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Autore: ariadiprimavera    27/02/2015    1 recensioni
Sono spariti i colori. Quello che mi appare è un paesaggio apparentemente normalissimo: un viale di periferia, affiancato da case con giardinetti curati e immerse nel silenzio più totale. Il cielo è nuvoloso, e non riesco a capire dove sia il sole, anche se i muri sono illuminati da una luce che non riesco a capire da dove provenga. Ma questo non mi preoccupa quanto il fatto che ogni cosa, dall’erba ai tetti al cielo, è grigia, esattamente come nei vecchi film in bianco e nero.
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“I walk a lonely road
The only one that I have ever known
Don't know where it goes
But it's home to me and I walk alone…”
 
Queste parole mi rimbombano in testa e riecheggiano amplificate, sovrapponendosi, creando un effetto particolarmente curioso. I miei passi si muovono a ritmo, anch’essi amplificati, forse a causa della perfetta immobilità dell’ambiente circostante. Mi rendo conto fin da subito che qualcosa non va, ma inizialmente non riesco a stabilire cosa. Poi mi guardo meglio intorno e capisco: i colori. Sono spariti i colori. Quello che mi appare è un paesaggio apparentemente normalissimo: un viale di periferia, affiancato da case con giardinetti curati e immerse nel silenzio più totale. Il cielo è nuvoloso, e non riesco a capire dove sia il sole, anche se i muri sono illuminati da una luce che non riesco a capire da dove provenga. Ma questo non mi preoccupa quanto il fatto che ogni cosa, dall’erba ai tetti al cielo, è grigia, esattamente come nei vecchi film in bianco e nero. Sbatto le palpebre più volte, ma senza risultati. Vorrei poter riflettere su quanto sta succedendo, ma ho una strana confusione in testa. Quella canzone continua a fare da sottofondo ai miei pensieri, ottundendo la mia capacità di ragionare. Non riesco nemmeno a ricordare come sono arrivato in questo posto così strano, e soprattutto da quanto sto camminando. Cerco di risalire con il pensiero all’ultimo avvenimento di cui ho un ricordo, ma è il vuoto totale. A dirla tutta, non mi ricordo nemmeno il mio nome.
 
“I walk this empty street
On the Boulevard of Broken Dreams
Where the city sleeps
And I'm the only one and I walk alone…”
 
Forse proprio a causa delle parole della canzone, mi accorgo di un’ulteriore stranezza: per quanto mi ricordo, non ho ancora visto nessun altro nei dintorni. Ma è impossibile che queste case siano disabitate: i giardini sono talmente curati che qualcuno deve pur esserci! Mi avvicino a un cancello e guardo dentro. Gli scuri delle finestre sono chiusi, così come la porta. Non saprei dire se dentro ci sia qualcuno: non sento nessun rumore. Il silenzio è opprimente: né un cinguettio di uccelli, né una folata di vento a far frusciare le foglie degli alberi. Sembra che qualunque forma di vita eviti di proposito questa strada. E poi, che strada sarà mai questa? Come avrò fatto ad arrivarci? E soprattutto, dove porta? Per un attimo, considero l’opzione di fare dietro-front e tornare indietro, ma mi rendo conto che sarebbe una pessima idea. Ormai sto camminando da parecchio, e dovrei ripercorrere tutta la strada che ho già fatto. No, a questo punto è meglio continuare a camminare. Da qualche parte dovrò arrivare, no? Mi rimetto in cammino, e il rumore dei miei passi è tutto quello che sento. Sembra un mondo senza vita.
 
“My shadow's the only one that walks beside me
My shallow heart's the only thing that's beating
Sometimes I wish someone out there will find me
'Til then I walk alone...”
 
Sto camminando da un’eternità, ma ancora lo scenario non cambia. Il cielo è sempre pieno di nuvole, che però non si muovono, e la luce non dà segni di volersi abbassare. Che persino il tempo si sia fermato in questo posto assurdo? Sento le gambe indolenzite dal troppo camminare, e decido di provare a suonare il campanello di una casa. Non so bene cosa potrei dire, se qualcuno mi rispondesse: non potrei neanche presentarmi, visto che non ricordo come mi chiamo. Comunque, mi rendo conto che è l’ultima possibilità che mi resta e mi avvicino a una casa, simile a tutte le altre. Mi avvicino al campanello e provo a premere il bottone, che però risulta bloccato. Provo a spingere più forte, ma non funziona: non si muove. Con un’alzata di spalle rivolta a non so chi, mi dirigo verso la casa successiva, e provo a suonare lì. Stessa identica scena di prima: il campanello è inutilizzabile. Frustrato, gli tiro un pugno parecchio forte, aspettandomi un dolore sordo alle nocche. Le mie dita si infrangono sulla placca di metallo, ma l’effetto è lo stesso che se avessi sferrato un pugno su un materasso imbottito di piume. Stupito, riprovo a dare un pugno, stavolta contro il muro, ma non mi faccio male, e sulla mia mano non rimane neanche un segno.
 
“I'm walking down the line
That divides me somewhere in my mind
On the border line
Of the edge and where I walk alone…”
 
Mi accascio a terra, senza più speranze, lasciando che calde lacrime mi scorrano per le guance. Che strano, non ricordo di essere stato una persona che piange facilmente. Probabilmente la colpa sarà di questo ambiente grigio, così deprimente. Improvvisamente, un’ondata di profumo mi coglie alla sprovvista. Da quando mi trovo qui, non avevo sentito alcun tipo di odore. È un profumo familiare, anche se non saprei a cosa collegarlo. Mi guardo intorno asciugandomi gli occhi, finché individuo la sorgente del profumo: un cespuglio di rose a pochi metri da me. Mi avvicino sfiorando uno dei petali vellutati. Sono di un grigio scuro, e questo mi fa pensare che originalmente fossero rosse. Un pensiero sfuggente mi attraversa la mente, qualcosa collegato a delle rose rosse, ma quando cerco di afferrare questo ricordo, quello scivola via, lasciando un vuoto fastidioso nella mia mente. Mi rendo conto che questo ricordo è fondamentale, che qualunque cosa mi ricolleghi alla mia vita precedente può servirmi da appiglio per ricostruire tutto il resto. Mi sforzo di pensare. Delle rose rosse. Dove ho già visto delle rose rosse? Improvvisamente, un suono soffocato rompe il silenzio, facendomi sobbalzare. Sembra qualcuno che singhiozza. Cerco di identificare il punto di provenienza, ma sembra che provenga da tutte le parti. Tendo le orecchie, cercando di captare ogni minimo sussurro. La voce di una ragazza, chiaramente in lacrime, continua a ripetere: “Amore, ti amo, torna da me, torna dalla tua Laura”. Laura. Anche questo nome mi è familiare. Anzi, adesso ne sono certo, lo conosco molto bene. Quante volte l’ho pronunciato? Laura. Un volto inizia a delinearsi sotto le mie palpebre chiuse. Per prima cosa vedo degli occhi grandi e luminosi, un po’ infantili, di un colore scuro che non riesco a identificare. Questo velo grigio si è infiltrato anche nella mia mente, inquinando persino la mia immaginazione. Le labbra sono tese in un sorriso radioso, con tanto di fossetta sulla guancia. I capelli sono lunghi e ricci, anch’essi grigi. Ho come la consapevolezza, però, che nella realtà fossero di un biondo scuro. In mano regge un mazzo di rose rosse, a cui è ancora attaccato un biglietto con un cuore e la scritta “per Laura”. Le mie labbra si incurvano inconsapevolmente per rispondere al suo sorriso, ed è in questo momento che ricordo. Laura, la mia fidanzata, mi sta ancora chiamando, ma il suo pianto si affievolisce pian piano, fintanto che non riesco a sentire più nulla. Grido il suo nome più e più volte, ma inutilmente: non mi risponde. Mi alzo in piedi e mi rimetto a camminare velocemente. Ora so che, ovunque sia la mia casa, devo ritornarci. Devo farlo per lei.
 
“Read between the lines
Of what's fucked up and everything's alright
Check my vital signs
To know I'm still alive and I walk alone…”
 
Continuo a camminare senza meta, e penso a Laura. Non riesco a ricordare altro che quell’immagine apparsa poco fa. Se solo questo grigio la smettesse di deprimermi così! Sembra quasi nebbia... Nebbia densa che si infiltra nei pensieri e ti toglie la lucidità. Ma la nebbia mi ricorda anche qualcos’altro. Ricordo una strada immersa nella nebbia. So che è una strada familiare, ma non riesco a ricordare altro. Mi fermo di colpo: un altro rumore. Stavolta è una donna adulta. Piange anche lei, e chiama il nome di Luca. Anche in quella strada con la nebbia quella stessa voce chiamava Luca, un Luca bambino, che correva avanti affascinato da quel panorama bianco e inquietante, con il rischio di perdersi. E ora lo so, lo ricordo: Luca sono io, e la donna che piange è mia madre. “Torna, Luca, torna da me”, dice. Vorrei tanto tornare, ma non so nemmeno io come. So solo che vorrei ritrovare la mia famiglia e Laura, ma dentro di me sento che è impossibile, che non li rivedrò mai più. La stanchezza per tutto quel cammino si fa sentire. Non riesco più ad andare avanti, mi tremano le gambe. Mi sdraio sull’asfalto grigio e chiudo gli occhi.
 
“My shadow's the only one that walks beside me
My shallow heart's the only thing that's beating
Sometimes I wish someone out there will find me
'Til then I walk alone...”
 
Di nuovo la canzone! Anche la canzone, a ripensarci bene, mi ricorda qualcosa, ma non so dire cosa. Ora mi rimbomba in testa più forte di prima, il rumore è assordante. Ma insieme alle note sento un altro tipo di rumore. Un rumore tremendo, mi fa venire i brividi. Sembra qualcosa che si rompe, che si sbriciola in mille pezzi. Apro gli occhi. La prima cosa di cui mi sorprendo è che non è più tutto grigio. Infatti, adesso è nero: davanti a me, la strada infinita è scomparsa, sostituita da un vuoto nero, da un abisso che si avvicina sempre di più. La strada si disintegra mano a mano che questo vuoto avanza, e pezzi d’asfalto cadono nelle sue profondità, producendo questo rumore terrificante. È come se un enorme buco nero stesse inghiottendo tutto il paesaggio. Mi alzo e inizio a correre dalla parte opposta. La canzone è sempre più forte, e anche il boato. Improvvisamente, una parola della canzone viene troncata a metà, mentre l’altro prosegue con la stessa intensità. Ricordo che è già successo recentemente, la canzone improvvisamente interrotta. E poi più niente. Niente perché non c’è nient’altro da ricordare. Con la canzone, in quel momento, mi sono fermato anch’io. Ora ricordo. La macchina, la canzone alla radio, io che la cantavo a squarciagola per superare la voce dei miei amici, anche loro ubriachi in quella notte di fine agosto. E poi la strada è finita, non c’era più, c’era solo il vuoto sotto di noi, che precipitavamo... Vuoto. E buio.
 
 
 
 
Buio. È tutto quello che percepisco. Ho la vaga consapevolezza di essere sdraiato, ma non ho idea di dove sono. Un macchinario emette dei “bip” a intervalli regolari. A fatica, apro gli occhi, e la luce mi stordisce. Tutto è bianco, abbagliante. “Luca! Luca, sei sveglio!” urla Laura, e nei suoi occhi, che adesso vedo color nocciola, si forma subito una lacrima, mentre mi sorride e mi afferra la mano, stringendola forte. Un’altra mano mi accarezza la fronte, e girandomi riconosco mia madre. Anche lei piange, in silenzio. Cerco di parlare, ma la mia gola è troppo secca. Laura mi porta subito un bicchiere d’acqua e me lo accosta alle labbra. Bevo mentre lei mi guarda con uno sguardo dolce che, ora ricordo, è proprio tipico di lei. Dovrei dire loro molte cose, fare molte domande, ma non so da che parte iniziare. Forse, alla fine, non è così importante. Quella strada era solo un sogno, una proiezione della mia mente in stato di coma, non significa nient’altro. O forse no? Ancora quella strana sensazione, di qualcosa che sfugge ma non si riesce ad afferrare. Mi concentro, chiudo gli occhi. Sotto le palpebre riaffiora un’immagine: la strada che si sgretola, sparisce, risucchiata dal nero. Inconsapevolmente, sorrido.
“Ero stufo di lottare” sussurro “l’oscurità stava risucchiando tutto, avrei tanto voluto lasciarmi andare. Ma non l’ho fatto. Io ho scelto voi”
   
 
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