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Autore: Severia85    23/02/2015    7 recensioni
Perchè Tobias Piton picchia la moglie? Forse, la risposta si trova nella sua insicurezza.
La storia si è classificata al quarto posto al contest indetto da Rosmary: I mille volti dell'insicurezza
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eileen Prince, Tobias Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Eileen Piton era accasciata sul pavimento della cucina. Si sosteneva con un braccio, mentre con l’altra mano cercava di tamponare il sangue che le usciva copioso dal naso. Le lacrime le scendevano lungo le guance, mischiandosi al sangue. Suo marito l’aveva appena colpita con un manrovescio poderoso e lei non aveva nemmeno capito quale fosse il motivo preciso di quella violenza. Di una cosa però era certa: era colpa sua. Era sempre colpa sua, lo era sempre stata.  
 
Tobias era stato un ragazzo intelligente e promettente, che si era iscritto al College pieno di sogni e speranze. Purtroppo, aveva dovuto fare i conti con il suo carattere chiuso e ansioso: agli esami, pur essendo ben preparato, riusciva a malapena a strappare una sufficienza rosicata. Non rendeva sotto stress: cominciavano a sudargli le mani, il respiro si faceva più affannoso e tutte le nozioni faticosamente apprese si cancellavano inesorabili dalla sua mente. I professori lo classificarono come uno studente mediocre, con poca attitudine allo studio. Il sogno di laurearsi in Economia con il massimo dei voti svanì in fretta. Visto che la famiglia Piton non aveva molte risorse, Tobias decise ben presto di lasciare il College e di cercare un lavoro. Lesse gli annunci sui giornali, ma per ogni offerta che trovava, comparivano nella sua mente una miriade di dubbi al riguardo: sarebbe stato in grado di svolgere quel lavoro? Che cosa ne sapeva lui di come funzionava una catena di montaggio? E se al suo capo non fosse piaciuto? E se avesse avuto colleghi antipatici? Se avesse fallito miseramente, così come era successo al College? Quando due colloqui non dettero risultati, si chiuse nella sua stanza a meditare i propri continui fallimenti.
“Perché non esci, ogni tanto?” lo incalzava la madre.
“Non ti fa bene restare tutto il giorno davanti alla tv.” Insisteva suo padre. “Perché non cerchi qualche altro lavoro?”
Tobias li ascoltava, senza che quelle parole sortissero alcun effetto. Osservava i suoi genitori vivere le loro vite monotone, programmate e misere. Si era ripromesso di non diventare come loro, eppure il suo destino volgeva inesorabilmente verso quella direzione. Non aveva alcuna possibilità di riscatto. Ad ogni ora che trascorreva in casa, qualsiasi entusiasmo o voglia di fare lo abbandonava, trasformandolo in una sorta di larva.
Un giorno di pioggia, suo padre si presentò a casa bagnato fradicio, ma con un’espressione compiaciuta in volto. Senza preoccuparsi dell’impermeabile che sgocciolava sul pavimento, si diresse a passi decisi nella camera del figlio e, non preoccupandosi di bussare, aprì la porta. Tobias era mollemente sdraiato sul letto, con un panino smangiucchiato accanto. La mano destra era infilata nei pantaloni slacciati e si muoveva avanti e indietro ritmicamente.
“Papà!” urlò, alzandosi di scatto e togliendo la mano dalle mutande.
Robert Piton abbassò lo sguardo imbarazzato, dando tempo al figlio di ricomporsi. Si guardò le scarpe nere, bagnate e sporche di fango che avevano lasciato numerose impronte nel corridoio.
“Dovevi bussare!”
“Scusa.” Balbettò. Poi, prendendo coraggio aggiunse: “Ho una grande notizia: ti ho trovato un lavoro.”
Il viso di Robert, illuminato da un ampio sorriso, contrastava nettamente con quello pallido e imbronciato del figlio.
“Ti aspettano lunedì alle otto. Ho già sistemato tutto io, così non dovrai nemmeno fare il colloquio. Un amico mi doveva un favore. Non ti devi preoccupare di nulla.” Robert era un fiume in piena di parole. Tobias ascoltava, poco convinto.
“E dove dovrei lavorare?”
“Alla fabbrica di motori di Cokeworth[1]
Cokeworth era una piccola cittadina non lontana da lì, con una zona industriale piuttosto grande nel quartiere di Spinner’s End. Tobias c’era stato da bambino, insieme ai genitori, a trovare alcuni amici di famiglia. Lo ricordava come un quartiere buio e sporco.
“So cosa stai pensando.” Intervenne il padre. “Ma è solo per cominciare: non dovrai lavorare lì per tutta la vita, ma almeno uscirai da questa stanza.”
 
Quel lunedì mattina, Tobias era davanti ai cancelli della grande fabbrica. La ciminiera si innalzava cupa e minacciosa nel cielo grigio. Il giovane la guardava intimorito, senza il coraggio di entrare. Quale lavoro gli avrebbero fatto svolgere? Ne sarebbe stato in grado? Se non fosse riuscito a parlare con il padrone?
Il trillo acuto di una campana che annunciava l’inizio delle otto ore lavorative lo richiamava. Altri operai si affrettavano al cancello. Tobias si voltò e cominciò a correre.
Senza nemmeno accorgersene, si ritrovò seduto in un pub del centro. Il locale era semideserto a quell’ora del mattino. Nella penombra, il barista asciugava dei bicchieri. Tobias si sedette su uno sgabello al bancone e chiese una birra.
“Disoccupato?” gli chiese il barista, allungandogli il bicchiere.
“Già.” Confermò lui, tenendo lo sguardo basso.
Che fare ora? Si domandò, mentre sorseggiava la birra. Tornare a casa? E cosa avrebbe detto a suo padre? Ma dove altro poteva andare? Non riuscendo a trovare alternative, lasciò qualche moneta sul bancone e prese la via di casa.
Alla fermata dell’autobus incrociò lo sguardo di una ragazza. Era alta e snella, col viso pallido e le sopracciglia folte. Era concentrata nella lettura di un libro particolarmente voluminoso, ma quando si sentì osservata, alzò lo sguardo e sorrise. Tobias non aveva molta esperienza con le ragazze, per cui si limitò a sedersi, controllando l’orologio.
Suo padre lo trovò disteso sul divano, sbocconcellando patatine.
“Mi hanno telefonato.” Sentenziò, senza nemmeno togliersi l’impermeabile.
Tobias rimase in silenzio, evitando di guardare il padre.
“Perché non sei andato al lavoro oggi?”
Dalla televisione arrivava il suono di alcune risate, tuttavia nella stanza l’atmosfera era fredda e tesa.
“Ho detto che non eri stato bene. Ti danno un’altra possibilità.”
Dentro di sé, il ragazzo si immaginò un’altra mattina al pub, sorseggiando birra nella penombra.
“E ti ci accompagno io, domani!”
Tobias si girò per protestare, ma Robert era già sparito nel corridoio, impedendogli di controbattere. Il respiro iniziò a farsi affannoso, eppure cercò di imporsi di restare calmo. Non aveva possibilità di fuggire, questa volta. Avrebbe dovuto affrontare la situazione per forza. Forse però, al ritorno, avrebbe rivisto la ragazza dai capelli neri.
 
Eileen ricordava ancora la prima volta che si erano incontrati, alla fermata dell’autobus. Era un giovane alto con folti capelli castani. Le aveva lanciato solo uno sguardo, ma era stato sufficiente per incuriosirla.
Si erano rivisti più volte nelle settimane successive: aveva dovuto tentare lei il primo approccio e persino invitarlo per il loro primo appuntamento.
Tobias era timido e dolce, così diverso dai rampolli purosangue che frequentavano casa sua e che i suoi genitori si aspettavano che lei sposasse. Non si credeva migliore di nessuno, anzi. I suoi modi le erano piaciuti subito, così come la sua goffaggine. Dopo i primi mesi in cui si erano frequentati, aveva acquistato maggiore sicurezza e si era fatto più ardito. Eileen esitava, attendendo il momento migliore per confessargli la sua natura di strega: temeva infatti una sua reazione negativa.
Poi, avevano deciso di accelerare i tempi: Tobias l’aveva portata a casa sua, in un pomeriggio in cui i genitori erano fuori. I suoi modi erano stati bruschi, impazienti e impacciati. Eileen non si era divertita, eppure aveva accettato nuovi inviti in quella casa, per farlo contento. Ogni volta, il tutto si concludeva in fretta, senza regalarle emozioni intense. La giovane si chiedeva se la colpa fosse sua e della sua inesperienza: sperava che con il tempo e la pratica le cose sarebbero migliorate.
La gravidanza arrivò inattesa. I suoi genitori le chiusero la porta in faccia, cacciandola: una purosangue che restava incinta di un babbano, senza nemmeno essere sposata era uno scandalo inaccettabile per la famiglia Prince. I Piton invece sembravano contenti e li aiutarono con i preparativi del matrimonio e con la caparra per la casa: una minuscola villetta, a pochi metri dalla fabbrica in cui lavorava il suo futuro marito. Il meno entusiasta di tutti sembrava Tobias: aveva persino suggerito l’idea di “sbarazzarsi” di quel problema. Una lunga conversazione con i genitori lo aveva convinto ad assumersi le proprie responsabilità.
La cerimonia del matrimonio era stata semplice, con pochi invitati. Eileen sapeva di non poter mantenere il suo segreto a lungo: prima o poi il bambino avrebbe manifestato il suo potere.
 
Quella era stata la prima volta in cui l’aveva picchiata. Erano passate solo poche settimane dal matrimonio e la sua pancia si intravvedeva appena. Tobias era rientrato con un’ora di anticipo, adducendo un mal di testa lancinante. I piatti volavano dal lavello alla credenza, mentre una scopa danzava per la stanza, senza accompagnatore. Eileen spiegò la situazione al marito seduto di fronte a lei, col viso pallido e sudato. Non aveva proferito nemmeno una parola: aveva ascoltato in silenzio, si era alzato ed era uscito. Eileen aveva pianto a lungo, poi si era seduta in cucina, nella speranza che il marito tornasse e non l’avesse abbandonata per sempre. Era rientrato alle quattro del mattino, ubriaco. Quando l’aveva vista andargli incontro, con gli occhi rossi e gonfi, l’aveva allontanata con uno spintone, biascicando:
“Sai cosa facevano alle streghe? Le bruciavano. Ma prima le frustavano, perché ammettessero i loro peccati.”
Le sue mani si erano abbattute su di lei, pesanti e dure. I lividi le erano restati per settimane, ma era colpa sua, soltanto sua. Perché era una strega e perché aveva mentito a suo marito.
 
Era stata una sensazione strana quella che Tobias Piton aveva provato nel picchiare la moglie, la prima volta. Aveva sentito l’adrenalina scorrergli nelle vene e una sensazione di potenza, mista ad euforia. Era la prima occasione della sua vita in cui si sentiva potente, che il respiro si faceva affannoso non a causa dell’ansia. Quando aveva finito, aveva provato una certa soddisfazione: il suo sforzo aveva portato ad un buon risultato ed ora poteva rilassarsi, sereno.
Nonostante odiasse la sensazione di inferiorità che provava davanti alle manifestazioni di magia della moglie, aveva deciso di restarle accanto: era un ottimo sfogo a tutte le sue frustrazioni. L’alcool lo aiutava: gli dava il coraggio e la forza di fare quello che andava fatto, di non sentirsi inferiore. Ogni barriera crollava nella sua testa ed ogni azione diventava possibile.
Ogni giorno andava al lavoro, poi al pub dove beveva diverse pinte di birra. Qualunque cosa non lo soddisfacesse, una volta rientrato a casa, diventava un buon motivo per alzare le mani su sua moglie o, se era troppo esausto, per offenderla e umiliarla.
La situazione non migliorò con l’arrivo dell’erede. Severus assomigliava in tutto alla madre: capelli e occhi neri, carnagione pallida e una precoce attitudine alle arti magiche.
Tobias sapeva che il figlio avrebbe presto imparato a fare cose che lui non avrebbe mai potuto compiere, ma, almeno finché era piccolo, aveva ancora un certo controllo su di lui e poteva utilizzare la sua autorità.
Severus lo guardava sempre con un’espressione torva e non sorrideva mai quando lui era in casa. Aveva imparato presto a non fare rumore mentre il padre era in casa e a non toccare la sua riserva di scotch invecchiato. Eileen era molto protettiva nei suoi confronti e, quando Tobias rientrava ubriaco, lo mandava di corsa nella sua stanza.
 
Eileen non aveva più voluto avere figli: per ben due volte aveva abortito in gran segreto, dilaniando la sua anima per sempre, perché sapeva che Tobias non avrebbe accettato altri figli e li avrebbe costretti ad una vita d’inferno. Severus soffriva abbastanza, perché lei potesse voler mettere al mondo altre anime innocenti da offrire a quel carnefice. Il suo dolore non era importante: la colpa di quella situazione era sua ed era giusto che ne pagasse le conseguenze. Sentiva i sensi di colpa rodergli lo stomaco e il petto: non era riuscita a fare felice suo marito e non aveva nemmeno la forza di lasciare quella casa, portandosi dietro Severus. Era colpa sua, soltanto sua.
 
Anche in quel momento, mentre con un incantesimo fermava l’emorragia del naso, sapeva che non doveva incolpare nessuno se non se stessa. Per fortuna Severus era a scuola e non aveva assistito a quella scena. Ad Hogwarts era al sicuro e, con le sue doti eccezionali, sarebbe diventato un mago potente e avrebbe compiuto grandi imprese. Quel pensiero la consolava e le dava la forza di andare avanti. Dal salotto, sentì il rumore sommesso di suo marito che russava: anche per quel giorno era finita, non aveva da temere altro. Eileen andò nella sua stanza e si preparò per la notte.
 
N.d.A.
Salve a tutti. Approfitto di questo spazio per sottolineare che i
n nessun modo e per nessuna ragione la violenza sulle donne può essere giustificata. Questo è il mio pensiero.
 

[1] Cokeworth è la cittadina immaginaria in cui si trova il quartiere di Spinner’s end, come confermato dalla Rowling su Potermore.
  
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