quando lo aveva sentito al telefono qualche minuto prima. Non attesero molto prima che la porta dello studio venne aperta.

Kagome si girò sulla sedia, restando con il busto lateralmente e davanti ai suoi occhi c’era uno spettacolo che non capitava di vedere tutti i giorni.

Il primo a entrare fu un demone dai lineamenti spigolosi, ruvidi per l’età, incuteva un certo timore e rispetto con quei lunghi capelli argentei e quegli strani segni sul viso. Indossava un kimono abbastanza elegante mentre teneva le mani nascoste nei risvolti dello stesso, gli occhi ambrati si posarono proprio su Kagome che per poco non trasalì come non le capitava da anni. Eppure, quello sguardo era in qualche modo gentile.

Un cenno di saluto verso l’avvocato, il quale si alzò, entusiasta e felice, andando a poggiare le mani sulle spalle dell’uomo che ricambiò il gesto.

« E’ sempre un piacere rivederti, amico mio. Vedo che sei in gran forma, come sempre. »

Il demone annuì, sorridendo appena e scuotendo il capo.

« Il tempo passa anche per me, purtroppo, non sono più forte come una volta. Dimmi, Totosai … » lo sguardo ambrato del demone tornò su Kagome, sorridendole cordiale, spostandosi poi sul resto della sua famiglia e sul nonno che gli lanciava occhiate di fuoco.

« Sono loro, vero? »

L’avvocato annuì, nel frattempo entrarono altre due persone nello studio. Due ragazzi, per la precisione.

Il primo, somigliava molto al demone che lo aveva preceduto ma, allo stesso tempo, c’era qualcosa di diverso nelle sue iridi ambrate e nei lineamenti aggraziati ed eleganti. Kagome lo guardò a lungo, sorpresa da se stessa, incapace di spostare lo sguardo da quella figura così elegante ma fredda. Sì, quel demone, rispetto all’austerità che emanava l’altro, era più “glaciale” nei modi e nelle movenze; era come se fosse superiore a tutto quanto.

Non disse nulla, prese posto a sedere sul divano e attese con pazienza il termine di tutte quelle cerimonie. L’ultimo ad entrare fu quello che attirò maggiormente la sua attenzione.

Sembrava la personificazione del detto “una mosca nel miele”, letteralmente.

Era un bellissimo ragazzo, al pari del predecessore, lunghi capelli argentei e occhi dorati ma ciò che attirò maggiormente l’attenzione di Kagome non fu la sua bellezza. Ad attirarla furono due simpatiche orecchie da cane che spuntavano sulla sua nuca, gli occhi di Kagome presero a brillare mentre le guardava.
“Cosa non darei per toccarle! Scommetto che sono morbidissime!”

Faticò parecchio a trattenersi dal compiere quel gesto che sarebbe apparso molto più che scortese, prese un profondo respiro e tenne le mani ferme al loro posto.

Quest’ultimo ragazzo non era solo diverso a livello estetico, c’era anche dell’altro che non riusciva a inquadrare bene e così si fissò a studiarlo un po’ troppo intensamente.

“I suoi vestiti sono più semplici … E quelle occhiaie? Santo cielo, da quanti giorni non dorme?”

Rispetto a tutti i presenti, escluso Sota, indossavano abiti formali o particolarmente eleganti. Lui, invece, era arrivato con un paio di semplici jeans e un maglione con la giacca appoggiata a un braccio.

Quando il suo sguardo color dell’oro si spostò su Kagome questa spostò lo sguardo, scattando come una molla e prendendo a torturarsi il labbro con i denti. L’aveva vista. Aveva visto che lo stava fissando.

Se non si fosse spostata, però, avrebbe potuto scorgere un piccolo sorriso increspare le labbra del giovane demone.

« Bene, ora che ci siamo tutti direi di cominciare! » esordì Totosai, facendo accomodare Inuyasha sulla sedia vicino alla scrivania.

Calò un lungo, lunghissimo silenzio che coprì la stanza come un velo per almeno dieci minuti buoni.

« Prima di cominciare, ragazzi … » lo sguardo del demone si fissò in quello dei due ragazzi che aveva di fronte a se. « Avete familiarità con il concetto della tontina*? »

« Tontina? »

« In pratica è una sorta di contratto, simile ad un’assicurazione sulla vita. Alla morte di uno dei membri, gli altri si possono dividere la rendita che ne è generata. »

A parlare non fu altro che il giovane demone dai lunghi capelli argentei, seduto sul divano.

« Molto bene, Sesshomaru. » si complimentò l’avvocato, tornando a guardare i due giovani davanti a lui.

Kagome era sempre più confusa, lanciò una rapida occhiata a suo nonno e suo fratello e anche loro, come lei, sembravano non capire cosa centrasse questa storia con la loro madre.

« Scusi, ma cosa centra questa tontina con mia madre? »

« … e con la mia, aggiungerei. » aggiunse il ragazzo accanto a lei, sorprendendola con quel tono di voce basso e profondo.

Alle sue parole seguì un profondo e lungo sbadiglio, gli occhi velati dalla stanchezza e sembrava sul punto di addormentarsi da un momento all’altro.

« Un attimo di pazienza e ci arrivo! Inuyasha, sei sempre il solito impaziente. »

“Inuyasha? Così questo ragazzo si chiama … Inuyasha. Strano, mi sembra di averlo già sentito nominare. Molto tempo fa … “

I suoi ricordi erano una nebbia confusa e incerta, piena di buchi e ormai completamente incolmabili.

Spostò lo sguardo verso di lui, osservandolo ancora una volta e giungendo alla conclusione che no, non poteva averlo mai visto prima di quel momento. Inuyasha, invece, la scrutò appena senza perdere quel leggero sorriso che aveva sulle labbra.

« La signora Yukiji Higurashi e la signora Izayoi Setsuna hanno stipulato una tontina, almeno qualcosa di molto simile giudicando da quello che ho qui. L’avvocato Saya, uno dei miei colleghi, purtroppo non è reperibile al momento e quindi sono costretto a sbrigare io questa pratica. »

“In pratica, ha scaricato il barile e si è dato alla macchia”.

Fu il pensiero comune di tutti mentre guardavano l’espressione dell’avvocato Totosai, le dita frenetiche passavano al setaccio i documenti e tutti i fogli presenti in quel piccolo raccoglitore verde.

« Normalmente, questo genere di cose vengono sbrigate subito ma questo contratto è molto particolare. La signora Higurashi è stata la prima a lasciare questo mondo, mentre la signora Izayoi è venuta a mancare circa un anno fa. »

Lo sguardo di Kagome tornò a posarsi su quello del ragazzo, Inuyasha, osservando la sua espressione cambiare da assonnata a concentrato. I suoi occhi erano stanchi, ma in essi si poteva scorgere anche una profonda malinconia.

Lo stesso sguardo lo ritrovò anche nell’uomo che per primo era entrato, il padre sicuramente, teneva il capo chino e scuoteva più volte il capo come affranto. L’unico che non sembrava turbato era il demone chiamato Sesshomaru, confermando l’ipotesi di Kagome che doveva trattarsi di un tipo di persona incapace di esternare i suoi sentimenti.

« Vecchio … » esordì quest’ultimo, con voce glaciale e facendo trasalire l’intero studio. « Vedi di arrivare al punto. »

« Ci stavo arrivando, se mi fai finire di parlare … » borbottò in risposta l’avvocato, il tono della voce deciso ma velato da una certa nota di terrore.

« Stavo dicendo, il contratto di tontina che hanno stipulato le vostre madri è molto particolare ma ugualmente legale. Alla morte di entrambe, dopo un anno, questo contratto diventa vincolante e lega voi due ragazzi … » tornò ad indicare con dei cenni i due ragazzi davanti a lui.

Kagome deglutì, decisamente spaventata e meno incline di sapere il contenuto di quel contratto. Ora più che mai, sentiva il bisogno di alzarsi e di tornare a lavorare al ristorante. Tornare alla stabilità e alla quiete.

« Mi dispiace dirvelo, ma da oggi siete ufficialmente sposati. »

« Cosa?! »

*Glossario:

La tontina prende il nome dal suo ideatore, Lorenzo Tonti, è un’operazione finanziaria in cui si viene a costituire una rendita vitalizia, il più delle volte aiutati dallo Stato. Alla morte di uno dei contraenti, la sua parte veniva divisa tra gli altri contraenti e alla morte di tutti i soci l’intero capitale passava allo Stato. Per questa storia mi sono ispirata a questa forma di contratto, modificandone i termini e tutto.

 

Salve a tutti!
Eccomi qui, con un nuovo esperimento. In questo periodo mi sento in vena di provare cose sempre nuove.

La storia sarà una commedia romantica molto semplice, in realtà, ma per me sarà la prima volta che ne scrivo una. Nella maggior parte delle storie che ho scritto, anche in passato eh, l’amore era solo da cornice e non faceva mai parte della storia in sé vera e propria. Questa volta, il sentimento romantico sarà il vero protagonista.

Spero solo che il modo in cui deciderò di narrare la storia vi possa piacere. Fatemi sapere le vostre impressioni e le vostre critiche nei commenti.

Ricordo, inoltre, le altre storie alle quali sto lavorando “Il marchio del Drago” – capitoli in uscita ogni mercoledì e “9 persons; 9 hours; 9 doors;” in uscita di volta in volta alla settimana.
Un abbraccio forte a tutti voi

Scheherazade

  
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