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Autore: Acinorev    23/02/2015    8 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo ventisei - Comparison

 

Nikole camminava lentamente lungo il marciapiede, tra i radi passanti distratti dai loro problemi: sbirciava le vetrine con poco interesse, smorzato dai propri pensieri e dalle parole di Emma, al suo fianco.
«Tu cosa?» sbottò all'improvviso, voltandosi nella sua direzione e sbattendo le palpebre, come indignata da ciò che aveva appena udito.
Emma indietreggiò appena, stupita da quell'improvvisa ed animata partecipazione al discorso. «Io... Me ne sono andata», ripeté, riacquistando sicurezza.
«Perché?» domandò l'altra, corrugando la fronte: aveva smesso di camminare, troppo impegnata a rimproverarla con quello sguardo plumbeo. Non attese una risposta. «Emma, cara», continuò infatti, rivolgendole un sorriso nervoso e posando le mani sulle sue spalle, «ogni tanto mi fai proprio cadere le braccia».
«Cosa avrei dovuto fare, scusa?» si lamentò lei, sbuffando e divincolandosi da quel contatto. Si imbronciò, vagamente confusa.
Nikole sospirò e scosse il capo. «Restare lì? Continuare a parlare? Baciarlo? Non so, fartelo in qualche modo?»
Emma le scoccò un'occhiata minacciosa, alzando un sopracciglio ed incrociando le braccia al petto. «Grandiosa strategia, non c'è che dire», borbottò.
«Sempre meglio che andarsene in quel modo», precisò l'amica, osservandola come in attesa di un cenno di assenso.
Emma aveva appena finito di raccontarle l'accaduto con Harry, risalente ormai a due giorni prima, in cerca di un velato conforto e magari anche di un consiglio. Era convinta che lui stesse aspettando una sua mossa, un suo riavvicinamento, e che non avrebbe ceduto molto facilmente, ma se da una parte lei credeva fermamente che quel diritto non gli spettasse, dall'altra covava un muto sospetto riguardo l'adeguatezza dei propri pensieri: qualcosa continuava a tormentarla, come un tarlo ancora troppo piccolo per essere scovato, ma comunque in grado di apportare fastidiosi danni.
Nikole le aveva appena fornito un indizio per individuarlo.
«Secondo me hai reagito in modo esagerato», continuò, stringendosi nelle spalle ed acquisendo un'aria affettuosa, per quanto accusatoria.
Emma si morse l'interno di una guancia, con una pungente sensazione all'altezza del petto. «È stato istintivo», disse flebilmente, come per giustificarsi a se stessa. La verità era che, da quando era scesa dall'auto di Harry, il dubbio di aver agito con correttezza o meno l'aveva assediata: tutto il suo corpo le aveva urlato di allontanarsi e mettersi al riparo, ma la sua testa si era mostrata caparbia nel volerla costringere a riflettere sulle proprie azioni. Aveva fatto bene a lasciarlo in quel modo? Ad interrompere quel confronto senza nemmeno darsi un'altra possibilità?
«Istintivo non è sinonimo di giusto», le ricordò Nikole, ammorbidendo la sua espressione. Continuò subito dopo, forse notando qualcosa incrinarsi nella sua amica. «Emma, capisco che per te certe cose non siano facili, ma non puoi...» Sospirò. «Harry si è scusato, a modo suo. È stato sincero, ha ammesso di non averti detto di Lea per paura di ferirti... Cosa vorresti di più? È vero, non è stato onesto sin da subito, ma l'ha fatto per te e tu dovresti apprezzarlo, invece di tenere in considerazione solo quello che ti spaventa di più».
Cosa vorresti di più?
Emma si incupì appena, intenta a rielaborare quelle parole: non le erano nuove, o almeno non lo erano per il suo inconscio. Avrebbe voluto che non fossero così vere, avrebbe voluto non sentirsi in colpa per un errore dettato ancora una volta dai suoi timori, ma non poteva fuggire ancora a lungo da quella consapevolezza.
Harry si è scusato, a modo suo.
«Sono una stupida», borbottò per la frustrazione, passandosi le mani sul viso e liberando un profondo sospiro.
invece di tenere in considerazione solo quello che ti spaventa di più.
«Una stupida», ripeté, inspirando a lungo e tornando a guardare Nikole, con le mani appoggiate sui propri fianchi.
«Devo contraddirti o...?» domandò l'amica, sorridendo scherzosamente ed assumendo un'espressione buffa.
Emma alzò gli occhi al cielo con divertimento e si inumidì le labbra. Doveva rimediare ai propri sbagli, doveva cercare Harry ed attenuare la mancanza che provava e che si era imposta inconsapevolmente, incolpando la persona sbagliata. Doveva vederlo.
«Nik, devo andare da lui», disse velocemente, macchiando di scuse la propria voce.
«Non so cosa tu stia aspettando», rispose l'altra, fingendosi confusa ed incredula.
Emma sorrise e si sporse per baciarle più volte una guancia. «Grazie», le sussurrò sulla pelle, mentre lei le stringeva appena un fianco, prima di guardarla allontanarsi quasi correndo.
 
Messaggio inviato: ore 17.02
A: Harry
“Mi dispiace. Dove sei?”
 
Un nuovo messaggio: ore 17.09
Da: Harry
“Al nuovo appartamento. Vieni solo se non te ne vai come l'altra volta”
 
 
 
Emma trovò la porta socchiusa, senza nessuno ad aspettarla: deglutì il fiatone che la scuoteva per aver corso fino a quel momento ed entrò nell'appartamento, guardandosi attentamente intorno. Gli spazi erano illuminati fiocamente, a causa del cielo nuvoloso e cupo di quel pomeriggio: sembravano disabitati, nonostante i pochi oggetti d'arredamento già presenti ed in ordine.
La presenza di Harry si manifestò con un fioco rumore proveniente dalla cucina: mentre lei si chiudeva la porta alle spalle e si dirigeva in quella direzione, si chiese se il fatto di non essere accolta da nessuno fosse un fattore scoraggiante. Non sapeva se Harry fosse troppo arrabbiato per mostrarsi cordiale, o se quella fosse solo una propria preoccupazione.
Lo trovò in piedi di fronte al lavandino, intento a sciacquare un bicchiere per poi riporlo nella credenza appesa al muro. Le dava le spalle, larghe sotto la t-shirt bianca e morbida sui suoi fianchi stretti: teneva i capelli legati in modo disordinato, lasciando il viso scoperto e vittima dello sguardo attento di Emma.
«Ciao», lo salutò, rimanendo sulla porta e stringendo i pugni, mentre il respiro faticava a tornare regolare. Harry non si voltò, né rispose al suo saluto: si asciugò le mani con uno straccio e se le strofinò sui pantaloni neri, più per nervosismo che per eliminare ulteriori tracce di umidità. Solo dopo diversi istanti fu costretto a prestarle attenzione.
Quando Emma incontrò i suoi occhi, poté darsi una risposta: era davvero arrabbiato.
«Hai comprato il frigorifero», mormorò, senza distogliere lo sguardo dal suo. Si maledisse volgarmente nella propria mente per quell'osservazione completamente fuori luogo, ma si costrinse a tornare lucida: aveva ceduto alla tensione, al disagio di dover ammettere il proprio errore.
Harry, d'altra parte, non reagì se non alzando un sopracciglio. Si era appoggiato al mobile dietro di sé, stringendo le mani sui confini della superficie: stava serrando la mascella, in attesa. Sembrava non volesse andarle incontro, costringerla a fare tutto da sé senza alcun aiuto, senza nessun briciolo di comprensione: non per cattiveria, ma per riscatto.
Lei si schiarì la voce ed inspirò a fondo, cercando di recuperare parte della propria fierezza. Non appena schiuse le labbra per prender parola, però, Harry la precedette, come cedendo al suo istinto. «Giuro che mi fai incazzare oltre ogni limite», sbottò nervosamente, allontanandosi dal bancone della cucina e facendo un passo avanti. Un piccolo tavolo ancora a dividerli.
Emma trasse coraggio dall'enfasi delle sue parole. «Mi dispiace», gli ripeté, decisa ad assumersi le proprie responsabilità. Non le era facile, certo, ma doveva fingere che lo fosse e riprendersi ciò che voleva.
Harry sembrò non fare caso alle sue scuse. «Devi fare un po' di chiarezza, Emma», continuò infatti, ancora irrequieto. «Devi capire cosa diavolo vuoi, altrimenti non andiamo da nessuna parte».
«Lo sai», gli ricordò, piccata dalle sue pretese.
«Vuoi me?» provò lui, avvicinandosi ancora di un passo. «Perché a me sembra che tu voglia solo vivere in una dannata bolla di sapone al sicuro da tutto e tutti, anche a costo di allontanarti».
Emma si accigliò, colpita da quell'accusa che non poteva smentire. «Può sembrare così, m-»
«Hai paura, lo so», la interruppe Harry, sospirando. «Ma credi di essere l'unica? Anche io ho paura a volte. Per esempio, l'ho avuta due giorni fa, quando tu te ne stavi lì a ripetermi quanto ti avessi ferita e quanto avessi sbagliato. Mancava tanto così e mi avresti detto che era meglio lasciar perdere tutto!»
Emma si immerse nel ricordo di quel confronto, riassaporò il suo profumo e la tensione che vi era legata indissolubilmente: osservò di nuovo la sua espressione turbata, preoccupata, ed il suo mettersi sulla difensiva ad uno sguardo più attento. Percepì un certo timore, che in quel momento aveva interpretato come mancanza di sensibilità nei confronti del suo stato d'animo, e lo usò per riscaldarsi. Harry aveva avuto paura di essere lasciato a causa di ciò che lei non era in grado di affrontare.
«Credi davvero che avrei potuto dirlo?» ammise Emma, ammorbidendo la voce ed ammettendo qualcosa di intimo. Lo guardava negli occhi e lo vedeva irrigidirsi per ciò che si era appena lasciato sfuggire, persino a discapito del proprio orgoglio.
«Sì», rispose dopo una manciata di secondi, andando contro le aspettative di Emma. «Ed è questo il problema, perché a volte sembra davvero che tu possa impazzire da un momento all'altro ed andartene».
«Non lo farei senza una ragione», si difese Emma: non si capacitava dell'incertezza che sembrava gettare inconsapevolmente sulla loro relazione. Evidentemente le sue paure non si limitavano a divorare un corpo solo.
«E quale sarebbe questa ragione?» domandò Harry, scettico. «Perché a quanto pare anche l'averti nascosto qualcosa che non ti avrebbe fatto piacere sembra un gesto imperdonabile. E Cristo, io non credo proprio di aver sbagliato così tanto», aggiunse con più nervosismo.
«Non è un gesto imperdonabile», lo citò, senza alzare la voce, «ma è qualcosa che mi ferisce più di quanto farebbe con altre persone». Era davvero stanca.
«Ed io questo lo so, Emma», rincarò lui, sospirando di nuovo. «Ma c'è una grossa differenza tra l'essere ferita ed il mettere in mezzo Miles, il tradimento, la fiducia. Se basta così poco a farti mettere in dubbio tutto, che cosa dovrei fare io? Dovrei aver paura anche solo di fare un passo, perché tu potresti vederlo come un grave attacco alla tua persona e lasciarmi?»
«Io non ho mai parlato di lasciarti!» puntualizzò Emma, iniziando ad alterarsi. Affidare i propri timori alle mani di qualcuno era pericoloso, soprattutto se quel qualcuno sapeva maneggiarli così bene.
«Ed io non ho mai parlato di tradirti! Eppure tu continui ad avere paura di questo!»
Questa volta Harry urlò un po' di più, aprendo le braccia in un gesto esasperato. Emma trattenne il fiato, con gli occhi ancora fissi nei suoi ed il cuore a vacillare nella cassa toracica immobile: era circondata da una tensione pungente e si ostinava a non compiere alcun movimento, come per non rimanerne ferita.
Dopo un lungo respiro, fu Harry a riprendere la parola. Fu lui ad insistere, a non darle tregua. «Credi di essere l'unica a dare tanto? L'unica che potrebbe perdere qualcosa? Le cose si fanno in due, Emma, e se tu non sei disposta a vedere oltre le tue paure, se non sei disposta a vedere me, allora c'è davvero qualcosa di sbagliato».
Era stata cieca, anzi, aveva desiderato esserlo: perché lei aveva compreso le motivazioni di Harry, il suo tentativo di proteggerla dall'ombra di un dolore scomodo, ma le aveva accantonate e nascoste sotto la coltre dei propri timori. Le aveva distorte fino a renderle vane. Aveva perso di vista Harry ed i suoi significati.
Emma strinse i pugni lungo i fianchi, rabbrividendo per la colpevolezza che provava: le era più chiaro come il suo comportamento stesse danneggiando entrambi, e non voleva che fosse così. «Io sto cercando di cambiare, di avere meno paura», mormorò, fallendo nel risultare decisa e sicura. La voce che le tremava appena. «Ci sto provando davvero, e mi dispiace creare questi problemi, io... So di esagerare, a volte, ma non lo faccio di proposito».
Harry si inumidì le labbra lentamente, senza distogliere il suo sguardo nemmeno per un fuggevole istante. Il suo respiro era regolare, profondo. «Vieni qui», disse soltanto.
Lei si stupì di quella richiesta, improvvisamente più fragile e bisognosa, e riuscì a muoversi solo dopo qualche istante: gli si avvicinò con cautela, forse per avere il tempo di arginare le proprie emozioni, e gli si fermò di fronte, con il viso sollevato per poter continuare ad osservare le sue iridi.
Harry le scostò una ciocca di capelli dal viso, con le mani tiepide e ferme in ogni più piccolo movimento: subito dopo, la attirò a sé e le circondò il corpo con le braccia, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo e respirando sulla sua pelle. Un contatto asfissiante, sicuro.
Ed eccolo, ecco il conforto che Emma aveva desiderato due giorni prima in quell'auto parcheggiata all'ombra. Quello che non era riuscita a chiedere, quello che aveva allontanato con il proprio atteggiamento timoroso, respingendolo prima ancora di poterlo vedere. Quello che solo il corpo di Harry era in grado di fornirle così generosamente, senza possibilità di dubbi o sospetti.
Emma chiuse gli occhi contro il suo petto, aggrappandosi alla sua t-shirt ed inspirando il suo profumo, sempre presente. Non sapeva come contenere tutto ciò che stava provando, e si sentiva tanto stupida da vergognarsene: era così semplice ritrovarsi l'uno tra le braccia dell'altra, che non capiva come avesse fatto a renderlo mille volte più complicato. O perché fosse stata così masochista.
Harry portò una mano sul suo volto, posando il palmo aperto sulla sua guancia, e la invitò ad incontrare il suo sguardo: le si avvicinò fino a sfiorarle il naso con il proprio ed intrecciò le dita tra i suoi capelli arruffati, prima di accarezzarle le labbra e baciarle lentamente. Emma si avvolse di quella dolcezza inaspettata, macchiata da un fervore che non poteva essere nascosto in nessun caso, e si abbandonò a quel contatto per poterne ricavare tenacia e calore. Ricambiò il bacio alzandosi sulle punte dei piedi, nascondendo le mani sotto la sua maglietta e negli angoli del suo corpo che non conoscevano più confini con i propri.
I respiri di entrambi si fecero più veloci, manifestando sempre più pretese: Harry fece un passo in avanti e la fece sbattere delicatamente contro il tavolo montato da poco, al centro della stanza. Le afferrò i fianchi e la fece sedere sulla superficie in legno, che per un istante si dimostrò instabile: continuò a baciarla con sempre più ardore, fino a dover recuperare ossigeno dalla pelle del suo collo. Mentre Emma si liberava della giacca in pelle, rabbrividì per un morso leggero e per le dita di Harry sotto il proprio maglioncino.
«Io non sono Miles», le ricordò contro la sua bocca, appoggiando la fronte alla sua. Il tono duro di chi non vuole essere messo in dubbio, di chi disprezza un simile paragone o ne è addirittura ferito. «Non sono il ragazzo che ti ha tradita», continuò, respirandole sul viso ed impedendole di distogliere lo sguardo. «Non sono il ragazzo che quella notte non è tornato a casa».
Emma soppresse un singhiozzo determinato da emozioni difficili da distinguere, mentre nelle sue iridi era costretta a leggere quelle verità insidiose, non sempre facili da confermare.
«Non voglio essere paragonato a lui», aggiunse Harry, spostando le mani ai lati del suo viso, mentre lei premeva i polpastrelli contro la pelle calda della sua schiena. «Non azzardarti a farlo, mai più».
Emma si sentì infinitamente piccola di fronte a quell'intimazione, per quanto comprensibile: era difficile districarsi tra le convinzioni dettate dai tentativi di proteggersi e quelle che invece sembravano più precarie solo perché più vere. Doveva fidarsi di Harry, ma non era semplice distinguerlo dalle passate esperienze, e quello che più la faceva innervosire era il fatto che non dipendesse da lui: le paure di Emma fungevano da lente per qualsiasi cosa lei guardasse, come una patina opaca che confonde qualsiasi cosa su cui si posi, rendendo impossibile una visione oggettiva e veritiera. Eppure, doveva sforzarsi di raggiungere Harry a prescindere da tutto il resto: doveva imparare a trovarlo anche sotto quintali di timori più o meno fondati, grazie a quei particolari che non potevano essere fraintesi, particolari che solo lui avrebbe potuto portare con sé.
 
 
 
L'aveva riaccompagnata a casa dopo un paio d'ore, quando il cielo era ormai scuro e l'ora di cena vicina. Chiusi al caldo della sua auto, parcheggiata di fronte al cancello in ferro battuto, sembravano due adolescenti incapaci di lasciarsi andare: Emma non riusciva a separarsi dalla sua bocca, nonostante ci avesse già provato più volte, e lui era assolutamente deciso a non interferire.
«Ci vediamo stasera?» le domandò invece, mordendole un labbro.
Lei sorrise appena, con il cuore in subbuglio. «So che non ti basto mai», rispose in una provocazione vanitosa, accarezzandogli il collo, «ma devo andare al cinema con Melanie».
Passò una mano sulla sua coscia. «Vengo anch'io», la informò, senza preoccuparsi di chiedere il permesso. «La sala sarà buia, non mi vedrà».
Emma arricciò il naso e giocò con le sue labbra. «Non mi fido delle tue intenzioni», decretò, conoscendo la sua malizia e combinandola alle condizioni presenti in un cinema.
Harry non la contraddisse, limitandosi a sorridere per confermare quella previsione. «Allora vattene, perché sono le stesse che ho ora», la informò. «E tu sei in ritardo».
Lei accennò una risata, nonostante non riuscisse a saziarsi di ciò stava provando e che non le sembrava mai abbastanza. «E va bene», sospirò, passando una mano tra i suoi capelli e sforzandosi di allontanarsi dal suo viso. Sperava di essere fermata, ma Harry sapeva come imporre delle distanze, soprattutto quando gli servivano da provocazione.
Recuperando la borsa dalla nicchia nel cruscotto, però, vide qualcosa che le fece trattenere il respiro. «Oh, mio Dio», sussurrò, impallidendo.
Harry corrugò la fronte, osservandola con curiosità. «Che c'è?»
«Oh, mio Dio», ripeté lei, sospirando sonoramente e nascondendosi il volto nelle mani.
«Sei impazzita?»
«Sapessi quanto vorrei che fosse solo un'allucinazione».
«Hai voglia di spiegarmi qualcosa o...?»
Emma sbirciò fuori dal finestrino e poi tornò a guardarlo in viso, con un'espressione atterrita ed arresa. «C'è mia madre».
Lui alzò un sopracciglio e spostò le iridi oltre il parabrezza: quando individuò la causa di tanta preoccupazione, si lasciò sfuggire un sorriso divertito. L'attimo dopo, la voce di Constance Benson arrivava ovattata nell'abitacolo, salutando calorosamente la figlia.
Emma tenne le palpebre abbassate per un solo istante, fingendo che fossero ore, e si sforzò di fingere spensieratezza: si voltò ed abbassò il finestrino. «Mamma, ciao», la salutò, mentre lei si avvicinava alla macchina con una busta della spesa in una mano e le chiavi di casa nell'altra.
La ignorò completamente, piegandosi all'altezza del finestrino per spiare all'interno con un sorriso curioso e calcolatore. «Ciao!» esclamò, rivolgendosi ad Harry come se fosse stato un amico di vecchia data. «Tu devi essere il ragazzo di mia figlia», aggiunse, porgendogli una mano.
Lui ricambiò il gesto con gentilezza, forse ridendo dentro di sé per l'imbarazzo in cui Emma stava sprofondando: i suoi occhi blu, infatti, fissavano terrorizzati le due mani che si stavano stringendo davanti al proprio volto, quasi avessero potuto ucciderla da un momento all'altro.
«Io sono Constance, piacere», continuò sua madre, studiando il viso della sua nuova conoscenza con un'attenzione eccessiva.
«Harry, piacere mio», rispose lui, schiarendosi la voce. Sembrava completamente a suo agio, per nulla turbato da quella situazione inaspettata: Emma avrebbe voluto scuoterlo e chiedergli perché fosse così tranquillo.
«Sai, Emma non parla molto della sua vita privata», perseverò Constance, decisa a non lasciarsi sfuggire l'occasione. «Ho saputo di te quando ho scoperto che si era fermata a casa tua, anziché dormire dalla sorella come mi aveva detto».
Stronza, borbottò Emma nella propria mente, reprimendo un sorriso isterico e voltandosi verso Harry: era evidente che sua madre non l'avesse ancora perdonata per quella bugia, evidente che volesse vendicarsi in modo sottile, evidente da chi Emma avesse ereditato il suo spirito dispettoso.
Lui reagì con un sorriso largo, lento. «Sì, be', quella sera c'è stato un improvviso cambio di programma», si giustificò, stringendosi nelle spalle con assoluta nonchalance.
Emma spalancò gli occhi, incredula di fronte alla piega che stava prendendo quel discorso. Non solo Costance si divertiva a rinfacciarle pubblicamente la sua delusione, Harry sembrava persino deciso a peggiorare il tutto: come diavolo gli veniva in mente di usare quelle parole in una situazione del genere?
Serrò le mani sulla pelle del sedile sul quale stava sprofondando ed aprì la bocca per intervenire, per porre fine a quella tortura. Sua madre fu più veloce. «Oh, non preoccuparti: cose che capitano».
Cose che capitano?
«Non voglio fare l'ipocrita: in fondo, anche io e mio marito ci siamo divertiti, ai nostri tempi».
io e mio marito? Divertiti?
«Mamma», sibilò Emma, incapace di sopportare oltre: l'occhiata che le rivolse fu piuttosto eloquente, tanto da sortire l'effetto contrario. Constance, infatti, le sorrise quasi gelidamente: agli occhi di un estraneo sarebbe potuta apparire come la più gentile ed affettuosa delle donne, ma ai più vicini era ben noto anche l'altro lato della sua indole, che per quanto più raro nell'apparire, sapeva essere anche più incisivo.
«Ok, me ne vado. Me ne vado», acconsentì, mentre Harry osservava entrambe con estrema curiosità per le varie dinamiche. «Ma Harry, sarebbe bello conoscerti meglio: che ne diresti di venire a cena da noi, una di queste sere? Ci farebbe molto piacere».
«A cena?» ripeté lui, rivolgendo uno sguardo ad Emma come per spiare la sua reazione: lei scosse impercettibilmente la testa, suggerendogli la risposta.
«Mamma, non credo che Ha-»
«Ci sarò», la interruppe Harry, sorridendo apertamente.
«Ci sarai?» domandò Emma, incredula.
«Fantastico!» commentò Constance con entusiasmo, contemporaneamente. «Allora aspetterò di sapere quando sarai libero, così potremo organizzarci: oh, non vedo l'ora di dirlo a mio marito, ne sarà felice».
Lui la ascoltò con educazione, annuendo per seguire le sue parole.
«Va bene», si intromise Emma, spazientita. «Ora che vi siete messi d'accordo, è proprio ora di andare. Forza, mamma, ti aiuto a mettere a posto la spesa», propose con una falsa espressione cordiale. L'altra mormorò qualche saluto ad Harry, mentre lei apriva lo sportello: prima di scendere dall'auto, con Constance che si avviava verso casa, si voltò verso di lui e lo fulminò con lo sguardo.
«Io e te ne riparliamo», gli promise, con un tono così deciso da farla sembrare una minaccia. E forse lo era davvero.
Harry rise appena, il viso sereno ed una mano sul volante: si sporse velocemente verso di lei e le baciò le labbra. «Cucinerai per me?» le domandò, determinato a torturarla fino all'ultimo secondo.
Lei assottigliò gli occhi, progettando vendette poco piacevoli, e si allontanò velocemente, sbattendo la portiera alle sue spalle e nascondendo un mezzo sorriso.
 
Quando entrò in casa, si irrigidì sul posto e sbuffò. «Mamma!» urlò, proseguendo a passo di marcia fino alla cucina. «Si può sapere che diavolo ti viene in mente?!»
Ma Constance non le rispose, troppo occupata a tenersi una mano sulla pancia per la risata che non riusciva a controllare.




 


Buonasera!!
Stavolta sono puntuale, sono fiera di me ahahha Contando che ho scritto tutto tra ieri sera e stamattina, direi che sono stata anche fortunata: spero che sia uscito anche un buon risultato, dai ahahha
- Nikole/Emma: molte di voi hanno giustamente riconosciuto l'errore di Emma nel rapportarsi in quel modo ad Harry (non vi scusate quando criticate i suoi comportamenti, io non mi offendo ahahha Non ho mai detto che si comporti sempre bene, anzi, spesso e volentieri io stessa le darei un calcio per farla svegliare!), e lei nei aveva già un vago sospetto. Nikole gliene dà solo la conferma, spingendola a fare qualcosa: anche perché , come Emma stessa dice, Harry non si era fatto sentire per due giorni = era incazzato. Preciso che Emma non è una stupida: per quanto le sue paure la spingano a reagire in modi anche sbagliati, a mente fredda sa ragionare e riconoscere i propri errori, ammetterli e chiedere scusa.
- Harry/Emma: come vi avevo già anticipato, è Harry stesso a dare una visione più completa di quello che è successo nello scorso capitolo. Effettivamente, se Emma stava esagerando nella reazione, anche lui si è dimostrato piuttosto distante, ed è solo perché si era spaventato: lo dice anche a lei, ha avuto l'impressione che da un momento all'altro sarebbe scappata via, giustificandosi con le sue paure. Da qui, tutto il discorso sul fatto che non è l'unica a rischiare qualcosa. Ovviamente da uno come Harry non riceverà mai un conforto sdolcinato fatto di parole smielose, ma funziona lo stesso, dai ahahah Difatti, nonostante la sua rabbia, anche lui non è completamente cieco, infatti non esita a consolarla quando si trova di nuovo di fronte le sue debolezze: diciamo che si sono fraintesi di nuovo! 
Alla fine le ripete di non confonderlo con Miles: effettivamente deve essere brutto vivere una relazione con il fantasma di un altro, soprattutto se ogni cosa che si fa viene vista in paragone ad un tradimento subito. Io spero che tutto sia chiaro hahaha Altrimenti ditemi pure :)
- Harry/Emma/Constance: vi immaginavate la dolce Constance così vendicativa? hahahahaha Mi sono divertita a descrivere la scena, quindi spero che vi abbia fatto sorridere! Emma è completamente sbiancata, terrorizzata da quella svolta improvvisa ed imbarazzata come chiunque lo sarebbe stato: se io fossi con il mio ragazzo e vedessi mia madre avvicinarsi, credo che scapperei, conoscendola hahaha Cosa pensate dell'invito a cena e del comportamento di Harry? La cena si terrà davvero? Come ve la immaginate? :) Ovviamente se ne riparlerà nel prossimo capitolo, compreso di pro e contro a riguardo!!
Ripeto che mancano pochi capitoli alla fine, quindi preparatevi :)

Ancora una volta grazie di tutto!!! E buona serata :)

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

 
     
  

 
  
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