Videogiochi > Kingdom Hearts
Segui la storia  |       
Autore: ChiiCat92    22/02/2015    2 recensioni
"- Senti, io non so se sto ancora sognando o se tu sei reale. - il coraggio datogli dalla nuova arma gli diede anche la forza di cominciare a parlare. Eccolo il ragazzo spaventato che si era trovato in camera un uomo-uccello che si chiamava Axel e che gli aveva guarito la caviglia. - Né so come tu sia entrato in casa mia. Ma credo che la mia dose di pazienza e lucidità sia giunta al termine, quindi o mi dici che cosa sei e cosa sei venuto a fare qui, oppure te ne vai all'istante. -
Il luccichio divertito negli occhi di Axel fece capire a Roxas che, con tutta la buona volontà e con tutte le armi del mondo, probabilmente non sarebbe riuscito a scacciarlo: finché lui voleva stare lì sarebbe rimasto lì."
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

- 3 -

 

Roxas rotolò scompostamente sul pavimento freddo di una cella. Pesanti grati di metallo scivolarono alle sue spalle, annunciando che la porta era stata chiusa.

Gli occhi blu saettarono da una parte all'altra nell'istintiva ricerca di una via di fuga. Quando si rese conto che la cella non aveva neanche una finestra, si avvicinò piano alle spalle, spesse quanto un suo braccio, per sbirciare fuori.

L'Arcangelo, dopo averlo sbattuto dentro, non aveva avuto neanche l'accortezza di girare lo sguardo su di lui. Come se fosse un essere vivente di razza inferiore, semplicemente aveva voltato le spalle e se n'era andato, cosa che glielo aveva fatto odiare più di quanto già non lo odiasse.

- Sì, vattene che è meglio. -

Si ritrovò a biascicare Roxas, allontanandosi dalle sbarre ghiacciate.

Si trovava quasi sicuramente nella stessa prigione di cui gli aveva parlato Axel.

Come aveva fatto l'Angelo a scappare?

Le pareti erano spesse almeno due metri, le sbarre erano robuste, non c'erano finestre né carcerieri a cui rubare un mazzo di chiavi: sembrava una prigione inespugnabile, dall'interno quanto dall'esterno.

L'arredamento era, ovviamente, piuttosto spartano: c'era un letto dal materasso liso, una coperta ruvida usata e riusata chissà quante milioni di volte, un buco sul pavimento che doveva fungere di sicuro come latrina, un lavandino sgangherato e una mensola con su libri dalla copertina tutta strappata e mangiata da umidità e tempo.

Niente altro.

Non essendoci finestre non poteva affacciarsi per vedere dove si trovava, né se fosse notte o giorno in quel posto.

Sbuffando come un treno si lasciò cadere sul letto, l'espressione crucciata di un innocente ancora incredulo.

Il pensiero, inevitabilmente, andò ad Axel.

Dov'era? Che cosa stava facendo? Sapeva che era stato catturato?

Era tutto come aveva detto: lo stavano usando per arrivare a lui. Era stato così stupido ad allontanarsi!

Ora sì che avrebbe voluto piangere, ma per qualche ragione si sentiva così sereno che l'unica emozione che riusciva a provare era uno sbigottimento sottile, simile a quando si apre un pacco di cui si conosce il contenuto con la vana speranza che dentro ci sia qualcosa di diverso.

Quella sensazione non veniva di certo da dentro di lui, no, gli era stata imposta da qualcun altro in modo da lasciarlo inerme e privato di emozioni più pericolose come rabbia e odio che un prigioniero sviluppa naturalmente.

Si chiese anche se fosse possibile manipolare i suoi sentimenti, ma si rispose che si trovava in un regno ultraterreno, probabilmente nei pressi del Paradiso, in presenza di Angeli e Demoni, e che quindi una cosa del genere era di certo possibile.

 

Rimase rannicchiato sul letto per un tempo che gli parve infinito. E, d'altronde, in quel posto chiuso e claustrofobico non aveva modo di percepire il passare delle ore.

Chissà da quanto tempo lo tenevano lì dentro.

Giorni? Mesi? Anni?

Si chiese, ancora una volta, come stessero i suoi genitori, se avessero provato a rintracciarlo, se fossero preoccupati, o se, visto che non sapeva effettivamente quanto tempo era passato, avevano smesso di cercarlo ed erano andati avanti con le loro vite.

Si sentiva vecchio e stanco e aveva timore al solo pensiero di incrociare una superficie riflettente: e se avesse scoperto di essere diventato vecchio mentre era chiuso in quella cella?

Quei pensieri angoscianti e folli non gli davano tregua e da qualche parte nella sua mente cercava di dirsi che era tutta colpa di quel posto, del potere che lo permeava: c'era qualcosa di pesante e dolente nell'aria, una polvere antica che si attaccava ai suoi polmoni e non gli permetteva di ossigenare il cervello, ormai stanco e distrutto per quell'attesa.

Quando sentì lo scalpiccio di passi lungo il corridoio portò se stesso verso le sbarre, trascinandosi come se avesse dolore in tutto il corpo e non riuscisse più a muoversi correttamente.

Si ritrovò a guardare dal basso verso l'alto l'Arcangelo severo che l'aveva sbattuto in cella.

Non sorrideva, non sembrava arrabbiato, in realtà aveva un viso completamente privo di emozioni che fece venire a Roxas un lungo brivido.

Forse Axel non aveva mentito quando aveva detto che gli Angeli non potevano provare sentimenti.

- Mi segui con le tue gambe o devo trascinarti? -

Sentire di nuovo quella voce fredda fece tremare il ragazzino che per nulla al mondo si sarebbe fatto trascinare per la seconda volta da quell'essere marmoreo.

Nel silenzio dei suoi pensieri, si chiese da quale basilica o cattedrale fosse scappato, e chi fosse lo scultore che aveva messo così tanti dettagli su di lui da renderlo anche troppo vero.

- Cammino. -

Riuscì a dire, ma aveva la voce arrochita dalla sete, anche se non l'avrebbe ammesso con nessuno di sentirsi disidratato e affamato.

L'Arcangelo non fece alcun cenno di assenso, tanto che Roxas si chiese se avesse capito quello che gli aveva detto.

Si limitò ad aprire la cella, con un mazzo di chiavi magicamente apparso tra le sue mani, e lui sgusciò fuori consapevole del fatto che non aveva via di fuga neanche lì fuori: anche se fosse scappato non sapeva dove andare, ed era praticamente sicuro che l'Arcangelo l'avrebbe afferrato per la collottola non appena l'impulso nervoso di scappare fosse arrivato alle gambe dal cervello.

Quindi non fece storie e seguì l'essere alato con il capo chino, timoroso di tenere gli occhi a portata dei suoi, così liquidi da poterci annegare.

Fissando così intensamente la veste dell'Arcangelo si accorse della cintura sottile di cuoio intrecciato con l'immancabile campanello che gli stringeva la vita: se mai l'avesse rivisto, avrebbe dovuto chiedere ad Axel perché tutti gli Angeli portavano addosso una cosa simile.

 

I corridoi attraverso il quale l'Arcangelo lo guidò sembravano tutti uguali ad una prima, superficiale occhiata. Non erano altro che una lunghissima successione di celle con sbarre spesse, alcune vuote, altre abitate da Angeli esili, quasi opalescenti, tutti giovani o bambini, con le ali nere.

Roxas capì con orrore che quella sarebbe stata la fine di Axel: rinchiuso per tutta l'eternità in una di quelle celle, a consumarsi come una candela, fino a sparire.

Rimase scioccato alla vista del contenuto dell'ultima cella del corridoio, tanto che sbiancò e dovette fermarsi per placare la nausea e il disgusto: oltre le sbarre c'era una veste bianca, piume nere ovunque, e al centro un neonato dalle scheletriche ali che dibatteva i pugnetti chiusi in una disperata richiesta d'aiuto. Aveva occhi troppo grandi e troppo profondi per sperare che non comprendesse che cosa gli stava succedendo: sembrava anche troppo consapevole della sua sorte, e per questo non piangeva, non si lamentava, agitava solo i pugnetti, come un qualunque neonato, respirando affannosamente.

- Muoviti. -

Lo riprese l'Arcangelo, e Roxas fu costretto ad ubbidire.

Quell'immagine, però, gli si impresse a fuoco negli occhi, tanto che uscendo dal corridoio continuò ancora a lungo a vederla davanti a sé.

Decise che, per quanto lo riguardava, le creature che avevano fatto una cosa del genere non erano Angeli, ma mostri dal piumaggio candido.

 

Nel camminare nei corridoi umidi di quella prigione, Roxas capì che doveva essere un edificio molto grande e che doveva trovarsi diversi piani sottoterra: non una sola finestra, non uno spiraglio di cielo, non un soffio di vento.

L'Arcangelo lo affiancava come una silenziosa sentinella. Dopo quel suo “muoviti” non aveva aperto bocca, e lui si era ritrovato immerso nel silenzio dei propri pensieri.

Ora che era lontano dalla sua cella tornava lentamente in grado di pensare e provare emozioni, emozioni forti e rabbiose: doveva essere stato proprio qualcosa nell'aria a renderlo apatico e stanco. Ma, considerò con un brivido, non era di certo colpa di un incantesimo gettato sulle celle: doveva essere semplicemente la disperazione che permeava l'ambiente.

Ovunque lo stesse portando, sapeva solo che stavano salendo verso l'alto, perché avevano percorso diverse rampe di scale e lui aveva il fiatone per quanto i corridoi risultavano essere in pendenza.

Non avrebbe permesso all'Arcangelo di riprenderlo ancora, per questo il suo passo era veloce e non esitante, anche se si sentiva stanco e affamato.

Quando ormai pensava che non avrebbero mai smesso di camminare, la creatura si arrestò di fronte ad una porta di legno tanto robusto quanto vecchio che Roxas si chiese da quale albero ormai estinto fosse stata ricavata.

La aprì, con il suo mazzo di chiavi magico che saltava fuori dal nulla, e invitò il ragazzo con un unico, inquietante sguardo ad entrare.

Roxas non se lo fece ripetere, perché quell'occhiata diceva molto più di quanto potessero dire le parole, ed entrò nella stanza.

Subito dietro di lui, la porta si chiuse con uno schianto che lo fece saltare in aria per la paura. Una paura che durò relativamente poco dato che si trovava in una ricca sala da pranzo, tanto in contrasto con i corridoi bui e malsani della prigione che Roxas si chiese se per caso quella porta non l'avesse condotto in un luogo del tutto diverso.

L'ambiente, illuminato da grandi vetrate che erano piccoli capolavori di mastri vetrai, sembravano l'enorme interno di una chiesa. I vetri colorati non permettevano di vedere cosa ci fosse fuori, ma la cascata calda di luce che gettava il sole non lasciava dubbi: era sicuramente giorno, o erano tanto vicini al sole che la notte non poteva esistere. Il pensiero fece tremare Roxas mentre avanzava nella stanza, anche se c'era un piacevole calore e una soffusa sensazione di pace.

I suoi passi rimbombavano sul pavimento di marmo, tanto lucido che facendo attenzione avrebbe potuto scorgere il proprio riflesso nelle piastrelle ben levigate.

Era l'interno di una chiesa, non c'era dubbio, o almeno era la cosa più vicina ad una chiesa, pur essendo completamente diversa.

Non c'era musica nell'aria, non c'era odore di incenso, non c'erano candele accese né statue di santi o ritratti del Bambinello con la Madonna. Era come se l'architetto avesse costruito una salone con gli stessi espedienti architettonici che avrebbe usato per costruire la navata centrale di una chiesa.

Non sentendosi invogliato a rimanere troppo vicino alla porta dove di certo era rimasto, in presidio, l'Arcangelo, Roxas si fece avanti nella sala deserta.

- Ehilà? C'è nessuno? -

Più camminava più si rendeva conto che quella sala era davvero immensa.

Addossate alle pareti c'erano dei banchi da chiesa.

Forse, più che una sala da pranzo, era un'enorme sala d'attesa.

- Scusa se ti ho fatto aspettare. -

La giovane voce alle sue spalle, comparsa dal nulla, lo fece sobbalzare tanto che la persona a cui apparteneva diede in una risata.

Roxas si voltò, e cercò con tutto se stesso di tenere la bocca chiusa e di limitare la sua espressione di sorpresa.

Axel era bello, Riku era bello e, che il cuore lo perdonasse, anche l'Arcangelo crudele era bello, ma la creatura che aveva davanti lo era cento volte tanto, mille, un milione! Non aveva parole parole per descriverlo.

Con corti capelli bruni spettinati all'insù sconfiggendo la forza di gravità, in modo sbarazzino, incorniciavano un viso dolce e gentile; l'Angelo non sembrava essere più vecchio di Roxas. Il corpo minuto era fasciato in una tunica bianca finemente ricamata d'oro, era scalzo ma non sembrava essere un problema. Soffermandosi a guardare, Roxas constatò che non aveva lacci di cuoio e campanelli da nessuna parte. Le ali erano di un bianco accecante, grandi il doppio di lui. L'aureola d'oro puro sospesa sopra la sua testa brillava di luce propria e seguiva ogni suo movimento.

Ma di una bellezza ben più che mozzafiato erano gli occhi dello stesso colore del cielo, profondi, ampi, misteriosi e brillanti allo stesso modo.

- Io sono Sora. -

Disse, accompagnando quelle tre parole con un sorriso dal candore accecante.

Roxas si sentì all'improvviso sporco e indegno al suo cospetto, piccolo e inutile come un insetto.

A pelle sentiva che Sora (le due sillabe del nome rotolavano luminose sulla lingua) era molto di più di Axel, molto più dell'Arcangelo. Il che sento “più” non avrebbe saputo dirlo, ma era di più.

- Io sono Roxas... -

Ma qualcosa gli disse che lo sapeva già, non volle dirglielo solo perché era estremamente cordiale e gentile.

- Avrai fame, vieni ti faccio mangiare qualcosa. -

Il piccolo Angelo lo precedette lungo la sala.

Così impegnato a osservare la lucentezza delle sue ali, ripiegate con grazia dietro la schiena, Roxas non si accorse che di fronte a loro era comparsa magicamente una tavola da pranzo, imbandita a festa, con sopra qualsiasi cibo avrebbe potuto desiderare.

- Prego, serviti pure. -

Sorrise Sora.

Dapprima titubante, poi mosso dalla fame come un animale, Roxas prese un piatto vuoto e pian piano lo riempì come gli era capitato di fare alle feste a cui aveva partecipato.

Solo che quel buffet sovrannaturale era ben più di quello che qualunque ristorante avrebbe mai potuto servire.

Assaggiò delle pizzette mignon di un gusto così bilanciato tra il dolce della pasta e il salato della salsa che quasi gli venne da piangere; divorò delle fritture di verdura dalla crosta dorata che si scioglieva in bocca; provò un delizioso purè di patate vellutato come una crema.

Se era quello il modo in cui si mangiava in Paradiso, bhe, Halleluja!

Cercò di non sembrare ingordo, ma quel cibo era così buono che riusciva a contenersi a stento: avrebbe voluto mangiare a due mani e riempirsi la bocca di tutto quello che gli capitava a tiro.

Quando ebbe la pancia piena cominciò a chiedersi per quale motivo l'avesse nutrito con quei cibi così raffinati se era un prigioniero.

E se fosse stato l'ultimo pasto prima delle pena capitale?

Con tranquillità constatò che non gli dispiaceva affatto: con la sensazione dello stomaco pieno poteva morire felice.

- Ti senti meglio? -

Chiese l'Angelo, piegando appena la testa di lato in un'espressione così adorabile che Roxas avrebbe voluto mangiarlo di baci e coccole.

- Sì, grazie. -

Mormorò lui, cercando di darsi un contegno dopo l'essersi divorato una quantità esorbitante di cibo, ultraterreno tra l'altro, e di dubbia provenienza.

Scrutò la creatura con occhi curiosi.

Dov'era l'inghippo?

Doveva per fora esserci, sembrava tutto così bello in quel momento!

- Immagino che adesso tu voglia delle risposte. -

Roxas deglutì a fatica un nocciolo di paura e inquietudine: gli aveva forse letto nel pensiero? Per la prima volta volta credette che una cosa del genere fosse realmente possibile.

- In effetti... -

Fu la sua sussurrata risposta.

Come in presenza di una sacra reliquia, Roxas non riusciva a parlare a voce troppo alta davanti a lui.

Sora annuì, senza perdere il sorriso che era praticamente il suo segno distintivo (dopo la fulminante bellezza). Schioccò le dita, nuovamente, e la tavola imbandita scomparve (con dispiacere di Roxas) per lasciare posto a due comode poltrone.

Lui si accomodò per primo e solo quando gli diede il permesso anche Roxas si sedette.

- Dimmi pure. -

- Ecco... - gli sembrava di non conoscere nessuna parola adatta per rivolgersi all'Angelo, e qualsiasi certezza avesse avuto fino a quel momento era crollata. Per di più aveva paura di offenderlo facendogli qualche domanda sconveniente. - Vorrei sapere dove siamo. -

Concluse alla fine, sperando di non aver detto qualcosa di male.

Sora giunse le mani, riflettendo attentamente. In quel modo sembrava solo più attraente.

- Tecnicamente, questo è quello che tu chiameresti “Paradiso”, anche se gli Esseri Umani, come avrai saputo, non muoiono, ma le loro anime rinascono per tutta l'eternità. Per essere precisi ti trovi in una delle sale pensate per accogliere le anime in transito, affinché si riposino prima della rinascita. - Roxas evitò di pensare alla parola “fantasma”, però lo fece e gettò un'occhiata tutto intorno, cosa che lo fece rabbrividire - Sei il primo essere in carne ed ossa che vi entra, in ogni caso. Qui, di solito, accogliamo solo creature spirituali. In fatti dovrai scusarci se il cibo non è stato di tuo gradimento, noi non abbiamo il senso del gusto, ci basta che sia nutriente e carico di energie, quello per noi è un “buon cibo”. -

Roxas ripensò a quello che aveva mangiato negli ultimi giorni: il tiramisù all'”Ala Spezzata”, la colazione a casa di Riku, e ora quel pasto degno di un peccato di gola. Se quello era il cibo che mangiavano loro, il cosiddetto “cibo senza gusto”, si chiese come dovesse essere se fosse stato preparato per gli umani che, invece, il senso del gusto lo avevano eccome. Probabilmente, si disse Roxas, una cosa così buona avrebbe anche potuto far impazzire una persona.

- Era tutto buonissimo, non c'è ragione di scusarsi. - sospirò il ragazzo, al solo pensare alla bontà di quelle pizzette - Posso...posso chiedere perché sono stato sbattuto in prigione e ora mi tratti come se fossi un ospite? -

Forse lo disse con un po' di acidità in più, più di quella, almeno, che sarebbe consentita in presenza di una creatura buona e pura come Sora.

L'Angelo sospirò e scosse appena la testa.

- Saix è un Arcangelo, ma è anche un guerriero, a volte gli viene difficile capire quali sono i nemici e quali gli amici. Per esperienza personale non gli vanno molto giù gli Angeli Custodi e i loro protetti, cosa che lo rende un po'...come dire...sgarbato. -

Roxas aggrottò le sopracciglia. No, doveva aver capito male.

- Quell'Arcangelo arcigno è stato un Angelo Custode? -

Sora non rispose, fece solo un cenno con la testa, che Roxas prese per un sì.

Automaticamente gli venne da spalancare la bocca in un'espressione di sorpresa. Come poteva quell'essere senza cuore, freddo come il marmo di una cattedrale, essere stato un Angelo Custode?

- Non posso darti tante spiegazioni a questo proposito, mi spiace. -

Concluse da solo che i laccetti di cuoio con i campanelli li indossassero solo gli Angeli che erano o erano stati dei Custodi, come Marluxia e Saix (anche se pensare al suo nome gli provocava un brivido poco piacevole lungo tutta la spine dorsale).

Non rimaneva che chiedersi che fine avessero fatto i loro protetti, ma qualcosa diceva a Roxas che sarebbe stato meglio non chiedere: se nel caso di Saix un “avanzamento di carriera” da Angelo Custode ad Arcangelo poteva significare che il suo protetto era entrato nelle “grazie di Dio”, allora il protetto dell'Angelo Marluxia, che lavorava in un bar clandestino per creature ultraterrene, doveva essere un'anima dannata.

Roxas non poté fare a meno di chiedersi che cosa ne sarebbe stato di sé...e di conseguenza di Axel.

Lo immaginò a marcire per tutta l'eternità in quella prigione, sempre più debole, sempre più giovane, fino a ridursi come il neonato che aveva visto nell'ultima cella: inerme, indifeso, infreddolito. Innocente. Perché se Axel era in quei pasticci, buona parte della colpa era sua: aveva fatto del suo meglio per portarlo sulla retta via, era stato lui a ignorare i suoi consigli e fare continuamente di testa propria.

Ripensò a come l'aveva aggredito, a come si era rivolto a lui, e desiderò con tutto se stesso di averlo lì a fianco per potersi scusare, dirgli quanto gli dispiaceva di essere scappato via.

Non stava scappando da lui, ma dalla paura che aveva di affrontare se stesso.

Gli gli bruciavano di lacrime quando riprese a parlare.

- Che cosa succederà adesso ad Axel? -

La delicata creatura bruna per un momento perse il sorriso. I suoi occhi si rabbuiarono a tal punto che Roxas temette che il cielo stesso di fosse oscurato.

- Quell'Angelo ha infranto molte delle nostri Leggi. Era in prigione in attesa di un processo ed è scappato. Ora è latitante e ha messo in pericolo te che sei un essere umano. Tutte queste cose, cumulate insieme, gli riserveranno la pena di morte. -

- No! - un groppo stringe improvvisamente la gola di Roxas, così forte che si sente mancare l'aria - Non potete fargli questo, non mi ha messo in pericolo, io sto benissimo...! -

- Così bene che ti trovi in un mondo spirituale con il tuo corpo fisico, dopo essere stato in una delle nostre prigioni. Sei stato aggredito da creature fatte di pura oscurità. La tua anima si sta corrompendo lentamente: questo lo chiami “stare benissimo”? - severo, Sora lo guardò come se fosse un giudice e Roxas non poté che farsi piccolo e tremante al suo cospetto - Ti ha rivelato cosa che non avresti mai dovuto sapere e ti ha portato in luogo che non avresti mai dovuto vedere. Ha condannato entrambi con le sue azioni. -

Il biondo sentì un brivido prendergli il cuore che batté una volta più forte.

- Che vuol dire...? -

- Che finché Axel non si farà vivo e non presenzierà all'udienza, tu non potrai tornare nel tuo mondo. In base alla sentenza, sapremo cosa ti aspetta. Ma non temere - tornò a sorridere, cordiale, come se non stesse per fargli una sconvolgente rivelazione - sono quasi sicuro che ti cancelleranno la memoria e ti faranno tornare alla tua vita. -

Roxas ebbe davvero paura, non per la sua sopravvivenza, ma per la prospettiva di perdere per sempre le cinque parole che gli aveva detto Axel: “Perché sono innamorato di te”.

Deglutì a fatica, sentendo la gola improvvisamente diventata ruvida.

- Non voglio dimenticare. -

Anche se si trattenne dal dire che cosa non voleva dimenticare.

L'Angelo fece un sospiro e per un momento Roxas si sentì come se avesse fatto la cosa peggiore del mondo: intristire un Angelo così bello? Che bestemmia!

Poi ricordò che cosa gli aveva appena detto, e tutto il senso di colpa svanì come neve al sole.

- Questo è segno di quanto Axel sia colpevole di tutti i capi di accusa. -

- No...io...lui...! -

Ma non sapeva davvero cosa dire.

Qualsiasi cosa avrebbe detto, sarebbe stata usata contro il suo Angelo Custode. Il suo ex Angelo Custode.

- Non siamo preparati per la presenza di un essere umano, e sei stato ingiustamente chiuso in cella solo perché non sapevamo bene come comportarci con te. Ora, abbiamo discusso con il Capo. - a quella parola Roxas fece un sobbalzo sulla poltrona. “Capo”, chiamarlo Dio sarebbe stato troppo in sua presenza? Oppure “Dio” era la parola che usavano gli uomini per definirlo e, per chi lavorava per lui, era semplicemente “Capo”? - In attesa di Axel, rimarrai nostro graditissimo ospite. - questa volta il ragazzo ebbe l'impressione che “ospite” fosse inteso con il significato di “prigioniero”: metterlo in una cella o metterlo in una stanza d'albergo non faceva differenza se non poteva andarsene. - Per il momento non toccheremo i tuoi ricordi, perché probabilmente dovrai testimoniare contro l'Angelo, però perdonami, nel cibo che ti ho dato c'era del narcotico, a breve ti addormenterai. Non posso proprio farti vedere cosa c'è qui fuori mentre ti conduco al luogo dove potrai riposare. -

Roxas deglutì a vuoto, la gola sempre più stretta da un moto di rabbia e frustrazione.

Lo trattava con condiscendenza, perché era solo un piccolo, inutile essere umano, una creatura tanto fragile quanto stupida.

Doveva essere protetto, perché altrimenti non avrebbe sopportato il carico emotivo di quell'esperienza, almeno da quello che Sora lasciava capire, ma al ragazzo sembrava solo che avessero troppo da nascondere per essere delle creature angeliche e paradisiache.

Forse il Paradiso non era bello come aveva sempre pensato.

Man mano che la sostanza contenuta nel cibo delizioso che aveva mangiato cominciava a fare effetto, Roxas si sentiva sempre più stordito e non riusciva neanche a ribattere alle parole dell'Angelo bellissimo.

Lui continuava a sorridere, come se non gli importasse di nulla di quanto gli aveva appena detto.

Testimoniare contro Axel, poi! Che assurdità!

Non avrebbe mai detto una sola parola contro di lui.

Anche se gli aveva stravolto la vita e l'aveva immischiato in cosa all'apparenza più grandi di lui, non aveva niente di che rimproverargli. Per la prima volta nella sua vita da quando quella sfortuna aveva cominciato a perseguitarlo, era riuscito a dare il giusto valore ad ogni cosa, a pensare più rapidamente di quanto potessero fare le apparenze, ad usare anche gli occhi del cuore per giudicare una creatura, con le ali candide o da pipistrello.

E loro volevano che testimoniasse a sfavore? Che lo aiutasse a condannarlo?

Piuttosto, si disse, avrebbe affrontato la pena con lui.

Si chiese se anche questo modo di pensare avrebbe potuto aizzare la giuria contro Axel, e lo sconforto che ne seguì fu attutito dalla morbida sensazione dello schienale della poltrona contro la guancia: era sprofondato nel sonno, e neanche se n'era accorto.

 

*

 

Per migliaia di anni una sola cosa per lui era stata importante: la salvaguardia dell'esistenza di quell'anima speciale che per lui era Roxas.

Quando l'aveva visto per la prima volta aprire gli occhi su un mondo molto diverso da quello in cui viveva oggi, con un altro nome, un'altra vita, ma con la stessa essenza, capì immediatamente che si sarebbe innamorato di lui.

Per un po' aveva pensato che fosse normale, d'altronde era stato creato per stargli accanto, accompagnarlo per tutta l'eternità, le loro esistenze, seppur divise da un muro invisibile, erano e sarebbero state sempre legate: e la prova era il laccetto di cuoio che teneva alla caviglia.

Poi però aveva capito che c'era qualcosa di diverso nel modo in cui si prendeva, silenziosamente e quasi di nascondo, cura di lui.

C'era troppa attenzione ai dettagli, troppo interesse, troppo coinvolgimento emotivo.

Lui non poteva provare sentimenti, eppure quella piccola creaturina bionda, bionda fin da quando era apparsa per la prima volta sulla Terra, lo faceva sentire come se avesse un cuore.

Che stupidi, poi, gli essere umani: non era mica dal cuore che derivavano i sentimenti.

Axel l'aveva studiato a fondo per cercare di risolvere il dilemma che ormai da troppo tempo lo tormentava.

Un cuore, un muscolo, un organo creato con l'esclusiva funzione di pompare il sangue nel corpo, come poteva essere il centro delle emozioni?

Anche la sua creaturina si era interrogato a proposito, durante il corso delle sue innumerevoli vite, e avevano scoperto insieme tante cose, avevano imparato tante cose, avevano preso tante scelte, alcune delle quali clamorosamente sbagliate.

Ma Axel non si sentiva come tutti gli altri Angeli Custodi. Lui non riusciva a imporre la sua volontà sul suo protetto, lui non voleva vederlo come una marionetta nelle sue mani, lui non voleva che fosse diverso da quello che era, perché, cuore o no sentimenti o no, l'amava così, semplicemente perché era lui, con quell'aria innocente che assumeva quando sbagliava e cercava di capire il perché, con quella zazzera incolta di capelli biondi che le ere, i millenni, la morte e la rinascita non erano riuscite a domare, con gli stessi occhi blu cielo mai alterati dal tempo.

Le sue ali, per questo, non erano mai state bianche, neanche una volta, e non perché Roxas fosse un'anima tormentata e crudele come ne aveva viste, ma perché non si sforzava di forgiarlo ad immagine e somiglianza dell'essere perfetto che avrebbe dovuto essere.

Era diverso per Saix, quando ancora accompagnava il suo umano. Lui era sempre stato ligio al dovere, aveva reso il suo protetto un accolito della religione, un prete, un devoto oratore, e infine un santo, il massimo a cui un Angelo Custode dovrebbe aspirare.

Lui, invece, il suo Roxas l'aveva visto a malapena entrare in una chiesa, a malapena credere in un Dio, a malapena considerare l'idea di accostarsi alla religione.

Però l'aveva visto felice.

Anche se la felicità era a malapena considerata da chi non poteva provarla.

Aveva nascosto la presenza dei suoi sentimenti finché qualcosa in petto non era esploso.

Boom boom boom come colpi di cannone contro il torace, un dolore interno che prometteva di ucciderlo.

Se per tutti quegli anni, per tutte quelle vite, era riuscito a trattenersi, in quel momento non ci era riuscito.

1491: era stata la prima volta che si era mostrato a lui, e non l'ultima.

In quell'occasione gli avevano mostrato quanto fosse facile cancellare quel poco che aveva costruito, sbeffeggiandolo.

“Guarda come è facile dimenticare l'amore”, gli avevano detto, e il suo Roxas, con gli occhi innaturalmente spenti, all'improvviso non era più “suo”: era un estraneo che alla sola vista delle sue ali nere avrebbe urlato, che l'avrebbe scambiato per l'Angelo della Morte, che sarebbe scappato via.

Questo, però, non gli aveva impedito di riprovarci.

Nel 1810 aveva trovato il coraggio e la forza per apparirgli ancora, con quel boom boom boom nel petto che lo squarciava in due ad ogni parola che si sforzava di dirgli per non spaventarlo.

L'amore è una cosa troppo grande per tenerla nascosta, ma ancor di più per mostrarla al mondo.

L'aveva perso per la seconda volta ed era stato ammonito: se avesse tentato ancora di comunicare con lui, sarebbe stato punito.

E se doveva essere punito quale sollievo migliore ci sarebbe stato di parlargli un'ultima volta?

Forse covava in silenzio la speranza che, da qualche parte, i ricordi del passato vivessero ancora, anche se sapeva per certo che non poteva essere possibile.

Era stato quel tentativo disperato a costargli il licenziamento e la prigione.

Ma lui si era arreso?

No, il boom boom boom nel suo petto non gli avrebbe permesso di arrendersi.

Ridotto all'ombra di se stesso, devastato dall'amore, l'aveva cercato ancora, si era mostrato a lui ancora.

Sotto la pioggia, con un'ala spezzata e senza più la forza di celarsi nell'ombra.

Che egoista era stato. Per pura testardaggine non aveva voluto lasciarlo andare, non gli aveva permesso di continuare la sua vita in pace.

Ma davvero poteva lasciarlo con la consapevolezza di quello che, per colpa sua, di lì in poi gli sarebbe successo?

O era solo il suo egoismo a cercare una via d'uscita?

L'amore è un essere indegno, si lascia indietro vittime, e non risparmia il carnefice.

 

Rannicchiato in angolo buio, ansante per lo sforzo di concentrazione, Axel sapeva cosa sarebbe successo adesso. L'aveva visto succedere così tante volte che non ne aveva neanche paura.

Roxas non sarebbe stato più il “suo” Roxas, e stavolta per sempre.

Con la testa tra le gambe e il petto che gli bruciava, sapeva che doveva fare qualcosa, sapeva che doveva combattere, sapeva che doveva sacrificarsi ancora una volta per lui.

Quello che non sapeva era se il suo sacrificio sarebbe valso a qualcosa.

Catturato da Saix e portato in luoghi in cui gli umani non dovrebbero stare, Roxas rischiava la vita molto più di quanto la rischiasse lui.

Che sporco ricatto, usarlo per attirarlo in una trappola, per portarlo in Tribunale dove la sentenza era già stata scritta millenni prima.

Non gli rimaneva che scendere a patti con loro.

Si alzò, la decisione che tendeva tutti i muscoli del corpo slanciato, gli occhi verdi come vetro di bottiglia rivolti ad un cielo che non era mai stato clemente con lui.

L'ala non era ancora guarita e volare gli provocava dolore, ma non era niente in confronto al dolore sordo della disperazione che gli artigliava la carne del petto e scuoteva ogni fibra del suo essere.

Ad ogni battito d'ali, ad ogni stilettata di dolore, desiderava solo poter riportare indietro Roxas, salvarlo, a costo di essere dimenticato, a costo di marcire per l'eternità in una cella: non avrebbe più tentato la fuga, mai più, se avessero risparmiato lui.

Lui che sarebbe stato il suo unico pensiero finché avrebbe avuto la capacità di pensare.

 

Il candore accecante di quel luogo gli ricordava puntualmente quando fosse fuori posto, così come gli sguardi attoniti degli Angeli che lo fissavano incedere verso il Cherubino bruno che lo stava aspettando.

Il verde degli occhi si specchiò nel blu dei suoi, ed entrambi seppero che quel giorno sarebbe finita.

- Axel. -

Sorrideva sempre, forse non sapeva neanche cosa voleva dire davvero “sorridere”, ma immerso com'era nella beatitudine divina non se lo chiedeva neanche.

- Sora. -

Il respiro di chi gli stava intorno era sospeso, le volute bianche di nuvole solide sotto i loro piedi aleggiavano basse come una candida nebbia, occhi di cristallo simili a gemme li scrutavano con qualcosa di simile alla curiosità.

Axel sorrise all'idea che stava dando spettacolo. La pena di morte in Paradiso era ancora contemplata.

Se doveva andarsene, se ne sarebbe andato in un'esplosione di fuoco e fiamme, scuotendo chiunque gli fosse vicino.

Non si sarebbe spento come una scintilla, quello che aveva nel petto avrebbe divorato con il suo ardore tutti i presenti, avrebbe fatto mormorare voci, pensare menti e, forse, battere cuori.

Si può morire tante volte, ma vivere nessuna, la sottile differenze sta nel dare il giusto senso alla propria vita.

Per Axel, il senso stava in quello che gli bruciava dentro.

- Alla fine ti sei presentato. -

Mormorò Sora, improvvisamente incupito.

Se soffriva per la sua sorte, Axel non lo sapeva, in ogni caso dimostrava un'estrema neutralità, a dispetto del buio che gli avvolgeva il viso.

L'Angelo Custode sorrise, il suo, oltre che sincero, era un sorriso amaro.

- Avrei potuto fare diversamente? -

Il Cherubino annuì, consapevole di quello che aveva sopportato in passato, ma non partecipe della sua sofferenza: come tutte le creature di quel mondo, neanche Sora poteva comprendere cosa fossero le emozioni, nonostante fosse ben più anziano di Axel (anche se manteneva volutamente un aspetto imberbe e infantile) e con più esperienza.

Di nuovo, Axel considerò che per capire qualcosa bisognava provarla sulla propria pelle, e come tante altre volte nella sua interminabile vita si sentì enormemente solo.

Solo a combattere contro la tempesta di un cuore che batteva.

- Da questa parte, prego. -

Sora indicò con un gesto della mano il palazzo dalle mura bianche dietro di lui e Axel, ubbidiente come un agnello, lo seguì, tra i mormorii della folla alata intorno a lui.

Se avessero potuto l'avrebbero guardato con disprezzo, incredulità, forse biasimandolo. Ma non potevano: erano senza cuore.

I visi apprensivi e gli occhi chiari e trasparenti lo seguirono finché non entrò nel Tribunale, e Axel ringraziò di poter provare solo amore e non conoscere la paura.

I corridoi interni del palazzo erano un tripudio alla semplicità, ma anche alla purezza. Forse per questo Axel si sentiva così a disagio con le sue ali nere e la criniera di capelli rossi. Sì, doveva essere per quello, e non per la consapevolezza di essere colpevole.

Il bianco si sprecava lì dentro: bianche erano le pareti, bianchi i pavimenti, bianchi gli archi a se steso acuto della volta, tanto alta da non lasciare intravedere il soffitto.

Le vetrate delle bifore che si alternavano ogni tre metri erano dorate e spandevano una liquida luce d'oro sui pavimenti.

Era bianco persino il pulpito del giudice, il banco della giuria e la sedia, scarna, posta al centro dell'aula su cui, Axel lo sapeva, si sarebbe dovuto sedere lui.

Finché non ci si avvicinava abbastanza non si poteva notare la folla di ali bianche e testa cinte di aureole d'oro comodamente seduta come un pubblico silenzioso su panche bianche ai lati dell'aula.

Alcuni Angeli si voltarono vedendolo arrivare, ma il silenzio rimase assoluto: non un sussurro, non un fruscio, un respiro.

Per quanto se ne sarebbe potuto sapere, la sala sembrava piena di statue di marmo.

C'era anche Saix, onnipresente sentinella della legge, posto a fianco a quello che sarebbe dovuto essere il banco dei testimoni.

In mezzo a tutte quelle chiome colorate e quegli occhi di vetro, Axel cercò le forme e i colori umani di Roxas.

Dov'era? Stava bene?

Non avrebbe acconsentito a dire una sola parola se prima non l'avesse visto.

Sora l'accompagnò fino alla sedia e, con un lieve cenno del capo, lo invitò a sedersi.

Axel non fece complimenti. Mostrandosi anche più sicuro di quanto non fosse in realtà, si accomodò all'umile posto che gli avevano dato, sgranchì le lunghe gambe, stiracchiò le braccia e spalancò le ali una per volta facendo fremere le piume nero inchiostro.

Nel bel mezzo di quella sala gremita di bianco, quasi satura, brillarono come di luce propria.

Qualcuno nella folla, forse scandalizzato dalla sua impudenza, si fece il segno della croce: uno scongiuro preso in prestito dagli esseri umani; alti si limitarono a scuotere la testa; i membri della giuria presero semplicemente appunti su rotoli di pergamena candidi.

Il Giudice Supremo non era ancora presente, segno che il processo non era ancora cominciato, eppure Axel stava già venendo giudicato.

Quando nell'aria trillò una campanella, tutti si alzarono in piedi, tranne l'Angelo Custode che rispetto per quegli esseri non ne aveva più.

Incedendo avvolto in una tunica d'oro ricamato con fili di platino, il giudice veniva accompagnato da Sora, suo fedele Cherubino, e un Serafino dai capelli color acciaio striati di blu di cui Axel non conosceva il nome.

In generale, tutti gli Angeli erano creati per essere belli e gelidi come statue, ed era davvero difficile trovarne uno che non fosse più bello di qualsiasi essere umano vivente o meno; questo non escludeva il Giudice Supremo, la cui algida bellezza era insensibile e immobile come un'opera d'arte di un grande scultore: meravigliosa per riempirsi gli occhi, ma senza vita tanto da gelare il cuore. La pelle era ebano chiaro, dorato quasi, gli occhi pepite d'oro immobile, congelate sul suo viso, i capelli una cascata d'argento sulle spalle larghe: Xemnas, il Giudice Supremo, colui che aveva tra le dita le esistenze di ogni creatura di quel mondo etereo.

Dopo di lui, l'essere più temibile e potente era solo il “Capo”.

Xemnas si accomodò sul suo seggio, le mani giunte tra loro come in preghiera.

Tutti nella sala trattennero il fiato quando i suoi occhi d'oro guardarono tutto intorno, per poi fermarsi su Axel.

Non cambiò espressione, rimase scolpito nel suo freddo disinteresse, però un lieve brillio accese le iridi dorate.

- Seduti. -

Ordinò Saix, marziale, e chi era in piedi ubbidì, a parte Axel che si limitò a stravaccarsi sulla sedia con la gamba accavallata.

Non avevano ancora fatto entrare Roxas, quindi per il momento non avevano niente con cui farlo parlare o con cui minacciarlo, per questo si riteneva imperturbabile. Forse, nell'intimo dei suoi pensieri più nascosti, sperava che non fosse vero che l'avevano catturato, e che era riuscito a nascondersi da qualche parte, lontano da tutto quello.

La giuria, palesemente votata alla sentenza ultima del Giudice, teneva gli occhi fissi sull'imputato, del tutto disinteressato a quello che gli accadeva intorno.

- Angelo Custode Axel, sei stato qui convocato in seguito... -

Axel seguì solo le prime parole dell'arringa di un membro della giuria che aveva srotolato una pergamena che quasi gli arrivava ai piedi.

Doveva essere l'elenco dei suoi capi d'accusa: in ogni caso troppo noioso per prestare attenzione.

- L'imputato come si dichiara? -

Disse alla fine il giurato e Axel, in maniera piuttosto candida, rispose:

- Colpevole. -

Se prima si era mantenuto il silenzio, ora l'aula si riempì di mormorii, bisbigli e parole di sorpresa più o meno ad alta voce.

- Ordine. - ci volle solo un colpo di martelletto del Giudice per placare la folla, dopo di che i suoi occhi cercarono quelli anche troppo tranquilli di Axel - Ti dichiari colpevole? E allora questo processo che senso ha? -

- Secondo me nessuno, ma ditemelo voi. -

Stavolta per zittire la folla il Giudice dovesse picchiare più volte il martelletto. Axel sentì chiaramente qualcuno urlare “oltraggio!”.

Quando il silenzio fu ripristinato, Xemnas aveva uno sguardo tagliente come una lama di ghiaccio.

- Vuoi essere accusato anche di oltraggio alla Corte? -

- Non sia mai, non ho mancato di rispetto a nessuno. Ho solo detto la verità. Non è quello che ci si aspetta in tribunale? -

La folla si divise tra chi gli dava ragione e chi torto, anche se tutti ritenevano deprecabile il suo atteggiamento sprezzante e la mancanza di rispetto.

- Avremmo dovuto darti l'ergastolo senza aspettare il processo! Hai messo in pericolo e probabilmente condannato per sempre l'anima di un essere umano innocente. -

Proseguì il Giudice, credendo bene di vederlo sconfitto e umiliato con quelle parole.

Ma Axel non era certo il tipo che si faceva prendere in contropiede.

- Non sono il solo ad averlo messo in pericolo, voi l'avete rapito dal mondo fisico e portato qui con lo scopo di attirare me. E poi cosa farete? Danneggerete ancora la sua mente cancellandogli i ricordi. -

Il fuoco che arse negli occhi d'oro di Xemnas sarebbe stato perfetto su un volto in grado di esprimere rabbia, ma non sul suo, scolpito nella pietra.

- Non avremmo mai dovuto ricorrere a tanto se tu avesse svolto il compito per cui sei stato creato. La tua incapacità è già punibile con la morte e gli espedienti che siamo stati costretti a usare risultano tra i tuoi capi d'accusa. -

- Oh, perfetto, vengo accusato per qualcosa che avete fatto voi, quindi? -

Ancora una volta la folla insorse, ma solo una minuscola parte era a favore di Axel.

- Ordine! Ordine! - fu costretto a urlare il Giudice per superare il clamore della folla - Fate entrare l'Umano. -

A quelle parole, il rosso fu costretto a fermare il fremito delle mani, ma non poté impedire alla pelle d'oca di divorargli le braccia.

A portare Roxas nell'aula fu il Serafino dai capelli d'acciaio che aveva condotto anche il Giudice.

Il ragazzo sembrava essere in saluto, anche se gli occhi apparivano stralunati e confusi.

Dovevano averlo drogato per impedirgli di vedere il Paradiso.

Certo, ovvio: alcune immagini non potevano essere cancellate in maniera definitiva dalla mente umana, si imprimevano in quel cuore di cui sconoscevano il funzionamento e non potevano più essere rimosse. Così dovevano ricorrere a mezzi di infima specie.

Roxas arrancò spaventato nella sala, guardando ovunque e stupendosi di tutto.

Axel, che conosceva bene ogni suo atteggiamento, sorrise intenerito: il suo ragazzo non avrebbe così facilmente ceduto alla paura, nonostante la mostrasse negli occhi.

Fu fatto sedere nel banco dell'accusa, e Axel capì a che gioco volevano giocare.

Sperò solo che Roxas non fosse condizionato dagli evento a dire cose che non avrebbe dovuto dire e che potevano essergli ritorte contro.

Per ragioni che neanche lui riusciva a comprendere, il fatto di vederlo lì, sveglio, cosciente e tutto intero, invece di angosciarlo lo rassicurava.

Sì, era stato catturato, sì, era in pericolo, sì, probabilmente all'uscita di quel luogo non avrebbe ricordato più nulla.

Ma era ancora vivo.

Provò l'intollerabile desiderio di abbracciarlo, chiedergli scusa per il loro piccolo battibecco, sollevarlo tra le braccia e sentire il peso della sua umanità su di sé, il suo respiro e il battito del suo cuore.

Ma non poteva avvicinarlo né parlargli, e qualcosa dentro di lui doleva e tirava.

Quando Roxas alzò lo sguardo e i loro occhi di incontrarono, Axel gli sorrise in un inutile tentativo di rassicurarlo.

“ Scusa”, dicevano gli occhi blu di Roxas.

“Scusa”, rispondevano quelli verdi di Axel.

- L'accusa chiama al banco dei testimoni Roxas. -

Il ragazzino ebbe un fremito e per un attimo la paura che teneva relegata sul fondo degli occhi blu prese possesso del suo viso, stravolgendone i lineamenti.

Axel strinse i pugni tanto da farsi sbiancare le nocche.

A distruggerlo era l'impotenza di non poter intervenire in alcun modo, sia perché si trovava nell'aula di un tribunale di fronte al Giudice Supremo e alla giuria che dovevano decidere della sua sorte, sia perché Saix lo ammoniva con lo sguardo dorato, freddo e tagliente.

Gli diceva, con quegli occhi, che qualsiasi cosa avrebbe anche solo pensato di fare, lui glielo avrebbe impedito, anche a costo di intervenire fisicamente.

Roxas avanzò verso il banco dei testimoni senza mai staccare lo sguardo da Axel, come se da lui potesse ricevere la forza che cercava, e l'Angelo Custode, il quale non aveva fatto altro nella sua vita che cercare, a volte invano, di confortarlo con la sua invisibile presenza, gli sorrise, incoraggiandolo con un lieve cenno del capo.

Non avere paura” provava a dirgli con gli occhi “andrà tutto bene.”

Ma poteva davvero trasmettergli conforto quando per primo lui non credeva né sentiva che sarebbe andato tutto bene?

Però sembrò convincere almeno Roxas, che apparve più tranquillo mentre prendeva posto.

- Ciao Roxas. -

Cominciò quello che assumeva il ruolo di avvocato accusatore.

- Salve. -

Rispose, deglutendo a vuoto, il ragazzino.

- Puoi per favore dirci come hai conosciuto Axel? -

Non sembrava una domanda a trabocchetto, né poteva avere significati nascosti, così Roxas, lentamente, raccontò come qualche giorno prima (anche se gli sembrava un'eternità prima) aveva incontrato, anzi, si era imbattuto in Axel.

Ci tenne a precisare, sperando che fosse un punto a suo favore, su come gli avesse guarito la caviglia slogata e come fosse stato gentile l'indomani mattina a preparargli la colazione.

Però la giuria non parve vedere quegli eventi con lo stesso entusiasmo e la stessa gratitudine di Roxas, anzi. Prendevano furiosamente note di ogni sua parola e se per caso vacillava era motivo, evidentemente, di orrore per i giurati, come se fosse colpa di Axel se gli mancavano le parole.

- Come vedete, è tutto chiaro, signori della giuria. -

Conclude l'avvocato.

Axel non batteva ciglio, pallido in viso e sconvolto da quello che aveva appena sentito.

- Scusate, ma cos'è che sarebbe chiaro, esattamente? -

Roxas aveva trovato la forza, e la voce, per esprimere quel pensiero anche per Axel che invece era ammutolito. La sua domanda aveva fatto spandere come una macchia d'olio un mormorio nell'aula, ancora una volta zittito da un colpo di martelletto del Giudice Supremo. L'avvocato sorrise come se la domanda del ragazzo fosse la riprova di quello che aveva appena detto.

Il ragazzo non poté non notare che non c'era nessun avvocato difensore per Axel.

Era chiaro almeno questo: il processo era solo un proforma, ognuno dei presenti conosceva già il verdetto, compreso Axel stesso.

- È chiaro, giovanotto, che quest'Angelo snaturato ha indelebilmente scosso la tua esistenza. -

- Mi ha solo curato la caviglia! -

Roxas si alzò in piedi, battendo i palmi aperti sul banco dei testimoni, rosso in volto per la foga e la rabbia.

Axel non voleva o non poteva difendersi, ma lui poteva farlo al suo posto.

- Ha mostrato ad un Essere Umano i suoi poteri, oltre che la sua persona. -

- Ovvio, era stanco, senza forze, non poteva nascondersi! -

- E questo chi te l'ha detto? - Roxas si morse la lingua per non urlare “lui!”, cosa che avrebbe potuto incriminarlo maggiormente - Rispondi! -

- L'ho capito da solo, era stremato, non si reggeva neanche in piedi! -

Era una mezza verità o stava palesemente mentendo in un Tribunale...divino? Si disse che non voleva conoscere la risposta, proprio no.

- Fatto sta che ti ha mostrato un incantesimo di guarigione e non avrebbe dovuto! -

- L'ha fatto per il mio bene, no? Axel è il mio Angelo Custode! Si prende cura di me. -

Il suo tono di voce, raddolcito dal suono stesso di quelle parole, fece sorridere il diretto interessato, che alzò gli occhi su di lui. Forse cercava ombre di ricordi in quelle iridi blu cielo, frammenti di quello che erano stati insieme l'uno per l'altro, anche se per pochissimo tempo. Non c'erano, però, non c'erano i giorni passati, non c'era niente di loro, e Axel sentì quella consapevolezza come un pugnale nel petto: freddo, doloroso, tagliente, da mozzare il fiato.

- Non era più il tuo Angelo Custode quando l'ha fatto, non aveva alcun diritto di mostrarsi a te e di procurarti tanti danno collaterali. -

- I danni li avete fatti voi trascinandomi qui! Mi avete rapito! Che persone siete? Avreste lasciato la mia anima a vagare nell'oblio senza la guida di un Angelo Custode?! -

- Assurdità! Axel l'ha plagiato, signori della giuria! È la prova che stavate cercando! -

- No, no! Non è vero! -

Roxas ormai gridava, le lacrime agli occhi del tutto lucidi e coscienti di quello che stava succedendo, anche troppo. Intorno a lui i mormorii della giuria e il clamore della folla, Axel immobile sulla sedia.

- Ordine, ordine! O farò uscire tutti i presenti! Portate via l'Umano, abbiamo sentito abbastanza. -

Per quanto il ragazzo potesse provare a ribellarsi, era Saix quello che andò a prenderlo per portarlo di peso fuori dall'aula.

- AXEL! -

Urlò, ormai con le lacrime che straripavano dagli occhi e che gli rigavano il viso.

L'Angelo rimase a fissarlo sorridendo.

Ora mi dimenticherai.” pensava, sereno “Non proverai più alcune sofferenza, proprio perché voglio il tuo bene, è meglio così.”

Roxas riuscì a guardare Axel un'ultima volta, prima di essere portato fuori dall'aula, lontano da lui.

Con tutta la buona volontà di cui era capace, Axel distolse lo sguardo, evitando di continuare a fissare il punto dove era sparito Roxas.

Il mormorio sommesso dell'aula si zittì quando il Giudice Supremo appoggiò gli occhi dorati su Axel.

- La giuria si ritira per deliberare. -

Annunciò un membro della giuria.

Il Giudice mosse appena una mano, pigramente, troppo impegnato ad osservare l'Angelo per interessarsi di ciò che facevano i giurati.

 

La delibera durò veramente poco, e Axel non se ne stupì minimamente: avevano già deciso il verdetto ancora prima che cominciasse il processo, l'aveva capito subito e quella velocità nel prendere una decisione non ne era che una chiara prova.

I giurati tornarono al loro posto e il portavoce lesse da un foglio su cui aveva scritto il suo destino.

- La giuria dichiara l'imputato colpevole di tutti i capi d'accusa. -

Axel si esibì in un mezzo sorriso, un sorriso amaro ma consapevole, mentre la folla in aula tratteneva il fiato come se all'improvviso non ci fosse più aria da respirare.

Il Giudice giunse le mani, intrecciandole tra loro, gli occhi sempre fisse su Axel.

Ora non resta che la punizione, vecchio.” pensò l'Angelo, senza smettere di sorridere “La condanna, avanti, facciamola finita.”

- Angelo Custode Axel, sei stato giudicato colpevole e a me adesso tocca darti la condanna. - “Come se ti dispiacesse.” diceva l'espressione di Axel, ma per una volta la sua lingua taceva. - Ti condanno a perdere l'immortalità e vagare sulla Terra con sembianze umane, provare dolore e patire le sofferenze dei mortali, fino al Giorno del Giudizio. -

Era una condanna terribile, terribile a tal punto che qualcuno tra gli auditori svenne per lo sconcerto, altri impallidirono tanto da essere più bianchi delle penne delle loro ali.

Anche per i giurati sembrava una condanna atroce, e mormoravano concitati tra loro, quasi sentendosi in colpa per averlo giudicato colpevole.

Non era meglio dargli l'ergastolo? Perché togliergli la natura che Dio stesso aveva infuso in lui? La natura divina di una creatura angelica.

Lo sguardo del Giudice era irremovibile, e tutti nell'aula si aspettavano di vedere Axel crollare a piangere, urlare invocando pietà.

Quello che non si aspettavano, però, era che lui si mettesse a ridere, ridere così fragorosamente e in modo così soddisfatto che le guance gli si infiammarono e gli occhi si riempirono di lacrime d'oro che glieli facevano brillare.

La sua risata, spensierata, felice, risuonò nell'aula e si impresse a fuoco nella mente di chi la stava ascoltando.

Nessuno, fino alla fine dell'eternità, dimenticò mai quella risata.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: ChiiCat92