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Autore: ChiiCat92    29/01/2015    1 recensioni
"- Senti, io non so se sto ancora sognando o se tu sei reale. - il coraggio datogli dalla nuova arma gli diede anche la forza di cominciare a parlare. Eccolo il ragazzo spaventato che si era trovato in camera un uomo-uccello che si chiamava Axel e che gli aveva guarito la caviglia. - Né so come tu sia entrato in casa mia. Ma credo che la mia dose di pazienza e lucidità sia giunta al termine, quindi o mi dici che cosa sei e cosa sei venuto a fare qui, oppure te ne vai all'istante. -
Il luccichio divertito negli occhi di Axel fece capire a Roxas che, con tutta la buona volontà e con tutte le armi del mondo, probabilmente non sarebbe riuscito a scacciarlo: finché lui voleva stare lì sarebbe rimasto lì."
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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- 2 -

 

Essere in fuga con un Angelo aveva i suoi aspetti negativi, ma anche quelli positivi.

Per esempio, non ci si annoiava mai. C'era qualcosa nel suo modo di vivere il mondo degli umani che faceva sorridere.

Axel aveva detto di avere milioni di anni ma si comportava come se ne avesse dieci.

Guardava tutto, toccava tutto, voleva assaggiare tutto, correva dietro ad ogni cosa, e per Roxas era difficile andargli dietro senza perderlo di vista, anche se il fatto che fosse mezzo nudo e che avesse un paio d'ali nere lo rendeva abbastanza riconoscibile.

Il problema stava nel trovare scuse per il fatto che parlava da solo. Nessuno poteva vedere Axel, e questo era un bene, ma non era facile rivolgergli la parola in mezzo alla gente.

La fortuna di avere indosso gli stessi abiti da due giorni e di non essersi cambiato era che in tasca aveva ancora il suo telefono, l'ipod, il portafogli e cuffie auricolari.

Per una volta, nelle ultime settimane, la sfiga l'aveva lasciato stare.

Infilate le cuffie e collegate al telefono, Roxas poteva tranquillamente fingere di essere in chiamata con qualcuno e nessuno lo guardò più male.

Ma c'erano altre questioni da risolvere, come per esempio che i suoi genitori dovevano essersi accorti della sua assenza...ah sì, e che c'era anche un Arcangelo armato e con cattive intenzioni sulle loro tracce.

Dopo essergli sfuggiti sfruttando quello strano incantesimo di invisibilità, Axel aveva perso troppe energie per continuare a fuggire, e avevano finito con lo spendere quel poco di denaro che Roxas aveva in tasca per un letto in un ostello dove l'Angelo aveva dormito per tutto il giorno e la notte. L'indomani era tornato al suo aspetto di ventenne, ma loro erano ufficialmente al verde.

- Finché rimaniamo in mezzo alla folla, lui non potrà intervenire. Il fatto che sia tanto potente va tutto a suo sfavore quando ci sono tutti questi umani, i suoi poteri potrebbero coinvolgerli e non può di certo rischiare di fargli del male. -

Axel gli trotterellava affianco con un sorriso quasi vittorioso mentre Roxas alzava gli occhi al cielo e sospirava.

- E tutti gli altri Angeli Custodi? Ce ne saranno a centinaia qui, no? -

Rabbrividì appena rendendosi conto di quello che aveva appena detto e di conseguenza i suoi occhi blu saettarono ovunque alla ricerca di altre creature alate. Aveva l'impressione di scorgere qualcosa, ma sperò che fosse solo perché si stava autocondizionando e...perché era affamato.

- Oh gli Angeli Custodi di solito si fanno gli affari propri, hanno comunque un sacco di lavoro con i loro protetti, quindi non ci daranno conto. -

Anche lui guardò in giro, ma dalla sua espressione Roxas capì perfettamente che lui i suoi “ex colleghi” li vedeva eccome.

- Perché riesco a vedere l'Arcangelo e gli altri Angeli Custodi no? -

Anche se si augurava che rimanesse tutto così. La strada gli appariva affollata senza bisogno che si aggiungesse anche il traffico aereo di creature alate.

Axel si strinse nelle spalle.

- Non lo so. Ehi ci prendiamo delle crepes? -

Roxas sbuffò e, ancora una volta, alzò gli occhi al cielo.

- Non abbiamo più un soldo, con cosa le vorresti pagare? -

- Lascia fare a me. -

Quando la mano del ragazzo si strinse intorno al suo posto, Axel rabbrividì tutto, e così anche Roxas.

La sua pelle era fredda, come se fosse fatta di pietra, eppure era morbida e liscia.

In un istante tutti gli eventi di quegli ultimi due giorni tornarono a farsi più pressanti, vividi, intensi nelle loro menti.

Avevano fatto finta di nulla perché avevano dovuto correre e nascondersi per salvarsi la pelle, e Axel aveva dormito per tutto il tempo e non avevano avuto modo di parlarne, e quella mattina l'imperativo si era nuovamente spostato su scappare e nascondersi.

Ma adesso, quel contatto improvviso aveva riportato tutto a galla.

Roxas ritrasse la mano e distolse lo sguardo.

- Non usare i tuoi poteri. Non voglio che sprechi energie. -

Come aveva capito che Axel intendesse usare i suoi poteri, non lo sapeva, sapeva solo che ora l'Angelo si stava massaggiando il polso come se la sua mano avesse lasciato una traccia indelebile sulla pelle candida.

- Okay...ma allora come pensi di fare? -

- Prenderò una scelta sbagliata. -

Il sorriso che gli rivolse fece subito realizzare ad Axel che cosa voleva fare e non ci fu bisogno che gli dicesse che era una pessima idea: era o no stato licenziato? Poteva far finta di non vedere, per una volta.

C'era un mercato in città e l'aria profumava di mille spezie ed era impregnata di sapori e colori tutti che procuravano una tremenda acquolina in bocca. A Roxas sembrava di non mangiare da mesi per quanto gli brontolava lo stomaco.

In mezzo a tutta quella confusione non era difficile rubacchiare qua e là. Roxas era sfigato, sì, ma era comunque abile con le mani quando voleva.

Riuscì a racimolare della frutta e qualche caramella. Non proprio un pasto caldo e nutriente, ma almeno i gorgoglii del suo stomaco si sarebbero placati.

Axel fece una smorfia quando, rintanati in un vicolo, si dividevano il bottino.

- Rubare è sbagliato. -

Deformazione professionale, intanto però l'arancia che aveva tra le mani l'aveva squartata, non sbucciata.

- Lo so. Mangia. -

Anche se Axel fissò l'arancia sbucciata come se all'improvviso avesse un rimorso di coscienza e non volesse più mangiarla, mentre Roxas aveva già praticamente divorato la sua mela.

Alla fine fu la fame a far cedere il rosso, che si chiese subito se per caso la sua forza di volontà cominciava a mancare per colpa dei poteri che si affievolivano.

- Adesso dove andiamo? Non ho soldi per dormire in un qualsiasi albergo e dubito che potremmo scroccare una notte da qualche parte. -

- Forse so da chi potremmo andare. - mormorò Axel, mangiucchiando uno spicchio della sua arancia rubata, rubata - Anche se non posso starci a lungo. Diciamo...che se ringiovanisco fino all'età di due anni, mi porti via di corsa, va bene? -

Il fatto che lo dicesse con tanta tranquillità fece capire a Roxas che non era la prima volta che succedeva, e che la persona da cui sarebbero andati serviva solo per distoglierli dall'inevitabilità di quello che Axel aveva confessato.

 

Camminarono a lungo e a fatica, perché il rosso cercava di rimanere il più possibile su strade trafficate dov'era difficile anche solo muoversi.

Roxas si scoprì a guardarlo più di quanto fosse normale che una persona ne guardi un'altra.

Gli appariva chiaro che si stava impegnando tanto a dargli le spalle e a precederlo per più della semplice ragione che lui non conosceva la strada.

Il fatto che lui non provasse sentimenti sembrava a Roxas una scusa, o se ne voleva convincere perché era davvero troppo strano, troppo assurdo, che un Angelo Custode si fosse innamorato di lui?

Gli tornò in mente il primo pensiero che aveva fatto su Axel. Era stato una spia silenziosa e invisibile per molti anni, se anche escludeva gli avvenimenti di presunte vite passate, c'era comunque la sua di vita, quella di adesso. Erano già diciassette lunghi anni.

Da quanto tempo lo amava? Quando aveva cominciato a capirlo? Era in sé possibile una cosa del genere?

Axel era uomo o donna?

Mentre ci pensava, i suoi occhi percorrevano le spalle larghe, robuste, maschili, ma non poteva fare a meno di continuare a chiederselo.

Una volta suo padre, durante un litigio, gli aveva urlato “stiamo discutendo sul sesso degli Angeli!”. Roxas era stato così confuso da quella frase, di cui non conosceva il significato, che si era zittito e suo padre aveva creduto che gliela avesse data vinta. Subito dopo era andato a cercarla su internet, e aveva scoperto che il senso figurato di quell'espressione intendesse che l'argomento di una conversazione fosse assurdo e senza senso, su cui si sarebbe potuto litigare per sempre senza mai arrivare ad una soluzione: perché gli Angeli non avevano sesso, non erano né maschi né femmine.

Per questo non riusciva a smettersi di chiedersi se Axel fosse uomo o donna.

Avrebbe cambiato le cose saperlo? Lui, probabilmente, l'avrebbe amato comunque.

Forse era solo per far chiarezza nei propri sentimenti che aveva bisogno di una risposta.

Aveva visto migliaia di immagini, più o meno porno, che ritraevano bellissime ragazze vestite da angeli dai boccoli d'oro. Su quel tipo di angeli aveva fatto diversi pensieri, di apprezzamento il più delle volte.

Di certo Axel non era il tipo di Angelo che gli adolescenti desidererebbero come oggetto del loro amore.

A paragonarlo con l'idea eterea che aveva di un Angelo, faceva subito a cogliere le differenze. Tanto per cominciare le sue ali erano nere come quelle di un corvo, era maldestro, chiacchierone, era evaso di prigione, era stato licenziato, era inseguito da un Arcangelo terrificante.

Ed era innamorato di lui.

Si fermò nel bel mezzo della strada, Axel continuò a camminare, tutto immerso in un racconto di cui Roxas non aveva sentito neanche una parola.

Si accorse dieci passi dopo che stava parlando da solo, e allora si voltò.

In quel momento, con la folla che si apriva da un lato e dall'altro per evitare il ragazzo fermo impalato, gli occhi verdi di Axel si riempirono di qualcosa a cui Roxas non volle dare un nome.

Lo vide tornare indietro, camminando elegantemente con passi misurati, i piedi scalzi sembravano toccare appena il marciapiede, Roxas notò che alla caviglia aveva uno strano laccetto di cuoio con un campanello dorato attaccato ad un anellino.

Poteva non essere un Angelo come quelli che aveva visto nei film o che aveva immaginato, ma lo trovò bello, bello con le sue imperfezioni e i suoi difetti, e le ali nere.

- Perché ti sei fermato? Sei stanco? -

E così ingenuo da non accorgersi che era arrossito al solo rendersi conto di quello che aveva appena pensato.

- No, scusa, ero sovrappensiero. Andiamo. -

Stavolta fu Roxas a precederlo e a dargli le spalle. E, proprio come Axel, non lo faceva perché sapeva dove stava andando.

 

Roxas era stato diverse volte in quella parte della città. A volte, quando bigiava da scuola, gli piaceva passeggiare e scoprire nuove strade, nuovi vicoli, nuovi café dove andare a prendere una cioccolata o un cappuccino. Certo, le sue passeggiate si erano visibilmente ridotte da quando era diventato troppo sfortunato per fare due passi senza essere vittima di qualche incidente.

Nonostante le sue conoscenze delle strade e dei locali, il ragazzo non riusciva a riconoscere il café davanti il quale Axel si era fermato.

L'insegna al neon azzurro diceva “L'ala spezzata”, e il disegno luminoso rappresentava proprio un'ala spezzata a metà.

Roxas si guardò attorno, confuso. Sembrava che nessuno si accorgesse che proprio lì, tra una lavanderia a gettoni e una sala giochi, ci fosse un bar così particolare. Sembrava carino, almeno dalla prima occhiata. Le vetrate lucide lasciavano intravedere un interno moderno, affollato di giovani tra i diciotto anni e i trenta. Le cameriere, nonostante fossero vestite in modo elegante, avevano un tocco di sensualità esotica a cui era difficile dare una spiegazione. Servivano sia bevande fredde che calde, e Roxas intravide porzioni di dolci dall'aspetto invitante.

- Che posto è questo? -

Si trovò a chiedere il biondo, leggermente scettico, anche se non sapeva spiegarsi il perché.

- Un posto carino, ti piacerà. -

Ridacchiò l'Angelo.

Fu il primo ad entrare, subito seguito da Roxas. Sulla porta c'era un campanello che trillò allegramente. Una cameriera molto carina, con riccioli di un insolito color rosa pastello, si avvicinò a loro.

- Nihao! Benvenuti all'Ala Spezzata! Sono Marluxia in cosa posso...oh cielo, ma quello è un umano! -

E quella non è una cameriera, ma un camerieresbottò, sconvolta, mente di Roxas.

Era stato ingannato dai suoi docili lineamenti e dal fatto che sia uomini che donne indossavano la medesima divisa, camicia e pantaloni.

Alla sua esclamazione più di un paio d'occhi si puntarono su Axel e Roxas. Il biondo si ritrovò a rabbrividire mentre veniva squadrato in modo critico.

- È con me. Possiamo avere un tavolo per favore? -

Il cameriere (aveva detto di chiamarsi Marluxia?) esitò per un istante, poi dovette decidere che andava bene e li condusse ad un tavolino accanto ad una delle vetrate.

Per tutto il tempo, occhi troppo chiari e belli per essere umani seguirono i loro movimenti.

Roxas lasciò che lo sguardo rimanesse incollato su Marluxia, il tempo necessario per accorgersi che aveva un collarino di cuoio, simile alla cavigliera di Axel, stretto intorno al collo.

- Lui è...è un Angelo, non è vero? -

Bisbigliò il ragazzo, quando il cameriere si fu allontanato per andare a prendere due menù.

- Esatto. Questo è uno dei pochi, pochissimi locali, dove creature come noi possono ritrovarsi in pace, parlare, godersi una bevanda calda, staccare dal lavoro oppure nascondersi. -

- Nascondersi? -

Anche se non era proprio la prima domanda a cui voleva una risposta.

- Hai presente l'incantesimo con cui ho nascosto me e te dall'Arcangelo? Questo posto è protetto dallo stesso, identico incantesimo. Qui siamo al sicuro, almeno fino all'ora di chiusura. -

- Questo non risolve il problema, non abbiamo ancora un posto dove passare la notte. -

- Oh, non temere, ho una specie di amico che mi deve un favore e che bazzica spesso da queste parti, non ci resta che aspettarlo. -

E intanto godersi gli sguardi curiosi e preoccupati insieme con cui i presenti li squadravano.

- Il cameriere...perché non ha le ali? -

- Non sono mica comode per servire ai tavoli, le tiene solo nascoste con i suoi poteri. -

E, constatò Roxas, non era l'unico a farlo. Tutti gli altri camerieri sembravano normali camerieri. Volteggiavano tra i tavoli con grazia servendo sempre con sorriso.

Ora che ci faceva caso, alcuni astanti avevano ali più o meno bianche, ripiegate con cura dietro la schiena. Nessuno, però, sembrava averle completamente bianche.

Forse Axel si era dimenticato di dirgli che quel posto ospitava Angeli che volevano nascondersi e “staccare” per un motivo preciso. Che stessero scappando da qualcosa o qualcuno come loro?

- Scusate l'attesa, ecco i vostri menù. - Marluxia, nonostante fosse ancora un po' scosso, sorrise loro mentre porgeva ad entrambi il rispettivo menù - Gradite qualcosa da bere intanto che decidete? -

- Un espresso doppio e un caffè latte, va bene Roxas? - ma non aspettò che lui rispondesse, tanto che sorrise al cameriere che subito di dileguò tra i tavoli - Il tiramisù che fanno qui è molto buono, ma anche i club sandwich non sono male... -

- Axel...ci fissano tutti. -

Mormorò Roxas, stringendosi nelle spalle come per nascondersi da quegli sguardi curiosi. Se li sentiva tutti addosso, uno per uno.

- Ignorali, leggi il menù. -

Un po' come stava facendo lui che aveva il viso immerso tra le pagine plastificate.

Il biondo annuì, forse più a se stesso, e cominciò a dare un'occhiata alla lista. Per essere varia era varia, ma mancavano i prezzi. Si chiese se per caso fosse tutto gratis o se avesse un qualche altro strano modo di pagare.

- Posso prendere le vostre ordinazioni adesso? -

Sorrise Marluxia, sempre teso, tornando al loro tavolo e portando loro il caffè doppio e il caffè latte.

- Sì, un waffle con gelato per me. -

- Io prendo il tiramisù. -

- Ottima scelta. -

Sorrise e se ne andò, volteggiando tra i tavoli.

Roxas fissò quasi confuso la tazza che aveva di fronte a sé. Profumava di spezie, forse cannella, ma anche se non vedeva l'ora di mettere nello stomaco qualcosa di caldo, dubitava di quel contenuto preparato dalle mani di un Angelo.

- Ti farà sentire meglio, bevi. -

Neanche se gli avesse letto nel pensiero avrebbe potuto dire cosa più azzeccata, per questo sobbalzò quando Axel se ne uscì in quel modo. Osservò il liquido chiaro nella tazza per qualche istante, dopo di che lo sorseggiò con accurata lentezza. Dannazione se era buono.

Rimasero seduti a quel tavolo così a lungo che Roxas credette che ad un certo punto qualcuno sarebbe venuto a buttarli fuori, e invece l'unica persona che di tanto in tanto veniva da loro era Marluxia che gli riempiva le tazze di caffè o portava altri dolci.

Così il ragazzo ebbe tempo di realizzare e assaporare ogni sensazione che gli dava stare seduto in quel café.

C'erano Angeli che tenevano le ali maculate di nero in bella mostra, come se ne fossero fieri, altri che le nascondevano come Marluxia o che le avevano tanto piccole da poter essere coperta da una giacca.

C'era anche qualche Angelo bambino, che una volta bevuto o mangiato qualcosa acquistava le sembianze di un giovane uomo.

Probabilmente l'età media apparente di un Angelo in salute doveva essere dai venti a trent'anni.

Roxas si chiese perché Axel gli avesse raccomandato di portarlo fuori se avesse dovuto ringiovanire troppo: a lui sembrava che fosse nel pieno delle sue forze.

Evidentemente il café “L'Ala Spezzata” non era la loro ultima destinazione.

 

Con il passare del tempo, il ragazzo aveva assaggiato tutte le specialità sul menù, e fu quando stava dando l'ultimo morso ad una ciambella che un brivido gelido gli colse la schiena, come se uno spiffero d'aria l'avesse colpito in pieno.

Si voltò automaticamente verso la porta del locale che proprio in quel momento si stava aprendo. La figura che, con lento incedere, si stava facendo avanti, aveva tanta oscurità addosso quanta luce aveva l'Arcangelo.

Era avvolto in un cappotto di pelle nera lucida, con catenelle che pendevano dal colletto, guanti neri che fasciavano le mani e stivali del medesimo colore. Se non fosse stata per i capelli, sarebbe stata una visione completamente oscura: aveva una cascata di lucidissimi capelli argentati, come se gli avessero colato dell'argento fuso tra le ciocche, anche se, forse, non era quella la cosa più sbalordiva. Legata sul volto a coprire gli occhi, l'essere teneva una benda nera, eppure si muoveva come se ci vedesse benissimo.

Marluxia lo accolse con la stessa allegria con cui accoglieva tutti gli altri clienti, eppure un velo di gelido terrore era sceso su tutti i presenti.

- Oh, ecco la persona di cui ti parlavo. -

Esclamò Axel, contento come una pasqua, neanche se da quella porta fosse entrata sua madre e non quella creatura inquietante.

In ogni caso, la sua frase, seppure detta a mezza voce, dovette essere arrivata in qualche modo alle orecchie dell'essere che subito diresse la testa verso di loro.

Roxas si sentì squadrato dai suoi occhi anche erano ben nascosti dalla benda che aveva sul viso.

Mormorò qualcosa a Marluxia che annuì con un sorriso e poi gli venne incontro.

Il biondo avrebbe voluto urlare qualcosa come “vattene via!”, istericamente anche.

E invece l'essere, che era certo non si trattasse di un Angelo, si sedette al loro tavolo, le labbra dritte in un'espressione neutra eppure così carica di buio.

- Axel. Sapevo che ti avevano incarcerato. -

Esordì la creatura. La sua voce era tagliente almeno come lo sguardo che teneva nascosto sotto la benda.

- Ciao anche a te Riku, è un piacere rivederti. -

- Ti sei portato dietro il tuo protetto? -

La cosa che fece irritare Roxas fu che l'essere non lo degnava di alcuna attenzione, teneva la testa rivolta vero Axel come se lui neanche fosse seduto a quel tavolo, e da come aveva esordito gli era chiaro che avrebbe parlato di lui come se fosse solo con l'Angelo.

- Sì, sono successe un po' di cose...speravo di incontrarti veramente, abbiamo bisogno di un posto dove dormire almeno stanotte, domani andremo altrove, e pensavo che avresti potuto aiutarci. -

Gli occhi blu di Roxas si sgranarono. Era impazzito o cosa? Andare a casa di quella creatura così, a cuor leggero? Ma se sembrava pronta ad ucciderli in qualsiasi momento, anche lì, in quel café così tranquillo.

- Sei sempre il solito. - all'improvviso, come se si fosse accertato che nessuno lo stava guardando, la creatura sorrise, e Roxas trovò quel sorriso estremamente cordiale e gentile. Cozzava così tanto con il suo abbigliamento, con l'oscurità che gli aleggiava tutto intorno che quasi gli si spezzò il cuore. - Vi ospiterò per tutto il tempo che volete, ma bada che non potrò fare niente se dovessi esaurire le tue energie. -

- Lo so, per questo c'è Roxas con me, non preoccuparti. -

Finalmente Riku, visto che era quello il suo nome, voltò la testa verso il ragazzo che stavolta non si sentì trattato come l'ultimo essere sulla faccia della terra, anzi: c'era una viva curiosità nella piega delle labbra dell'albino.

- Come ti sei trovato in questo pasticcio, eh? - non era una domanda a cui bisognava rispondere, dato che riprese subito a parlare - Sei il primo umano che mette piede all'Ala Spezzata da molto tempo. L'odore della tua presenza si sente fino a fuori, spero che chiunque vi stia cercando non l'abbia già individuato. -

Roxas ripensò all'Arcangelo e gli venne una fitta allo stomaco.

- Non abbiamo intenzione di fermarci a lungo, aspettavamo te, adesso sei arrivato, quindi direi che è tutto apposto. -

Rise Axel, ma Roxas poté benissimo vedere che anche lui doveva aver avuto paura per quella constatazione, perché aveva la pelle d'oca.

- Bene, ma sono venuto qui per un latte alla nocciola, se non vi spiace. - come a dire, con un sorriso, che avrebbero dovuto aspettare ancora un po' - Dopotutto, penso che il tuo protetto non sia entusiasta all'idea di entrare in casa di un Demone. -

 

Che stupido. Avrebbe dovuto immaginarlo!

Se esistevano gli Angeli, allora dovevano esistere anche i Demoni.

Il fatto che Axel avesse sorvolato su quel “piccolo” particolare fece credere a Roxas che non c'era per niente da stare tranquilli.

Un Demone. Un Demone!

Però, a parte le tetre apparenze, che Riku tra l'altro sembrava intenzionato a mantenere, non sembrava un Demone così spaventoso.

Certo sembrava potente, molto più di quanto lo fosse Axel, però non sembra così...demoniaco.

Quando ebbe finito, con tutta la sua calma, di mangiare la sua cheesecake, sospirò, posò la forchetta, si asciugò le labbra pallide, e alzò la testa come se stesse rivolgendo lo sguardo all'Angelo e al ragazzo.

- Possiamo andare. -

Non aggiunse altro, semplicemente si alzò, aspettandosi forse che i due gli andassero dietro...e infatti così fecero.

Roxas non vide nessuno dei due pagare, l'unica cosa simile ad un pagamento fu un sorriso grato che Axel rivolse a Marluxia mentre uscivano.

Una volta fuori, il ragazzo si rese conto di quanto l'aria nel café fosse diversa rispetto a quella di fuori; era come se fino a quel momento fosse rimasto in apnea, quasi soffocato da tutti quei profumi speziati e dolciastri, e ora fosse tornato nuovamente a respirare. Eppure non si era accorto di niente, finché non aveva rimesso piede fuori.

 

La casa di un Demone, secondo Roxas, avrebbe dovuto essere una specie di maniero abbandonato con ragnatele e pipistrelli, come quella di un vampiro.

Invece Riku abitava in un bell'appartamento, non grande, non spazioso, eppure ordinato, pulito, arioso, anche se era in un vicolo discosto dalla strada principale.

Non appena si fu chiuso la porta alle spalle, il ragazzo si accorse che Axel cominciava già a ringiovanire. Non era un po' più basso? Si disse che forse era colpa dell'energia “demoniaca” di Riku...anche se non poteva non chiedersi come mai lo pensasse con tanta tranquillità senza rimanere sconvolto o turbato dalla situazione.

Era così desensibilizzato da poter accettare Angeli e Demoni senza batter ciglio?

- Mettetevi pure comodi, fate come se foste a casa vostra. -

Un Demone gentiluomo, constatò Roxas.

Osservò i gesti eleganti di Riku mentre si toglieva il pesante cappotto di pelle. Sotto, aveva indosso abiti abbastanza colorati, considerando che era un Demone: un jeans blu, un gilet nero con sopra un giacchino bianco bordato di giallo, scarpe da ginnastica bianche. Tanto impegnato nel guardare il suo abbigliamento, non si accorse che si era tolto anche la benda.

Dovette incrociare il suo sguardo, e fu come se un fulmine l'avesse percorso da capo a piedi. Anche lui, come Axel, aveva occhi chiarissimi, tanto chiari da sembrare quasi finti. Erano di un intenso color acquamarina, brillante e vivo, anche se il suo incarnato era pallido e marmoreo.

Per la prima volta, Roxas realizzò di essere di fronte ad una creatura oscura: bastava guardare quegli occhi per capirlo.

Quando Axel gli poggiò una mano sulla spalla, il biondo quasi saltò in aria, tanto era rimasto in tensione.

- Non guardarlo troppo, lo sciupi. -

Ridacchiò l'Angelo, l'espressione divertita sul volto giovane.

- Ah-ah, che simpatico. -

Ribatté invece il Demone.

Ed eccole lì, quando si volse le vide: due ali ripiegate dietro la schiena, ali di pipistrello, molto più grandi e più resistenti, all'apparenza composte di velluto morbido e nero intenso.

No, Roxas non poteva proprio fare a meno di guardarlo.

- Com'è che...siete amici voi due? -

Fu l'unica cosa sensata che gli uscì dalle labbra.

L'Angelo e il Demone si scambiarono un'occhiata divertita. Sembrava ci fosse un'intesa contrastante tra loro.

- Non siamo amici. -

Ci tenne a puntualizzare Riku, con un tono di voce che rasentava il disprezzo, piuttosto contenuto.

- Samo più nemici che amici in effetti. -

Annuì Axel, accarezzandosi il mento con due dita come se questo lo aiutasse a riflettere meglio.

- E allora? -

- Axel mi ha aiutato in una certa situazione, e io sto ricambiando aiutandolo adesso, tutto qui. -

Lo sguardo che si scambiarono fu pieno di parole sottintese, come se entrambi stessero pensando a quella “certa situazione” che aveva portato un Angelo e un Demone a trovarsi nella stessa stanza.

Roxas aggrottò le sopracciglia, confuso sulle reali intenzioni e sull'orientamento etico di Riku, e dei Demoni in generale, però lasciò le sue domande relegate in un angolo della mente.

 

Nonostante il fatto che Riku e Axel fossero “nemici”, a detta loro, convivevano abbastanza serenamente e Roxas si chiese se non fosse per una questione di orgoglio se non accettavano di essere davvero amici.

Andavano d'amore e d'accordo, e i loro punzecchiamenti non potevano definirsi vere cattiverie.

Evidentemente, qualsiasi cosa gli fosse successa, li aveva legati più di quanto fossero disposti ad accettare.

Approfittando del fatto che i due stessero battibeccando mentre giocavano alla playstation (sì, Riku aveva qualsiasi console si potesse desiderare), Roxas andò un po' a curiosare in giro.

L'appartamento sembrava avere più stanze di quante ne potesse avere uno normale.

C'era il salotto, la cucina, la stanza da letto, il bagno, un ripostiglio...e un lungo corridoio su cui si aprivano una decina di porte.

Possibile che fossero tutte stanze da letto?

Roxas ebbe paura di scoprirlo, per cui si tenne alla larga e tornò in ritirata nel salotto.

A vederli giocare, e litigare, con gli occhi chiari fissi sullo schermo, Axel e Riku si sarebbero detti essere ragazzi normali, che si divertivano in modo normale e che avevano un'amicizia normale.

Ma bastava guardarli bene per rendersi conto che non era così, e che di normale in loro non c'era assolutamente niente.

Si sedette sulla poltrona ad osservarli e rifletté che lui cose del genere non le aveva mai fatte con nessuno.

Non aveva amici, non quel genere di amici con cui ci si può rintanare a casa a giocare ai videogiochi almeno. Pur di avere compagnia intorno a sé aveva fatto cose di cui si pentiva (anche se ormai non sapeva più se erano decisioni che aveva preso liberamente o sotto la spinta di Axel) e a costo di rovinarsi era diventato il burattino di ragazzi più grandi che l'avevano solo sfruttato e poi abbandonato.

Con espressione truce pensò a tutte quelle volte che si era reso disponibile per coprire quelli che riteneva essere “amici”. Cominciava a credere di meritarsi di essere finito nella situazione in cui si trovava adesso.

Pensò ai suoi genitori, che molte volte l'avevano messo in guardia; pensò a quante volte li aveva ignorati apostrofandoli con cose come “voi non mi capite” perfettamente adatte alla sua età di adolescente. E ora, nel silenzio della sua mente, gli stava dando ragione.

Chissà come avrebbero gongolato se avessero saputo.

Adesso dovevano essere a casa, e un minimo di preoccupazione per la sua sparizione dovevano pur averla.

Si chiese se in casa di Riku ci fosse anche un telefono oltre alla ps3 e lasciò che lo sguardo vagasse in giro per cercarlo...per poi bloccarsi. Che cosa avrebbe mai potuto raccontargli? Che era a casa di amici? Che non sarebbe tornato neanche quella sera? Qualsiasi storia provasse a mettere su aveva degli irrimediabili buchi nella trama.

Sospirò, forse sarebbe stato meglio lasciar perdere. Al suo ritorno il sollievo per essere ancora vivo (ammesso che quell'Arcangelo non li avesse trovati) avrebbe annullato qualsiasi altra emozione, o almeno così sperava.

- Rox, dammi il cambio. -

Praticamente Axel infranse ogni suo pensiero lanciandogli tra le mani il joystick, non senza incorrere nelle proteste, inascoltate, di Riku.

C'era qualcosa nello sguardo verde di Axel che fece pensare al ragazzo che avesse intuito i suoi pensieri e captato il suo amareggiamento. Che il suo umore potesse essere risollevato da una partita alla play (e che Axel lo sapesse) era tutta un'altra storia.

Gli infilò una mano tra i capelli biondi, rivolgendogli una delicata, quanto carica d'affetto, carezza e trotterellò in cucina senza che lui potesse dirgli nulla.

- Fammi vedere come giochi, Umano. -

Ghignò il Demone al suo indirizzo, mentre sullo schermo appariva la scritta “Ready? Fight!” e Roxas annegava i brutti pensieri in un combattimento all'ultimo sangue con una creatura che fino a qualche giorno prima non esisteva.

 

Poggiare le spalle su di un letto morbido e la testa sul cuscino scacciò via ogni forma di ansia e preoccupazione. Poco importava se quel letto e quel cuscino si trovavano in casa di un Demone e che, fino a prova contraria, lui era un fuggitivo senza casa e senza famiglia.

Si sistemò le coperte, tirandole quasi sopra al naso, e stava già per assopirsi quando qualcuno violò il caldo del suo giaciglio e gli si sdraiò accanto.

- Axel...! -

Bofonchiò, mezzo addormentato e parecchio scocciato.

L'Angelo, però, non sembrava avere l'intenzione di spostarsi, anzi, se possibile si strinse più a lui.

Entrare in casa di Riku aveva messo in moto il misterioso meccanismo per cui un Angelo perde energia e ringiovanisce e adesso Axel, dopo aver passato tra quelle quattro mura tutta la giornata, appariva come un quattordicenne dall'aria birbante, ben visibile anche nella penombra della stanza.

- Non ci sono altri letti. -

Fu la sua giustificazioni, ma Roxas storse il naso: era una così palese bugia che sembrava che l viso dell'Angelo si rifiutasse di accettare, tanto era contratto in una smorfia.

- Mi devi stare per forza così appiccicato? -

- Sono il tuo Angelo Custode, devo farlo. -

E detto questo gli si avvicinò ancora, abbracciandolo.

Era piccolo abbastanza per sparire in quell'abbraccio, stretto al suo petto, e Roxas si sentì andare a fuoco, mentre il cuore prendeva il volo.

- Sei stato licenziato, non sei più il mio Angelo Custode. - inutile ribattere, dato che Axel sembrava ben intenzionato a non lasciarlo andare. Caldo era caldo, sembrava di abbracciare una stufa elettrica. - Axel? Sei caldissimo...non avrai la febbre, vero? -

Lui scosse la testa e si accoccolò di più tra le sue braccia, sospirando.

- È questa casa, consumo energie. Ora possiamo dormire? -

Roxas alzò gli occhi al cielo.

Come avrebbe potuto dormire stretto in quell'abbraccio imbarazzante?

Provò a divincolarsi una volta sola, poi capì che il rosso non si sarebbe mosso di mezzo millimetro, per cui non poté fare altro che sospirare e arrendersi all'evidenza.

 

La mattina successiva Roxas aprì gli occhi lentamente. Il cervello assonnato non ne voleva sapere di funzionare decentemente e per questo ci impiegò il doppio del tempo per riuscire a svegliarsi.

Il fatto, poi, che avesse la faccia schiacciata contro un petto nudo e caldo non rendeva più semplice il riprendere lucidità.

Batté le palpebre diverse volte prima di mettere a fuoco la persona che lo stava strizzando in quell'abbraccio caldo.

Axel!

Era nuovamente cresciuto, e teneva la testa pigramente appoggiata contro la sua.

Roxas trattenne il respiro. Quei cambiamenti continui gli distruggevano il cervello!

Con la coda dell'occhio riuscì a guardare la sua espressione beata, addormentata e così innocente che non si potrebbe fargli una colpa per essere così stretto a lui.

Però, Roxas era un essere umano, un essere umano di sesso maschile, e come tale aveva certi inconvenienti mattutini che, con la sfortuna che si portava dietro, non tardarono ad arrivare.

Quando sentì tra le gambe la chiarissima, imbarazzante, abituale sensazione, il viso gli divenne rosso più dei capelli dell'Angelo.

Pregò in tutte le lingue del mondo (dato che, se esistevano gli Angeli, probabilmente esisteva un Dio a cui rivolgersi) che Axel non si svegliasse, non prima che lui riuscisse a liberarsi dalla sua stretta e filare in bagno, lontano dalla sua vista, lontano dalla vista di chiunque.

Ma perché pregare quando il suo Angelo Custode era stato licenziato e lui era in balia degli influssi della sfortuna?

Axel aprì gli occhi, sembrava infastidito, con la bocca appena storta in una smorfia e le sopracciglia aggrottate. Dovettero passare solo pochi secondi prima che capisse che cosa stava succedendo, tant'è che un sorriso sostituì quella smorfia.

- Buongiorno anche a te, Roxas. -

Se esistesse una definizione visiva della parola “imbarazzo” probabilmente sul dizionario metterebbero il viso di Roxas ritratto in quel particolare momento.

Con il fiato a stento trattenuto e la voglia di prendere a pugni il viso angelico di Axel, il biondo si divincolò con forza, finché non riuscì a liberarsi. Con un unico balzo raggiunse il bagno e sbatté la porta tanto forte che anche Riku, dall'altra parte dell'appartamento, poté sentirlo.

L'Angelo ridacchiò. Si prese tutto il tempo di questo mondo per mettersi seduto, stiracchiarsi, aprire e chiudere le ali intorpidite perché ci aveva dormito sopra, e raggiungere la porta del bagno.

Bussò con una nocca, una volta sola, aspettandosi una risposta che era ovvio che non sarebbe arrivata.

- Dai Rox, ti ho visto fare di peggio. -

Aveva un sorriso diabolico sulle labbra mentre lo diceva, altro che Angelo!

Roxas immerse la testa sotto il getto d'acqua gelido del rubinetto, ordinando al suo attrezzo di placarsi e dargli tregua. Ma il cuore gli batteva fortissimo, troppo forte, e l'adrenalina che aveva in circolo non gli permetteva di calmarsi. Gli sembrava di trovarsi in un orribile incubo.

- Axel, gira a largo! -

Gli urlò, disordinatamente, troppo in fretta, con troppa rabbia. La cosa non fece che far ridere di più l'Angelo.

- Sto entraaaando! -

Canticchiò il rosso, muovendo su e giù la maniglia della porta. Anche se era chiusa a chiave (grazie al cielo) il fatto che lui stesse provando ad aprirla fece cadere nel panico il povero Roxas.

Perché non c'era mai una fossa in cui sotterrarsi quando ne aveva bisogno?

- Ragazzi, colazione è pronta! -

Fortunatamente fu lo stomaco vuoto di Axel a salvare il ragazzo dallo sfacelo emotivo.

 

A tavola, Roxas si sedette con un broncio che gli arrivava fino ai piedi, mentre Axel spazzolava tutto il commestibile mangiando a due mani.

- La Gola non è un peccato? -

Commentò, le braccia strette al petto, l'espressione di chi vorrebbe insieme sparire e uccidere.

Axel gli rivolse solo un'occhiata, una di quelle che intendono che ha sentito ma che sottintendono che non ha capito.

- 'pecato 'oppe 'gie. -

Fu la sua risposta, data con la bocca piena di toast al prosciutto e salsicce arrostite.

Riku inarcò un sopracciglio, osservando tutto da sopra la sua tazza di caffè nero. Scosse la testa, come a dire che era sempre il solito, e spiegò lui che cosa Axel avesse voluto dire.

- Il cibo che vedi su questa tavola sono come quelli dell'”Ala Spezzata”. Anche se i tuoi occhi li vedono come normalissimi generi alimentari, sono in realtà creati con energia spirituale che serve come ricarica istantanea per creature come noi. Stando in questa casa, Axel spreca molte energie, mangiando compensa. -

La smorfia poco convinta di Roxas lasciò spazio ad altre domande, come: “E per me questo cibo va bene?”. Però tenne tutto per sé, limitandosi a versarsi una tazza di latte caldo in una tazza accompagnata da qualche biscotto al cioccolato.

Mentre immergeva un paio di cucchiaini di zucchero dentro il latte, a Roxas balenò in mente il fugace pensiero che non potevano rimanere a lungo lì, e automaticamente rivolse lo sguardo ad Axel, che stava infilando una ciambella coperta di glassa tutta intera in bocca.

Almeno Riku non badava a spese quando si trattava di saziare un Angelo.

- Adesso dove andremo? Dubito che io possa tornare a casa, ma non possiamo stare neanche qui. Quindi qual è il tuo piano? -

Prima di poter rispondere, il rosso dovette bere due bicchieri di succo per permettere a tutto quello che aveva nell'esofago di raggiungere lo stomaco.

Sospirò, mezzo soddisfatto dalla luculliana colazione (mista tra dolce e salato) e allora rivolse il primo sguardo serio a Roxas.

Con quell'espressione apparentemente neutra, le sopracciglia dritte, le labbra senza un fremito e gli occhi brillanti, al ragazzo parve per la prima volta un Angelo maestoso.

- Potresti tornare a casa, ma è probabile che a questo punto sappiano che abbiamo avuto un contatto, per cui non si faranno scrupoli ad usarti per arrivare a me. -

A Roxas sembrò di aver appena ricevuto un pugno dritto allo stomaco.

- Ma che diavolo di gente è? Senza offesa, Riku. - riferito al “diavolo”. Il Demone si strinse nelle spalle scuotendo la testa argentea, come a dire che non era un problema. Quella mattina non portava la benda, ma la frangetta era sistemata in modo che gli facesse ombra sugli occhi. Che non sopportasse la luce del sole? - Cioè, dovrebbero essere...buoni, no? Invece da come ne parli sembrano disposti a tutto per catturarti, anche a fare del male. Com'è possibile? -

Axel scambiò una breve occhiata a Riku, un'occhiata probabilmente carica di parole che non potevano essere dette ad alta voce. Roxas percepì una strana elettricità nell'aria, fin quando il Demone non discostò lo sguardo, improvvisamente impegnato a riempirsi di nuovo la tazza di caffè.

- Potrei provare a spiegarti, ma infrangerei un sacco di regole, davvero un sacco, e la cosa non farebbe che metterci entrambi nei guai. Sai già più di quanto sia consentito sapere ad un normale essere umano. Sappi solo che la nostra Legge è imprescindibile e le punizioni crudeli. Siamo entità devote al bene, è vero, ma è il vostro bene; sin dall'inizio dei tempi ci hanno insegnato a comportarci come ingranaggi di un grande meccanismo, e come tali veniamo trattati: se una delle rondelle non dovesse più girare o funzionare, non verrebbe oliata o riparata, ma direttamente eliminata. -

- Ma è crudele! -

Nessuna delle due creature trovò di che ribattere.

Cos'era “crudele”?

Sia l'Angelo che il Demone ripensarono alla propria eterna vita, senza trovarci niente di “crudele” ma solo “necessario”.

Avere un paio d'ali, non significa necessariamente essere liberi.

 

Dopo il breve scambio di battute, sia Axel che Riku si chiusero in un ostinato silenzio da cui non ne vollero sapere di uscire, cosa che lasciò Roxas anche troppo solo con i suoi pensieri.

Tutto d'un tratto gli sembrava di essere in presenza di esseri traballanti ed effimeri che non si riflettevano nello specchio e che potevano sparire da un momento all'altro.

Una sensazione di solitudine che gli fece venire la pelle d'oca su tutto il corpo, nonostante non facesse freddo.

In ogni caso la permanenza in casa del Demone era stata anche troppo duratura, e poche ore dopo la colazione Axel proclamò che era ora di andare.

Riku fu gentile nel salutare Roxas, scompigliandogli i capelli come ormai aveva capito amavano fare le creature sovrannaturali. Quel tocco, però, gli fece percorrere il corpo di nuovi, tetri brividi: era come essere toccati dalla mano fredda di un cadavere e nonostante il sorriso cordiale, fu quella l'ultima, precisa sensazione che il ragazzo conservò del Demone.

Tornando all'aria aperta, come quando era uscito dall'”Ala Spezzata”, Roxas si accorse che fino a quel momento gli era mancata l'aria, come se qualcosa si fosse seduto sul petto all'ingresso in casa di Riku e si fosse alzato solo in quel momento, uscendone. Quell'impressione, però, poteva essere percepita solo nel breve istante del primo respiro preso mettendo piede fuori per la prima volta, il che vuol dire che al contrarsi dei polmoni era già sparita.

Axel non aveva una meta precisa verso cui andare, ma sembrava non esserne particolarmente preoccupato. Il sole splendeva, lui aveva la pancia piena, aveva dormito abbracciato al suo Roxas: per quanto poteva interessargli, avrebbe anche potuto morire in quel momento, sarebbe stato felice.

Era diverso per Roxas. Pensava a cosa li aspettava da quel momento in poi, se la minaccia alata dell'Arcangelo fosse così terrificante come aveva annunciato Axel. Pensava a dove avrebbero trascorso quella notte, a cosa avrebbero mangiato, a quando avrebbe potuto farsi un'altra doccia: pensieri tutti umani che non turbavano minimamente l'Angelo dalle ali nere, che tutto contento gli camminava davanti, perennemente vestito con quella stoffa bianca appena sufficiente per coprirgli le parti intime e le ali ripiegate dietro la schiena.

Se aveva timore per il futuro, lo nascondeva davvero bene.

Forse aveva un piano che non poteva o voleva dirgli, e per questo era così sereno mentre avanzavano in una strada già affollata di prima mattina; forse conosceva altri Demoni e Angeli e bar come l'”Ala Spezzata” dove potevano chiedere asilo.

Forse.

In ogni caso non sembrava intenzionato a dire niente a Roxas.

Spazientito da quel silenzio, che durava da quando avevano lasciato l'appartamento di Riku, e dalla sua solare quanto insensata felicità, il ragazzo afferrò l'ala di Axel, rabbrividendo per la morbidezza improvvisa delle piume tra le mani, cosa che lo costrinse a fermarsi.

- Ahi! -

Commentò solo, senza perdere l'espressione ebete e contenta.

- Dove stiamo andando? -

- In giro! -

Il sole doveva avergli dato alla testa, non c'era altra spiegazione. Roxas gli lasciò andare l'ala, ma in compenso gli rivolse la più arcigna delle espressioni.

- Mi sono stancato di andare in giro, mi sono stancato di venirti dietro e mi sono stancato di non sapere niente! -

Axel sospirò, come se si fosse preparato psicologicamente per quando lui se ne fosse uscito con quelle parole.

- Lo so, ma sto pensando a cosa è meglio fare. - ecco che tutta l'allegria sul suo viso sparì, cancellata da un'espressione seria, come se non ci fosse mai stata gioia nei suoi occhi. Che avesse assunto quell'atteggiamento per rassicurarlo? Perché ora che non sorrideva più, Roxas sentì il sole farsi più freddo, il cielo più scuro, e il cuore più pessimista. - Non voglio metterti in pericolo più di quanto sei, per questo non posso dirti tutto, te l'ho già spiegato. Ho bisogno di riflettere e camminare mi aiuta. - un fremito percorse le sue ali, e lui le aprì un poco, come per sgranchirle - La ferita che mi sono fatto cadendo sta guarendo, potrei essere in grado di volare anche stasera, e allora potrei portarti lontano, dove potresti essere al sicuro. Ma non so se abbiamo tempo e non so dove posso nasconderti mentre aspettiamo. -

Benché capisse che lo stava facendo per lui, Roxas provò un moto di orgoglio infantile nel dire:

- Non ho bisogno di essere protetto in questo modo, posso cavarmela da solo. -

- Roxas, non ti sei accorto che finché sei stato con me non ti è accaduto niente? -

In effetti, non era stato colpito da nessun frisbee vagante, non era inciampato in una pozzanghera, non gli si erano strappati i pantaloni e non aveva sbattuto il muso contro nessun vetro invisibile: insomma, sembrava che la sfiga l'avesse momentaneamente abbandonato. Ammettendo che l'essere inseguito da un Arcangelo guerriero non fosse sfiga.

- E quindi? Che vuol dire? -

- Finché siamo insieme posso proteggerti dagli influssi negativi, di ogni tipo. Ti sto già proteggendo. -

Un altro moto d'orgoglio, cosa che fece pestare un piede a terra a Roxas.

- Non mi stai proteggendo! Sono dovuto scappare da casa e sono finito in un mondo assurdo pieno di Angeli e Demoni, che protezione è questa?! -

- Quella che posso darti con i pochi poteri che mi sono rimasti. -

- Bhé, non è abbastanza! Forse hanno fatto bene a licenziarti! -

Per Axel dovette essere un duro colpo, perché per la prima volta da quando l'aveva incontrato, Roxas poté vedere sul suo viso un dolore senza nome e senza forma, che aveva il suo domicilio nella ruga che increspava atrocemente la sua fronte. Non c'erano lacrime per quel dolore, ma solo il silenzio attonito di chi riprende fiato dopo una lunga apnea. Forse il ragazzo avrebbe preferito vederlo di nuovo piangere piuttosto.

Però era umano, era fragile, era presuntuoso e orgoglioso, e come tante altre volte quel suo essere semplicemente quello che era gli si ritorse contro.

Senza pensarci gli volse le spalle e cominciò a correre.

L'Angelo non trovò neanche le parole per provare a fermarlo.

 

Roxas corse finché non ci fu più aria nei suoi polmoni e le gambe non gli cedettero per la stanchezza.

Aveva gli occhi appannati di quelle che si rifiutava accettare come lacrime mentre dentro il petto gli bruciava il cuore, palpitante contro lo sterno.

Lontano dalla folla, lontano dal caos, poté fermare il corpo stanco, abbandonandolo in un vicolo in cui l'unica forma di viva consisteva in un gatto, arrabbiato, che gli soffiò contro e gli graffiò la gamba: Axel era lontano e la sua sfortuna era tornata.

Lasciò la schiena scivolare contro il muro finché non si ritrovò accoccolato su se stesso, le ginocchia strette al petto e la testa bionda affondata tra esse.

Non si colpevolizzava per quello che era appena successo, né si lasciò andare alla lacrime, ma una buona dose di amarezza e rimpianto gli cosparse la lingua, tanto che dovette sputare un grumo di saliva per cercare di togliersi quel gusto dalla bocca, un tentativo inutile.

Rimase accucciato lì per un tempo che gli parve essere infinito, autocommiserandosi e attirando fiotti di ombre tutto intorno a sé.

Quando alzò lo sguardo e si trovò appiccicato sul piede una specie di enorme lumaca nera, fece un salto e se la scotolò via con un'irruenza tale che la lumaca, o qualsiasi cosa fosse, atterrò diversi metri più in là. Ma non era sola, anzi, oltre a quella che aveva scalciato via c'erano un centinaio di altri esseri simili, alcuni dalle sembianze di grosse formiche con gli occhi gialli.

Non sembravano volergli fare del male fisico, ma più si avvicinavano più si sentiva scoraggiato, triste, in procinto di scoppiare a piangere. In più, quando un'altra di quelle cose lo toccò, un vaso cadde da un balcone e si infranse a pochi centimetri dai suoi piedi, riempiendogli le scarpe di terra.

Allora erano quegli esseri che portavano la sfortuna nella sua vita! Fino a quel momento non li aveva potuto vedere ma ora...ora li vedeva eccome.

Si chiese se Axel sapesse della loro presenza da sempre e se non gliene avesse parlato per non spaventarlo, si chiese se era da quello che cercava di proteggerlo.

All'improvviso gli si mozzò il fiato con un singhiozzo e la voglia di piangere fu tanto inarrestabile che le lacrime gli solcarono le guance senza che lui potesse in alcun modo arrestarle.

Si asciugò gli occhi con il dorso delle mani, urlando:

- Andate via! Lasciatemi in pace! -

Ma lasciarsi toccare da una di quelle creature voleva dire attirare una sventura, potenzialmente mortale come il vaso caduto dal balcone.

L'unica via d'uscita che vide fu quella di scappare, scappare finché non se le fosse lasciate alle spalle.

Saltellando nei punti vuoti che quelle formiche nere lasciavano nel tentativo di raggiungerlo, Roxas uscì fuori dal vicolo e si lanciò in strada. Una macchina per poco non lo investì, nello schivarla arrivò addosso ad un cameriere che stava servendo del caffè caldo che ovviamente gli si versò addosso. Mentre chiedeva scusa, pietà e perdono, uno di quegli esseri gli si avvinghiò alla gamba e con un piede pestò le feci ancora calde di un cane.

E come se non bastasse non riusciva a smettere di piangere.

Si sentiva lentamente impazzire e la sua corsa sconclusionata non era più diretta in nessun luogo, era solo un disperato tentativo di scappare alla mala sorte e alle creature nere che non volevano lasciarlo.

Capì con orrore che si cibavano dei sentimenti devastanti che gli squarciavano il petto, che godevano nel causargli una sfortuna dopo l'altra, e che non era il solo ad esserne perseguitato: poteva vedere, chiaramente, come ogni essere umano fosse circondato da un piccolo gruppetto di di formiche nere che con le loro zampette tentavano di toccarlo. Ma, a differenza di Roxas, non riuscivano mai a sfiorarlo, c'era come un bagliore dorato tutto intorno alle persone, che il ragazzo attribuì alla presenza invisibile di un Angelo Custode.

Si sentì così stupido e arrabbiato con se stesso che forse fu per questo che andò a sbattere contro un petto ampio, enorme, e rigido senza rendersene conto.

Però, tutto d'un tratto, non aveva più quel bisogno spasmodico di piangere, si sentiva come confortato e le formiche dagli occhi gialli erano svanite: non lo seguivano più!

Si stava chiedendo se non fosse un miracolo quando una mano lo afferrò per la maglietta e lo tirò su con uno strattone e lui si ritrovò davanti un viso che avrebbe fatto volentieri a meno di vedere per il resto della sua vita: una cicatrice a X tra gli occhi che erano oro vivo, una cascata di capelli di zaffiro, le labbra dritte e serie.

L'Arcangelo.

Il cuore mancò un battito e si sentì mancare il terreno sotto ai piedi, benché, tecnicamente, dato che l'Arcangelo lo teneva sollevato era una sensazione fisica.

Profumava di incenso speziato e forte, come se da qualche parte nella veste candida che indossava avesse nascosto un turibolo acceso. Un odore che fece subito venire la nausea a Roxas.

- Che fortuito incontro. -

La sua voce era gelido e duro marmo, tanto dolorosa per le sue orecchie quanto adatta per il pulpito di una cattedrale.

Con la maestosità di un Papa che alza le braccia al cielo per dare la benedizione al popolo, l'Arcangelo spiccò il volo, tenendo il ragazzo attonito saldamente tra le braccia.

Ite missa est.

Deo gratias.

   
 
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