Totally
Captivated
-Capitolo 1-
Tokyo, ore 20.30
Il ristorante “Nekomata” era aperto
da nemmeno un ora e già aveva fatto tutto esaurito.
Il Maître, una giovane donna dai
lunghi capelli scuri appena ondulati, raccolti per l’occasione in una coda alta,
osservava dalla sua postazione la sala gremita e i camerieri danzare attraverso
i tavoli con grande soddisfazione.
Un leggero sorriso e tornava alle sue
mansioni.
Poggiata sopra un piccolo leggio
rialzato, illuminato da una abat-jour molto semplice, stava il registro delle
prenotazioni e non poté fare a meno di sentirsi ancora più orgogliosa e
soddisfatta; le prenotazioni arrivavano fino alle dieci di sera inoltrate.
“Questo in barba a tutti quelli che
dicevano che a ventisette anni non potevo raggiungere niente”.
Afferrò la penna poggiata nel libro e
cominciò a fare alcuni segni accanto ai nomi delle persone arrivate. Per lo più
si trattava di clienti abituali, altri erano uomini d’affari in città per
lavoro e desiderosi di mangiare in un posto elegante.
Il “Nekomata” era uno dei pochi
ristoranti in città che forniva ai suoi clienti un intreccio tra la cucina
occidentale con quella tradizionale, unito a un’atmosfera intima ed elegante
che permetteva ai suoi ospiti di rilassarsi e farsi viziare dallo staff che
lavorava alacremente e senza sosta per fornire il miglior servizio della città.
Quando il proprietario, dopo attenta
valutazione, l’aveva nominata Maître aveva sentito il cuore scoppiare dalla
felicità e si era data molto da fare per non deludere le speranze che le
venivano riposte.
Terminato il suo lavoro di controllo
tornò a guardare la sala.
Il parquet era coperto da una
finissima moquette che attutiva i suoni delle sedie quando queste venivano
spostate, l’immensa sala, che poteva ospitare fino a un massimo di duecento
coperti, era su uno stile antico che richiamava il gusto della tradizione
occidentale e un immenso lampadario con finte candele spiccava nel centro
esatto della sala.
Su ogni tavolo, invece, era posta una
piccola candela sopra un candelabro finemente ornato e di color argento. Su di
esso era impresso il logo del locale. I clienti andavano dai demoni agli esseri
umani.
Uno dei pochi momenti, pensò, in cui
nessuno si guardava con sospetto e dove potevano tranquillamente dialogare di affari
senza dover per forza alzare la voce. Infatti, solo un sommesso mormorio
percorreva la sala mentre una musica rilassante veniva diffusa dagli
altoparlanti, posti in punti strategici e nascosti alla vista dei clienti.
« Kagome … »
La voce di una ragazza arrivò alle
sue orecchie, risvegliandola dai suoi pensieri e catapultandola nuovamente
nella ragazza.
Era minuta, e molto, alla vista era
solamente una bambina con capelli argentei ornati da piccoli fiori ma in realtà
era un demone. Un demone particolare, a detta di molti, in quanto priva di un
odore particolare e di una qualsiasi aura demoniaca. Lavorava come contabile e
prendeva le telefonate durante gli orari di lavoro, nonostante l’apparenza era
un demone da molti, molti più anni di quanto Kagome osasse pensare.
« Dimmi Kanna. »
« C’è una chiamata per te. »
« Per me, dici? »
La bambina annuì e senza dire altro
la precedette negli uffici al piano superiore.
Si guardò un attimo attorno, cercando
uno dei suoi Chef de rang libero da impegni. Adocchiatone uno fece cenno di
avvicinarsi, pregandolo di tenere d’occhio la sala mentre lei andava a prendere
la telefonata.
“Che strano”, si trovò
improvvisamente a pensare, “Kanna non mi avrebbe mai disturbato se la chiamata
non fosse urgente. Sarà Sota? Sarà successo qualcosa al nonno? No, sa che in
quel caso mi deve chiamare sul cellulare e non a lavoro”.
Suo nonno era di salute cagionevole a
causa dell’età avanzata, qualche anno fa, prima della sua promozione, aveva
avuto un infarto al quale si era salvato solo per miracolo. Da quel giorno,
aveva detto a Sota, suo fratello minore, di chiamarla sempre sul cellulare che
portava con se in sala per poterla raggiungere immediatamente in caso di
pericolo o problemi di qualsiasi natura.
Attraversò la sala e aprì una porta
in legno scorrevole con sopra una targhetta placcata in oro con scritto
“staff”, al di là di essa c’erano delle scale e senza indugio le percorse fino
agli uffici e spogliatoi del piano superiore.
L’arredamento era molto meno
elegante, certo, ma non per questo meno curato. L’ufficio del proprietario,
dove Kanna lavorava alla contabilità, era in fondo al lungo corridoio. Il
rumore delle sue scarpe risuonava in quella quiete irreale.
Le mani salirono sino alla nuca per sciogliere
la coda e lasciando i capelli sciolti, liberi di ricadere sulle spalle e
incorniciando il viso dai lineamenti delicati.
Aperta la porta dell’ufficio del
proprietario trovò Kanna, seduta su una poltrona scura più grande di lei,
intenta a fare i suoi conti su una scrivania di mogano pregiato. Il telefono
era proprio poggiato lì, la spia luminosa dell’attesa attivata.
« Pronto, sono Kagome Higurashi … ? »
esordì, rispondendo dopo aver opportunamente tolto l’attesa di chiamata.
« Buonasera, signorina Higurashi, io
mi chiamo Sumisu Totosai e sono l’avvocato che ha curato il testamento della
sua defunta madre. »
« Il testamento della mamma? »
Kagome corrugò le sopracciglia mentre
ascoltava le parole di quell’anziano uomo.
« Mia madre non ha lasciato un testamento
vero e proprio, mi creda, forse ha sbagliato persona. »
« No, no … mi creda. Non ci sono
sbagli. »
« Mia madre è morta moltissimi anni
fa, quindi, creda a me, ha proprio sbagliato persona. »
Sospirò appena, ripensando al passato
e riflettendo sull’assurdità di quell’avvocato.
Forse, pensò, la vecchiaia aveva
rammollito il cervello che ora annacquava e non capiva le parole che lei gli
diceva.
« Signorina Higurashi, la persona che
ha firmato il testamento che ho qui sottomano è la signora Yukiji Higurashi e
uno degli eredi designati è proprio lei, signorina Kagome Higurashi. »
Si portò due dita sulla fronte,
riflettendo.
Sua madre aveva fatto un testamento?
Se è così, pensò, per quale motivo non ne avevano saputo nulla fino a quella
sera.
« Ho bisogno che mi raggiunga il più
presto possibile. »
« Ecco … Veramente starei lavorando,
signor Sumisu, non sarebbe possibile rimandare a domani mattina? »
Non poteva assolutamente allontanarsi
dal ristorante con così poco preavviso, senza contare che dopo, nemmeno una
mezz’ora, sarebbe arrivata la vera e propria ressa e ci voleva qualcuno che
organizzasse perfettamente la gestione della sala per evitare problemi.
« Temo di no, signorina, e mi creda
ho avuto anche io problemi a riguardo. »
Adesso la sua espressione appariva
chiaramente perplessa.
In effetti, aveva troppe domande da
fare, e sembrava non avere molta altra scelta a riguardo, per cui sospirò e
decise di accettare quell’incontro.
Afferrò una penna e uno dei post-it
usati da Kanna e segnò l’indirizzo dell’avvocato e chiuse la telefonata.
“Che scocciatura … Affiderò il
ristorante a Miroku, temo di non avere altra scelta”.
Spiegò velocemente la situazione a
Kanna e la pregò di farlo sapere al suo principale, Naraku, la piccola demone
si limitò ad annuire con un cenno del capo mentre tornava ai suoi doveri.
Kagome nel frattempo uscì dall’ufficio, raggiunse la prima porta sulla destra
ed entrò nello spogliatoio del personale. Dal suo armadietto riprese la giacca
e la borsa, per il resto era pronta. La sua divisa sarebbe andata più che bene.
Pantaloncini scuri a “sigaretta”,
stretti ed eleganti lungo le gambe che fasciavano con cura, una camicia bianca
e un giacchetto, anch’esso scuro, ma abbastanza elegante. Il tutto abbinato con
scarpe dal tacco basso.
Scesa in sala fermò un cameriere e
gli riferì prontamente il cambio di programma della serata affidato ora alle
abili mani di Miroku, il suo vice, per così dire, il quale doveva occuparsi
anche della chiusura.
Preso un taxi e dato l’indirizzo si
rilassò sul sedile posteriore, riflettendo sulla telefonata appena ricevuta e
su quello che comportava.
Sua madre era morta quando aveva solo
quattordici anni, ma era malata da tempo e in cura presso l’ospedale centrale.
Suo nonno si era preso cura di lei e di Sota, ancora piccolo a quei tempi, ma
non le aveva mai accennato a un testamento a riguardo.
“Perché non ne sapeva nulla nemmeno
il nonno? O forse, sapeva qualcosa ma ha preferito non farne parola?”
Nella sua mente, Kagome stava
cercando di mettere ogni cosa in ordine. Ogni singolo tassello.
Doveva trovare una spiegazione logica
e convincente, doveva e l’avrebbe fatto.
Il taxi si fermò. Ormai era arrivata.
Pagò velocemente l’uomo e scese dal
veicolo osservando l’edificio davanti a se. Non era niente di eccezionale, anzi,
era un comune palazzo adatto ad ospitare uffici – questo lo si poteva giudicare
anche soltanto dalle vetrate che lo ricoprivano.
Camminò verso il portone e suonò il
citofono con l’etichetta “studio legale Sumisu”. Un rumore sordo e la porta si
aprì, sospirando appena, entrando si accorse che sull’ascensore vi era una
specie di legenda dei piani attaccata vicino ai pulsanti di chiamata.
“Se non altro questo spiega perché
non ho sentito nessuno darmi spiegazioni”.
Chiamò l’ascensore e una volta
arrivato premette il pulsante con sopra segnato quattro. Una volta raggiunto il
piano trovò la porta dello studio semi aperta, una lieve luce filtrava
dall’interno e lentamente aprì la porta bussando.
Lo studio era arredato con un gusto
molto moderno, niente a che vedere con il ristorante, pensò Kagome sorridendo,
chiudendo la porta alle sue spalle mentre dal fondo del corridoio d’ingresso ne
veniva aperta un’altra.
Vi emerse un vecchio demone, la
fronte rasata e i capelli bianchi, ancora folti, erano legati in una piccola
coda alta dietro la nuca.
Kagome abbozzò un sorriso di cortesia
mentre si avvicinava, allungando la mano verso l’avvocato, vestito elegante
quanto lei, il quale ricambiò la stretta con prontezza.
« Buonasera, signor Sumisu. »
« Niente formalità, la prego, mi
chiami pure Totosai. Sono troppo vecchio ormai, essere chiamato signore non fa
proprio per me. » replicò bonariamente, sorprendo Kagome con quella richiesta
di semplicità.
Questi le fece cenno di accomodarsi
nella stanza da cui era uscito, aprendo meglio la porta a vetri per permetterle
di entrare.
La stanza, come si poteva notare dal
corridoio, si rivelò davvero essere arredata in stile moderno. Niente mobili in
legno pregiato, ma una scrivania lucidissima e coperta di scartoffie, due
divani si trovavano ai lati della stanza e davanti alla scrivania c’erano due
sedie in similpelle.
« Sorellina! »
La voce del fratello la riscosse
completamente, rendendosi conto solo in quel momento che su uno dei divani,
quello di destra, c’era suo fratello e il nonno.
« Sota! Nonno! Ma cosa … ? »
Il fratello e il nonno scrollarono le
spalle, spostando lo sguardo verso l’avvocato, nuovamente seduto sulla sua
sedia e intento a guardare l’ora sul suo orologio.
« Era importante che ci foste tutti.
Tra poco saliranno altre persone
coinvolte nel testamento. »
“Altre persone … ?”
« Mi scusi, signor avvocato, ma sta
parlando del testamento di mia nuora e gradirei sapere cosa sta accadendo! »
La voce del nonno tuonò imperiosa
nell’ufficio dell’uomo, Sota e Kagome annuirono entrambi. La ragazza aveva
poggiato una mano sopra la spalla del fratello, sorridendogli e sussurrandogli
poche parole: “lasciamo che se ne occupi il nonno”.
« Mi dispiace, signor Higurashi, ma
non c’è niente che posso fare a riguardo. Appena arriveranno gli ultimi ospiti
potrò spiegarvi tutto. »
Kagome osservò suo fratello
preoccupata.
Quando sua madre era morta lui aveva solo quattro anni, di lei non ricorda
niente. Nulla.
L’unico ricordo legame con una madre
che non ricorda sono delle fotografie e dei vecchi filmini, solamente questo, e
l’idea che fosse lì, ora, ascoltando un misterioso testamento la rendeva
inquieta. Non voleva causare a suo fratello nessun dolore.
Il nonno tornò a sedersi,
visibilmente seccato per non aver ricevuto una risposta, aiutato da Sota si
accomodò accanto a lui su quel divano a due posti mentre a Kagome non rimase
altro che sedersi davanti all’avvocato.
« Mi scusi, Totosai, potrei sapere
chi sono le persone che stiamo aspettando? » domandò Kagome, cercando di
spezzare la tensione che si era venuta a creare.
L’uomo non poteva, o voleva, parlare
del testamento che sua madre aveva lasciato e quindi, pensò Kagome, era meglio
avere altre informazioni per cercare di capire meglio quella situazione.
L’uomo si accarezzò con le mani la
barbetta sul mento, pensieroso e chiaramente indeciso se rivelarle o meno
quell’informazioni.
« Una famiglia di demoni cane, circa.
»
“Circa? O lo sono, o non lo sono”.
Assottigliò lo sguardo per fissare la
sua attenzione su quell’anziano avvocato, si chiedeva se la stava prendendo in
giro oppure, come aveva inizialmente pensato, si fosse bevuto l’intero cervello
con un pochino di seltz incluso.
“Inutile, da questo vecchietto non ne
caverò un ragno da un buco. Splendido, davvero”.
Il nonno sembrava essersi stizzito
quando aveva nominato la parola “demoni”, ma essendo lui un sacerdote, custode
del tempio di famiglia, era abbastanza normale.
Sorrise e in quel momento il citofono
nello studio suonò. Un suono sordo, acuto e abbastanza prolungato.
« Oh bene, alla fine sono arrivati. »
L’avvocato sembrò illuminarsi in quel
momento, sollevato e meno in tensione di quando lo aveva sentito al telefono
qualche minuto prima. Non attesero molto prima che la porta dello studio venne
aperta.
Kagome si girò sulla sedia, restando
con il busto lateralmente e davanti ai suoi occhi c’era uno spettacolo che non
capitava di vedere tutti i giorni.
Il primo a entrare fu un demone dai
lineamenti spigolosi, ruvidi per l’età, incuteva un certo timore e rispetto con
quei lunghi capelli argentei e quegli strani segni sul viso. Indossava un
kimono abbastanza elegante mentre teneva le mani nascoste nei risvolti dello
stesso, gli occhi ambrati si posarono proprio su Kagome che per poco non trasalì
come non le capitava da anni. Eppure, quello sguardo era in qualche modo
gentile.
Un cenno di saluto verso l’avvocato,
il quale si alzò, entusiasta e felice, andando a poggiare le mani sulle spalle
dell’uomo che ricambiò il gesto.
« E’ sempre un piacere rivederti,
amico mio. Vedo che sei in gran forma, come sempre. »
Il demone annuì, sorridendo appena e
scuotendo il capo.
« Il tempo passa anche per me,
purtroppo, non sono più forte come una volta. Dimmi, Totosai … » lo sguardo
ambrato del demone tornò su Kagome, sorridendole cordiale, spostandosi poi sul
resto della sua famiglia e sul nonno che gli lanciava occhiate di fuoco.
« Sono loro, vero? »
L’avvocato annuì, nel frattempo
entrarono altre due persone nello studio. Due ragazzi, per la precisione.
Il primo, somigliava molto al demone
che lo aveva preceduto ma, allo stesso tempo, c’era qualcosa di diverso nelle
sue iridi ambrate e nei lineamenti aggraziati ed eleganti. Kagome lo guardò a
lungo, sorpresa da se stessa, incapace di spostare lo sguardo da quella figura
così elegante ma fredda. Sì, quel demone, rispetto all’austerità che emanava
l’altro, era più “glaciale” nei modi e nelle movenze; era come se fosse
superiore a tutto quanto.
Non disse nulla, prese posto a sedere
sul divano e attese con pazienza il termine di tutte quelle cerimonie. L’ultimo
ad entrare fu quello che attirò maggiormente la sua attenzione.
Sembrava la personificazione del
detto “una mosca nel miele”, letteralmente.
Era un bellissimo ragazzo, al pari
del predecessore, lunghi capelli argentei e occhi dorati ma ciò che attirò
maggiormente l’attenzione di Kagome non fu la sua bellezza. Ad attirarla furono
due simpatiche orecchie da cane che spuntavano sulla sua nuca, gli occhi di
Kagome presero a brillare mentre le guardava.
“Cosa non darei per toccarle! Scommetto che sono morbidissime!”
Faticò parecchio a trattenersi dal
compiere quel gesto che sarebbe apparso molto più che scortese, prese un
profondo respiro e tenne le mani ferme al loro posto.
Quest’ultimo ragazzo non era solo diverso
a livello estetico, c’era anche dell’altro che non riusciva a inquadrare bene e
così si fissò a studiarlo un po’ troppo intensamente.
“I suoi vestiti sono più semplici … E
quelle occhiaie? Santo cielo, da quanti giorni non dorme?”
Rispetto a tutti i presenti, escluso
Sota, indossavano abiti formali o particolarmente eleganti. Lui, invece, era
arrivato con un paio di semplici jeans e un maglione con la giacca appoggiata a
un braccio.
Quando il suo sguardo color dell’oro
si spostò su Kagome questa spostò lo sguardo, scattando come una molla e
prendendo a torturarsi il labbro con i denti. L’aveva vista. Aveva visto che lo
stava fissando.
Se non si fosse spostata, però,
avrebbe potuto scorgere un piccolo sorriso increspare le labbra del giovane
demone.
« Bene, ora che ci siamo tutti direi
di cominciare! » esordì Totosai, facendo accomodare Inuyasha sulla sedia vicino
alla scrivania.
Calò un lungo, lunghissimo silenzio
che coprì la stanza come un velo per almeno dieci minuti buoni.
« Prima di cominciare, ragazzi … » lo
sguardo del demone si fissò in quello dei due ragazzi che aveva di fronte a se.
« Avete familiarità con il concetto della tontina*?
»
« Tontina? »
« In pratica è una sorta di contratto, simile ad
un’assicurazione sulla vita. Alla morte di uno dei membri, gli altri si possono
dividere la rendita che ne è generata. »
A parlare non fu altro che il giovane demone dai
lunghi capelli argentei, seduto sul divano.
« Molto bene, Sesshomaru. » si complimentò
l’avvocato, tornando a guardare i due giovani davanti a lui.
Kagome era sempre più confusa, lanciò una rapida
occhiata a suo nonno e suo fratello e anche loro, come lei, sembravano non
capire cosa centrasse questa storia con la loro madre.
« Scusi, ma cosa centra questa tontina con mia
madre? »
« … e con la mia, aggiungerei. » aggiunse il
ragazzo accanto a lei, sorprendendola con quel tono di voce basso e profondo.
Alle sue parole seguì un profondo e lungo
sbadiglio, gli occhi velati dalla stanchezza e sembrava sul punto di
addormentarsi da un momento all’altro.
« Un attimo di pazienza e ci arrivo! Inuyasha,
sei sempre il solito impaziente. »
“Inuyasha? Così questo ragazzo si chiama …
Inuyasha. Strano, mi sembra di averlo già sentito nominare. Molto tempo fa … “
I suoi ricordi erano una nebbia confusa e
incerta, piena di buchi e ormai completamente incolmabili.
Spostò lo sguardo verso di lui, osservandolo
ancora una volta e giungendo alla conclusione che no, non poteva averlo mai
visto prima di quel momento. Inuyasha, invece, la scrutò appena senza perdere
quel leggero sorriso che aveva sulle labbra.
« La signora Yukiji Higurashi e la signora
Izayoi Setsuna hanno stipulato una tontina, almeno qualcosa di molto simile
giudicando da quello che ho qui. L’avvocato Saya, uno dei miei colleghi,
purtroppo non è reperibile al momento e quindi sono costretto a sbrigare io
questa pratica. »
“In pratica, ha scaricato il barile e si è dato
alla macchia”.
Fu il pensiero comune di tutti mentre guardavano
l’espressione dell’avvocato Totosai, le dita frenetiche passavano al setaccio i
documenti e tutti i fogli presenti in quel piccolo raccoglitore verde.
« Normalmente, questo genere di cose vengono
sbrigate subito ma questo contratto è molto particolare. La signora Higurashi è
stata la prima a lasciare questo mondo, mentre la signora Izayoi è venuta a
mancare circa un anno fa. »
Lo sguardo di Kagome tornò a posarsi su quello
del ragazzo, Inuyasha, osservando la sua espressione cambiare da assonnata a
concentrato. I suoi occhi erano stanchi, ma in essi si poteva scorgere anche
una profonda malinconia.
Lo stesso sguardo lo ritrovò anche nell’uomo che
per primo era entrato, il padre sicuramente, teneva il capo chino e scuoteva
più volte il capo come affranto. L’unico che non sembrava turbato era il demone
chiamato Sesshomaru, confermando l’ipotesi di Kagome che doveva trattarsi di un
tipo di persona incapace di esternare i suoi sentimenti.
« Vecchio … » esordì quest’ultimo, con voce
glaciale e facendo trasalire l’intero studio. « Vedi di arrivare al punto. »
« Ci stavo arrivando, se mi fai finire di
parlare … » borbottò in risposta l’avvocato, il tono della voce deciso ma
velato da una certa nota di terrore.
« Stavo dicendo, il contratto di tontina che
hanno stipulato le vostre madri è molto particolare ma ugualmente legale. Alla
morte di entrambe, dopo un anno, questo contratto diventa vincolante e lega voi
due ragazzi … » tornò ad indicare con dei cenni i due ragazzi davanti a lui.
Kagome deglutì, decisamente spaventata e meno
incline di sapere il contenuto di quel contratto. Ora più che mai, sentiva il
bisogno di alzarsi e di tornare a lavorare al ristorante. Tornare alla
stabilità e alla quiete.
« Mi dispiace dirvelo, ma da oggi siete
ufficialmente sposati. »
« Cosa?! »
*Glossario:
La tontina prende il nome dal suo
ideatore, Lorenzo Tonti, è un’operazione finanziaria in cui si viene a
costituire una rendita vitalizia, il più delle volte aiutati dallo Stato. Alla
morte di uno dei contraenti, la sua parte veniva divisa tra gli altri
contraenti e alla morte di tutti i soci l’intero capitale passava allo Stato. Per
questa storia mi sono ispirata a questa forma di contratto, modificandone i
termini e tutto.
Salve a tutti!
Eccomi qui, con un nuovo esperimento. In questo periodo mi sento in vena di
provare cose sempre nuove.
La storia sarà una commedia romantica molto semplice, in realtà, ma per
me sarà la prima volta che ne scrivo una. Nella maggior parte delle storie che
ho scritto, anche in passato eh, l’amore era solo da cornice e non faceva mai
parte della storia in sé vera e propria. Questa volta, il sentimento romantico
sarà il vero protagonista.
Spero solo che il modo in cui deciderò di narrare la storia vi possa
piacere. Fatemi sapere le vostre impressioni e le vostre critiche nei commenti.
Ricordo, inoltre, le altre storie alle quali sto lavorando “Il marchio
del Drago” – capitoli in uscita ogni mercoledì e “9 persons; 9 hours; 9
doors;” in uscita di volta in volta alla settimana.
Un abbraccio forte a tutti voi
Scheherazade ♫