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Autore: Saja    20/02/2015    2 recensioni
Dal 1° capitolo: "Gold si era dimostrato sin da subito cinico e scontroso. Ogni cosa che lei faceva o diceva era un buon punto di partenza per schernirla, o a volte, come era capitato poco prima, lui la ignorava semplicemente chiudendosi a riccio in se stesso. Non seppe per la precisione quando iniziò ad avere una piccola simpatia per lui, seppe solo che giorno dopo giorno non riusciva a fare a meno di guardare quel viso, di pensare a quell'uomo"
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Alle 6.05 come era prevedibile, Belle bussò piano alla porta di Gold. Lui guardò l’orario, era in ritardo di cinque minuti rispetto alla supposizione che si era fatto lui, ma il comportamento di lei non l’aveva deluso; come la sua testolina castana che fece capolino oltre la porta, visto che non aveva ricevuto nessuna risposta.

“Signor Gold…” iniziò titubante. “Ecco… io…” si schiarì la voce “Io dovrei andare”.

“Devo supporre che tu abbia già finito il tuo lavoro, daerie” cercò di non sorridere, vedendo la faccia accigliata di lei.

“No, certo che no. Ma vede, stasera ho un impegno e…”

“E quindi il tuo lavoro non ti interessa quanto l’impegno che hai preso” finì lui per lei.

“Non ho mai detto che il mio lavoro non mi interessi!” rimarcò risentita lei alzando un poco la voce “Le sto solo dicendo che ora non riesco a fare dello straordinario. Se vuole dalla settimana prossima posso prendermi del tempo in più per restare qui a battere quella pratica”.

“La settima prossima?” chiese “La settimana prossima potrebbe non servirmi più quella pratica” pensò che c’era del vero in quelle parole, perché la pratica, l’aveva ritirata fuori solo per far si che lei non se ne andasse con l’altro quella sera. Che se ne sarebbe fatto di quella pratica la settimana prossima?

“Se è per questo, neanche stasera” l’apostrofò lei.

“Come?” si alzò dalla sedia, cercando di restare serio e fronteggiandola.

“Suvvia! Quella è la pratica di Booth. August Wayne Booth non è neanche più in America! Lo ha detto lei stesso, Gold, che quell’uomo poteva marcire in Asia, lui e la sua idea di divertimento!” Robert non ce la fece più e sorrise. Davvero lei si era ricordata di una frase così stupida detta magari quando era infuriato?

“Magari, il nostro burattino potrebbe essere tornato” le puntò il dito contro.

“E vorrebbe ancora fare affidamento a quest’ufficio dopo il modo in cui lo avete trattato l’ultima volta?” Belle aveva stretto gli occhi a due fessure, credeva davvero che lei se la sarebbe bevuta?

“Bè, se l’è meritato”

Lei scosse la testa “Buona serata signor Gold, a lunedì”.

“No, aspetta!” lui la prese per il polso quando la vide voltarsi e dirigersi verso la porta. “Non andare” sospirò. Si pentì subito di quelle parole e del gesto, perché lei lo guardò sorpresa. Si dette un contegno e schiarito la voce tornò a darle del lei “Mi piacerebbe invitarla a bere un aperitivo, sa per farmi perdonare del…” cercò le parole “dello stupido scherzo che le ho fatto”. Cercò di sorridere mentre si sentiva un cretino nato. Niente di più intelligente da dirle, Robert? Lei scosse la testa “No, mi scusi, sono già in ritardo”.

“Signorina French! Le sto solo offrendo un ginger ale dalla vecchia Granny! Ci vorranno solo pochi minuti”.

Belle sospirò “Ok, solo pochi minuti” sussurrò. Gold si sentì trionfante.

Il locale, come quel famoso venerdì sera, non gremiva di clienti. I due si sedettero ad un tavolo, Robert aprì il menù mentre Belle abbandonata la borsa sul tavolo si dirigeva con il cellulare in bagno. Chiamò Ariel scusandosi al massimo per l’eventuale ritardo, sorvolando sul fatto che era in un locale con Gold, poi chiamò Keith inventando una scusa. Wood le aveva spiegato quello che era successo tra lui e Gold, quel giorno in ufficio e se l’uomo avesse saputo che lei era in sua compagnia oltre l’orario di lavoro si sarebbe alterato non poco.

Robert nel frattempo aveva alzato lo sguardo dal menu per concedersi di guardare la siluette della segretaria sparire dietro l’angolo che portava al bagno, poi un pezzo di stoffa nero che si intravedeva nella borsa di lei aveva attirato la sua attenzione. Gold si sporse per prenderla. La sua cravatta! La cravatta nera che gli aveva regalato Bae! La portò al naso ispirando, come se quel gesto gli permettesse di essere più vicino a suo figlio, ma scoprì che sulla stoffa si era sedimentato anche un altro profumo. Il profumo di lei. Un brivido gli corse lungo la schiena, Chissà, chissà come era coricarsi la sera sentendo quel profumo tra le lenzuola e sul pigiama e chissà com’era sentire quel profumo la mattina mentre si metteva la camicia. Com’era mescolare insieme il suo profumo e quello di Belle, il suo sapore e quello di Belle.
“Tutto bene?” chiese nascondendo la cravatta nella tasca del cappotto, mentre lei si risedeva.

Ma aperta la borsetta per metterci dentro il cellulare Belle si bloccò e lo guardò in trance. “Devo andare” disse solo alzandosi e dirigendosi alla porta, che aprì per chiudersela dietro le spalle subito. Lui prese il bastone e cercò di alzarsi, maledetti divanetti e maledetta gamba! Sperava che lei non fosse già sparita. Ma arrivato al marciapiede la vide poco distante. Con quei tacchi non poteva fare di certo molta strada.

“Belle! Belle! Aspetti” urlò. In risposta, lei cercò di andare più veloce. “Signorina French! La prego!” ringhiò. Lei sbuffò e tornò indietro. “A che gioco sta giocando Gold?”

“Come?”

“La sua cravatta se l’è già ripresa, che vuole ancora da me?” Robert indietreggiò come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco, davvero lei pensava che lui l’avesse invitata solo per riprendersi la sua cravatta?

“Senta, mi dispiace” cercò tutto il coraggio che riuscì a trovare “mi dispiace davvero. Per essermi comportato…”

“da stronzo?” Lui si schiarì la voce “stavo dicendo ‘in quel modo’, ma ok, quello che ha detto lei può andare”. Belle alzò gli occhi al cielo. “Ma vorrei rimediare”

“Aumentandomi lo stipendio, suppongo”

“Chiedendole di uscire con me”

A Belle scappò una risata isterica. “E cosa le fa credere che dopo il modo in cui si è comportato io voglia ancora uscire con lei?”. Il sorriso che si dipinse sul volto di Robert era un sorriso amaro “Senti Belle, ho sbagliato è vero. Ma ho… ho avuto paura, per questo sono scappato quella mattina”. La ragazza stette in silenzio un attimo, incrociando le braccia al petto.

“Paura di cosa?” di vederla struccata? Di doverle qualcosa?

“Che tu pensassi che tutto quello che era successo tra noi fosse dato dal vino” si zittì, ma Belle non sembrò voler ribattere “Tu… tu mi piaci davvero, Belle; e l’idea di sentirti dire che quello che era successo fosse un errore mi ha fatto tremare. E come faccio sempre ho preso la decisione più facile, quella sbagliata. Me ne sono andato per non affrontare la realtà” Ingoiò a vuoto perché quello che stava per dire gli era valso mille e mille anni di vita, volse lo sguardo lontano da lei. “Sono un codardo Belle, lo sono sempre stato. Ho cercato di rimediare impegnandomi per diventare qualcuno, ma sotto quest’armatura io… rimango sempre quel codardo e questo… questo non lo posso cambiare”.

Lei soppesò le sue parole, poi il suo sguardo si addolcì, Robert Gold le stava mostrando il suo cuore su un piatto d’argento e questo non era cosa da tutti. Sospirò passando una mano tra i capelli e puntò gli occhi in quelli dell’uomo che ora la guardava con uno sguardo da cucciolo supplichevole. Sperò che il suo cuore non la tradisse prendendo quella decisione, così parlò “E’ vero” ammise “forse quella sera non era la serata migliore per arrivare fino a quel punto. Ma tutti meritano una seconda opportunità, no?” Gold sorrise alle sue parole. “Quindi, signor Gold, se la sua offerta è ancora valida…”

“Direi che vista la situazione potrei inviarti al nostro vero primo appuntamento, Belle?” sorrise anche lei “con molto piacere, Gold”

 “Robert”.

“Cosa?” chiese divertita “Robert, va più che bene”.

“Ok, con molto piacere, Robert”. Si accordarono per la sera dopo a casa di lui. Quando si lasciarono Gold restò in macchina a fari spenti, nel parcheggio dell’ufficio a vedere Belle salire sulla macchina di Wood. Sperava solo che l’incontro che lui le aveva strappato l’avesse fatta ragionare nel caso i suoi amici l’avessero spinta tra le braccia dell’uomo, quella sera.

Belle French non si ricordava di essere mai stata così nervosa per un appuntamento con un uomo come in quel momento mentre suonava il campanello di quella villetta color salmone. D’accordo che le sue avventure amorose si potevano raggruppare solo tra Gaston e Keith, ma il suo cuore sembrava ammattito e volesse uscire dal vestitino nero che aveva messo per quell’occasione. Si lisciò la gonna, giocherellando poi con una ciocca di capelli mentre si mordeva le labbra aspettando di vederlo apparire sulla soglia. Ed eccolo lì vestito con un suo completo impeccabile nero, che le sorrideva e la invitava ad entrare. Belle si sentì avvolgere da una sensazione bellissima mentre lui l’aiutava a togliersi il cappotto e le porgeva una scatola di cioccolatini. “Per te” disse solo, poi notando la confusione nel suo sguardo e si affrettò ad aggiungere “ero indeciso tra dei fiori e i cioccolatini, ma poi ho optato per i cioccolatini, penso che sia troppo scontato che un uomo al primo appuntamento regali fiori, no?” chiese cercando di animare la conversazione mentre tirava fuori dal frigo un aperitivo. Belle sorrise, no che non era scontato, Gold sembrava un uomo di altri tempi, pensò che al giorno d’oggi i ragazzi non regalano ne fiori ne cioccolata al primo appuntamento, mentre per lui, quello era normale.

La cena passò nella più totale armonia, sembrava, come la volta prima da Granny. Belle parlava e rideva e lui l’ascoltava rapito, a volte ribatteva o rideva, di riflesso perché rideva lei. La vera scintilla scoppiò però prima del dolce. Gold le aveva proposto di uscire a comprare un gelato, ma mentre l’aiutava a infilarsi il cappotto, Belle potè sentire distintamente il respiro dell’uomo sul suo collo e questo le provocò non pochi brividi. Voltò il viso in direzione di lui e Gold non perse tempo per assaggiare di nuovo quelle labbra fresche da bocciolo di rosa. Il cappotto cadde a terra, tutto intorno a loro scomparve. Ora c’erano solo loro due, i loro baci, le loro bocche affamate, le loro mani che si cercavano, che si accarezzavano. Poi lo squillo di un cellulare li riportò alla realtà. Belle si accorse di essere addossata al muro e mentre Robert si spostava da lei risistemandosi la cravatta, schiarendosi la voce e raccogliendo la sua giacca da terra, lei si risistemava la gonna e la scollatura del vestito.

Tornò in salotto dove raggiunse la borsa ed estrasse il cellulare. Pregò mentalmente che non fossero Keith o Ruby e si stupì di leggere il nome del suo amico Filippo. Il ragazzo abitava da un paio d’anni a New York, aveva deciso di andare in quella grande città a cercare “miglior fortuna” rispetto a quello che poteva dare la piccola Storybrooke. Lì aveva trovato il lavoro e l’amore. Belle era rimasta in contatto con lui perché i due si conoscevano da quando erano bambini. Lei aveva chiesto ultimamente all’uomo di cercare di farle ottenere un posto per la ditta per cui lavorava, la “Happy Book”, una nota casa editoriale di New York. Il sogno di Belle. Leggere mentre lavorava. Copiare ogni genere di romanzo, in inglese. Conoscere l’ultimo romanzo di quel dato autore prima che fosse sugli scaffali di qualsiasi libreria. La ragazza schiacciò il tasto verde e salutò l’uomo, voltandosi verso Robert e facendogli un timido sorriso. Lui si accigliò un po’ sentendo un nome maschile, ma non disse nulla quando Belle scomparve dietro la porta a vetri che dava in giardino dalla cucina attaccata al salotto. Si sedette sul divano e portò indietro la testa, così che si perse a guardare il soffitto. Si ricompose quando sentì la porta chiudersi e una preoccupata Belle fare la sua comparsa davanti a lui.

“Era Filippo” ammise, “un mio vecchio amico. Mi ha detto che il posto di lavoro, per cui avevo fatto domanda qualche mese fa, si è liberato” evitò accuratamente di guardarlo in faccia e questo a Robert non sfuggì. “Ehy!” cercò quindi di sdrammatizzare lui “Se è quello che vuoi, fammi avere le tue dimissioni, lunedì stesso. Non c’è nessun problema. Mi dispiacerà non vederti più volteggiare in ufficio ma troveremo una soluzione” le prese una mano nelle sue. “No, non capisci” l’apostrofò lei guardandolo in faccia. Lui vide le lacrime fare capolino da quegli occhi turchesi. “Dovrei trasferirmi a New York” cercò con la mano libera di asciugarsi le lacrime prima che le cadessero sulle guancie, lacrime che dovevano essere di gioia invece erano solo di dolore. Perché l’idea di non vederlo più la faceva stare così male? Lui fece un sorriso tirato ma non parlò. Passarono qualche minuto così. Seduti sul divano, la sua piccola mano, tra quelle dell’uomo. Poi finalmente lui ruppe il silenzio.

“Va” le disse Robert.

“Cosa?”

“Belle, se quello è quello che desideri, va. É il tuo futuro, la tua felicità”. Lei sorrise, ma sentì che dentro voleva solo urlare. Lo baciò timidamente sulle labbra, tornò in anticamera, raccolse il cappotto da terra, dove lo avevano lasciato qualche minuto prima ed aprì la porta. Fuori pioveva a dirotto. Sembrava che il cielo manifestasse i loro sentimenti. ”Ti accompagno” le disse prendendo le chiavi dell’auto e infilandosi il suo cappotto “non sia mai che un gentiluomo lasci una ragazza da sola a girare a piedi con questo tempo”. Entrambi sorrisero riscoprendo un piccolo deja vù nelle parole di lui. Il viaggio in macchina fu straziante. Il silenzio regnava nell’abitacolo ed entrambi avevano paura perfino di guardarsi, così lei continuava a guardare fuori dal finestrino e lui, la strada.

Arrivati davanti alla biblioteca dove lei aveva l’appartamento lei lo salutò con un bacio “Addio e grazie” gli disse solo, poi scese dalla macchina, tirandosi il cappotto fino alla testa cercando di bagnarsi il meno possibile ed entrò in casa. Robert aspettò un po’ illudendosi che sarebbe tornata indietro. Passarono diversi minuti ma quella porta rimase chiusa.  “Addio Belle” disse. Poi mise in moto e ripartì.

ANGOLO AUTRICE:

Ciao a tutti!

Ho diviso il capitolo in due parti perché risultava un po’ lungo.

Spero solo che i personaggi non siano troppo “OOC” (si scrive così, vero Euridice? Grazie per la dritta ^_-).

Poi volevo farvi una domanda che ho in testa da tanto visto che ho parlato di Filippo, ma se Aurora dice a Mulan di essere incinta dopo che Cora viene sconfitta (quindi nella seconda stagione), ricordate? Adesso non ricordo di preciso il numero dell’episodio, ma spero che voi seguiate il mio ragionamento. Come fa Leroy a dire, quando sono da Granny, alla fine della terza stagione che Aurora avrebbe partorito una scimmietta se fosse rimasta scimmia ancora per molto? Mentre Mary Margaret si è fatta una gravidanza in una stagione sola? O___o questa cosa mi rende un po’ confusa… lo ammetto. Loro avevano dimenticato quello che era successo in un anno ma nessuno ha parlato che il tempo si era fermato come nella prima maledizione, no? Aurora ha la gestazione di un elefante? É la seconda gravidanza?
Anche perchè da quando lei parla con Mulan alla battuta di Leroy c'è tutta la parte della strega dell'Ovest e prima ancora Neverland...
Chi sa qualcosa mi illumini per favoreeeeeeee *___*, magari mi sono persa qualcosa io T___T.

Grazie! Un grazie di cuore va anche a chi legge questa fanfic e a tutte le fans Rumbelle del sito! Siete fantastiche ^^! A presto con l’ultimo capitolo.
Saja
  
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