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Autore: Zury Watson    24/02/2015    2 recensioni
Immersi ognuno nella propria vita, c'è chi rimugina sulle scelte fatte, chi prova a dare una svolta, chi si dice che in fondo va bene così. Tra tutti ci sono io che immagino una me stessa in un altrove non meglio specificato, non troppo diversa dalla me stessa reale: le passioni sono le stesse, il coraggio ha qualche punto in più.
In un simbolico universo parallelo, la mia passione per Sherlock Holmes mi porterà a vivere un'esperienza inaspettata e indimenticabile che porta il nome di Mark Gatiss.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mark Gatiss
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5. Emme

Squilla il telefono.
L’ennesimo starnuto. Al prossimo sputerò un polmone, me lo sento.
“Brondo?”. Dall’altra parte una risata nemmeno troppo trattenuta. So perché, chiunque sia, sta ridendo e lo farei anche io al posto suo: ho una voce che farebbe sbellicare pure i polli. Non semplicemente voce da naso tappato con consonanti sbagliate in ogni dove, ma anche bassa da fare schifo. Sembro una vecchia stregaccia malefica.
“Scusa, sono un idiota”, dice, ancora con la risata attaccata alle corde vocali.
Manuele. Ci mancava solo lui.
“Sono d’accordo”, commento.
Fa una battuta su quanto sia tenace il mio sarcasmo. “Ti salverà dai batteri cattivi”, dice e un sorriso me lo strappa, ma non gli regalo la soddisfazione di rendersene conto. Poi mi chiede come sto.
“Distesa. Del letto”.
Ride. Fa una battuta dall’aria vagamente sconcia, sconcia con eleganza.
“Si sente la tua mancanza al lavoro, signorina”, dice.
Brontolo che le sue smancerie non mi guariranno dall’influenza che mi costringe a letto da ormai tre giorni. Mi chiede, stavolta in tono serio, se ho bisogno di qualcosa, se sono a posto con la spesa e con le medicine, se può essermi utile in qualche modo. Lo ringrazio sinceramente e lo informo che è tutto a posto.
“La bia vicida di casa è bolto preburosa”, dico e poi sbuffo per come le parole escono dalla mia bocca. “Grazie della telefodata”, aggiungo sperando così di sfuggire a quella tortura.
Lui capisce, e mi lascia sola con le mie lamentele raffreddate.
Sono tre giorni che non mi muovo da questo dannato letto. Sono tre giorni che non aggiorno il blog e la cosa mi irrita da morire. D’altra parte non sono comunque in grado di ragionare su nulla al momento, tant’è che carta e penna sono rimaste intatte sul comodino… Come ho potuto anche solo pensare di mettermi a scrivere in questo stato? Almeno, però, la febbre è scesa. Forse riesco ad alzarmi per prendere il pc… Non lo terrò acceso per molto, promesso!
Mi colpisco con grande debolezza sulla fronte con il palmo della mano: ora scendo pure a compromessi con me stessa, mi faccio promesse che so che non manterrò e mi auto analizzo manco fossi una psicologa.
Ho il viso in fiamme e il resto del corpo ghiacciato. Mi tiro su le coperte e affondo la testa nel cuscino.

Tre giorni più tardi, 7:30 AM

Dire che sono di fretta è un eufemismo, ma non me la sento di tornare al lavoro senza prima passare di qui. Per un attimo ho creduto che ci avrei lasciato le penne, invece era soltanto una brutta influenza. In ogni caso non gliel’avrei data vinta, di qualunque cosa si fosse trattato, non prima di aver visto la quarta stagione di Sherlock.
È spaventoso il numero dei vostri messaggi in casella e già mi vedo trascorrerci un mucchio di tempo prima di riuscire a rispondere a tutti – cenerò davanti al computer, non importa. Ve lo devo, con tutto l’affetto che mi dimostrate con una costanza che forse io non riuscirei ad avere.

Un bacio, Zury.


Traduco in inglese e posto entrambe le versioni.
Spengo in fretta il pc, afferro tutto ciò che mi serve, mi avvolgo in una sciarpa più lunga di quanto io sia alta e più calda di un termosifone e mi fiondo fuori di casa.
Puntuale arrivo sul posto di lavoro e mi becco una raffica di “Bentornata!” e “Come stai ora?”, prima di poter iniziare davvero a svolgere i miei compiti. C’è anche Manuele e questo riesce a risollevarmi il morale: per quanto sia incline a collezionare appuntamenti su appuntamenti, resta comunque una presenza piacevole e con lui il tempo sembra scorrere più velocemente.
In una pausa mi imbatto in Deborah, una collega molto attenta al look, che mi chiede cosa ci sia tra me e Manuele. Se non altro non si perde in chiacchiere. Ho la vaga sensazione che lui le piaccia e che per questo motivo lui non l’abbia ancora mai invitata ad uscire: se me ne sono accorta io, figuriamoci lui che c’ha le antenne per queste cose.
“È un collega”, rispondo soltanto.
“Ma ti piace”, dice lei senza punto interrogativo.
“No”. Secco e deciso.
“Secondo me sì”, insiste.
La squadro per una manciata di secondi. “Bel rossetto”, commento. Magari la smette.
“Grazie. Uscite insieme?”.
No, non la smette. “Se fosse così lo sapresti, suppongo”, le rispondo sollevando solo metà bocca in un sorriso tirato. Deborah è una pettegola di prima categoria, riesce a sapere tutto di tutti e puntualmente dispensa le informazioni per ottenere qualcosa. Sappiamo tutti qui che se Giada e Alessio hanno smesso di frequentarsi è perché lei ha messo in testa a Giada che Alessio è inaffidabile soltanto perché ai tempi del liceo cambiava fidanzate come le mutande. Sa essere molto convincente quando vuole. Poi, per confermare il tutto, è uscita lei con Alessio.
La sua smorfia, in risposta alla mia, è orrenda. “Quindi non ti dispiace se ci esco io, vero cara?”.
Puoi risparmiarti il cara, guarda. Le sorrido. “Fai pure”. E la lascio lì, continuando per la mia strada. Prendo un tè caldo al limone, al distributore, e decido che per una volta posso provare l’ebbrezza di essere una pettegola anche io. Cerco Manuele, mi siedo di fianco a lui e gusto la mia bevanda lasciando passare una decina di secondi. “So da fonti certe che qualcuno qui dentro vuole uscire con te”, dico senza guardarlo, trattenendo un sorriso.
“Tu?”. Scoppia a ridere.
“Ti piacerebbe”. Mi soffio il naso.
“Forse. Deborah?”.
Ero certa che se ne fosse accorto. La pausa volge al termine, così mi alzo e annuisco. Lui sospira scuotendo il capo. Forse dovrei dispiacermi per Deborah.

Non credevo che rientrare a casa, dopo quasi sei giorni di clausura forzata, potesse essere così piacevole. La prima cosa che faccio è accendere il pc. Intanto mi infilo il pigiama e decido che mangerò una pizza che mi farò consegnare a domicilio.
Incredibilmente i messaggi sono aumentati rispetto al mattino. Prendo un profondo respiro e inizio a leggere. Fortunatamente molti lettori semplicemente mi chiedono che fine io abbia fatto, come sto e perché non sto più aggiornando il blog. Quelli meno recenti, invece, mi riportano alle avventure di Sherlock Holmes e del dottor Watson. Quanto mi sono mancati!
Continuo a scorrere i messaggi, rispondo a quelli brevi e lascio in sospeso quelli più impegnativi, finché mi imbatto in quel nickname. Il cuore prende a battermi forte nel petto senza un motivo razionalmente esplicabile. Non capisco da dove arrivi il leggero stupore che avverto dal momento che era stato lui a manifestare l’intenzione di non terminare la conversazione con quell’unica email.
Ma che diavolo mi sta succedendo?
Sono costretta a prendermi una pausa, quindi sospendo la lettura per entrare nell’account Twitter e fiondarmi sul profilo di Mark Gatiss: in sei giorni avrà pur dato qualche altra indicazione! E mentre carica telefono in pizzeria ordinando una bianca con wurstel, patatine e mozzarella.
Scopro che Gatiss ha seminato più di un indizio e questo mi entusiasma abbastanza da farmi affrontare l’email con uno spirito migliore anche se non mi impedisce di leggerla tutta d’un fiato. La data d'invio corrisponde a due giorni dopo la mia prima ed unica risposta, ovvero il giorno stesso in cui mi sono beccata la febbre.

Ti chiedo scusa per aver ritardato tanto nel risponderti. Prima quasi ti chiedo di non confinare la nostra conversazione ad un solo botta e risposta e poi non trovo il tempo da dedicarti. Se puoi, sorvola sui miei problemi di tempismo e accetta la mia massima contentezza nel leggere le parole che mi hai gentilmente riservato. Attendo con una certa ansia, che non mi premuro di nasconderti, le tue prossime deduzioni.
A presto, M.

Se non sapessi per certo che Manuele non è a conoscenza del mio blog, penserei che è un suo scherzo. M… Quale nome si celerà mai dietro una emme? E perché firmarsi con quella che potrebbe essere l'iniziale del suo nome nel secondo messaggio e non nel primo? Quest'uomo si veste volutamente con un manto di mistero. Sospiro e decido di non rispondergli ancora: lo farò dopo aver postato nuove deduzioni.

   
 
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