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Autore: gingerspice    20/02/2015    1 recensioni
“Siamo ancora troppo a sinistra” avevo affermato, spostandomi di un passo e tirandomelo dietro.
“No, di qua” aveva fatto altrettanto.
“Fidati, siamo troppo spostati a sinistra, questo non è affatto il centro!”.
“Ma tu stai considerando la sporgenza che c’è sul muro destro, oppure no?”.
“No, calcolavo la distanza dal muro. Dobbiamo considerare anche la sporgenza?”.
“No, non calcoliamola”.
Genere: Commedia, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Lo avevo portato al Castello come ultima tappa, era il posto più lontano. Non che in città ci fosse poi molto da vedere.
Oltrepassate le mura il cortile era quadrato. Forse rettangolare.
Lui se ne stava zitto mentre io blateravo su quanto fosse meglio da vedere in primavera, tutto verde e fiorito. Ci eravamo fermati mentre lui si guardava con attenzione da ogni lato.
“Non siamo al centro” aveva proferito, osservando la distanza da ognuna delle quattro alte mura che ci circondavano. Lo avevo fissato e poi mi ero concentrata anch’io per prendere le misure.
Ci eravamo spostati in avanti, così da non essere troppo vicini al ponte levatoio.
“Siamo ancora troppo a sinistra” avevo affermato, spostandomi di un passo e tirandomelo dietro.
“No, di qua” aveva fatto altrettanto.
“Fidati, siamo troppo spostati a sinistra, questo non è affatto il centro!”.
“Ma tu stai considerando la sporgenza che c’è sul muro destro, oppure no?”.
“No, calcolavo la distanza dal muro. Dobbiamo considerare anche la sporgenza?”.
“No, non calcoliamola”.
“Allora questo mi sembra il punto esatto” avevo detto convinta, piazzandomi bene sulla linea che correva lungo il pavimento.
“Bene, siamo al centro del castello” aveva sorriso e mi aveva baciata.
 
 
***  
 
Non aveva mai mangiato giapponese, per cui mi era sembrato doveroso portarlo al ristorante vicino casa.
Aveva guardato le bacchette cercando di capire quale fosse la giusta impugnatura, mentre io spiegavo ridendo che una delle due andava bloccata e mantenuta ferma tra pollice e indice.
Con la tempura e il pollo alle mandorle se l’era cavata piuttosto bene.
Al turno del riso alla cantonese puntualmente non riusciva a portarlo alla bocca senza che cadesse e io, mentre lo vedevo con la coda dell’occhio litigare coi chicchi di riso e maledire le bacchette, avevo riso sommessamente per più di cinque minuti.
 
 
***
 
Sapeva che sarebbe andato via dopo soli due giorni, ma mi aveva baciata come se nulla fosse.
Io lo avevo lasciato fare, poi gli avevo tirato un pugno sul braccio e mi ero accomodata con la testa sul suo petto. Eravamo rimasti in silenzio per qualche minuto, poi avevo sfilato l’elastico dalla coda che avevo in testa.
“Toccami i capelli” gli avevo detto, anche se suonava poco come una richiesta gentile.
“Perché?” aveva chiesto lui.
“Perché mi piace”.
 
 
***
 
Avevamo visto uno di quei film demenziali, tanto per non pensare al casino che si era creato tra noi.
Il film era finito troppo presto e il tempo per pensare al casino era ancora tanto.
Gli avevo girato le spalle rimanendo stesa sul letto, lo avevo sentito sorridere e forse anche sbuffare perché sapeva che stavo riflettendo. Poi si era avvicinato e mi aveva avvolta con un braccio.
“Raccontami qualcosa” gli avevo chiesto.
“Non so cosa raccontare”.
“Allora inventa” lo avevo pregato, perché pensare mi rendeva triste.
“Dunque, io sono uno studente al college e il mio compagno di stanza vuole far entrare un letto nella lavatrice, allora io gli dico ‘amico, non puoi!’” aveva iniziato a raccontare la storia mettendo assieme le prime cose che gli saltavano in mente.
“Poi una ragazza entra in camera perché vuole cambiare il suo assegno con ventottomila litri d’acqua” aveva continuato, ben consapevole delle assurdità che stesse inventando. Ma io mi divertivo.
“Ventottomila litri d’acqua?” avevo chiesto ridendo.
“Si, ventotto miseri metri cubi! Non era mica uno scambio vantaggioso” mi aveva risposto.
“E in questo college cosa studi?” avevo chiesto per farlo continuare.
“Storia Romana”.
“E il tuo amico?”.
“Cosa ti fa credere che fosse mio amico?”.
“Il fatto che tu gli abbia detto ‘amico, non puoi!’” avevo esclamato.
“Giusto. Non lo so, lui cosa studia?” aveva chiesto lui a me.
“Fisica nucleare” avevo deciso dopo averci riflettuto un po’.
“E la ragazza?” ero stata sempre io a chiedere.
“Sicuramente non economia”.
 
 
***
 
“Cosa metto?” gli avevo chiesto, sedendomi davanti alle ante spalancate dell’armadio.
Lui si era avvicinato e aveva osservato pensieroso tutti i maglioni disposti in pile ordinate.
“Quel maglione marrone” mi aveva risposto.
“Quello è un vecchio maglione per stare in casa” avevo bocciato la sua proposta.
Ci aveva riflettuto un altro po’.
“Allora metti quello lì” aveva indicato qualcosa più in alto.
“Quello non è un maglione, è un cardigan”avevo bocciato anche la seconda.
Mi guardava sconsolato, mentre con la mano scorreva i maglioni aspettando che io facessi un cenno convincente d’approvazione.
Aveva fermato la mano su un maglione blu.
“Metti questo”.
 
 
***
 
Era un thriller che non avevo il coraggio di vedere da sola. Così avevo approfittato della sua presenza e avevo proposto di vederlo quella sera.
La protagonista stava per darsi un colpo di martello sull’occhio e io non avevo alcuna intenzione di vedere la scena. Mi ero alzata di scatto e avevo girato le spalle allo schermo con perfino le mani sugli occhi, giusto per essere sicura.
Lo avevo sentito ridere e poco dopo mi aveva fatto segno di tornare sul cuscino affianco a lui.
“Guarda che non si è visto nulla” aveva continuato a ridere.
Gli avevo toccato la spalla con un colpo della testa per attirare la sua attenzione.
“Cosa c’è?”
“I capelli”.
E poi aveva preso ad accarezzarli.
 
 
***
 
 
Erano le due di notte e mi sembrava mezzogiorno.
“E ora niente, suppongo ci rivedremo tra un mese e poco più” mi ero sistemata con le gambe sulle sue ginocchia e la schiena nell’incavo del suo braccio.
“Suona davvero male, mi sento tipo: prenditi la sua verginità e poi scappa” aveva ammesso ridendo.
“E perché non potrebbe essere: dagli la tua verginità e lascialo libero?” lo avevo rassicurato ridendo anch’io.
Era mezzogiorno in mente mia e mi sentivo leggera.
 
 
***
 
Il mattino dopo sarebbe andato via e io non avevo la minima intenzione di fargli vedere gli occhi che iniziavano a farsi gonfi di  lacrime. Così gli avevo girato le spalle nel letto e avevo sospirato.
Poi lo avevo sentito accarezzarmi i capelli, per la prima volta senza che io gli avessi chiesto nulla.
Perché lui lo aveva capito.




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Lo so che è fluffosa, ma lasciatemela passare. Solo per migliorare febbraio.
M.

 
  
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